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domenica 27 marzo 2016

Alcune considerazioni sulla fretta

 In collaborazione con la rivista Lettera E Spirito:

https://drive.google.com/file/d/0BwS7BAey84TnM2M1Nk8tcWxQQTQ/view

di Bruno Montolio

Alcune considerazioni sulla fretta
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l’onestade ad ogn’atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo ’ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi ’l viso mio incontr’al poggio
che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.

Dante, Divina Commedia, Purgatorio, III, 10-15

Dio ha fatto il tempo, ma l’uomo ha fatto la fretta
Chi fa in fretta fa due volte
Ciò che in fretta si fa, presto si rovina
Minore il tempo, maggiore la fretta
Guardati dai consigli frettolosi, perché la fretta è una cattiva consigliera
Si morde la lingua chi parla in fretta
Cosa non pensata, non vuol fretta

Proverbi popolari

La calma viene da Allah e la fretta da Satana
Hadîth trasmesso da Abdullah-Muhaimin bin ’Abbas bin Sahl bin Sa’d As-Saidi

La parola “fretta” deriva dal latino frictare, “fregare”. Giacché si ha frizione solamente tra elementi mobili discordanti, si può desumere come la radice della fretta sia la mancanza d’unitarietà dell’essere. Sinonimo di fretta è il termine “premura” (cfr. il francese être pressé), dal quale emerge come la fretta affligga coloro che sono schiacciati e oppressi dal tempo. «Talvolta si dice, forse senza comprenderne la vera ragione, che oggi gli uomini vivono più in fretta di una volta, e ciò è letteralmente vero; la fretta caratteristica che i moderni mettono in tutte le cose non è d’altronde, in fondo, che la conseguenza dell’impressione che ne provano confusamente»(1). «La fretta febbrile che i nostri contemporanei apportano a tutto ciò che fanno […] non può che produrre agitazione e disordine»(2). L’umanità è preda di tale malattia cosmica che la colpisce in modo generalizzato, e non casuale, bensì provocata da forze ostili rappresentate da Satana, l’Avversario, per loro natura portate a distogliere l’attenzione degli esseri dal proprio “centro”. Il detto “La calma viene da Allah e la fretta da Satana”(3) e i numerosi proverbi popolari sulla fretta contengono un avvertimento chiaro per chi voglia cercare di vincere questo grave vizio insito nella natura umana e che in questa fase di discesa ciclica impregna inevitabilmente tutti gli esseri dalla loro radice.
La fretta induce chi ne è afflitto a una sempre maggiore superficialità e approssimazione, portandolo a perdere gli aspetti qualitativi e profondi della realtà. Non bisogna tuttavia confondere la “calma” con la passività di chi non utilizza in modo corretto il proprio tempo4, che non domina ma dal quale è dominato(5).
«Il tempo è una spada, se non lo si taglia con la Verità (al-haqq), esso taglia con il falso (albâtil)! Tutti gli istanti sono stati impegnati per la loro ragione d’essere. Giacché gli istanti sono tre: “Il passato, ed è quello che hai vissuto; il presente, ed è quello che tu occupi con ciò che ti reclama; e l’avvenire: esso ti è nascosto, quindi non occupartene!”. Colui che s’assorbe nel passato e nell’avvenire perde il tempo del quale gli sarà chiesto conto, il presente, che non si rimpiazza(6). Se vuoi compiere più tardi ciò che per te è allora spirato, il momento che avrai scelto per adempierlo ti apostroferà dicendoti: “Io, non sono stato creato per niente. Cerca un altro momento libero. Se lo trovi, compi ciò che devi! Ma non lo troverai”. Perciò si dice: “Il tempo, è quello che tu vivi nel presente. Non è né passato né avvenire”»(7).
La fretta non permette d’attualizzare la vocazione dell’essere, giacché indebolisce il retto comportamento in ogni atto (“la fretta, | che l’onestade ad ogn’atto dismaga”)(8), sia esso esteriore o interiore, e ottenebra l’intelletto: solamente rinunciandovi e vincendola, la percezione del proprio orizzonte intellettuale può allargarsi e raggiungere i limiti massimi concessi dalla propria natura. Fretta e concentrazione sono dunque inconciliabili(9), la prima è dovuta alla dispersione, mentre la seconda induce l’azione precisa e sollecita(10), ossia la solerzia. Da ciò emerge come fretta e sollecitudine non siano affatto sinonimi(11): la prima tende verso l’esteriore, rende schiavi dell’illusione del “fare” e provoca soltanto agitazione e disordine, la seconda, orientata verso l’interiore, può generare concentrazione, base indispensabile per l’accesso a ogni conoscenza; la prima caratterizza l’individuo preso nell’impossibile compito d’esaurire le possibilità insite nell’ipotenusa del triangolo pitagorico(12), la seconda è propria dell’essere che tende al centro sul cateto(13).
Come l’idea precede necessariamente l’atto, la predisposizione dell’essere, ossia il suo corretto orientamento, è indispensabile affinché l’azione sia proficua14; solo così, nel suo agire, esso potrà tendere con la concentrazione al proprio centro. L’illusione che le cose possano essere fatte più velocemente senza mettersi prima nella condizione ideale per compierle porta alla fretta, che spinge l’essere ad agire senza riflettere su ciò che fa, mettendolo così in balia di chi ha gli strumenti per manipolarlo (e questo può farci intuire uno dei motivi per cui questa malattia cosmica è oggigiorno così diffusa).
In sintesi si può dire che la fretta è generata e alimentata da diversi vizi, cui ci si può opporre adeguatamente: alla quantità va opposta la qualità, alla velocità la calma, alla dispersione e agli attaccamenti all’ambiente la concentrazione e il ricordo del divino, all’angoscia la tranquillità, all’agitazione e alla mancanza di controllo la pazienza e la disciplina, al perdersi nel passato o in fantasmagoriche previsioni sul futuro la presenza ai propri atti, al disordine l’ordine che si fonda sul metodo e che permette di fare le cose al momento giusto; in quest’ottica sarebbe opportuno gerarchizzare le proprie attività in modo da concedere il legittimo spazio alle più importanti, eliminare quelle superflue(15) e ridurre quelle alle quali si concede colpevolmente troppo spazio(16).
La tensione dell’essere verso il proprio centro comincia dall’occuparsi solo di ciò che lo riguarda sfrondando il resto(17).
Questo lavoro di sgrossatura della pietra che porta a contrastare la fretta dovrebbe essere condotto senza cadere nello schematismo, ma cercando di essere ricettivi alle qualità del momento che si sta vivendo(18). Così come v’è un’orientazione spaziale che dirige verso il centro, ve n’è una temporale che coincide con una tensione verso l’eterno di cui la coscienza del presente è un riflesso. Per liberarsi dai nefasti influssi della fretta è necessaria una continua discriminazione, un lavoro “contro corrente” che deve costantemente essere rinnovato e che richiede attenzione e dedizione, vigilanza e perseveranza; tuttavia non ci sono alternative, è indispensabile farlo se si vuole uscire dalla follia organizzata che ci circonda e dirigersi verso la stabilità dell’Eterno(19).

1) R. Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Éditions Gallimard, Paris, 1945, cap. XXIII: Le temps changé en espace. Per comodità del lettore, riproduciamo per esteso il paragrafo che contiene il passo citato: «Il tempo consuma in un certo qual modo lo spazio, per un effetto della potenza di contrazione che rappresenta e che tende a ridurre sempre più l’espansione spaziale alla quale s’oppone; ma, in quest’azione contro il principio antagonista, il tempo stesso si svolge con una velocità sempre crescente, giacché, lungi dall’essere omogeneo come suppongono coloro che non lo considerano che dal solo punto di vista quantitativo, è al contrario “qualificato” in maniera differente a ogni istante dalle condizioni cicliche della manifestazione alla quale appartiene. Quest’accelerazione diviene più apparente che mai alla nostra epoca, poiché essa assume proporzioni esagerate negli ultimi periodi del ciclo, ma, in realtà, essa esiste costantemente dall’inizio alla fine di questo; si potrebbe dunque dire che il tempo non contrae solamente lo spazio, ma che contrae anche progressivamente se stesso; questa contrazione s’esprime con la proporzione decrescente dei quattro Yuga, con tutto ciò che implica, compresa la diminuzione corrispondente della durata della vita umana. cit. Al suo grado estremo, la contrazione del tempo arriverà a ridurlo finalmente a un unico istante, e allora la durata avrà veramente cessato d’esistere, giacché è evidente che, nell’istante, non può più esservi alcuna successione. È così che “il tempo divoratore finisce col divorare se stesso”, in modo che, alla “fine del mondo”, vale a dire al limite stesso della manifestazione ciclica, “non v’è più tempo”».
2) R. Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, ibid., Avant-propos. «L’incremento della velocità degli avvenimenti, con l’avvicinarsi della fine del ciclo, può essere paragonato all’accelerazione che esiste nel movimento di caduta dei corpi pesanti; il cammino dell’attuale umanità assomiglia proprio a quella d’un mobile lanciato su una discesa tanto più velocemente quanto più s’avvicina al basso» (ibid., cap. V: Les déterminations qualitatives du temps).
3) Hadîth trasmesso da Abdullah-Muhaimin bin ’Abbas bin Sahl bin Sa’d As-Saidi che lo ha ricevuto da suo padre a cui è stato trasmesso da suo nonno (cfr. English traslation of Jâmi‘ At-Tirmidhî, Vol. 4, Chapters on Righteousness and Maintaining Good Relations with Relatives, Darussalam, Riyadh, 2007).
4) “La Regola v’insegni il corretto utilizzo del Tempo” ammonisce un rituale massonico.
5) Attitudine passiva che ricorda quella degli ignavi, incapaci di prendere partito e d’agire; Dante li presenta nel III canto dell’Inferno costretti in eterno a rincorrere un’insegna che gira in tondo senza senso:
E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;

Non avendo fatto uso in vita del loro libero arbitrio, è come se questi dannati non fossero mai vissuti e
sono ora continuamente pungolati da mosconi e vespe:
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi
.
6) Chiaro l’invito a cogliere l’attimo fuggente nel quale gli aspetti qualitativi si manifestano. Per questo, e per non essere inesorabilmente sopraffatti e schiacciati dal tempo come detto nell’incipit di questo passo, è necessaria un’attitudine attiva e vigile (Shaikh ‘Ali al-Jamal scrive: «L’intuizione è molto sottile e fuggitiva; se l’uomo non sta in guardia, scapperà dalle sue mani senza che se ne accorga», cfr. Lettres d’un maître soufi: le Sheikh al-‘Arabî ad-Darqâwî, Lettera 22, Archè, Milano, 1978).
7) Shaikh Tadili, La vie traditionelle c’est la sincérité. Anche nella Bibbia viene evidenziato come ogni momento abbia una sua qualità propria: «Per tutto c’è un momento e un tempo per ogni azione sotto il sole. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sbarbare il piantato. C’è un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costrui re. C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. C’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per separarsi. C’è un tempo per guadagnare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttare via. C’è un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. C’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace» (Ecclesiaste, 3, 1-8).
8) La vocazione è un richiamo del proprio principio interiore e la fretta, quale tendenza alla dispersione, è una sorta di rumore che ne distoglie l’ascolto; si ha fretta perché chiamati contemporaneamente da più parti, così il “lasciar la fretta” di Dante ben corrisponde alla tensione verso il silenzio interiore. Ecco cosa scriveva al proposito Albano Martín de la Scala nella nota 17 dell’articolo La Vocazione apparso nel no 34 di questa rivista: «In particolare, oggi più che nel passato, viviamo in un mondo pieno di rumori, frastuoni e richiami che si sovrappongono e a volte si mischiano in modo inestricabile e questo è vero per la condizione fisica, ma ancora di più per quella psichica. Il tendere verso il silenzio interiore è quindi un passo indispensabile per poter udire in modo sempre più chiaro la propria chiamata. Non a caso la disciplina del silenzio, anche esteriore, trova ampio spazio nelle più diverse forme tradizionali. Basti pensare al silenzio dell’apprendista in Massoneria o a quello praticato in diversi ordini monastici».
9) La fretta è strettamente legata alla forza centrifuga. La velocità di un corpo legato a una corda e fatto roteare è tanto maggiore quanto più lunga è la corda. Analogamente si comportano l’umanità e i singoli individui, che sono tanto più soggetti alla velocità quanto maggiore è la loro distanza dal centro. La corda
immaginaria di cui parliamo corrisponde al simbolico cateto di base del triangolo pitagorico che inizia ad allungarsi e ad allontanarsi dal cateto verticale, simbolo della Provvidenza, nel momento in cui l’essere, con un’affermazione della propria volontà individuale, gira le spalle al centro e si orienta verso l’esteriore.
10) “Sollecito” deriva dal latino sollìcitus composto da sòllus, tutto, intiero, e cìtus, pronto, p.p. di cìo, muovo. “Solerte”, da sòllus e ars, arte, per conseguenza “esperto”, dotato di attitudine.
11) E questo dovrebbe essere sufficiente a far comprendere come la lotta alla fretta non possa essere presa a scusa per giustificare quella che in realtà non è altro che pigrizia.
12) Ipotenusa che, da un altro punto di vista, può essere messa in relazione con la discesa ciclica e la sua continua accelerazione.
13) Per più ampi approfondimenti sull’argomento del triangolo pitagorico vedasi i ni 36 e 37 di questa rivista. Albano Martín de la Scala, nell’articolo Provvidenza, Volontà, Destino, scriveva: «La mentalità moderna, ignorando l’esistenza di un Ordine risultante dall’espressione nella manifestazione di un Principio Universale di carattere sovrumano, impegna la Volontà umana in un processo d’affermazione dell’individualità, unica realtà esistente secondo la sua percezione, alimentando l’ego in un processo propriamente indefinito. Ora, questa forza di Volontà può applicarsi ugualmente in senso contrario, quantunque per questo sia necessario riconoscere l’azione della Provvidenza».
14) La copertura del tempio, che precede l’inizio dei lavori massonici, è un rito che evidenzia come tradizionalmente sia necessario creare le condizioni ideali prima di compiere qualunque atto.
15) Generalmente il lavoro, il riposo e la ricreazione, le occupazioni familiari e l’attività rituale dovrebbero riempire la vita degli iniziati.
16) A questo proposito può essere interessante fare una riflessione su quale sia lo spazio che legittimamente può essere concesso al divertimento o alla ricreazione. Il verbo “divertire” deriva dal latino divèrtere, p.p. di divèrsus, composto dalla particella di(s), che indica allontanamento, e vèrtere, volgere. Il significato è quindi quello di volgere altrove, distogliere, distrarre, deviare. Un simile comportamento, essendo contrario e inconciliabile con la concentrazione e la rettitudine, non può che essere considerato illegittimo dal punto di vista tradizionale. Ben diversa la radice etimologica, e quindi il senso profondo, del verbo “ricreare”, dal latino recreàre, composto dall’iterativo re e creàre, creare, vivificare. Appare quindi evidente come la ricreazione, non solo sia legittima, ma rivesta pure un’importantissima funzione che si integra armoniosamente nell’attività tradizionale, permettendo a chi ne usufruisce di ritemprarsi in vista degli impegni che lo attendono; non a caso in Massoneria i lavori riprendono “Forza e Vigore” dopo la ricreazione. Quest’esempio è emblematico delle difficoltà che si possono incontrare nel giudicare dall’esterno certe situazioni e mostra come comportamenti apparentemente simili possano nascere da motivazioni differenti ed essere quindi intrinsecamente molto diversi tra loro. Come quasi sempre accade è l’intenzione o in altri termini l’orientazione a fare tutta la differenza.
17) Il Martello e lo Scalpello sono gli strumenti simbolici con cui l’Apprendista è chiamato a lavorare sulla Pietra Grezza per sgrossarla, con una continua e paziente opera di sottrazione.
18) Nel dominio dell’azione, la “puntualità” è il fare le cose nel punto temporale esatto in cui devono essere compiute (in Massoneria i lavori cominciano simbolicamente a mezzogiorno e terminano a mezzanotte “in punto”). La puntualità permette di fare le cose appuntino, con precisione e solerzia, senza dover rincorrere affannosamente il tempo perduto o attendere. Ricordiamo che il termine “punto” deriva dal latino punctum da pungere, penetrare; se ne può quindi forse dedurre che per essere penetranti e non restare alla superficie delle cose è necessario essere puntuali.
19) Il “luogo” sede di questa stabilità è il Centro del mondo («V’è ancora un’osservazione da fare sulla rappresentazione del centro spirituale come un’isola, che peraltro racchiude la “montagna sacra” […]. L’idea che evoca la rappresentazione di cui si tratta è essenzialmente quella di “stabilità”, che abbiamo precisamente indicato come caratteristica del Polo: l’isola rimane immutabile in mezzo all’agitazione incessante dei flutti, agitazione che è un’immagine di quella del mondo esterno; e bisogna aver attraversato il “mare delle passioni” per giungere alla “Montagna della Salvezza”, al “Santuario della Pace”», R. Guénon, Le Roi du Monde, Éditions Traditionnelles, Paris, 1950, cap. X, Noms et représentations symboliques des centres spirituels). «È in questo centro che “il tempo si cambia in spazio”, perché qui è, nel nostro stato d’esistenza, il riflesso diretto dell’eternità principiale, il che esclude ogni successione; così la morte non vi può colpire, ed è quindi propriamente il “soggiorno d’immortalità”; tutte le cose vi appaiono in perfetta simultaneità in un immutabile presente, grazie al potere del “terzo occhio”, col quale l’uomo ha riacquistato il “senso dell’eternità”». (R. Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, ibid., cap. XXIII: Le temps changé en espace).

giovedì 6 agosto 2015

MOSTRA INFERNO FRESCO NUOVE ILLUSTRATRICI DANTESCHE

Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi di Torino 25 settembre - 31 ottobre 2015

L’ALIGHIERI HORROR

Pablo Echaurren, Mutilati ignavi
(Dante’s Inferno Canto XXVIII), 2004,
tarsia di panni e plastiche imbottite
eseguita da Marta Pederzoli, 113x66 cm.
Courtesy MIAAO.
Nel 2015 ricorre il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Un avvenimento che andava per forza celebrato da un progetto come Il cuNeo gotico, promosso dalla Fondazione CRC con la direzione artistica di Enzo Biffi Gentili, direttore del MIAAO, e dedicato a varie manifestazioni di revival neogotico, dalle architetture ottocentesche in quello stile ad attuali ricerche visive di “sottoculture” goth e dark giovanili. E l’Alighieri va oggi, a giudizio di Biffi Gentili, “illustrato” anche nel contesto di questi nuovi immaginari, sulla scorta di un’opinione originale espressa anni fa da un celebre lettore della Commedia, Vittorio Sermonti: “I giovani capiscono Dante meglio di tanti accademici (…) L’Inferno è più splatter di certi fumetti o videogiochi.” (Roberta Scorranese, Vittorio Sermonti. L’Alighieri? Più splatter di fumetti e videogiochi in “Corriere della Sera”, 30 marzo 2006). Sermonti è stato profeta: quattro anni dopo la sua intervista, nel 2010, esce infatti il noto videogioco Dante's Inferno, sviluppato da Visceral Games per PlayStation 3, Xbox 360 e per PlayStation Portable (e oggi il regista Fede Alvarez, già autore nel 2013 di Evil Dead, remake de La Casa di Sam Raimi, un classico del cinema horror, sta lavorando alla trasposizione cinematografica del videogame Dante’s Inferno…). Per quanto invece riguarda la pittura e l’illustrazione, questa lettura truculenta dell’opera dell’Alighieri era stata prefigurata da una serie di opere dantesche grottesche, quasi tutte inedite, iniziata nel 2004 da un eccentrico maestro come Pablo Echaurren.

Alice Richard aka Pole Ka,
Lucifer (Dante’s Inferno Canto XXXIV), 2014,
grafite e inchiostri di china su carta, 42x29 cm

TRA BEATRICI E FURIE

Nell’ambito dello sviluppo del progetto Il cuNeo gotico è stato quindi affidato a una giovane curatrice, Lorenza Bessone, il compito dell’ordinamento di una mostra di nuove illustrazioni dell’Inferno sulla base degli approcci spregiudicati sopraricordati.
Giorgio Finamore, Le feroci Erine
 (Dante’s Inferno Canto IX)
, 2015, matita su carta,
 editing e pittura digitale, 42x29,5 cm
 La curatrice ha accentuato la curiosità del mandato con la scelta di invitare soprattutto illustratrici -di certo non tutte definibili come Beatrici- per riferire di una particolare fioritura femminile, soprattutto a Torino, in questo campo delle arti del disegno. Tra le invitate vanno ricordate le subalpine, quasi tutte note a livello nazionale, Ilaria Clari, Loredana Fulgori, Cristina Mandelli, Tania Piccolo aka Storm Neverland, Vanessa Rubino, Elisa Scesa Seitzinger, Elisa Talentino; la loro perturbante “cugina transalpina” Alice Richard aka Pole Ka, la toscana Eleonora Guastapaglia aka Helbones, la lombarda Patrizia Beretta, la “deviante” Ire-Ne… Infine Bessone, per simbolica concessione alla politica delle pari opportunità, ha accolto in mostra accanto agli exempla di Echaurren i lavori virili di tre illustratori: Carlo Pastore, che affronta tematiche di genere gay serpeggianti in Dante; Giorgio Finamore, che evidenzia tra le peggiori figure dell’orrore nell’Alighieri le Furie, femminili; infine Marco Corona aka Marcio Cancrena, partito da Cuneo per un trip fantastico, superando passaggi di livello europei.

LA MISTURA DEGLI STILI

Elisa Scesa aka Elisa Ada Seitzinger,
Aracne (Dante’s Inferno Canto XVII,
Purgatorio Canto XII), 2015,
tecnica mista su carta, 42x29,5 cm
A proposito degli esiti di questa dantesca chiamata alle arti, si anticipa una interessante riflessione della curatrice Lorenza Bessone, che appartiene alla stessa generazione di molte tra le disegnatrici invitate, tutte under 40: “nonostante l’approccio oltranzista del brief di progetto, che si riferiva all’ horror-splatter anche per evitare ogni insopportabile visione ‘benigna’ di Dante, molti elaborati sono sorprendenti pure per la sofisticazione nelle scelte di alcuni personaggi e la dissimmetria delle varie referenze culturali, tra pop e top”. A esempio la francesina Pole Ka, a partire da Semiramis lussuriosa compone una suite perturbante, fondata anche su una sua dichiarazione di poetica: L’Enfer est intime, ed è la ricorrente rappresentazione dell’apparato uterino come luogo di destino ferale. Oppure Beatrice è ritratta da Helbones all’età del primo incontro con Dante, a 9 anni, caratterizzata da Big Eyes, evidente citazione di pittura Lowbrow, con però delle stelline di dentro a cinque punte, e un’iscrizione in provenzale che presuppone frequentazioni di filologia romanza…E ancora un’altra subalpina, Elisa Scesa, con una sua araldica Aracne provoca il brivido dell’ibrido, gemmato da accoppiamenti assolutamente non giudiziosi… E così via, con prove tutte, ci si sente persino di azzardare, di nuova Stilmischung, di quella mescolanza di stili sublimi, medi, e umili che secondo un altro grande lettore di Dante, Erich Auerbach, caratterizza anche la Commedia dantesca.

UNA MOSTRA IN DUE TAPPE

La mostra Inferno fresco sarà allestita nella Galleria Sottana del MIAAO Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi di Torino dal 25 settembre al 31 ottobre 2015. Una selezione dei migliori lavori presentati in mostra costituirà una sezione del secondo volume della collana Il cuNeo gotico, intitolato Neogotico tricolore, che sarà edito e presentato a novembre 2015 nel corso della manifestazione scrittorincittà a Cuneo presso lo Spazio incontri Cassa di Risparmio 1855.

SCHEDA DI MOSTRA

Inferno fresco. Nuove illustratrici dantesche
direzione artistica Enzo Biffi Gentili / a cura di Lorenza Bessone
Sede: MIAAO Galleria Sottana. via Maria Vittoria 5. 10123 Torino. Italia
Periodo di svolgimento: dal 25 settembre al 31 ottobre 2015
Orari di apertura: sabato ore 15-19.30, domenica ore 11-19

Inaugurazione venerdì 25 settembre 2015 alle ore 12

INGRESSO LIBERO

Info: T 011 561 11 61 M miaao.museo@gmail.com

venerdì 1 novembre 2013

Esoterismo e letteratura

Riportiamo il famoso passo di Dante Alighieri:

« O voi ch’avete l’intelletti sani

Mirate la dottrina che s’asconde

 Sotto il velame delli versi strani! »

(Inf. IX, 61-63)


E adesso l'introduzione al Gargantua scritta dallo stesso Rabelais:

"Vedeste mai un cane trovare un osso midollato? Il cane è, come dice Platone (Lib. II De Rep.) la bestia più filosofa del mondo. Se l'avete visto avrete potuto osservare con quale devozione lo guata, con qual cura lo vigila, con qual fervore lo tiene, con quale prudenza lo addenta, con quale voluttà lo stritola e con quale passione lo sugge. Perché? Con quale speranza lo studia? Quale bene ne attende? Un po' di midolla e nulla più. Ma quel poco è più delizioso del molto di ogni altra cosa, perché la midolla è alimento elaborato da natura a perfezione, come dice Galeno (III, Facult. Nat. e XI, De usu partium). All'esempio del cane vi conviene esser saggi nel fiutare assaporare e giudicare questi bei libri d'alto sugo, esser leggeri nell'avvicinarli, ma arditi nell'approfondirli. Poi con attenta lettura e meditazione frequente rompere l'osso e succhiarne la sostanziosa midolla, vale a dire il contenuto di questi simboli pitagorici, con certa speranza d'esservi fatti destri e prodi alla detta lettura."

Ambedue gli autori fanno riferimento a dottrine segrete che si nasconderebbero l'apparenza di un testo letterario. Al lettore il commento.