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domenica 23 luglio 2023

Da Barbablù al vampiro di Bergamo ecco i casi veri del passato

tratto da Il Giornale del 13 Agosto 2021 

La figura dell'omicida seriale esiste da sempre. Locusta fece una strage ai tempi dell'antica Roma

di Matteo Sacchi


Gli esseri umani uccidono. Per un infinità di motivi. A volte però diventa un atto compulsivo, incoercibile, ribadito con furia e modalità sempre uguale. La psicoanalisi ha esaminato queste psicosi, ha incasellato, a partire dagli anni Settanta del Novecento, chi ne è soggetto come omicida seriale. Ma se la classificazione di questi comportamenti, aberranti, è recente il loro insorgere tra gli esseri umani è antichissimo, probabilmente ancestrale. Difficile risalire a quale sia il più antico serial killer conosciuto. Si potrebbe fare appello addirittura al mito greco di Procuste. Questo brigante appostato sul monte Coridallo, nell'Attica, lungo la via sacra tra Eleusi e Atene, aggrediva i viandanti e li straziava battendoli con un martello su un'incudine modellata a misura di letto (il suo). I malcapitati venivano così torturati e «stirati» se troppo corti, o amputati qualora i loro arti sporgessero. Forse il personaggio ucciso nella leggenda da Teseo non è mai esistito. Ma il comportamento può ricordare quello di serial killer moderni con disturbi legati alla loro fisicità. Procuste per non sentirsi inadeguato adegua il mondo a se stesso.

Ci sono casi in epoca storica che indubbiamente potrebbero avvicinarsi alle tipologie dell'assassino seriale come quello dell'avvelenatrice romana (ma di origine gallica) Locusta. Venne accusata anche della uccisione dell'imperatore Claudio, di Britannico e di un numero imprecisato di altre persone. Arrestata fu condannata a morte nel 69 dopo Cristo durante le Agonalia. In questo caso difficile distinguere tra la killer prezzolata e l'assassina compiaciuta delle sue pozioni descritta da alcune fonti antiche come Svetonio. Era invece probabilmente un serial killer a tutti gli effetti Gilles de Montmorency-Laval (1405-1440). Barone di Rais, compagno d'Arme di Giovanna d'Arco si interessava di pratiche alchemiche condite con l'omicidio e lo stupro. Torturò e uccise, secondo le accuse centoquaranta adolescenti. Attorno al 1432 dopo lunghi anni di campagna militare contro gli inglesi e per una serie di incroci familiari si ritrovò ad ereditare un enorme ricchezza. Si diede rapidamente a spese folli e guerre private. Si fece rapidamente anche dei nemici. Contemporaneamente iniziò a dare la caccia alla pietra filosofale, condita con sacrifici umani. I suoi eccessi e le sue violenze portarono al suo arresto nel 1440. Iniziarono ad accumularsi testimonianze sulla scomparsa di bambini nelle sue proprietà. Ne approfittarono i suoi rivali, il duca di Bretagna e il Vescovo di Nantes montando un processo a senso unico. Finì prima impiccato e poi bruciato. Ma per gli storici attuali è difficile capire quanti dei reati di cui è stato accusato siano reali. Di certo la confessione di Gilles venne estorta con la tortura. Alcuni storici e antropologi, tra cui George Bataille, hanno provato a riconsiderare la realtà delle accuse. I giudizi sono divisi ma di certo il processo restò nell'immaginario collettivo. Tutta l'incredibile e truculenta faccenda ha ispirato lo scrittore francese Charles Perrault per la fiaba del 1697 Barbablù.

Ancora più truce, se possibile, la vicenda di Peter Stubbe che, nel 1589, fu giustiziato per «licantropia». Stubbe viveva a Bedburg, nei pressi di Colonia, secondo gli atti processuali gli sono attribuibili l'omicidio di due donne incinte e tredici bambini (compresi i suoi figli). Uccideva le vittime tagliando o mordendo loro la gola, dopodiché ne portava il cadavere in luoghi isolati per poterne bere il sangue ed estrarne gli organi interni (uccise anche suo figlio per mangiarne il cervello).

Una compulsione non molto diversa da quella dell'italiano Vincenzo Verzeni. Noto come il vampiro della Bergamasca venne condannato per l'omicidio di due donne e l'aggressione di altre sei tra il 1867 e il 1872. Il suo caso attirò l'attenzione anche di Cesare Lombroso. In questo caso siamo già di fronte ad un processo moderno e a testimonianze non estorte: «Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere.». Verzeni venne rinchiuso nel manicomio milanese della Senavra (il palazzo esiste ancora) e lì trascorse moltissimi anni. La scienza medica stava iniziando a spalancare gli abissi della mente umana per studiarli. I disturbi di Verzeni erano legati ad un'infanzia piena di violenze e di traumi. Cosa abbia trasformato in predatori seriali moltissimi prima di lui, non lo sapremo mai.