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domenica 11 febbraio 2024

Preistoria del Vampiro, nato nel 1732 e mai morto

tratto da "Il Giornale" del 26 Ottobre 2023

I vampiri fanno parte della nostra cultura da quando Bram Stoker diede vita al suo conte Dracula

Alex Pietrogiacomi

I vampiri fanno parte della nostra cultura da quando Bram Stoker diede vita al suo conte Dracula, essere ultraterreno che racchiudeva in sé la terribile bellezza dell'uomo che si ritrova senza vita, senza amore, senza fede e senza speranza di sentire qualcosa che non sia il buio che ingoia tutto.

Francesco Paolo de Ceglia con il suo Vampyr. Storia naturale della resurrezione (Einaudi, pagg. XVI-416, euro 34) realizza un capolavoro di indagine, attenta, accurata, stilisticamente perfetta per la sua godibilità, sui non morti che tornano per carpire le energie dei viventi. L'analisi opta per una personalissima versione di un genere letterario, antico e moderno al tempo stesso, capace di intrecciare narrazione e spiegazione: una storia naturale, che ripercorra, a una a una, le principali figure dell'immaginario notturno dell'Europa centrorientale.

Ma dove ha inizio tutto? Quali sono stati i punti cardine della scoperta dei vampiri per l'Europa civilizzata e dove è nato il termine vampiro? Tutto comincia con dei cadaveri riesumati nel dicembre del 1732 a Medvedja, oggi nella Serbia meridionale, ma al tempo da poco annessa all'Impero Austriaco. Queste esumazioni erano state volute da un medico militare per indagare «su un'allarmante sequela di morti sospette, affastellatesi negli ultimi tempi in quel villaggio remoto», e ne uscirono colpevoli due donne, Miliza e Stanno, abitanti di quella zona ma provenienti dai territori ancora sotto il dominio turco. La colpa? Essere sospettate di essere vampire, dopo che vennero dissepolte e dissezionate. Il chirurgo Flückinger constatò che il corpo di Stanno era «pressoché intatto e non corrotto», e cosa si poteva volere di più come prova?

Ma non finisce così, perché da qui si ricerca «il paziente zero», l'iniziatore del contagio, arrivando a un uomo di nome Arnold Paole, morto cinque anni prima, che sostenne di essere stato tormentato da un altro vampiro: anche lui, come le due donne, era stato trovato «intatto e incorrotto», lui che aveva anche attaccato bestie che avrebbero, logicamente, nel corso di quel buco temporale, contagiare altre persone. Da questi atroci fatti, figli dell'ignoranza medica e del folklore, e da due medici che indagarono e riportarono gli accadimenti, ripetendo allo sfinimento «Vampyr», nacque il termine e il mito.


mercoledì 3 giugno 2020

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO DELLE MANGIA-ZOMBIE

tratto da L'Opinione del 6 aprile 2016

di Giuseppe Mele

Seth Grahame-Smith è lo scrittore americano che ha legato il suo nome alla rivisitazione in chiave horror delle grande letteratura e della Storia con la S maiuscola. Suoi l’“Abraham Lincoln: Vampire Hunter” del 2010, la serie dei tre “Orgoglio e Pregiudizio e Zombie” del 2009-11 e l’“Unholy Night” del 2012.

Sia la storia del presidente Lincoln, in realtà un vampiro che mangia i sudisti, o delle sorelle Bennet, guerriere ninja che combattono gli zombie con le arti marziali, che la vicenda di tre criminali che in una notte profana si fanno passare da re Magi davanti alla nascita di Gesù, non sembrano destinate ad assurgere alla grande letteratura, ma intanto sono le basi di fantastici bestseller. Libri di grande successo, pensati per non restare confinati in se stessi, ma utili a trasformarsi innanzitutto in film, poi in gaming, in app, in webserie e serial infiniti.

Orgoglio e Pregiudizio e Zombie”, in particolare, attesta quanto sia profondo, se non l’affetto, il rispetto ed il ricordo per i monstre della grande letteratura passata, alle cui forche caudine milioni di studenti si sono dovuti chinare. Ed al tempo stesso ribadisce che il pubblico contemporaneo occidentale, almeno quello anglosassone, non ammette quasi più nessun contenuto portante della narrazione dei secoli passati.

La scrittrice vittoriana, Jane Austen, resta amata solo a prezzo di storpiare del tutto la sua educazione femminile, i suoi maneggi, mentre le sue fanciulle si trasformano in tante arroganti tarantiniane Beatrix Kiddo, le cui arti di combattimento non sono frenate nemmeno dalle ingombranti vesti dello stile Impero. Con improbabili capriole mentali, gli uomini, in queste opere, proseguono a testa bassa nel loro maschilismo, effettiva caratteristica dell’epoca, restando scimuniti e imperturbabili di fronte alla continua sfida vittoriosa delle spose, sorelle, zie e mogli. Un loop infinito di superiorità femminile in cui ognuno resta se sesso ed ogni concordia appare un paradosso. A parte il femminismo progressista ed i combattimenti infiniti, croce e delizia del gaming, caratteristica principale di queste opere è il manicheismo del bene e male contrapposti solitamente con la parte del cattivo interpretata da subumani, quali mostri e zombie. Non sempre però: nel Lincoln il buono è il vampiro, il cui intervento impedisce la vittoria dei cattivi umani (sudisti).

Nel “Pride and Prejudice and Zombies”, stranamente sono i domestici ed i contadini i più soggetti a trasformarsi in morti viventi. E si rivelano illusione e trappola, i tentativi di dialogo tra bianchi aristocratici asserragliati nei castelli e gli zombie moderati che non mangiano uomini ma maiali. Facile qui l’accostamento con le tesi tradizionali dei moderati socialdemocratici o dei sostenitori della buona immigrazione ed immediata la soluzione proposta ai buoni lettori e cineappassionati. Sterminateli tutti, poiché sono solo mostri, sotto le spoglie di popolani immigrati, in nome della grande nobile conservazione. L’amara ed ineludibile sottomissione al primato femminile resta rimandata alla mattanza finale, che come in ogni gioco che si rispetti è per la puntata successiva.

I Grahame-Smith, colonne fondanti della tivù Usa, non rispettano le classiche regole aristoteliche e trasformano letteratura, cinema, pubblicità e gioco in un grande comics, senza il solidarismo popolare e la disapprovazione dell’egoismo della fantasy di un King. Propongono una filosofia semplice, alla Scott, ma senza re istituzionali da venerare nella realtà. Il basso livello d’entrata la fa sottovalutare da scuola e famiglie che non si avvedono quanto sia sempre più presente, nei games giocati dai ragazzi, nei film, nei libri popolari, nelle web series e nelle reinterpretazioni letterarie. Invece siamo, tra supereroi, lupi, vampiri e uomini bianchi, di fronte ad una nuova education, in linea con le attese del grande pubblico mondiale, sempre più manicheo ed infantile, che odia la banale veridicità, ma ama solo il proprio punto di vista ed agogna che qualcuno non si vergogni di darglielo.


mercoledì 21 agosto 2019

C'è un fratello di "Dracula" e ha sangue islandese

tratto da "Il Giornale" del 21 giugno 2019

«I poteri delle tenebre» presenta una versione alternativa a quella classica. Con trama e personaggi differenti

di Luca Crovi

«Esistono misteri su cui gli uomini possono solo fare congetture, e che, epoca dopo epoca, possono risolvere solo in parte».

Si apre con questa citazione da Bram Stoker un volume sorprendente intitolato I poteri delle tenebre. Dracula, il manoscritto ritrovato (Carbonio Editore). È l'edizione italiana di Makt Myrkranna che il traduttore e letterato islandese Valdimar Ásmundsson pubblicò nel 1900 accreditandola come la traduzione fedele del Dracula di Stoker, risalente al 1897. Makt Myrkranna venne pubblicato in Islanda sulla rivista Fjallkonan con un'introduzione inedita dello stesso Stoker, ma non è la semplice traduzione del classico vampiresco, bensì ne è una versione alternativa che presenta molte differenze rispetto all'originale e che proprio per le variazioni fa supporre che sia stata realizzata basandosi su una bozza diversa dell'opera originaria.

A fare la scoperta è stato il ricercatore Hans Corneel de Roos che da anni sta raccogliendo documentazione sul Dracula. Ci sono molti misteri che riguardano l'opera di Stoker. Ne esiste una sola copia dattiloscritta che l'autore donò al colonnello Thomas C. Donaldson. Il manoscritto è stato ritrovato tempo dopo in Pennsylvania in una stalla ed è stato acquistato all'asta da Paul Allen, uno dei fondatori della Microsoft. Esistono anche 124 pagine di appunti della stesura del Dracula che risultano incompleti e sono custoditi al Rosenbach Museum di Filadelfia. Le lettere in cui lo scrittore fa riferimento a quello che divenne un caposaldo della letteratura horror sono soltanto due. Una venne inviata al primo ministro britannico William Gladstone nel 1897 e Stoker vi afferma esplicitamente di aver desiderato «purificare la mente attraverso la compassione e il terrore». La giornalista Jane Stoddard fu l'unica che riuscì a intervistare Stoker per il British Weekly a poche settimane dalla pubblicazione del romanzo e condensò in sole 896 parole il suo pensiero. Fra le testimonianze più singolari sulla genesi dell'opera c'è quella del figlio di Stoker, Irving Noel, che confessò allo studioso Harry Ludlam che suo padre «attribuiva la genesi di Dracula a un incubo fatto dopo un'abbondante cena a base di granchi».

La versione islandese del Dracula pubblicata da Carbonio Editore apre uno scenario incredibile di indagine, perché il testo presenta scene inedite con un montaggio diverso e persino personaggi fino a oggi sconosciuti. Quindi, come ha ipotizzato Hans Corneel de Roos, questa edizione potrebbe essere basata su un manoscritto del Dracula diverso da quello arrivato sino a noi. Come spiega il pronipote Dacre Stoker nella prefazione a I poteri delle tenebre, «il contratto di Bram Stoker del 1897 con Archibald Constable lo lasciava chiaramente libero di vendere Dracula o far tradurre all'estero qualsiasi sua versione... sappiamo che Makt Myrkranna (Islanda, 1900) è stata di fatto la terza versione tradotta di Dracula, dopo l'edizione ungherese, del 1898, e quella svedese, del 1899». Ed esiste un collegamento tra il testo svedese e quello islandese, perché il secondo sarebbe una versione ridotta del primo, ma arricchita di sfumature nordiche.

Queste ipotesi rendono affascinante la lettura de I poteri delle tenebre che dunque è a tutti gli effetti una versione alternativa e parallela del Dracula. Le sorprese iniziano fin dalla citata prefazione inedita di Bram Stoker alla traduzione islandese del suo romanzo, dove dichiara che ciò che stava per raccontare era davvero accaduto: «ci tengo a sottolineare ancora una volta che la misteriosa tragedia qui descritta è completamente vera per quanto concerne gli eventi in sé, sebbene in alcuni punti, naturalmente, io sia giunto a conclusioni diverse da quelle delle persone che in queste pagine la raccontano. Ma gli eventi in quanto tali sono inconfutabili e non possono essere negati, poiché tante persone ne sono a conoscenza. Il ricordo di questa serie di crimini non è ancora svanito dalla memoria del pubblico - crimini che appaiono incomprensibili, ma sembrano scaturire dalla stessa fonte e hanno creato a loro tempo tanto orrore tra la cittadinanza quanto i famigerati omicidi di Jack lo Squartatore, che hanno avuto luogo qualche tempo dopo».

Ed è incredibile pensare che «per più di un secolo la barriera linguistica che ha diviso l'Islanda dal resto del mondo ha impedito agli amanti delle storie soprannaturali di godere di un'opera così eccezionale» come I poteri delle tenebre.


giovedì 10 gennaio 2019

Arte e magia in mostra a Rovigo

tratto da "L'Opinione" del 03 gennaio 2019

di Dalmazio Frau

In un’Italia ridondante di mostre d’arte inutili se non banali, soprattutto quelle strapaesane con velleità nazionali, ne spicca una che merita il tempo e la compagnia. A Rovigo, città lontana dai grandi circuiti dell’arte per tutti, si espone “Arte e Magia” a Palazzo Roverella, sino al 27 gennaio, un percorso “esoterico” nell’arte pittorica tra Otto e Novecento in Europa, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, curata da Francesco Parisi.
Colui che, fortunato, avrà letto Il Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier, avrà più bell’agio nel comprendere il sottile pensiero che guida il visitare in questa esposizione di quadri scelti con cura e dedizione, ma anche il “profano” potrà lasciarsi indurre in suggestioni affascinanti e misteriche ad ogni dipinto e per ogni artista.
È la magia che ritorna e impera, con i suoi simboli e le sue “signature ermetiche” in un tempo che avrebbe dovuto prediligere la razionalità futurista, e che invece convive perfettamente miscelando l’alto e il basso, il meraviglioso, il fantastico e la realtà quotidiana. Antico e futuro segnano il punto di questo strano tempo che precede l’ultima guerra mondiale. Architettura sacra, pittura simbolica, arte e mistero che conducono a visioni oltre la Soglia, in un retaggio preraffaellita a volte, attraverso il colore dadaista di Julius Evola e la licenziosa succube scolpita da Auguste Rodin. Qui, a Rovigo, per qualche tempo ancora danzeranno i diavoli e le streghe verso il Sabba, e con loro vanno in teoria i Rosacroce e i molti cavalieri in cerca attraverso una folta selva di fantasmi che è l’Europa tra le due guerre, contornati da maghi e dalle loro cerimonie.
Un altro pregio della mostra è far comprendere a colui che ne attraversa le sale, come e in quale misura il pensiero magico e occultista abbia influenzato sia il Simbolismo europeo sia la nascita delle avanguardie storiche, divenendo quasi una sorta di “controcultura” – a volte reazionaria – a un mondo che stava rapidamente scivolando verso il modernismo. Ogni ambito del rapporto tra Arte e Magia nel nuovo secolo viene ampliamente indagato, sino all’arte applicata dell’editoria senza dimenticare l’influenza espressionista del cinema che subito aveva compreso le possibilità di esprimere la presenza del Golem o del Vampiro.
Rovigo si mostra così città intellettualmente libera e aperta a un tema che fa ancora sobbalzare, chi confonde sempre – per ignoranza – esoterismo e satanismo e chi lo rinnega in nome di un positivismo ormai stantio, che forse è esistito soltanto in poche menti tristi e senza sogni per lo più ancorate ancora a una sinistra visione di Sinistra che fa del mondo, del Cosmo, una prigione dalla quale, invece si deve poter evadere e ritornare liberi.

mercoledì 31 ottobre 2018

Così il mito del Vampiro morse sul collo il Futurismo

tratto da Il Giornale del 3 giugno 2018

di Luigi Mascheroni

Un saggio svela tutti gli «strani» rapporti tra il movimento d'avanguardia e l'esoterismo

Con la rivista Poesia, la casa del primo futurismo fondata nel 1905 da Filippo Tommaso Marinetti, collaborarono, tra gli altri, William Butler Yeats, studioso dell'alchimia e delle dottrine esoteriche occidentali; Éduard Schuré, membro della Società Teosofica e discepolo dei «grandi iniziati»; Catulle Mendès, «il grande negromante», come lo definì il pittore Henri Rousseau; Auguste Villiers de l'Isle-Adam, il cui dramma rosacrociano Axel diventò una Bibbia per il movimento simbolista; Paul Adam, appartenente all'Ordre Kabbalistique de la Rose Croix...
«Noi crediamo alla possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichiariamo senza sorridere che nella carne dell'uomo dormono delle ali» declama il manifesto futurista L'Uomo moltiplicato e il Regno della Macchina, del 1910. Le ali, le ali... Il volo alato della Poesia, le ali del pipistrello, l'ombra lunga del vampiro...

Il vampiro succhiatore di sangue - archetipo primordiale malvagio e perverso, metafora dell'erotismo sadico e della modernità che avanza - pullula, anche se il lettore distratto non se ne accorge, nelle opere (pre)futuriste, infilando i suoi canini e allungando gli artigli in tante pagine della pattuglia avanguardista, a partire dal Signore&Fondatore, F.T. Marinetti, frequentatore di occultisti, forse persino massone, di sicuro assiduo partecipante alle sedute spiritiche che si tenevano nella casa milanese di Enrico Annibale Butti e della moglie Lidia Brochon. Il poeta delle Parole in libertà disprezzava il chiaro di luna e l'amore romantico, ma era attratto dal Vampiro, figura ultra-razionale e ribelle, e dalla vampira, femmina «disposta a tutte le acrobazie della libidine»... Nella tragedia satirica e nichilista Le Roi Bombance (1905) Marinetti inventa la figura di Ptiokarum, vampiro che bevendo sangue umano legge i pensieri dei moribondi, frugando «nelle arterie come negli scaffali di una biblioteca». Nel poemetto La Conquête des Étoiles (1902) appare Lucifero, un demone umano diventato «vi-pistrello», il cui bacio «avido» imprigiona l'anima delle sue vittime. Nel poema Destruction (1904) l'amante sensuale è una vampira «bianca e pura» dalla carne flessuosa, con una bocca dal «tepore assorbente» illuminata da «denti lucenti». E visioni vampiriche e vampirizzazioni erotiche appaiono in Lussuria-Velocità (1908), in Come si seducono le donne (1917) ne L'alcova d'acciaio (1921)... Senza citare l'altra faccia del vampirismo: l'antropofagia. Tra i futuristi il cibo, il sesso e il cannibalismo si miscelano armoniosamente in un pot-pourri esplosivo (il menu prevede, oltre il racconto La carne congelata di Marinetti, Donna allo spiedo di Emilio Settimelli, il «Cannibale vegetariano» di Pino Donizzetti, il Manifesto Antropofago di Oswald De Andrade...). «Amiamo le donne. Spesso ci siamo torturati con mille baci golosi nell'ansia di mangiarne una. Nude ci sembrarono sempre tragicamente vestite. Il loro cuore, se stretto dal supremo godimento d'amore, ci parve l'ideale frutto da mordere masticare suggere», proclamano Marinetti e Fillìa nella Cucina futurista.

Vampiri, cabbala ebraica, tavolini per evocare le anime dei morti (come quello intarsiato dall'artista e futurista eccentrico, Thayath), ufologia, procedimenti alchemici e misteriosofici. Ma quanto è profonda l'anima nera di Marinetti&Co.!

Le scienze occulte e i fenomeni paranormali sono un abisso in cui si immerse tantissimo Futurismo. Che oggi, per la prima volta, viene letteralmente scandagliato da Guido Andrea Pautasso - figlio di tanto padre e profondo conoscitore della materia - in un saggio-rivelatore: Vampiro futurista. I futuristi e l'esoterismo (Vanillaedizioni, pagg. 160, euro 19). Chi avrebbe immaginato che il movimento più d'avanguardia del Novecento avesse radici così arcaiche?

«Alcuni futuristi italiani si occuparono di occultismo e di magia latu sensu ed è possibile distinguere tra il futurismo milanese di Marinetti e di Boccioni di stampo magico-teosofico, quello fiorentino vicino alla rivista Lacerba di carattere animista-metafisico e quello del gruppo de L'Italia Futurista, legato ad interessi spiritualisti ed occultisti», scrive Pautasso. E poi via, in una filologica cavalcata fra i testi del futurismo, dalla poesia alla prosa, dal teatro al romanzo, che fra sottile ironia e compiacimento per il macabro, flirtano con le culture sotterranee, alternative e ribelli: magia, stregoneria, occultismo, esoterismo, astrologia, ermetismo, alchimia...

Gino Severini partecipò a Parigi a diverse sedute medianiche in compagnia della moglie Jeanne Fort. A caccia di spiriti andarono anche il pioniere dell'estetica cinematografica Ricciotto Canudo e l'artista Thayaht. Giacomo Balla partecipava a sedute spiritiche e, attratto dagli insegnamenti del teosofo Johannes Lauweriks, si definì occultista («Cammino senza toccar terra, talmente il mio spirito è elevato e sento anche quello che non si vede»). Umberto Boccioni credeva alla teosofia e alla materializzazione degli ectoplasmi e fu influenzato dalla teoria della «quarta dimensione» dell'architetto-teosofo Claude Bragdon. Paolo Buzzi ne L'ellisse e la spirale contempla immagini e iscrizioni alla tradizione dei Rosa+Croce e nel Poema di Radio-Onde (1933-38) dimostra padronanza del mondo magico-alchemico. I fratelli Ginanni Corradini (Arnaldo Ginna e Bruno Corra) si interessarono all'arte medianica, alla trance, alla scrittura automatica, alla telecinesi, alla teosofia e all'antroposofia. Enrico Prampolini realizzò le scenografie di Thaïs (1916), film allucinatorio girato da Anton Giulio Bragaglia, inventore del fotodinamismo futurista e appassionato di «fotografia dell'invisibile». E ancora. Corrado Govoni, il pittore Athos Casarini e l'aeropittore Mino Delle Site si appassionarono ai principî teosofici, alla metapsichica e all'astrologia. Gino Cantarelli, autore dell'esoterico Ascendenze cromatiche, disegnava motivi astratti stimolati da visioni medianiche e da imprevisti flussi del subconscio. Luigi Russolo, creatore dell'arte dei rumori, iniziato all'occultismo e alle filosofie orientali, scrisse Al di là della materia, investigazione sulle «scienze segrete» e sul magnetismo. Enrico Cardile si dedicò a studi esoterici e cabalistici, culminati con la curatela del Trattato della Quinta Essenza ovvero de' Secreti di Natura attribuito al «mago» Raimondo Lullo. Giovanni Papini, prima di scendere nell'arena futurista di Lacerba, fondò con Giovanni Amendola la rivista teosofica L'Anima; poi con Ardengo Soffici, Ottone Rosai ed Emilio Pettoruti frequentò il mago (e poi pittore medianico in Argentina) Alejandro Schultz Solari, famoso come Xul Solar...

Solo i futuristi - fra arte, letteratura, moda, cinema, cucina, fotografia, design, grafica, musica, teatro e politica - furono così onnivori e pronti vampirescamente ad assorbire qualsiasi stimolo e a «divorare tutto», anche le culture più emarginate e occulte. Adoravano la luce - luce e progresso, l'arte della luce, la luce elettrica, la macchina: Fiat lux!, L'elica e la luce, Luce Marinetti - e furono attratti dal Principe delle Tenebre. Ruggero Vasari (1898-1968), poeta e pittore fra i fondatori del Futurismo, lasciò scritto: «La verità è nelle tenebre». Furono così avveniristici e razionali da precipitare nell'impenetrabile. Corsero così tanto e così avanti che si lasciarono - senza accorgersene? - il futuro dietro le spalle. Risero così apertamente da mostrare gli affilati canini. Del resto la poesia, per loro, fu sempre e solo un assalto violento «contro le forze ignote».

domenica 21 luglio 2013

Vampiri e spettri Ecco i nonni italiani del «fantastico»

Tratto da Il Giornale del 18/07/2013

di Gianfrando De Turris

Nonostante il nostro retaggio mitico, leggendario, folklorico, favolistico che risale addirittura alla classicità per poi fiorire nel medioevo, non possiamo dire di possedere una vera e propria tradizione fantastica, considerando tale quella che si è formata e codificata in tutta Europa durante il romanticismo, e che ne ha fissato i canoni quali oggi comunemente s'intendono. Il fatto è che il nostro romanticismo è stato risorgimentale, vale a dire a sfondo politico, ed ha tagliato le gambe al recupero appunto di miti, leggende, folklore e favole nazionali come avvenne in Francia, Gran Bretagna e Germania. In più ci si mise anche la critica «ufficiale», da Francesco De Sanctis a Benedetto Croce, per dire che quel tipo di romanticismo fatto di brughiere e di «fantasime» non era adatto alla nostra «anima» classica.



Nello stesso tempo, però, non è che non esistano nella nostra storia letteraria degli ultimi due secoli temi, argomenti, spunti «fantastici». Anzi, si può dire che la tentazione del fantastico abbia colpito un po' tutti i nostri maggiori scrittori, veristi compresi, anche se saltuariamente. Più diffusa la vena sotterranea a livello di narrativa popolare, e lo sforzo di una critica aperta e intelligente dovrebbe essere quello di riportarli alla luce.
Cominciò a metà degli anni Ottanta un pioniere come Enrico Ghidetti con la sua antologia Notturno italiano, alla quale seguirono quelle curate da Lattarulo, Farnetti, Reim, D'Arcangelo e Gianfranceschi, più di recente di Foni e Gallo. Sovente però autori e storie risultano gli stessi: bisogna quindi continuare a scavare in archivi, biblioteche, collezioni di giornali e riviste sia popolari che di più alto livello. Alcuni, come il bravissimo Riccardo Valla, scomparso improvvisamente a gennaio, ci stava provando in proprio scansionando vecchi testi introvabili da mettere in Rete, compito che sembra si assumerà adesso fantascienza.com di Silvio Sosio.
Ora però, in quel di Mercogliano provincia di Avellino, ecco che è nata una piccola ma efficiente casa editrice, la Keres (www.keresedizioni.com) che sotto la direzione di Antonio Daniele si è data alla riscoperta di quello che potremmo definire il protofantastico italiano, dando alle stampe tre libri non solo di bella presenza con adeguate copertine e impostazione grafica, ma anche ben curati con note, biografie e bibliografie, foto dell'autore e documenti d'epoca, a dimostrazione di un interesse critico-storico. Particolare attenzione al mito supernazionale del vampiro in una ampia accezione, intanto con l'antologia Vampiriana (pagg. 160, euro 16) che riunisce otto racconti dal 1885 al 1917, cioè pubblicati prima che fosse tradotto in italiano (1922) il Dracula di Stoker, a dimostrazione di come ci fosse attenzione ad un tema che non è solo del gotico inglese o tedesco. E poi con due romanzi, vere e proprie riscoperte, riedite dopo un secolo e più.
Uno è il primo romanzo italiano sull'essere della notte, appunto Il vampiro. Storia vera (pagg. 238, euro 13) del barone Franco Mistrali (1833-1880), giornalista, scrittore, garibaldino e anticlericale, uscito nel 1869, che nulla deve a Stoker, anzi con la sua vampira Metella anticipa la Carmilla/Mircalla di Le Fanu, e con il suo quadro inquietante Il ritratto di Dorian Gray di Wilde. Il secondo, L'anima, curato da Gianandrea de Antonellis (pagg. 190, euro 13), uscì nel 1893 e lo scrisse Enrico Annibale Butti (1868-1912), detto «l'Ibsen italiano», ed è una storia di fantasmi, apparizioni, passioni violente umane e al di là dell'umano. In entrambi, data la cultura e la psicologia dei due autori, si scontrano scienza e fede, razionalità e irrazionalità, materia e spirito, oscillando i protagonisti fra l'incredulità di fondo e il desiderio di credere a fatti oggettivamente inspiegabili e sovrannaturali.
Vere sorprese per i lettori di oggi che cominceranno così a scoprire le radici dell'Immaginario italiano.


 

venerdì 22 giugno 2012

domenica 20 maggio 2012

"Vampiri" a Trani Metti un masso sul morto iapigio

Tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 3/3/2002

Due tombe, per quattro defunti: furono inumati senza onoranze funebri e in posizione prona, con un macigno addosso.L’inquietante ipotesi degli antropologi: erano reietti che non dovevano assolutamente tornare tra i vivi

"Vampiri" nell’antica Trani. E ciò che hanno sospettato archeologi e antropologi di fronte alle due sconcertanti tombe iapigie emerse a Capo Colonna. Qui qualcosa di unico nella storia degli scavi in Puglia - nonché della ritualità funebre antica - si è parato davanti agli occhi dell’archeologa Ada Riccardi della Sovrintendenza. Nella sepoltura più piccola era deposto un cadavere in posizione prona, inginocchiato, schiacciato da un lastrone piazzatogli sulla spalla; nel secondo sepolcro, invece, tre erano i defunti, anch’essi inumati, ognuno con un proprio masso addosso.
Lo scavo è stato condotto dalla Riccardi nel 2001. Ma la notizia, per evidente cautela, non era trapelata finora.
Durante gli scavi precedenti effettuati negli anni ‘70 a Capo Colonna, la penisoletta di Trani dove sorge il bel Monastero che sarà sede museale, non erano emerse sepolture: si trovarono invece tracce di insediamenti dell’età del Bronzo e anche fondi di capanna dell’età del Ferro, delimitate da un fossato. Furono recuperati reperti tardo-elladici e micenei (secondo la testimonianza dell’archeologo di allora: ma nessuno li ha mai visti, né sembra siano stati mai pubblicati!). Lo scorso anno però si ripresero le indagini in una zona limitrofa e riaffiorarono strutture di ambienti, con un cortile che doveva essere in origine lastricato (lo si deduce dal "vespaio" di ciottoli di mare disseminati, che avrebbero dovuto formare il sottofondo). Le pareti di questo edificio presentavano una originalità. i paramenti esterni dei muri erano costituiti da lastroni infissi verticalmente nel terreno. Una tecnica costruttiva mai attestata per l’antica Peucezia (o per la Daunia, visto che Trani allora sorgeva sul confine tra queste due popolazioni). D’altronde si doveva trattare, quasi certamente di un luogo di culto.
In questi ambienti sono riafforati frammenti di ceramica iapigia (un’olla ed altri cocci di vasi) che rimandano a una decorazione tipicamente daunia. Stravagante è il disegnino di uno dei frammenti, che raffigura un bipede con una voluminosa cresta, nonché una lunga coda da rettile. Il loro "stile" indica con ogni verosimiglianza la datazione dell’intero insediamento e quindi delle tombe. Tutto dunque farebbe pensare alla fine del IX o all’inizio dell’VIII secolo avanti Cristo.
Una fossa circolare fu scavata accanto alla parete dell’edificio maggiore. A che cosa servisse? Resta per ora una domanda senza risposta; e ancora più intrigante è aver constatato che nell’interno del pozzetto fossero stati infisse delle pietre. Certo un rito, di cui ci sfugge il senso.
Tuttavia il culmine del mistero di questo scavo a Capo Colonna non è certo la fossa, quanto le due tombe: che di per sé costituiscono una eccezionalità per questa epoca. Una di esse è all’interno all’edificio, l’altra, più piccola, è esterna, si direbbe nel "cortile".
Come si è detto, in quest’ultima sepoltura fu deposto - ben duemila e ottocento anni fa - un uomo in una posizione ben strana: quasi inginocchiato, prono, con addosso un lastrone. Identica fine fu riservata ai tre defunti ammassati nella tomba più vasta, anch’essi seppelliti con un macigno addosso. Il primo è un adulto maschio - ci dice il prof Vito Scattarella del Dipartimento di Zoologia, sezione Antropologica dell’Università di Bari, che con il dottor Sandro Sublimi Saponetti stanno studiando i resti ossei. Gli altri sono due adulti dai venti ai quarant’anni e un ragazzo di quindici anni. L’indagine prosegue, ma nessun segno traumatico è ancor apparso sulle ossa: il che escluderebbe, per ora, una morte violenta, inflitta loro dalla comunità, che pure volle punire questi morti per l’eternità.
Che si trattasse di sepolture di reietti era emerso da vari indizi: non solo l’imposizione dei massi, ma anche la mancanza di qualsiasi elemento a corredo funebre: neppure un frammentino di ceramica fu adagiato nelle tombe. Eppure i loro corpi non furono lasciati insepolti o gettati in mare. Oltre al sasso, i corpi furono coperti da terreno, e le tumulazioni furono sigillate con un lastrone di pietra. È quasi esplicita in un siffatto rituale la volontà di impedire ai defunti un ritorno tra i vivi. E a un fenomeno di "vampirismo" hanno pensato gli antropologi baresi Scattarella e Sublimi. Le deposizioni di Trani, pur essendo uniche in Italia, hanno dei riscontri con altre scoperte dagli archeologi nel nord della Grecia: fu la studiosa greca Anastasia Tsaliki (ora docente in Inghilterra) a rivelare in alcuni congressi di antropologia la permanenza di rituali funebri di questo genere, dall’età neolitica fino ai giorni nostri. Il masso imposto al defunto doveva impedire che, egli tornasse a portare scompiglio nella comunità dei vivi. Naturalmente quando si parla di "vampirismo" non ci si vuol riferire al mondo dell’orrore, come lo intendiamo oggi. E tuttavia questi trapassati dovevano essere affetti da morbi connessi con la manifestazione del sangue, sostengono gli antropologi: quali la fotofobia, la porfiria, la tubercolosi polmonare, la rabbia ecc...
Su quali fonti letterarie o documentali dell’antichità si basi questa convinzione, non è dato ancora sapere con precisione. Ma certo, l’indagine non finisce qui, e di queste sepolture si continuerà a parlare.
Macigni, ritorni dal mondo dei morti… Un nesso non nuovo: il più immediato riscontro che il mito può fornirci - se vogliamo stare al gioco - è quello di un celebre "revenant": Sisifo. L’astuto fondatore di Corinto, che aveva incatenato la Morte, e una volta defunto aveva ingannato anche gli dèi degli inferi ed era tornato a vivere (uno dei rarissimi casi di "zombi" nel mito) fu punito con un masso da sospingere per l’eternità. Perché aveva osato l’impossibile "ritorno".

Giacomo Annibaldis

La coincidenza
Qui Davanzati scrisse nel ‘700 il suo trattato "sopra i vampiri" È solo una coincidenza. Ma è stravagante che si parli di "vampirismo" nell’antica Trani, nella città in cui fu "incubato" - duemilacinquecento anni dopo l’inumazione di questi defunti iapigi - il primo trattato completo sui "revenants": quella "Dissertazione sopra i vampiri" scritta nel 1739-40 da Giuseppe Davanzati, che di Trani era in quegli anni arcivescovo e vi mori nel 1755 (era nato a Bari nel 1665). La "Dissertazione" era un’anatomia completa e illuministica non solo del diffuso fenomeno del vampiro, ma di tutto il luna park dell’orrore. Pubblicata postuma nel 1774 dal nipote Forges Davanzati, è stato riproposta nel 1998 da Besa editrice.