venerdì 28 febbraio 2020

L'arazzo dell'Apocalisse di Angers - presentazione

Il 16 marzo alle 18:00 a Roma presso la libreria Fahrenheit, Campo de' Fiori, 44 presentazione de "L'arazzo dell'Apocalisse di Angers: una testimonianza fra Cielo e Terra"



sabato 22 febbraio 2020

L’Umanesimo esportato a Est e Dracula al servizio del Papa Pio II contro l’islam

tratto da Il Giornale del 27 giugno 2019

di Matteo Strukul

Pensare di spendere l’espressione «Rinascimento Dark», con riferimento alle terre d’Ungheria, Valacchia e Transilvania, potrebbe avere il sapore dell’azzardo. Se non altro per quella che è la prima parte della definizione. Senza tenere inutili lezioni, osserveremo che sono però almeno due le direttrici che, in questo senso, uniscono l’Italia del Rinascimento con le terre dell’Est.

Da una parte v’è il più che comprensibile valore militare dei guerrieri di quelle lande: János Hunyadi, ad esempio, il quale militò per almeno tre anni sotto le insegne del biscione al servizio del duca di Milano, Filippo Maria Visconti. In seguito egli fu voivoda di Transilvania e reggente del regno d’Ungheria. Lo stesso potrebbe dirsi, sempre sotto il profilo squisitamente militare ma a parti invertite, di Filippo degli Scolari - noto anche come Pippo Spano e che fu cavaliere dell’Ordine del Dragone, fondato da Sigismondo di Lussemburgo - che aveva origini palesemente fiorentine. Non a caso proprio a lui Andrea del Castagno dedicò un magnifico ritratto. A quella stessa societas draconistrarum, peraltro, appartenne anche, giusto per esser chiari, Vlad Dracul II, il padre di Vlad Tepes, l’Impalatore, l’uomo che originò in seguito il personaggio letterario di Dracula creato da Bram Stoker. Insomma sotto questo primo profilo, l’idea di un rinascimento dark, diffuso nei Paesi dell’Est è tutt’altro che peregrino giacché molte e ribadite sono le interazioni fra i due territori in esame. Ma se da un punto di vista militare gli scambi e le condivisioni possono essere molteplici, diverso potrebbe sembrarci, a tutta prima, il comune terreno del mecenatismo e dell’arte. Non fu così. Anzi, quanto detto per il profilo militare vale in egual misura per quel che concerne l’aspetto delle architetture e dell’amore per la cultura e la bellezza. In quest’ottica, ad esempio, ricorderemo che, nella seconda metà del Quattrocento, il re ungherese Mattia Corvino, figlio di János Hunyadi e allievo dell’umanista János Vitéz, finanziò i primi monumenti di matrice palesemente rinascimentale in Transilvania, è il caso della loggia della fortezza di Vajdahunyad e della tomba di suo padre. A questo devono aggiungersi gli interventi presso il palazzo principesco di Alba Iulia, caratterizzato da decorazioni chiaramente ispirate alle residenze patrizie veneziane di quel periodo: i soffitti dipinti e dorati, le pareti ricoperte di carte da parati venete e di quadri raffiguranti imperatori romani. Nomi come quel li del veronese Giacomo Resti, del mantovano Giovanni Landi e del veneziano Agostino Serena, lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio. Da ultimo v’è da considerare l’apporto del sapere, plasmato principalmente presso l’università di Padova, da parte di una nutrita schiera di nobili ungheresi e transilvani che nel centro veneto del Rinascimento - si pensi a figure come Donatello che qui realizzò l’altare ligneo del Santo e il monumento equestre al Gattamelata o alla pittura di Andrea Mantegna - furono studenti delle discipline più diverse. Anche qui qualche nome può certamente confermare questa nostra tesi: Iohannis Megirnig da Sibiu, laureato in medicina, Stephanus Ungarus di Transilvania e János Vitéz, dottori in diritto canonico, Paul Benkner di Brasov, magister artium. Insomma, sostenere l’esistenza di un rinascimento, intriso dei cupi colori delle lande dell’est è posizione non peregrina, anzi è del tutto evidente che per differenti ragioni il rapporto fra le due aree geografiche era oltremodo stretto, complice il ruolo della Serenissima Repubblica di Venezia quale possibile cerniera geografica. Non a caso molti degli esponenti italiani dei cavalieri dell’Ordine del Drago furono veronesi o padovani in quanto appartenenti alle famiglie degli Scaligeri o dei Carraresi. Tuttavia, il campione di questa versione meticcia del Rinascimento, l’uomo che per certi aspetti ne unì vizi e virtù, in maniera estrema, fu proprio Vlad III di Valacchia, detto Dracula. A questo proposito, a integrazione di quanto da tempo si è sostenuto, ossia che l’Impalatore fosse un principe sanguinario e crudele, intendiamo raccontare in queste pagine un volto meno conosciuto del voivoda: quello del principe guardiano, del difensore della propria terra e del proprio popolo e protettore ultimo del Cristianesimo. A fugare immediatamente qualsivoglia smentita, ricorderemo infatti che Vlad III di Valacchia fu l’unico principe cristiano, seppur ortodosso, a rispondere e aderire alla crociata indetta da papa Pio II, nato Enea Silvio Piccolomini, che chiedeva disperatamente di organizzare una difesa cristiana contro lo strapotere ottomano di Maometto II, il Conquistatore. Convocati infatti, con la bolla Vocavit nos del 1459, i principi cristiani d’Europa a Mantova, il pontefice dovette ben presto affrontare una drammatica serie di rifiuti da parte di Firenze, Venezia, Milano e poi dai regni di Francia, Inghilterra e Spagna. Perfino il re d’Ungheria tentennò, aspettando. Solo Dracula, dunque, ebbe il coraggio di affrontare un nemico che, nei numeri, gli era almeno venti volte superiore. E lo fece in piena solitudine. Certo, le ragioni dell’opposizione di Vlad a Maometto II erano di vario ordine: religioso, naturalmente, ma il voivoda intendeva anche fare di Valacchia e Transilvania un unico voivodato indipendente, in grado di autodeterminarsi, cancellando la propria sudditanza all’impero ottomano che prevedeva un tributo annuale di mille bambini e una tassa di diecimila ducati da pagare alla porta di Costantinopoli. Rimane il fatto che questo ruolo di ribelle da un lato e di guardiano della fede cristiana dall’altro, venne grandemente apprezzato dal pontefice, al punto che Pio II nei suoi Commentarii ebbe parole di paura e di apprezzamento insieme per Dracula. Egli lo definì, fra l’altro, «uomo di corporatura robusta e d’aspetto piacente che lo rende adatto al comando. A tal punto possono divergere l’aspetto fisico e quello morale dell’uomo!». Il pontefice aveva infatti visto nel 1463 un ritratto del voivoda inciso sulla copertina di un incunabolo viennese giunto fino a lui. Marin Mincu, autorevole accademico, docente di letteratura presso l’Università di Costanza, ha addirittura sostenuto che Vlad III Dracul avrebbe conosciuto Cosimo de’ Medici e Marsilio Ficino, intrattenendo con loro rapporti epistolari, nutriti dalla sua passione per il Codex Hermeticum e la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto di cui proprio Ficino era il massimo esperto del tempo. Una tale sete di cultura, da parte del voivoda, viene confermata dagli storici e dai cronisti del tempo, così come la perfetta conoscenza parlata e scritta di sette lingue: il tedesco, l’ungherese, l’italiano, il latino, il greco, il turco e lo slavo. Ma vi è di più. Nel 1462, finalmente, il pontefice riuscì effettivamente a mettere insieme una somma ragguardevole che poi, nell’impossibilità di destinare direttamente a Vlad, fece pervenire a Mattia Corvino, re d’Ungheria, con preghiera di utilizzarla per finanziare le imprese del voivoda di Valacchia e Transilvania. Ma Corvino si guardò bene dal farlo, nonostante da oltre un anno Dracula avesse impetrato il suo aiuto, e anzi si limitò a incamerare la somma messa a disposizione dal papa, volta a finanziare la campagna di Vlad, tradendo poi quest’ultimo. Per questo, dunque, nella saga a fumetti che ho scritto per i disegni di Andrea Mutti, ho cercato di far emergere il personaggio storico in una prospettiva molto più europea e molto meno hollywoodiana. Certo, non abbiamo rinunciato alla spettacolarità. Andrea, in questo senso, ha adottato una tecnica efficacissima e magnifica, ad acquerello, ispirandosi al lavoro di un grande maestro come Ivo Milazzo, e lavorando magistralmente con gli inchiostri, arricchiti dai colori plumbei e lividi di Vladimir Popov. Lo studio delle architetture dei castelli, dei palazzi, delle case giunge da una formidabile ricerca di carattere storiografico e iconografico e dai miei molti viaggi in Transilvania. Rovesciando la prospettiva, l’intento è stato quello di far comprendere che Vlad fu per il suo popolo ciò che per i Cubani sarebbe stato qualche secolo dopo Che Guevara: un liberatore, un difensore, un condottiero pronto a tutto pur di battersi per la propria terra e, aggiungiamo, la religione cristiana. Un’icona, dunque. E anche un personaggio molto più complesso di come lo abbiamo sempre conosciuto nella semplice, seppur affascinante, versione di principe delle tenebre. Inferiore nei numeri e nelle forze, egli condusse una campagna di guerra senza quartiere contro Maometto II, arrivando a fare terra bruciata non appena il sultano invase la Valacchia, avvelenando i pozzi, bruciando i boschi, trasformando le pianure in deserti di cenere. Nel famigerato attacco notturno del 17 giugno 1462, magnificamente immortalato nella tela del pittore rumeno Theodor Aman, che porta il titolo de La battaglia con le torce, Vlad assaltò a sorpresa il campo ottomano, sterminando una parte importante delle forze del sultano, fallendo nell’obiettivo d’ucciderlo perché Maometto II aveva disseminato il campo di alcuni sontuosi padiglioni che confusero Vlad, celando agli occhi di quest’ultimo la sua tenda. Tuttavia, quando il mattino successivo il sultano mosse con il proprio esercito verso Targoviste, sede della reggia di Vlad, venne accolto lungo la via da una foresta di ventimila impalati. La vista di un simile scempio lasciò sconvolto e ammirato Maometto II, il quale giunse alla conclusione che un uomo disposto a fare per la propria terra ciò che aveva compiuto Vlad non si sarebbe mai arreso. Decise dunque di ripiegare verso Costantinopoli, lasciando il comando al fratello di Vlad, Radu il Bello, che nell’inverno di quell’anno sarebbe riuscito a prevalere momentaneamente contro Vlad solo grazie al tradimento dei Sassoni di Transilvania, dei Boiardi e del re ungherese Mattia Corvino, ben felice di aizzare i propri baroni contro quel principe guerriero, decisamente fuori controllo. Vlad si consegnò infine a Mattia e rimase prigioniero presso il castello di Buda, in Ungheria, per una dozzina d’anni. Nel 1475, sarebbe riuscito a tornare libero e a riconquistare per la terza volta la Valacchia e la Transilvania. Ma questa è davvero un’altra storia.

mercoledì 19 febbraio 2020

AL CASINÒ DI SANREMO CON MUSSOLINI

tratto da L'Opinione del 15 luglio 2012

di Cristiano Bosco

“Gioco d’azzardo, massoneria ed esoterismo intorno all’ombra di Matteotti”. È questo il sottotitolo di Al casinò con Mussolini, fresco di stampa per le edizioni Lindau, scritto da Riccardo Mandelli, docente di materie storico-filosofiche, autore di narrativa, soprattutto per ragazzi, e di saggistica. Una interessante inchiesta sull’industria dell’azzardo e sugli ambienti finanziari, politici e culturali da cui questa traeva linfa nei primi decenni del ‘900.

Come nasce il Suo libro? Come si sono svolte le Sue ricerche?

Al casinò con Mussolini rappresenta, in un certo senso, il seguito del mio precedente libro, L’ultimo sultano. Come l’Impero ottomano morì a Sanremo, che narrava la vicenda di Maometto VI Vahdeddin, ultimo sultano ottomano che venne in esilio a Sanremo nel 1923 e vi morì nel 1926. Quel volume lasciava parecchie questioni aperte ed irrisolte, molti argomenti ancora da trattare, tra cui il tema  del gioco d’azzardo. Agli inizi del ‘900, Sanremo era un centro di spionaggio di prim’ordine, dal punto di vista internazionale, ed era stata anche teatro di eventi di livello mondiale, come la conferenza del 1920 in cui nacque l’assetto attuale del Medioriente. Nella moltitudine di elementi da approfondire, ho iniziato indagando sullo strano suicidio del podestà di Sanremo Pietro Agosti, un episodio poco chiaro e che faceva sorgere molti dubbi. Partendo da quella morte, analizzando diverse fonti è emersa una lunga serie di misteri, connessioni, rapporti, relazioni con la politica, tutti legati alla realtà del casinò.

Un serie di misteri connessi, si scoprirà, con l’omicidio Matteotti.

Del celebre caso Matteotti conoscevo quanto un lettore di storia, ero a corrente di una pista affaristica, ma ignoravo che si legasse così strettamente al gioco d’azzardo, cosa che ho appreso solo strada facendo nelle mie ricerche. È stato un concatenarsi di sorprendenti scoperte, un lungo lavoro, durato alcuni anni, su fonti di archivio che, messe insieme, si richiamano tra loro: talvolta, mi è venuta incontro anche la fortuna, come ad esempio nel caso delle carte del sindacalista Angelo Oliviero Olivetti, amico di Mussolini dai tempi in cui erano entrambi rifugiati in Svizzera. I documenti sono visibili al pubblico solo da poco tempo, e dalla loro lettura emerge che Olivetti,  figura centrale del sindacalismo rivoluzionario, era collegata alle trattative tra Mussolini e chi teneva in mano le redini del gioco d’azzardo in Italia. Le prove più chiare del coinvolgimento dei vertici del fascismo in quel mondo torbido, infatti, provengono dall’archivio di Olivetti, che teneva una viva corrispondenza con il Duce.

Si può dire che Sanremo, città dal passato glorioso, sia il vero personaggio principale del libro?

Sanremo è sicuramente la protagonista. Non si tratta dell’unico luogo dove si trovava il gioco d’azzardo: tra il 1922 ed il 1924 le bische, più o meno legali come il casinò – che peraltro non era legalizzato, ma autorizzato di volta in volta – si trovavano in tutta la provincia. In Riviera, oltre a Sanremo, c’erano Bordighera, Ospedaletti, i Balzi Rossi. Nell’archivio di Stato vi sono faldoni pieni zeppi di segnalazioni relative al gioco d’azzardo: Sanremo ed il territorio circostante, storicamente, erano la punta di diamante, direttamente in contatto con la Costa Azzurra e con certi ambienti. Era una città straordinaria, fino alle due guerre mondiali fu uno dei centri dell’Europa cosmopolita, per poi diventare una periferia di Milano e Torino. Sanremo era un centro dove convergevano grandi capitali, dalle prospettive internazionali, che svolgeva un ruolo di rilievo negli ambienti del turismo, dei trasporti, dei grandi alberghi, ed ovviamente nella rete del gioco d’azzardo. Una città spettacolo, per nulla una città italiana, perché assolutamente fuori dalla sua collocazione geografica: Sanremo era quasi un transatlantico ancorato.

Quale il peso dei cosiddetti ‘poteri occulti’, anche in riferimento all’ascesa del Fascismo?

Era impossibile raccontare quelle vicende senza affrontare, necessariamente, la presenza dei ‘poteri occulti’. Sono temi scivolosi, che ho dovuto trattare perché il casinò di Sanremo nacque con un’impronta massonica, espressione di un mondo molto presente e sviluppato in città: un po’ tutti i protagonisti di quegli anni del casinò erano legati o alla massoneria oppure a gruppi esoterici come la teosofia o l’antroposofia di Rudolf Steiner. Nel famoso saggio di “Dostoevskij e il parricidio”, Sigmund Freud tentava di sviscerare il tema della dipendenza dal gioco d’azzardo, essendo Dostoevskij un giocatore incallito: l’azzardo è un mistero e, di conseguenza, ciò che noi non possiamo sapere è rappresentazione del divino. Secondo questo ragionamento, chi gioca d’azzardo si mette in contatto con l’ignoto, quindi con la divinità, e dio è padre, ergo la sfida del gioco d’azzardo, come sostiene Freud, è la sfida al padre, da cui conseguono autopunizione e sconfitta. Ecco perché il tema del gioco d’azzardo collegato al divino non è prettamente massonico o esoterico, ma è invece ben chiaro nella cultura.

Il Suo libro ricostruisce in modo innovativo lo sfondo del delitto Matteotti. Il quale viene raccontato diversamente, rispetto a quanto presente sui libri di storia.

Prima di essere rapito e ucciso, Giacomo Matteotti stava indagando sugli ultimi decreti legge emanati da Mussolini, che riguardavano le concessioni petrolifere e la liberalizzazione del gioco d’azzardo. E intorno agli affari legati ai due decreti ruotarono le ipotesi subito avanzate dai giornali per spiegare la sua scomparsa; solo più tardi prese piede la versione che fosse stato assassinato a causa della coraggiosa denuncia di brogli e violenze elettorali fasciste. Già Mauro Canali, nel 1997, scrisse un libro molto importante che trattò la questione dell’affarismo dietro al delitto Matteotti, con particolare attenzione al petrolio. Per danneggiare un governo stabile, denunciare l’affarismo ed additare gli scandali era una via molto più efficace rispetto alla denuncia di brogli e violenze: uno degli affari fondamentali era senza dubbio quello del gioco d’azzardo, molto più vicino a Mussolini di quanto non fosse il petrolio. Non è un caso che gli uomini che rapirono e uccisero Matteotti erano tutti legati, in quanto tutti si aspettavano un premio per la fedeltà al Duce. Si stava delineando un trust, che comprendeva la Banca Commerciale Italiana, il finanziere e trafficante d’armi levantino Basil Zaharoff, tra le figure più agghiacciati della storia, un grande finanziere inglese nel business dei vagoni letto, Georges Marquet che era agente per conto del Re di Spagna: figure che stavano costruendo un’alleanza chiarissima, la stessa che si stava creando attorno all’azienda dei vagoni letto e dei trasporti di lusso. La concorrenza non piaceva, per questo vi fu un tentativo di instaurare un monopolio sul gioco, ed è estremamente probabile che per le mani di Matteotti passarono elementi in grado di mettere in seria crisi i rapporti del Fascismo con questo mondo di affari oscuri.

Ma la morte di Matteotti, si scopre nel suo volume, non è che la punta dell’iceberg.

La morte di Matteotti è solo la più tragicamente famosa tra quante costellano un lungo cammino in cui si affiancano progetti politici, finanziari ed esoterici. Vi fu una notevole catena di morti, anche soltanto quelle del dopoguerra: se si pensa a tutti i concessionari del casinò di Sanremo, dal ‘46 al ‘59-’60, almeno uno su due fa una strana fine. Era alquanto improbabile che morissero nel proprio letto. Ecco perché, scrivendo, alle volte ho avuto paura, provando la sensazione di essere capitato in mezzo a forze davvero oscure e potenti. Tuttavia, il mio libro non ha alcuno scopo se non quello di approfondire la storia: è un’opera che permette di leggere anche il presente, ovviamente, pur non avendo alcuna proiezione su di esso, fermando la narrazione agli anni ‘50. Si parla di “ombra di Matteotti”, perché non è un volume sul famigerato delitto, ma su tantissime vicende su cui aleggia, sempre, questa celebre morte, che ha segnato la storia del Paese.

Per chi volesse leggerlo:

venerdì 14 febbraio 2020

Cos’è la Mano della Gloria?

in collaborazione con l'autore Michele Leone: https://micheleleone.it/la-mano-della-gloria/


La Mano della Gloria tra folklore e magia


La Mano della Gloria potrebbe essere un oggetto presente nelle più tetre storie di Sir Arthur Conan Doyle o di Edgar Allan Poe. Come oggetto magico è presente nel popolare gioco di ruolo Dungeons & Dragons, i più giovani l’hanno incontrata, anche se proposta in una forma blanda, nelle storie del maghetto Potter. La realtà spesso supera la fantasia e questo oggetto è un feticcio realmente esistito. Era usato da ladri o da alcuni sprovveduti, perversi, fattucchieri. Oggi trova la sua collocazione in qualche museo o nelle Camere delle Meraviglie di collezionisti di oggetti particolari.


            Feticcio: Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale. Il vocabolo, adottato nel 16° sec. dai navigatori portoghesi (feitiço) per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente alle reliquie sacre della devozione popolare e, più in generale, a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana.


Cos’è la Mano della Gloria e come si prepara?

La Mano della Gloria è, stando alla maggior parte delle versioni, la mano amputata ad un criminale mentre penzola dalla forca. A seconda dei “gusti” o delle idee dei vari autori sull’argomento può essere la mano destra o sinistra. Una volta presa, la mano, deve essere avvolta in un panno funerario e quando si è distanti da occhi indiscreti bisogna strizzarla per renderla esangue.

Ti riporto un paio delle tante descrizioni sul come preparare questo feticcio:

“Prendi la mano destra o sinistra di un criminale che pende da un patibolo accanto ad una strada; avvolgila in un panno funebre e così avvolta spremerla bene sino a far uscire l’ultima goccia di sangue. Quindi metterla in un recipiente di terracotta con salnitrio, sale e pepe lungo, il tutto ben in polvere. Lascialo in questo recipiente per quindici giorni, quindi estrailo ed esponilo alla piena luce del sole durante i giorni caldi fino a quando non diventa abbastanza asciutta. Se il sole non è abbastanza forte mettilo in un forno con felce e verbena. Quindi crea una specie di candela dal grasso di un criminale impiccato, cera vergine, e usa la Mano della gloria come candelabro per tenere questa candela quando accesa, e poi quelle in ogni luogo in cui vai con questo lo strumento dannoso deve rimanere immobile”. (Petit Albert).

O

“La Mano di Gloria è la mano di un uomo che è stato impiccato, ed è preparata nel modo seguente: Avvolgi la mano in un pezzo di lenzuolo, tirandolo stretto, in modo da spremere il sangue che può rimanere dopo l’amputazione; quindi metterla in un recipiente di terracotta con salnitro, sale e pepe lungo, tutto accuratamente in polvere. Lascia che rimanga quindici giorni in questo sottaceto fino a quando non è ben asciugata, quindi esponila al sole nei giorni più caldi, fino a quando non è completamente seccata o, se il sole non è abbastanza caldo, asciugala in un forno riscaldato con la verbena e felce. Quindi fai una candela con il grasso di un uomo impiccato, cera vergine e sesamo della Lapponia.” (Sabine Baring-Gould).

Sulla fabbricazione della candela da porre sulla Mano della Gloria la “storia” diventa ancora più cruenta, e ti sconsiglio di leggere questo paragrafo se sei particolarmente sensibile. Molti vogliono che per rendere ancor più efficaci gli effetti della Mano di Gloria fosse necessario fabbricare la candela con il grasso di un bambino nato morto o strappato con ferocia dal ventre della madre mentre questa era ancora incinta.

Quali erano le proprietà della Mano della Gloria?

Immobilizzare o addormentare le persone a cui era presentata;
Far luce solo per colui che la impugna, mentre altre persone vicine al ladro restavano al buio;
Rendere invisibile colui che portava la Mano della Gloria;
Ardere senza consumarsi;
Poter aprire qualunque serratura posta nelle sue vicinanze;
Segnalare la presenza di persone sveglie nella casa da derubare per mezzo della non accensione di uno degli stoppini posti sulle dita della Mano della Gloria.
Testimoni

Ora, quasi fossimo nell’aula di un tribunale, chiamerò tre testimoni a parlare della Mano della Gloria. Questi sono diversi per formazione, credenze ed epoche nelle quali sono vissuti Alla fine trarrò le mie conclusioni o, se preferisci, farò l’arringa finale.

Testimone 1: James G. Frazer

V’è un fruttuoso ramo della magia omeopatica che si basa sui morti; poiché, come il morto non può né vedere, né udire, né parlare, così, applicando i principi omeopatici, si possono rendere le persone cieche, sorde e mute usando le ossa dei morti o qualsiasi altra cosa che sia toccata dall’infezione della morte. […] In Europa si attribuivano tali proprietà alla Mano della Gloria, cioè la mano di un impiccato, seccata e conciata. Se una candela fatta con il grasso di un malfattore morto anch’esso sulla forca venina inserita nella Mano della Gloria come in un candeliere e accesa, rendeva immobili tutti coloro a cui fosse presentata; e non potevano muovere neppure un dito, come se fossero morti. Talvolta la mano del morto diviene una candela, o meglio un mazzo di candele, poiché viene dato fuoco alle sue dita avizzite; ma se uno degli abitanti della casa fosse sveglio, una delle dita non si accenderebbe. Tali nefande lampade si possono spegnere soltanto col latte. Spesso è prescritto che la candela del ladro sia fatta con il dito di un bambino appena nato, o, meglio ancora, di uno non ancor nato. Spesso vien considerato necessario che un ladro abbia tante candele, quanti sono gli abitanti della casa, perché se ne avesse una di meno, qualcuno in casa si potrebbe svegliare e pigliarlo. Una volta che queste candele brucino non c’è che il latte che possa spegnerle. Nel Seicento i ladri usavano assassinare delle donne incinte per estrarne delle candele dall’utero. (Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 2013 pp. 43-44).

Testimone 2: Michael Howard

“I veri occultisti sono generalmente dell’opinione che i termini magia <<bianca>> e magia <<nera>> siano in pratica privi di significato, anche se si possono applicare in teoria. Per spiegare questa affermazione piuttosto contraddittoria è necessario rendersi conto che la potenza usata nella magia (che ha origine nella mente umana) è una forza neutra che può essere utilizzata per fini positivi o negativi. Infine, la responsabilità dell’uso del potere è solo del mago, e risiede nei suoi sentimenti.

In passato le candele erano usate in molte occasioni, in quella che gli ignoranti chiamano <<magia nera>>. Forse l’esempio più famoso del loro uso, è quello della spaventosa <<Mano della Gloria>>. Si credeva che fosse la mano amputata ad un omicida, che fosse coperta di cera ed avesse degli stoppini sulle punta delle dita. Una volta acceso, questo oggetto disgustoso aveva il potere di far perdere coscienza agli occupanti di una casa, e di aprire anche le porte chiuse a chiave. Un ladro che non ne possedeva una sarebbe stato un ladro incompleto!

C’è, in realtà, qualche elemento di verità in fatti del genere che per noi moderni sono solo degli orrori e delle insensatezze? Sì, ma la <<mano>> non era un arto appena amputato ad un carcerato, bensì una comune candela di cera a forma di mano. Delle bizzarre candele di questo genere possono ancora oggi essere acquistate nei negozi di novità, oppure l’amatore se le può fabbricare una, degna di qualsiasi film dell’orrore, versando cera in un guanto di gomma da massaia.

Degli occultisti seri non se ne occuperanno – tranne che per divertirsi un po’ – poiché è piuttosto improbabile che la <<Mano della Gloria>> sia di qualche utilità, anche per un ladro acrobata, e sembra che non neutralizzi neanche gli allarmi, per cui la sua utilità risulta proprio limitata!” (Michael Howard, Magia delle candele. Significato occulto, uso, formule, rituali, Hermes Edizioni, Roma 1999, pp. 53-54).

Testimone 3: Francesco Maria Guaccio

In un paesino della diocesi di Liegi – per alcuni Huy, per altri Dinant – due individui giungono, di notte, in un albergo. Fingendosi molto stanchi, dichiarano, dopo aver cenato, di non sentirsela d’andare a cercare un letto altrove, e, con molta insistenza e sfacciataggine, chiedono all’oste di lasciarli dormire in cucina, presso il fuoco.

Una fantesca, alla quale i due viaggiatori non vanno a genio, si mette a spiarli da un forellino per vedere che mai fanno. Nel cuore della notte li vede estrarre da una borsa una mano mozza, ungerle le dita e accostarle al fuoco. Se ne accendono quattro su cinque, ei maghi stupiscono; riprovano, ma la fiamma non s’appicca. Uno esclama allora: «Come mai? Qualcuno in casa è sveglio?» E, appesa la mano al camino, con le quattro dita che ardono come candele (ma con luce fosca), escono di casa, e, fischiando in un certo modo, chiamano i complici perché vengano a rubare. La fantesca, che li ha seguiti, chiude loro l’uscio in faccia, e, corsa nella camera da letto dei padroni, li scorge entrambi immersi in un sonno cosi profondo che non riesce a destarli neppure trascinandoli in mezzo alla stanza. I ladri cercano frattanto d’entrare passando per la finestra, ma la donna accorre e li butta giù dalla scala; essi però insisto­ no, e tentano d’introdursi da un’altra parte. Ricordandosi della lampada, la serva – convinta che sia essa la causa del torpore degli abitanti – spegne le quattro dita; subito i dormienti si svegliano, accorrono e scacciano i malviventi. Acciuffati pochi giorni dopo, confessano il maleficio.

[…]

Anton Welch riferisce un fatto narratogli dalle mogli di Michal Gross e Beschiess. Note entrambe per complicità in stregoneria, avevano da poco sottratto dalla bara, nel cimitero di Germmgen, due cadaveri di bimbi, che i rispettivi genitori- Bernhard e Anton Lerchen – avevano appena sotterrato, e li avevano inceneriti a pro delle loro magie. S’erano valse, dapprima, d’un fianco con le costole, poi avevano usato il braccio destro come una di quelle lampade diaboliche di cui ho già parlato: da utilizzare la notte, nel caso avessero dovuto propinare a qualcuno il farmaco malefico. Le dita ardevano alle estremità con fiamma sulfurea e violacea: quando la fiamma si spegneva, rimanevano intatte, come se non avessero servito da alimento al fuoco, e potevano perciò essere riaccese a piacere. (Compendium Maleficarum, Giulio Einaudi Editore, Torino 1992, pp. 206-214).

Conclusioni

Rileggendo questo articolo per scrivere le conclusioni, mi rendo conto che molto altro ancora ci sarebbe da dire su questo bizzarro, osceno feticcio. Mancano J. Dee ed altri testimoni e maghi. Chissà che non ne faccia un libricino. Qualcuno vuole che Mano della Gloria in inglese Hand of Glory, sia la corruzione o la trasformazione della parola francese mandragore: mandragora. Da mandragore a main de gloire a hand of glory. Probabilmente se non vi fosse stata una incomprensione linguistica la tentazione di tagliare mani a uomini appesi alla forca non sarebbe venuta ai ladruncoli inglesi o agli pseudo maghi.

I tre testimoni, diversi per formazione, idee ed epoche in cui sono vissuti ci hanno dato spunti di riflessione diversi e soprattutto punti di vista altri. Sulla Mano della Gloria, non è difficile trovare informazioni on-line, come su molti argomenti, ed è ancor più facile trovare molti Gran Maestri Ierofanti Ciarlatani pronti a raccontarti verità sino ad oggi inaudite per molti o pochi denari. Qualcuno potrebbe anche dirti che la Mano di Gloria, fatta dei materiali più improbabili è uno strumento di altissimissima Magia, oggetto indispensabile per ogni apprendista stregone.

La Magia, indipendentemente dalla possibilità che i suoi effetti siano reali o presunti, è prima di tutto un percorso di Conoscenza; conoscenza di sé stessi e del Mondo Universo. Conoscenza, quella del mago, che deve unirsi alla Sapienza e alla Saggezza. Senza conoscenza si è poco più che simpatiche (non sempre) scimmie ammaestrate e comprare a casaccio oggetti e (pseudo) rituali non farà di noi dei maghi né delle persone sagge. Come saggio non sarebbe il ladro che provasse ad andare in giro con una Mano della Gloria all’interno di una stazione di polizia. Eppure, la Mano della Gloria è o può essere l’occasione per ognuno di noi di apprendere, usi e costumi, tradizioni, mentalità di epoche diverse ed anche qualcosa sulla Magia. Si sulla magia, per imparare a distinguerla dalle volgari (nel senso di volgo) pratiche folkloristiche o dalle credenze popolari. La Mano della Gloria può essere l’occasione per rileggere vecchie storie con occhi nuovi, per entrare in punta di piedi nella storia delle idee e dell’immaginario senza scomodare Durand. Ci sono un’infinità di possibilità. A te scegliere se essere una scimmietta ammaestrata o un ricercatore/ricercatrice sulla strada della conoscenza.

       Gioia – Salute – Prosperità


mercoledì 12 febbraio 2020

RIVOLUZIONE MARTE: STUDIO IPOTIZZA LIVELLI DI OSSIGENO IDONEI ALLA VITA

tratto da L'opinione del 23 ottobre 2018

di Redazione

La ricerca del California Institute of Technology (Caltech), portata avanti dal gruppo di Vlada Stamenković e pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, rivoluziona totalmente l’idea che avevamo del pianeta Rosso: l’acqua salata presente nel sottosuolo di Marte conterebbe ossigeno sufficiente per ospitare la vita.

I calcoli eseguiti indicano inoltre che l’ossigeno presente potrebbe supportare la vita non solo di microrganismi ma anche di animali più complessi.

Immagine presa da Wikipedia
“I nostri calcoli indicano - scrivono gli studiosi nell'articolo - che in un serbatoio d'acqua salata di questo tipo ci potrebbero essere elevate concentrazioni di ossigeno disciolto”. Concentrazioni che sarebbero particolarmente elevate nel sottosuolo delle regioni polari. “Non sappiamo se Marte abbia mai ospitato la vita”, continuano i ricercatori del Caltech, ma grazie ai loro risultati è stata ribaltata la convinzione che il Pianeta Rosso non potesse ospitare forme di vita basate sull’ossigeno.

L'astrobiologa Daniela Billi, dell'università di Roma Tor Vergata, commenta così la scoperta: “I requisiti per l'abitabilità delle brine su Marte si arricchiscono ora della possibile presenza di ossigeno, indispensabile però alle sole forme di vita che lo utilizzano per la respirazione. Questa possibilità amplia i possibili metabolismi presenti su Marte”.

Ed il risultato della ricerca si estende anche ad altri pianeti e lune che ospitino sacche di acqua salata o oceani sotterranei, come la lune di Saturno, Encelado, e quella di Giove, Europa.

venerdì 7 febbraio 2020

I GRANDI MITI, DA ORIENTE A OCCIDENTE — Viaggio tra le narrazioni sacre. - presentazione

Sabato 14 Marzo 2020 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate all’“Incontro con l’Autore”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi alla presentazione di un volume straordinario e unico nel panorama editoriale italiano, pubblicato dalla LuxCo Editions:

I GRANDI MITI, DA ORIENTE A OCCIDENTE — Viaggio tra le narrazioni sacre.

L’opera raccoglie i contributi di quattro diversi autori, ROSSANA CARNE, STEFANIA TOSI, CORINNA ZAFFARANA e MARZIO FORGIONE i quali, individualmente esperti nel rispettivo ambito della tematica del mito, tracciano un itinerario ideale che attraverso alcuni miti selezionati del Giappone, dell’Egitto, della Grecia e del Mesoamerica indagano le modalità con cui gli uomini si sono relazionati con il sacro e il divino.
Si tratta perciò di un testo di grande interesse storico-antropologico che nell’ambito della divulgazione non accademica intende offrire al lettore una fonte di informazione e approfondimento chiara, ampia e autorevole.

La serata sarà condotta e moderata da un ospite d’eccezione, la Dott.ssa LUCIA RONGIOLETTI

Ancora una volta la nostra Associazione si pregia di offrirvi un evento di straordinario interesse al quale non mancare assolutamente!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando i numeri 379.1610521 - 346.9451451 - o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.


sabato 1 febbraio 2020

I Giganti esistevano grazie ad una Luna della Terra?

in collaborazione con il blog Fanta-Teorie:

https://fanta-teorie.blogspot.com/2020/01/i-giganti-esistevano-grazie-ad-una-luna.html

Partiamo dall'inizio. Come si è formata la Luna?

Sono diverse le teorie che si sono successe negli anni:
La Luna si è formata insieme alla Terra
La Luna si è formata dopo la Terra con detriti rimanenti
In origine vi era la Terra. Poi si scontrò con un pianeta delle dimensioni di Marte (circa) chiamata Theia. Da questo impatto nacque la Terra, la Luna e parte della fascia di Asteroidi tra la Terra e Marte.
La Luna era un satellite vagabondo catturato dalla gravità della Terra
La Luna è una base aliena artificiale.
Sulla terza ipotesi ci sarebbe da fare un post in merito perché ricorda molto la teoria di Sitchin tratta dall'Enuma Elish.

Le teorie sono diverse, ognuna con dei pro e dei contro ma attualmente nulla di definito. Forse l'ultimo punto può essere quello più discutibile. Ma non sta a me sindacare.
Leggendo il libro di Peter Kolosimo - Terra senza tempo, mi sono incuriosito molto sul capitolo dei giganti. L'autore ripropone gli studi del Francese Denis Surat e dell'inglese H. S. Bellamy. Ne cita altri ma loro due in particolare.
I due studiosi per prima cosa ipotizzarono che la Terra avesse avuto altre due Lune prima di quella attuale, questo basandosi su degli studi fatti da Horbinger (che addirittura ne ipotizzava 6 o 7). Sempre loro affermano che la Terra ha avuto due grandi ere geologiche, ognuna terminata con un cataclisma dovuto all'impatto della rispettiva luna. Continuano dicendo che questa terza era terminerà con la caduta della terza e ultima luna causando la fine dell'umanità.
Sempre tali studiosi credevano che la seconda luna avesse causato la nascita dei giganti per due motivi: il primo perché emanava raggi radioattivi che aumentava l'evoluzione e la crescita delle forme di vita, secondo perché essendo assai vicina diminuiva la forza di gravità della terra e questo creava meno impedimento gli organismi per crescere.
Inoltre Kolosimo ipotizza che la caduta della seconda luna sia la causa della scomparsa di Atlantide, Lemuria, Mu e Gondwana.

Sulle due lune prima di questa attuale non possiamo tanto sindacare. E' una teoria e per tanto è vera, è falsa fino a prova contraria.
Sulla tesi che l'attuale satellite provocherà un cataclisma invece ho da ridire in quanto secondo i dati del Lunar Laser Ranging la stessa si allontana dalla Terra di 38mm all'anno, fino a quando non ci saluteremo del tutto. Cosa non imminente, credetemi sulla parola.
Secondo un'altra teoria apparsa su Business Insider Italia la Terra aveva due lune un tempo, questo a causa dell'impatto con Theia. I due satelliti che nacquero dalla collisione poi si fusero. Così si potrebbe spiegare perché la nostra attuale Luna ha due facce completamente diverse. Quella rivolta a noi con mari di lava solidificata e quella oscura con rilievi e altopiani. Se fosse vera annullerebbe totalmente le tesi di Surat e Bellamy.

Ma torniamo ai giganti.
Come si spiega che oggi i giganti non ci sono più? Sempre secondo i due studiosi, la causa è da ricondurre alle mancate radiazioni che non solo aumentavano di dimensioni gli esseri viventi ma li rendevano più intelligenti. Questo a detta degli studiosi giustifica la capacità di erigere costruzioni magnifiche come la Grande Piramide, ma soprattutto tutte le reti di caverne e grotte che si trovano nel sottosuolo che sembrano, sempre secondo i due studiosi, essere state create artificialmente collegando apparentemente tutti i centri nevralgici del mondo antico.
Personalmente scarterei le radiazioni soprattutto perché geologi e studiosi non hanno trovato nessun fossile e nessun strato della crosta terrestre perlustrano colpito da strane radiazioni che possano provare tale tesi.
Sulla minore forza di gravità invece?
Ci può stare, ma può la Terra avere un satellite così vicino senza subire danni tali da impedire lo svolgersi della vita?
La prova che Surat e Bellamy offrono a tale teoria sembra essere il fatto che nella seconda era geologica terrestre i mari solcavano l'altopiano delle Ande (luogo dove hanno effettuato numerose ricerche). La pressione che esercitava la seconda luna era tale da schiacciare le acque e farle risalire. Una sorta di mega alta marea perenne.
Una prova al quanto esile, nonostante la scienza accademica conferma la presenza di acqua in un passato remoto in gran parte delle terre ora emerse trovando per esempio sulle Alpi fossili di conchiglie.
In conclusione, seppur suggestive, le teorie di Surat e Bellamy sono da bollare, almeno in parte. Questo non vuol dire che i giganti non siano mai esistiti o siano favole. In tutto il mondo ci sono tracce scritte e non solo della presenza in un lontanissimo passato di esseri giganti e fuori dal comune. Nella Bibbia, nei testi Sumeri, Indù, Sud America, Oceania, tutti parlano di giganti come se fosse una sorta di ricordo condiviso di tutta la razza umana.

Vorrei comunque spezzare una lancia a favore di Kolosimo dicendo che le teorie che propone nel libro Terra senza Tempo, lo fa a scopo conoscitivo e non accademico. Spesso nel libro mette le mani avanti dicendo che trattasi di teorie e che vengono citate solo per curiosità. Molte di queste teorie sono state oggi totalmente sfatate (come quella sopra citata), altre resistono in quanto forse non avremmo mai una risposta definitiva e soddisfacente.

Leggi anche tu Terra senza Tempo di Peter Kolosimo