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giovedì 22 ottobre 2015

Rieti e la sua ricchezza sotterranea

tratto da L'Opinione del 7 ottobre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/10/07/perricone_cultura-07-10.aspx)

di Gianluca Perricone

L’Italia è il Paese più bello del mondo perché ricco di testimonianze della propria storia, del proprio passato, delle proprie origini. E, a questo proposito, diverse città italiane “nascondono”, nel loro sottosuolo, le testimonianze di quelle che furono le loro origini. Ci è capitato di recente di esplorare i sotterranei di Rieti, nel Lazio, alle pendici del monte Terminillo: sotto alle vie dell’attuale centro cittadino si apre un mondo straordinario ed affascinante (www.rietidascoprire.it), fatto di volte, architravi, antichi vicoli, che conduce al viadotto romano e che aspetta di essere scoperto dai visitatori.

Anticamente occupata da un grande bacino, Rieti fu conquistata insieme al resto della regione sabina, nel 290 a.C. da Manio Curio Dentato. Le acque del fiume Velino, ricche di sostanze minerali, avevano nel corso dei secoli incrostato le rocce, creando una barriera travertinosa che impediva il deflusso delle stesse a valle. Il console romano fece eseguire il taglio delle Marmore, consentendo così al fiume di precipitare nel Nera e liberare la pianura di Rieti dalle acque del “lacus Velinus”. Questa importante opera idraulica, citata spesso nelle fonti antiche, è considerata uno degli interventi paesaggistici più interessanti e spettacolari della storia, che da una parte mise Reate in urto con Terni per i contrastanti interessi connessi alla regolamentazione delle acque del fiume Velino; dall’altra trasformò la città in un importante centro agricolo, naturale fornitore di Roma, “vocazione” che il capoluogo sabino non ha mai abbandonato nel corso dei secoli.

Dopo la conquista Rieti fu sempre molto legata a Roma e collegata ad essa dalla Salaria, la via più antica che usciva da Roma. La denominazione dell’importante arteria si deve alla sua funzione originaria che consentiva alla popolazioni dell’entroterra sabino e dell’agro reatino di raggiungere Roma per rifornirsi di sale nel Foro Boario, trasportato qui dalle saline della foce del Tevere ed alle popolazioni del Piceno di trasportare numerosi prodotti verso la capitale. Inizialmente la strada doveva giungere a Rieti, e solo successivamente venne prolungata fino all’Adriatico, in seguito all’assoggettamento del Piceno avvenuto nel 268 a.C.

L’ampliamento del percorso richiese un notevole dispendio di energie e di risorse economiche, se si pensa che per aprirsi un varco in direzione del mare, i romani furono costretti a realizzare subito dopo l’abitato di Interocrium (l’odierna Antrodoco) dei tagli verticali nelle rocce che ancora oggi caratterizzano le “gole del Velino”. In loco il fiume ha scavato una forra profondissima , forse la più selvaggia e suggestiva di tutto l’Appennino, dove è possibile ammirare il “Masso dell’Orso”, rupe tagliata dai romani per un’altezza di circa 30 metri e una lunghezza di 20 a perpendicolo sul fiume. Queste ed altre modifiche, furono necessarie per rendere la consolare Salaria, la principale via di comunicazione per l’intero territorio sabino, utilizzabile in qualsiasi periodo.

Insomma, proprio all’acqua sono state, nella storia, collegate le vicende del capoluogo sabino. L’abbondanza delle acque della città di Rieti infatti, e le ricorrenti piene del Fiume Velino, resero altresì necessaria la costruzione di un viadotto formato da fornici rampanti per elevare la Salaria. Questo manufatto, superando il fiume con un solido ponte in pietra dove sono ancora visibili i profondi solchi lasciati dalla ruote dei carri utilizzati per il trasporto del sale, permetteva alla strada di raggiungere la città sviluppatasi su una rupe, evitando allagamenti ed impaludamenti. La struttura inglobata nei sotterranei di alcune dimore patrizie reatine è formata da grandiosi fornici romani costruiti con enormi blocchi squadrati di travertino cavernoso, a sostegno del piano stradale.

Il rapporto tra Rieti e l’acqua è testimoniato anche dall’esistenza di quello che fu un porto fluviale posizionato sulla riva destra del fiume Velino e che veniva utilizzato per l’attracco delle barche che trasportavano granaglie dalla valle reatina ai sotterranei degli edifici citati. In loco, la presenza di archi ribassati testimonia i continui aumenti di livello delle rive del fiume, tesi ad evitare l’annoso problema delle inondazioni delle case. Nel passato infatti, le acque si addentravano per diversi metri lungo l’odierna via del Porto trasformandola in un canale navigabile. Così Rieti, con stretti canali formati da case torre appoggiate al viadotto romano, si trasformava in un piccola “Venezia di acqua dolce” per poi tornare, per brevi periodi, alla percorribilità delle sue strade. Una interazione in continua evoluzione del rapporto città-acqua-fiume-viadotto romano e le cui testimonianze sono ancora evidenti nel meraviglioso mondo sotterraneo della città.