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mercoledì 23 settembre 2020

In Egitto ritrovato il “Libro delle due Vie”, il testo illustrato più antico al mondo. Eccezionale scoperta firmata da Harco Willems, professore all’Università di Lovanio in Belgio.

tratto da Il Giornale: http://blog.ilgiornale.it/franza/2020/02/02/in-egitto-ritrovato-il-libro-delle-due-vie-il-testo-illustrato-piu-antico-al-mondo-eccezionale-scoperta-firmata-da-harco-willems-professore-alluniversita-di-lovanio-in-b/

di Carlo Franza

Grandiosa scoperta in Egitto, ma certamente pare essere un  evento di stampo mondiale. E’ stata ritrovata l’edizione più datata del testo illustrato più antico del mondo; si tratta del Libro delle due Vie , una sorta di guida avventurosa per il regno dei morti. In Egitto è stata scoperta la copia più antica di quello che viene considerato il primo testo illlibro-due-vie-egittoustrato al mondo: un’edizione del Libro delle due vie risalente a 4mila anni fa. L’eccezionale  scoperta è stata pubblicata per la prima volta nel Journal of Egyptian Archaeology, già  nel settembre 2019, in un articolo a firma di Harco Willems, un collega egittologo di chiara fama,  professore all’Università di Lovanio in Belgio e tra i maggiori esperti dei Testi dei Sarcofagi. Tutto parte dalla data del marzo/aprile del 2012,  quando vicino alla città egiziana di Minya,  il Progetto Dayr al-Barsha, dell’università belga KU Leuven, ha scavato nel sito del complesso funerario di Medio Regno del nomarca Ahanakht I. La tomba di Ahanakht I è piuttosto conosciuta, dal momento che è stata esplorata tra il 1891 ed il 1891 e completamente scavata dall‘archeologo americano George Andrew Reisner nel 1915, sostenuto dalla Harvard University e dal Museum of Fine Arts di Boston. Il sito conserva la necropoli principale dei governatori della regione durante il Medio Regno, all’incirca dal 2055 al 1650 a.C., e vanta molte tombe riccamente decorate. Gli scavi dell’università belga hanno portato alla luce i resti di un sarcofago del Medio Regno, di una donna di nome Ankh, sulle cui pareti sono riportati i versi della prima versione de Il Libro delle due vie, una sorta di mappa mistica, mappa per l’aldilà egiziano. Il libro anticipa il corpus di testi funebri raccolto nel famoso Libro dei Morti,  una vera e propria guida, esemplarissima,  per il caro estinto, in quanto  descriveva i due percorsi irti di ostacoli, uno via terra e l’altro via acqua, che l’anima poteva intraprendere per approdare al cospetto di Osiride, sovrano e giudice supremo del regno dei morti. Secondo Rita Lucarelli, docente di Egittologia all’Università della California-Berkeley, gli antichi egizi erano ossessionati dalla vita in tutte le sue forme e la morte era una nuova vita. I due viaggi rappresentati nel Libro delle due vie, uno via terra e l’altro via acqua, erano una sorta di odissea purgatoria, straordinariamente ardua e così piena di pericoli che avevano bisogno di guide mortuarie come questo libro per accompagnare l’anima e garantire il suo passaggio sicuro.


libro-due-vie-egitto-2-1068x671Risulta chiaro che questo non è il solito libro da sfogliare, anche perché questi testi antichi erano incisi sulle pareti di legno dei sarcofagi, in quanto servivano proprio ad  essere letti dai defunti nel corso del pericoloso viaggio negli inferi, durante i quali potevano essere assaliti da ogni sorta di demoni,  fiamme ardenti e custodi  strani. Quasi una sorta di Divina Commedia dantesca ante litteram, tra il racconto e  vere e proprie formule magiche. Sebbene nelle iscrizioni si faccia riferimento a un governatore di nome Djehutynakht, la ricerca di Willems ha rivelato che la bara originariamente conteneva i resti di una donna di nome Ankh, indicata in tutto il testo come “lui” e imparentata con un alto funzionario della provincia. Anche in questo caso, nulla di strano, visto che spesso le defunte venivano chiamate con pronomi maschili, per assomigliare di più a Osiride.


Dal 2001, Willems ha supervisionato gli scavi nella necropoli copta di Dayr al-Barshā, utilizzata come cimitero durante il periodo del Regno Medio, dal 2055 al 1650 a.C. circa. Gli antichissimi frammenti del sarcofago sono stati ritrovati all’interno di un lungo un pozzo, nella tomba di un antico governatore provinciale egiziano di nome Ahanakhtin già nel 2012. Ma il fragile stato dei manufatti, saccheggiati ripetutamente nel corso dei millenni e attaccati da funghi degradatori del legno, ha impedito agli studiosi di effettuare ricerche e verifiche, almeno fino a ora. Le immagini ritrovate su due pannelli di cedro, infatti, sono state elaborate con  DStretch, un potente software in grado di restituire immagini ad alta definizione, hanno rivelato incisioni preziose con figure e geroglifici, nonostante i segni siano per lo  più sbiaditi a occhio nudo. Nel 2012, dunque, il team di archeologi ha riaperto una tomba abbandonata da tempo e il pozzo su cui Willems ha investigato era uno dei cinque nel complesso tombale del monarca Ahanakht I. Alcuni metri più in basso, i ricercatori hanno scoperto i resti di un sarcofago trascurato dalle precedenti campagne di scavo il cui contenuto, però, era stato saccheggiato e distrutto da funghi degradatori del legno. Solo due pannelli di cedro in decomposizione hanno rivelato incisioni preziose con immagini e geroglifici.


Sulla base di iscrizioni su altri manufatti tombali che fanno riferimento al faraone Mentuhotep II, che regnò fino al 2010 a.C., Willems ritiene che questo Libro delle due vie recentemente identificato sia più antico di almeno quattro decenni delle altre versioni precedentemente conosciute del testo e già ritrovate in Egitto.



sabato 8 dicembre 2018

"La Grande Piramide? È piena di misteri"

Tratto da Il Giornale del 22/06/2018

di Matteo Sacchi

Zahi Hawass (nato a Damietta, Egitto, classe 1947, laurea in archeologia greca e romana nel 1967 ad Alessandria d'Egitto) è uno degli archeologi più famosi del mondo. A quasi tutti noi è capitato di vederlo al lavoro con il suo cappellone un po' alla Indiana Jones in qualche documentario sull'antico Egitto.


Sarà in Italia per partecipare a TaoBuk, il festival letterario internazionale di Taormina (martedì 26 alle 17), e naturalmente per parlare di antico Egitto e dell'opera teatrale Il loto e il papiro che è ambientata al tempo dell'invasione degli Hyksos. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui in anticipo.

Come ha deciso di diventare egittologo?


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«Da ragazzo non ero interessato all'archeologia. Volevo essere un avvocato e mi ero iscritto alla facoltà di legge. Ma una volta comprati i libri mi resi conto del mio errore. Semplicemente odiavo la materia. Non era roba per me. Sono diventato archeologo per caso e proprio perché non mi piaceva studiare legge. A 19 anni e mezzo venni assunto al dipartimento delle antichità e venni mandato a fare uno scavo. Durante gli scavi si rinvenne una tomba e il capo della squadra di operai mi chiamò a dare una mano. Trovai nel mezzo della tomba una statua di Afrodite. Mentre la pulivo mi dissi: Ho trovato l'amore della mia vita. E che ancora oggi in me quella passione sia viva credo si veda quando faccio conferenze o scrivo dell'antico Egitto».

Qual è il suo monumento egizio preferito?

«La Grande Piramide di Khufu (Cheope, faraone dal 2589 al 2566 a.C, ndr)».

Perché?

«Ho vissuto attorno alla piramide per anni, ho visto ogni giorno il sole sorgere sui blocchi di pietra. Ho spedito un robot attraverso i condotti di ventilazione e scoperto porte segrete con maniglie di rame nascoste all'interno di questa incredibile tomba...».

Esiste in Egitto qualche antico monumento che abbia ancora dei misteri da rivelare?

«Di nuovo, la Grande Piramide. Ci sono ancora un sacco di cose da scoprire sulla sua struttura. Adesso è al lavoro un team formato da giapponesi, francesi ed egiziani che sta usando uno scanner muonico per scandagliarla. Questi scienziati affermano che ci siano delle camere segrete dietro l'entrata e sopra la grande galleria... Anche il papiro di Wadi al-Jarf, scoperto di recente nel Sinai, è importante è la migliore evidenza che sbugiarda certe teorie new age sulle piramidi. È il più antico papiro che sia mai stato ritrovato. È il diario di lavoro di un uomo che si chiamava Merer, capomastro degli operai della Grande Piramide. Nel testo racconta di quando condusse i suoi uomini a Tura per trasportare i bellissimi blocchi di calcare bianco per l'involucro esterno della piramide. Racconta anche un sacco di dettagli sul sito di Giza, sui funzionari del sito, sul faraone Khufu che aveva il palazzo lì e non a Menfi, come si credeva...».

C'è qualche segreto nella Sfinge. In molti credono ci sia qualcosa sotto la statua e continuamente chiedono il permesso di scavare...

«Il vero segreto della Sfinge secondo me è che ha osservato la storia dell'Egitto per cinquemila anni. Tutte le ricerche che abbiamo fatto provano che la Sfinge data al regno di Khafre (Chefren, ndr), il costruttore della seconda piramide. Quanto alle stanze segrete, ciò che la maggior parte della gente non sa è che io ho scavato sotto la sfinge sino a quindici metri di profondità nella roccia solida, sono state fatte 32 perforazioni, e non abbiamo trovato niente. Non ci sono stanze segrete nella Sfinge. Vi abbiamo però scoperto quattro tunnel. Li abbiamo ripuliti e studiati e abbiamo scoperto che sono stati costruiti durante la ventiseiesima dinastia, intorno al 500 a.C. Da chi? Da gente che voleva scoprire i segreti della Sfinge!».

Qual è il suo personaggio storico preferito fra così tanti faraoni, regine, dignitari?

«È proprio Khufu (Cheope) il costruttore della Grande Piramide. È stato davvero un grande personaggio. Scrisse un libro sacro che viene menzionato da Manetone (storico e sacerdote egizio del III secolo avanti Cristo, ndr) ma non sappiamo che cosa ci fosse davvero scritto, o dove sia stato nascosto. Inoltre ha realizzato quella che per millenni è stata la più grande struttura architettonica sulla Terra e ancora oggi la gente si chiede come ci sia riuscito».

Qual è stata la sua più bella scoperta in una carriera accademica e archeologica così lunga?

«Me lo chiedono sempre. Ogni scoperta ti apre il cuore. Però tra le altre posso citare le tombe dei lavoratori delle piramidi che hanno dimostrato che erano egiziani e non schiavi, la valle delle mummie d'oro nell'oasi di Bahariya, le due piramidi, una vicina a quella di Khufu e una a Saqqara, il lignaggio familiare di Tutankhamon, e l'identificazione della mummia della regina Hatshepsut. Queste hanno cambiato la storia».

Come segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità al Cairo lei ha detto alla stampa: «Se i britannici vogliono essere ricordati, se vogliono ricostruire la loro reputazione, dovrebbero restituire volontariamente la stele di Rosetta perché è un'icona dell'identità egiziana». La pensa ancora così?

«Io penso che il British Museum debba restituirla. Lo stesso vale per il busto di Nefertiti, che è a Berlino, per lo zodiaco conservato al Louvre e per le statue di Ankhhaf (a Boston) e di Hemiunu (a Hildesheim). Sono icone del nostro passato e devono stare in Egitto, non altrove. Ora sono a capo del comitato per il rimpatrio dei manufatti, e una delle cose più importanti su cui mi impegnerò è rinnovare la richiesta di restituzione del busto di Nefertiti».

I manufatti esportati dall'Egitto in modo non sempre limpido però sono tantissimi...

«Non mi sto impegnando per il ritorno di tutti i materiali. Ma mi sto impegnando per la restituzione di quelli rubati di recente. Ne ho recuperati seicento quando ero a capo del Supremo Consiglio delle Antichità al Cairo. Molti manufatti sono stati rubati durante e dopo la rivoluzione del 2011... Quindi dobbiamo chiedere alle case d'asta di farci conoscere l'origine dei reperti che vendono... E io spero che i musei di tutto il mondo la smettano di comprarli, perché così facendo incoraggiano i ladri. A Napoli le autorità italiane hanno intercettato 180 reperti e ci hanno avvisato per autenticarli. C'erano anche antichi oggetti del Bahrain, della Siria e dell'Iraq. Secondo me li avevano rubati i terroristi per finanziarsi».

Il museo del Cairo adesso è sicuro? Nel 2011 venne saccheggiato durante la rivoluzione...

«Non ci sono rischi di sicurezza all'interno del Museo del Cairo. E nel 2011, nonostante l'assenza della polizia, vennero rubati soltanto 17 piccoli oggetti. La gente che penetrò nel museo lo fece soprattutto credendo a un mito, quello del Mercurio rosso. Non esiste, ma molti egiziani ci credono. Si tratterebbe di un liquido che si estrae dalla gola delle mummie e che darebbe la possibilità di controllare i demoni... Abbiamo due grandi progetti museali che ho seguito personalmente, il Grand Egyptian Museum - e speriamo che le gallerie di Tutankhamon possano essere aperte al pubblico entro quest'anno - e il Civilization Museum che dovrebbe raccontare la storia dell'Egitto dai tempi pre-dinastici. La costruzione è finita, ma non gli interni. Avrebbe dovuto aprire nel 2012, ma la rivoluzione ha scombussolato i piani».

Quali saranno le prossime scoperte archeologiche importanti in Egitto?

«Ora sto scavando nella Valle dei Re, nella zona più a Ovest e in quella più a Est. Le regine della diciottesima dinastia potrebbero essere sepolte nella valle Ovest. Anche le tombe di Amenhotep I, Thutmose II e Ramses VIII non sono ancora state trovate. Io spero che il 2018 ci porti, e mi porti, qualche bella scoperta. In un ambito diverso sto peraltro lavorando con l'italiano Francesco Santocono per creare un'opera-show intitolata Opera Tutankhamon. Lui sta scrivendo la musica e io la storia. Speriamo che sia finita e che possa essere eseguita da cantanti lirici italo-egiziani entro il 2019».

domenica 13 novembre 2016

Il giallo delle stanze segrete nella piramide di Cheope

tratto da Il Giornale del 7-11-2016

Una tecnica innovativa che utilizza particelle subatomiche svela l'ennesimo mistero della tomba del faraone

di Gianluca Grossi

C'è chi pensa che anche girando sottosopra l'Egitto, non verrebbe fuori granché. L'egittologia - scienza che prese piede ufficialmente nel 1809, con la pubblicazione Description de l'Egypte voluta da Napoleone - ha fatto passi da gigante, e tutte le grandi scoperte sembrano ormai appannaggio del passato (o di qualche film alla Indiana Jones).
Non tutti però sono d'accordo. Perché la tecnologia migliora e oggi sono possibili ricerche che anche solo pochi anni fa non potevano essere affrontate. È dunque sulla base di questa considerazione che alcuni scienziati della facoltà di Ingegneria del Cairo, affiancati da esperti del French Hip Institute, affermano di avere portato a termine un grande risultato: l'individuazione di due stanze segrete nella famosa piramide di Cheope.

È una delle costruzioni più note e importanti del panorama artistico egiziano e mondiale. Detta anche Grande Piramide di Giza, risale al 2560 a.C., e rappresenta la tomba del faraone Khufu, appartenente alla IV dinastia, nel Regno Antico. Raggiungeva i 146 metri e fino alla costruzione della cattedrale di Lincoln, in Inghilterra, rappresentò l'edificio più grande del mondo. La struttura architettonica è stata passata al vaglio dello ScanPyramids project, iniziato lo scorso ottobre; e ora in pieno svolgimento per ciò che riguarda altre costruzioni della piana di Giza. Si basa sull'impiego della muografia, tecnica in grado di «leggere» il cammino dei muoni, particelle subatomiche riconducibili ai raggi cosmici che giungono sulla Terra dallo spazio (parte della famiglia dei leptoni, con l'elettrone e i neutrini). «Viaggiano quasi alla velocità della luce, obbedendo a un flusso di circa 10mila metri quadrati al minuto», dicono gli esperti dello ScanPyramids project. «Sono particelle che possono attraversare metri e metri di pietra prima di essere assorbite». Gli scienziati hanno evidenziato delle anomalie strutturali nei pressi di uno dei principali corridoi interni della Grande Piramide e in corrispondenza del crinale nord-est, a circa 105 metri dal suolo; avvalendosi non solo della ricerca «muonica», ma anche dell'azione dei raggi infrarossi e della modellazione in 3D.

Come si intuisce la presenza di camere segrete? I muoni non viaggiano in modo uniforme, e sono pertanto capaci di suggerire le differenze che caratterizzano i materiali che attraversano; possono infatti essere assorbiti, ma anche deviati se finiscono contro una superficie più densa e compatta. Usando questo sistema si può dunque verificare la presenza di vani o zone nascoste che prima d'ora non erano mai venute alla luce. Una teoria, per la verità, che ha ancora bisogno di conferme. E non è un caso che il team abbia deciso di proseguire gli studi per un altro anno, promettendo nuovi risultati nei primi mesi del 2017; sotto la supervisione del Consiglio delle antichità egizie; dunque di Zahi Hawass, autarchico boss dell'egittologia da un ventennio a questa parte.

Il suo parere è ambiguo. Si pronuncia con riserva, dicendo che già in altri casi si erano avuti traguardi simili, senza grandi risultati pratici. Parla, infatti, di «anomalie», non di «cavità». «La piramide presenta al suo interno pietre di varie dimensioni», dice Hawass, «situazione che può portare a interpretare l'esistenza di cavità più grandi del normale».

C'è un caso clamoroso che non ha ancora smesso di fare rumore. Lo scorso anno, infatti, l'egittologo Nicholas Reeves affermò di avere scoperto due camere segrete adiacenti la tomba di Tutankhamon, leggendario faraone bambino della XVIII dinastia. L'intellighenzia scientifica sobbalzò, perché poteva essere davvero stato risolto uno dei più grandi misteri dell'archeologia: il luogo dove è sepolta Nefertiti, bellissima sovrana, moglie di Akhenaton, il faraone che portò in Egitto il monoteismo. «Sono sicuro al 70 per cento che troveremo qualcosa», rivelò Reeves. Ma le cose piano piano si sgonfiarono. Fino alla seconda conferenza annuale su Tutankhamon tenutasi a maggio di quest'anno, che ha del tutto ridimensionato la scoperta: «Non abbiamo prove conclusive», ha rivelato Khaled El-Enany, nuovo ministro egiziano delle Antichità, «sarà la scienza a parlare».

Insomma, in entrambi i casi, Cheope e Tutankhamon, sarà necessario riaggiornarsi per capire fino a che punto la muografia sia attendibile e in che modo sarà possibile ridare lustro ad antichi tesori sepolti. Intanto vale la pena godersi il presente, e ricordare le sagge parole di Mehdi Tayoubi, dell'Hip Institute: «Molti studi condotti in passato non hanno avuto successo, ma hanno senz'altro contribuito a migliorare le nostre conoscenze sul mondo dell'antico Egitto. Così - al di là dei risultati che perverranno - dovrebbe essere interpretato il nostro lavoro: creare delle solidi basi per le missioni scientifiche e archeologiche del futuro».

domenica 15 marzo 2015

La simbologia del cuore e la leggenda del Graal

di Vito Foschi

Il geroglifico egizio che indica il cuore è costituito da un piccolo vaso e per gli antichi egizi il cuore era la sede dell’anima(1); alla morte il cuore veniva pesato dal dio Anubi(2) e da questa pesa veniva decisa la sorte dell’anima del defunto.

Geroglifico egizio rappresentante il cuore

Il testo da cui inizia la leggenda del Graal, è il Perceval di Chrétien de Troyes. In tale racconto, il Graal non ha ancora una forma definita. Viene descritto come preziosissimo, fatto in oro e tempestato di pietre preziose. Non si accenna alla sua forma, si intuisce che è un contenitore perché "il giovane non domanda a chi lo si serva" e poco dopo "Ma non sa a chi lo si serva". Il Graal viene portato in processione e viene preceduto da altri oggetti simbolici, tra cui la lancia sanguinante. Già in questo primo racconto si fa accenno al sangue. In un passo successivo Perceval incontra lo zio Eremita che gli spiega il significato del Graal. Il Graal serve l’ostia, unico nutrimento da dodici anni, al padre del Re Pescatore. Da questo riferimento eucaristico è quasi immediato pensare al Graal come ad un calice.
Dopo pochi anni dalla diffusione dell’opera di Chrétien, Robert de Boron con il suo Giuseppe d’Arimatea spiega l’origine del Graal identificandolo con il calice dell’Ultima Cena che poi serve a Giuseppe d’Arimatea per raccogliere il sangue sgorgato dalle ferite di Cristo in croce.
Questa versione del calice contenente sangue fa tornare in mente il geroglifico egizio del cuore, ed è facile identificare il Graal al cuore.
Il calice di Cristo contiene il sangue di Cristo in due modi diversi: nel corso dell’Ultima Cena, quando il vino è il Suo sangue e successivamente quando è raccolto dal Suo corpo sulla croce.
Ricordiamo anche il simbolo del Cristo come un pellicano che si strappa il cuore per nutrire o ridare vita ai figli.(3) Il collegamento col simbolo cristiano del Sacro Cuore di Gesù è evidente.
Citiamo un passo di un articolo in cui si discute sul significato simbolico del cuore:"Il simbolo del cuore indica il centro dell’essere, il luogo in cui si svelano i significati profondi, al di là delle connessioni stabilite dalla razionalità."(4)
Riportiamo un passo di un librino dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che mette in evidenza come anche nella tradizione cattolica il cuore è associato al centro dell’essere:"È il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo o conoscerlo. È il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’Alleanza". E ribadisce al n. 368: "La tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore, nel senso biblico di ‘profondità dell’essere’, dove la persona si decide o no per Dio".
Dio parla al cuore dell’uomo, il centro dell’essere, non al suo orecchio, non alla sua mente. Si legga il seguente passo della Bibbia:"Anzi, questa (sua) parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore"(Dt 30,14).
Si noti lo stesso significato nella seguente citazione:"Il termine arabo per indicare il cuore è, Qalb, che indica l’atto di ricevere ‘da bocca ad orecchio’ (da cui Qabbalah), e significa un’intuizione intellettuale, che è prima di tutto un ascoltare."(5)
Un’altra assonanza tra cuore e coppa si ritrova nella tradizione islamica quando paragona il cuore dell’arif(il saggio, l’iniziato) ad una coppa contenente potenza e sapienza.
Il simbolo del cuore ha quindi un profondo significato spirituale. Rappresenta il centro dell’essere, la sua anima ed il luogo dell’"incontro" e dell’"Alleanza".
In questa accezione la cerca del Graal è una ricerca eminentemente spirituale e i luoghi che attraversa il cavaliere non sono luoghi fisici, ma luoghi dell’anima. Alcuni episodi delle avventure dei cavalieri partiti alla ricerca del Graal, sono palesemente delle prove dello spirito perché si trovano ad affrontare demoni o sortilegi approntati dal Demonio. Il pericolo di perdersi prima del raggiungimento della meta, è il pericolo di perdere la via che porta a Dio. Non a caso gli eroi si muovono senza un’apparente via da seguire come se fossero in un labirinto, quei labirinti che ricoprono il pavimento di alcune cattedrali medievali che stanno lì a simboleggiare il percorso dell’anima deve affrontare per raggiungere la grazia di Dio.
Inoltre il simbolo del cuore è equivalente a quello del sole. Il primo centro dell’essere, il secondo centro del cielo. Tutte e due simboli positivi della vita. Il sole ha un ulteriore aspetto: è il simbolo della regalità. Il re come centro del regno da cui tutto dipende tutto. I suoi raggi arrivano ovunque a portare la sua presenza. È naturale pensare a Luigi XIV, detto Re Sole, ed al suo motto: "Io sono lo stato".
Nel Perlesvaus, romanzo anonimo ma di area cistercense, Parsifal recupera il Graal diventando Re del Graal e divenendone custode. I due significati si sommano: il cuore puro permette la conquista del centro.



Note
  1. "…Thoth aveva la testa di un ibis perché l’uccello, quando piegava l’ala, assumeva la forma di un cuore, la sede della vita e della vera intelligenza." Peter Tompkins – "La magia degli obelischi" – Marco Tropea Editore 2001;
  2. La stessa funzione nella tradizione ebraica è attribuita all’angelo Mikael, divenuto il nostro S. Michele arcangelo. Un suo attributo è proprio la bilancia; anche nell’iconografia cristiana del Giudizio Universale è raffigurato con spada e bilancia, attributi della giustizia;
  3. J. L. Borges e M. Guerriero – "Manuale di zoologia fantastica" – Einaudi 1998;
  4. G.C. – "Il simbolo del cuore", da Massoneria Oggi – n. 2 – luglio 1994 – Soc. Erasmo Roma; reperibile nel sito di Esoteria al seguente indirizzo: http://www.esoteria.org/;
  5. Ibidem.

sabato 30 agosto 2014

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLE COINCIDENZE


Le Piramidi di Teotihuacán, Giza e Xianyang



Con i dati oggi in nostro possesso, è facile constatare ed è già stato dimostrato da diversi studiosi1 che quanto abilmente riportato in queste immagini, corrisponde a realtà:


Immagine1 elaborata e resa disponibile da Luca Bernasconi


Ingrandendo i punti di interesse, ci troviamo di fronte ad una situazione ancora più particolare, di cui la seguente immagine ne è una rappresentazione significativa:

Immagine2 disponibile dal sito http://onlythechanges.blogspot.it/


Sulla immagine 1 non ci sono dubbi e l’allineamento è facilmente constatabile da chiunque abbia accesso ad internet ed utilizzi un programma come Google Earth.

Sulla immagine 2, vi è maggiore difficoltà di riscontro senza mezzi informatici più specifici, ma per la seguente analisi statistica, basterà fare riferimento all’immagine 1.

Ciò premesso, riporto 2 osservazioni lampanti e scientificamente valide per i tre complessi piramidali più importanti di Messico, Egitto e Cina, rispettivamente collocati nelle regioni note come Teotihuacán, Giza e Xianyang:

1)    sono allineati lungo un’unica linea planetaria;
2)    la loro disposizione sul piano è molto simile;

Essendo le suddette 2 osservazioni state già oggetto di studi approfonditi da parte di studiosi1 molto più esperti di me, evito di entrare nel merito dei valori e delle dimostrazioni, lasciando al lettore l’onere ed il piacere di approfondire gli argomenti.

Il mio obiettivo è invece quello di trattare statisticamente i dati a disposizione.




Partiamo dall’osservazione n°1: qual è la probabilità che 3 popoli diversi in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi, costruiscano per pura coincidenza, 3 complessi piramidali allineandoli lungo una linea planetaria?

Per comodità dei lettori, riporto alcune semplici definizioni:

a)    Probabilità (classica) di un evento: il rapporto fra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili supposti tutti ugualmente possibili
b)    Coincidenza (Garzanti): concomitanza spesso casuale di più circostanze



Per l’analisi statistica, dobbiamo definire l’estensione di un territorio (spazio campionario) come “insieme” delle probabilità dei luoghi di costruzione e dobbiamo individuare l’estensione spaziale del complesso piramidale.

Quest’ultimo dato possiamo stabilirlo come il rettangolo che contiene le 3 piramidi principali di ogni sito (per brevità lo chiameremo “rettangolo  contenente”).

Ciò premesso, analizziamo i dati.



L’estensione del territorio dominato dai costruttori, è noto solo per Giza, purtroppo.

Anche in questo caso però, non possiamo ritenere idoneo alla costruzione del complesso piramidale il 100% del territorio dell’impero dell’Antico Regno (essendo presenti il Nilo, i rilievi, il deserto, etc.).

Per semplificare la trattazione, assumiamo cautelativamente che solo il 10% del territorio presentasse caratteristiche idonee alla costruzione: pianeggiante e con sufficiente capacità di sopportare il carico delle piramidi.



Per quanto riguarda Giza, abbiamo i seguenti dati:

1)    Estensione rettangolo contenente: circa 0,7 kmq (dato reale)
2)    Estensione impero costruttori: circa 300.000 kmq (dato reale)
3)    Estensione territorio idoneo: circa 30.000 kmq (ipotesi cautelativa)


Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel kmq di territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:

PGiza = 0,7/30.000= 0,0023%



attribuiva la costruzione delle piramidi al popolo dei Toltechi, ma successivamente ha abbandonato questa ipotesi per abbracciarne altre non meglio definite.

 


Quindi, data l’incertezza sulla data di costruzione e sul popolo che l’ha costruita, possiamo ipotizzare che i costruttori avessero a disposizione un territorio vasto almeno 100.000 volte l’estensione del complesso piramidale. E’ un’ipotesi molto conservativa, considerando la complessità, la maestosità e lo splendore di Teotihuacan, sarebbe infatti lecito pensare che i costruttori dominassero su un impero ben più vasto (come termine di confronto basti pensare all’estensione dell’impero Egizio al tempo della costruzione delle piramidi della piana di Giza, che è più del doppio).

Semplificando i calcoli, abbiamo:
1)    Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato reale)
2)    Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3)    Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)
Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel punto del territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:

PTeo=1,15/11.500 = 0,01% 


Per il complesso di Xianyang, i dati attualmente in nostro possesso sono veramente scarsi (per cause legate a divieti militari del governo cinese), quindi per non interrompere lo studio, prendiamo come riferimento il rettangolo contenente ed i dati ipotizzati per Teotihuacan (nell’attesa di poter definire almeno il rettangolo contenente con più precisione e magari anche l’estensione dell’impero dei costruttori):
1)    Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato scelto per analogia con Teotihuacán)
2)    Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3)    Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)

PXian = 1,15/11.500 = 0,01%


Pertanto la probabilità della coincidenza è:



PCoincidneza = PTeo * PGiza * PXian = 0,01% * 0,0023% * 0,01% = 0,0000000023%



Ovvero, la probabilità che Egizi, Precolombiani e Cinesi in 3 epoche diverse, in 3 continenti diversi, abbiano costruito per pura coincidenza, i 3 complessi piramidali di  Teotihuacán, Giza e Xianyang allineandoli lungo quella particolare linea planetaria, è pari a circa 2 su 100.000.000.000 (leggasi “due su cento miliardi”).
C’è da fare un considerazione (Osservazione 1 bis) a commento di questo risultato: due siti generici sul pianeta Terra saranno sempre allineati su una linea planetaria. Quindi la vera coincidenza è data dal terzo sito che viene costruito sulla linea planetaria definita dagli altri due siti.
Il calcolo quindi andrebbe fatto per il sito meno antico, ma siccome l’incertezza sulla datazione di Xian è troppo elevata, possiamo effettuare il calcolo per l’unico dei 3 siti per il quale abbiamo più dati a disposizione, ovvero Giza.
Ciò premesso, la probabilità che gli Egizi scegliessero di costruire il complesso piramidale d Giza proprio in quel punto, allineandolo per pura coincidenza gli altri due siti piramidali di Teotihuacán, Giza e Xianyang vale:

PGiza Bis = 0,7/30.000 = 0,0023%

Ovvero circa 2 probabilità su 100.000.

Analizziamo ora l’osservazione n°2: partendo dalla probabilità di coincidenza sopradescritta, qual è la probabilità che i 3 popoli suddetti, in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi, dopo aver allineato per pura coincidenza lungo linee planetarie parallele i 3 complessi piramidali, abbiano disposto le piramidi secondo una geometria simile?
Per non entrare nel merito della trattazione, rimando agli studi di cui alla nota 1 e mi limito ad inserire le seguenti immagini per sostenere l’ipotesi della disposizione “molto simile”:



 

Le immagini parlano da sole, non ci sarebbe nemmeno bisogno di commentarle, ma basta osservare che per i 3 siti piramidali vi è l’allineamento delle 2 piramidi maggiori ed il disallineamento della terza piramide, la più piccola.
L’angolo di disallineamento tra la piramide più piccola e l’asse di allineamento delle altre due è lo stesso (precisione del decimo di grado) per i 3 siti piramidali.
Nelle immagini compare la costellazione di Orione, ma non verrà considerata nello studio delle probabilità di coincidenza.
Anche in questo caso, dobbiamo stabilire un criterio per determinare uno spazio campionario.
Un criterio possibile è quello di suddividere il rettangolo contenente in una maglia quadrata con estensione di un ettometro quadrato (valore plausibile in considerazione delle dimensioni di base delle piramidi).
Pertanto per Giza abbiamo 70 quadrati contenenti all’interno dei quali i costruttori avrebbero potuto collocare le proprie piramidi (per definizione un quadrato contiene la piramide quando il vertice della piramide coincide con il baricentro del quadrato).
La prima piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:
 

P1Giza = 1/70 =1,43%


La seconda piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:

P2Giza = 1/69 = 1,45%


La terza piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:


P3Giza = 1/68 = 1,47%



Pertanto la probabilità totale di disporre per pura coincidenza le Piramidi proprio secondo lo schema attuale è di:

PTGiza = 1,43%*1,45%*1,47% = 0,0003%


Ovvero ci sono 3 probabilità su un milione.

Ripetendo i calcoli anche per Teotihuacán e Xianyang , otteniamo:


PTTeo = 0,00007%    PTXian = 0,00007%  


La probabilità parziale per l’osservazione 2 vale: 0,00000000000000014%


(Leggasi circa 1 probabilità su mille milioni di miliardi)

La probabilità totale che si verifichi contemporaneamente l’osservazione 2 e l’osservazione 1 è la seguente:
 

Ptotale bis = 0,0000000000000000000000000032%



(Leggasi circa 3 probabilità su mille di miliardi di miliardi)
Anche in questo caso, riportando l’esempio del dado a 6 facce, dovremmo lanciarlo per 29 volte di seguito ed ottenere sempre 6!


La PGiza Bis equivale a lanciare il dado 6 volte di seguito ed ottenere sempre 6.
Su questo dato, suggerisco esperimenti personali ai professori di egittologia che parlano di coincidenze: comprate un dado a 6 facce e lanciatelo su un tavolo piano facendolo rotolare.
Non appena avrete raggiunto l’obiettivo di ottenere 6 volte di seguito un 6, avrete capito che la teoria classica è valida. In caso contrario, fatevi qualche domanda.

E’ doveroso evidenziare il fatto che non ho preso in considerazione l’immagine 2: infatti se avessi dovuto analizzare anche la probabilità che le singole piramidi di un sito sono allineate con le corrispettive degli altri 2 siti, allora credo che avrei avuto difficoltà anche solo a pronunciare il numero che rappresenta la probabilità di coincidenza totale.
A questo punto, il lettore esperto di statistica, o il lettore esperto di archeologia, potranno sollevare numerose obiezioni sulle ipotesi cautelative che ho dovuto fare per ottenere un valore di probabilità della coincidenza.
Come per i miei precedenti 2 studi ( http://unina.academia.edu/SimoneScottoDiCarlo ), sottolineo che il mio obiettivo è dare un ordine di grandezza al problema e non una soluzione precisa.


Pertanto, variando i dati in ingresso e variando le ipotesi cautelative, si otterranno sempre e comunque dei valori di probabilità di coincidenza così piccoli da indurre a pensare che la teoria archeologica ufficiale è da rivedere.
Oggi è insostenibile affermare con leggerezza che quanto sopra esposto sia solo una pura coincidenza: sono i numeri che mettono in forma matematica ciò che la logica e l’intuito suggeriscono da anni; vi è stata una scelta precisa e non casuale da parte dei costruttori a Teotihuacán, Giza e Xianyang di allineare i 3 siti piramidali lungo linee planetarie e di disporre le piramidi secondo geometrie simili.
Negare questa verità oggi significa sostenere che la Terra è ancora al centro dell’Universo ed il Sole e le Stelle immutabili le girano intorno.
Ma se si accetta questa verità, il passo successivo è scoprire chi e quando (e magari anche perché e come) ha scelto di costruire i 3 complessi piramidali in 3 continenti diversi in quel modo così particolare.
Una sfida enorme, la cui complessità richiede lo sforzo di ricerca di tutti gli studiosi ufficiali e di tutti gli appassionati del settore. Collaborare per capire e scoprire, senza aggrapparsi ai “dogmi archeologici” che stanno oscurando una delle pagine più belle e più antiche della storia umana.

Pinerolo                                                                                             
Simone Scotto di Carlo
20/08/2014

Nota 1: cito tra tutti, il libro di Fabio Garuti “L’ombra di Orione”.


Fonti:
 






mercoledì 29 agosto 2012

L'archeologia dei simboli della comunicazione umana

tratto da Corriere dell'arte del 7 maggio 2010

di EMILIANO PALADINI

La longevità della forza di un simbolo si misura con lo spesso re delle proprie radici culturali; e se il celebre ippopotamo dello Studio Testa incanta ancora oggi è perchè è stato fatto per durare nel tempo, avendo ancorato il contenuto della sua rappresentazione e il motivo della sua esistenza (testimoniai di una linea di prodotti per bambini) all' immagine della dea mitico-egiziana Taueret, protettrice delle partorienti e dei oro nascituri, raffigurata per il tramite del lapislazzulo e lei suo caratteristico colore azzurro sotto forma di ippopotamo. Ma è questo chiaramente uno solo degli esempi che si possono fare della corrispondenza tra le immagine dell'arte contemporanea e l'archeologia dei simboli grafici, e uno dei tanti se gli esempi li prendiamo dalla stola dell' Antico Egitto, e proabilmente non l'unico se dialoghiamo con Pietro Gallina. Di fatto a Pisa, Palazzo Blu, fino al 25 luglio si svolge la mostra dal titolo: Lungo il Nilo che documenta la nascita dell' egittologia e di conseguenza dello studio delle origini della comunicazione nana oltre la dicotomica affermazione: «tra oralità e scrittura», presentando in un percorso a tappe che ricalca idealmente il tragitto della spedizione di Ippolito Rosellini, le aspettative, le azioni, i ritrovamenti e le conclusioni di un viaggio alla scoperta dell' evoluzione dei simboli grafici primordiali voluto da Leopoldo II Granduca di Toscana e da Carlo X Re di Francia, e realizzato nei sedici mesi intercorsi tra il 1828 e il 1829 dal Professore di Lingue Orientali dell'Università di Pisa (Ippolito Rosellini) in coppia con lo studioso francese che nel 1822 decifrò la stele di Rosetta (Jean-Francoise Champollion). L'esposizione, quindi, curata da Marilina Bertò, egittologa dell'Università di Pisa, mostra i documenti originali, dipinti e manoscritti, che contribuiscono alla creazione di un vero e proprio registro di viaggio della Spedizione; laddove ciascuno di questi documenti è di volta in volta, o la copia grafica dei simboli visitati nei siti archeologici, o la trascrizione letterale dell' emozione della loro scoperta; e in tutti i casi si tratta dei primi documenti del viaggio dell'uomo all'origine delle sue parole.