martedì 27 ottobre 2015

MERAVIGLIOSO O FANTASTICO? L'immaginario nella letteratura Medievale Parte II

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleoneblog.blogspot.it/2013/05/meraviglioso-o-fantastico-limmaginario_27.html


La seconda ed ultima parte

Passando velocemente ad una breve osservazione di Rossana Brusegan sui Fabliaux francesi medievali, si noterà come anche in queste brevi storie il ricorso al meraviglioso è quasi inevitabile: "Realtà e irrealtà si fondono infatti in iperrealismo nell'atmosfera notturna delle notti d'inganni, negli effetti fantastici-mostruosi della descrizione del villano carico di vits e della moglie di cons presi in una priapica metamorfosi, nella minuziosa descrizione dei membri entro la cornice evanescente del folle sogno, in quella delle morti cruente da Grand Guignol dei preti portati a seppellire da Estormi, negli effetti grotteschi della finta morte del villano di Bailluel. Quello che importa è lo stupore, la meraviglia e la sorpresa".[1]
Sul concetto di meraviglioso come altro e come qualcosa che rimanda ad un passato troppo lontano per dare dimostrazione di ciò che esisteva nuovamente il pensiero di Poirion potrà esserci d'aiuto: "Il meraviglioso è dunque legato alla stranezza di un desiderio, in quanto timore letterario ci rimanda a un desiderio di timore. Il ricorso ad una tradizione diversa permette di affrancarsi dalle norme morali, sociali o scientifiche. La stranezza del desiderio colto nella proiezione immaginaria del meraviglioso si confonde con la figura dell'altro, dello straniero, di una creatura venuta da un altro mondo, dall'Altro Mondo. In concreto, le forme del meraviglioso che si radicano nella nostra letteratura provengono dunque spesso dal di fuori e chi le indaga vi riconosce gli elementi di un sistema culturale diverso che si organizzano all'interno del nostro. Il meraviglioso spiega allora come la <<ricezione>> di un'altra cultura da parte della cultura comune di fronte alle manifestazioni di credenze diverse. Il meraviglioso infatti non si dà immediatamente come credibile, ma ci rimanda a un passato o a un altrove in cui quelle manifestazioni sarebbero state credute. Miti arcaici, mitologia antica, leggende celtiche si scontrano con altre figure considerate storiche. Il meraviglioso mette in risalto la differenza delle altre storie rispetto alla Storia".[2] Questo rimando del meraviglioso a qualcos'altro, lo troviamo per esempio in Isidoro di Siviglia[3], quando nei capitoli delle Etymologie dedicati a mostri, portenti e trasformati include esseri che fanno parte della mitologia classica.
"... Quando le metamorfosi delle forme e dello spirito scatenano la fantasia e l'immaginazione, ecco che ritroviamo il mostro e la bestia, le stesse divinità dell'Olimpo rivestono spesso un carattere selvatico, quasi animale. Con questo spirito vi ha generalmente attinto l'iconografia romanica. Il fenomeno ricompare nel Duecento e si sviluppa con il disgrgarsi del classicismo gotico. L'Antichità mostruosa si sostituisce progressivamente all'Antichità umanista. La mitologia moralizzata si snatura".[4] Il meraviglioso potrebbe essere il linguaggio, ermetico e limitato, della società medievale, atto ad esprimere i suoi sogni, i suoi desideri e le sue proteste.[5]
"Le pietre incise con queste effigi (mostruose) avevano indubbiamente dei poteri magici. Una forza sovrannaturale sgorga dallo spostamento, dalla ripetizione, dalla dilatazione mostruosa e dalla mescolanza delle forme viventi. Secondo il Blanchet, la parola 'accrescimento che accompagna un grillo e la frequenza delle teste d'ariete indicherebbero che questi amuleti avevano a che fare con la fertilità e la ricchezza".[6]
Per l'origine della parola meraviglioso Le Goff potrà esserci d'aiuto: "E poi, c'è il problema dell'etimologia. Con il termine mirabilia ci troviamo di fronte ad una radice mir (mirir, mirari) che comporta qualcosa di visivo. Si tratta di un guardare. I mirabilia naturalmente non sono solo cose che l'uomo può ammirare con gli occhi, cose davanti alle quali si spalancano gli occhi; originariamente, però, c'è questo riferimento all'occhio che mi pare importante,  in quanto tutto un immaginario può organizzarsi attorno a questo richiamo ad un senso, quello della vista, e attorno a una serie di immagini e metafore che sono metafore visive. Se pensiamo allo spesso citato libro di Pierre Mabille, Le Miroir du merveilleux (1962), siamo indotti a fare un accostamento particolarmente pertinente per l'Occidente medievale fra mirari, mirabilia (meraviglia) e miror (benché il latino abbia qui speculum, da cui l'italiano <<specchio>>; ma il francese ristabilisce le parentele) e tutto quello che un immaginario e una ideologia del <<miroir>>-specchio possono rappresentare... Una indagine sul meraviglioso nel mondo medievale non può trascurare l'apporto delle lingue volgari. Ancora una volta mi limiterò qui a un'osservazione molto semplice, ma fondamentale: quando le lingue volgari affiorano, e diventano lingue letterarie, il termine meraviglia compare in tutte le lingue romanze ed anche in inglese. Non esiste invece nelle lingue germaniche, dove il campo del meraviglioso si articolerà piuttosto attorno al Wunder".[7]
Bisogna tener presente un'altro elemento per tentare di comprendere la mentalità che è in grado di cogliere e far suo il meraviglioso, ovvero, la "nascita" nel Medioevo di un occhio e di un orecchio interni pronti a cogliere e comprendere la verità eterna, questi organi vedono e sentono, agiscono nel mondo delle immagini.[8]
Tra le varie immagini dobbiamo prendere in considerazione quelle che per questo studio sono fondamentali (Due sono i tipi di immagini che a noi interessano in particolar modo. Le prime sono quelle letterarie che possono essere viste solo con l'occhio dell'immaginazione da parte del lettore dei Bestiari e di altre opere del genere. Le seconde sono quelle che chiunque poteva e può vedere nelle sculture delle chiese o nei dipinti sacri e profani). "La rinascita dei cicli dell'inferno, delle creature deformi, degli esseri favolosi che si moltiplicano nei Bestiari, nei margini dei manoscritti o nella decorazione scultorea, e il reintegrarsi di tutto un mondo fittizio all'interno del mondo vivente, alterano l'unità dei temi e dei principi della prima fase di questa genesi. Essi fanno rivivere allo stesso tempo le fonti che hanno sempre alimentato le fantasie e le leggende: l'Antichità classica e l'Oriente."[9]

[1] AA.VV. Fabliaux. Racconti francesi medievali, A cura di R. Brusegan, Giulio Einaudi editore, Torino 1980, p. XIV.
[2] D. Poirion, Op. cit. pp. 4-5.
[3] Isidori Hispalensis, Etymologiarum sive Originum  libri XX, P.L.?
[4] Baltrusaitis J., Op. cit., pg,43.
[5] Cfr. Anonimo, Liber monstrorum, Intr., ed., vers., e comm. di F. Porsia, Dedalo Libri, Bari 1976, pp. 35 e ss.
[6] Baltrusaitis J., Op. cit., pg. 52.
[7] J. Le Goff, Op. cit. p. 6.
[8] Cfr. J. Le Goff. L'immaginario medievale, trad. it. di A. Salomon Vivanti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
[9] J. Baltrusaitis, Op. cit. p. 39.

sabato 24 ottobre 2015

MERAVIGLIOSO O FANTASTICO? L'immaginario nella letteratura Medievale Parte I

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleoneblog.blogspot.it/2013/05/meraviglioso-o-fantastico-limmaginario.html


La prima parte di un lavoro sull'estetica medievale ed i bestiari



MERAVIGLIOSO O FANTASTICO?

L'immaginario nella letteratura Medievale


In questa prima parte, si ritiene necessario definire la differenza tra meraviglioso e fantastico all'interno della letteratura medievale.

Questa distinzione è utile sia per il lavoro ermeneutico che verrà fatto sui bestiari, sia per definire con la maggior chiarezza possibile il concetto di meraviglioso.

"Il <<meraviglioso>>: si tratta in primo luogo di sapere che cosa noi intendiamo per meraviglioso e di capire in secondo luogo come gli uomini del Medioevo intendevano ed esprimevano quello che noi oggi chiamiamo meraviglioso. Nell'Occidente medievale esisteva un termine corrispondente. In ambiente colto era d'uso corrente nel Medioevo il termine mirabilis, che aveva più o meno lo stesso significato del nostro aggettivo. Dobbiamo tuttavia rilevare che i clerici del Medioevo a voler essere precisi non possedevano una categoria mentale, letteraria, intellettuale, che ricalchi esattamente quello che noi chiamiamo il meraviglioso. Al nostro <<meraviglioso>> corrisponde piuttosto il plurale, mirabilia. Se si può dunque riconoscere una continuità di interesse fra il Medioevo e noi per un medesimo fenomeno che chiamiamo <<il meraviglioso>>, dobbiamo osservare che là dove noi vediamo una categoria - una categoria dello spirito o della letteratura -, gli uomini colti del Medioevo e quelli che da loro ricevevano la propria informazione e formazione vi vedevano, certo, un universo - e questo è molto importante -, ma un universo di oggetti, una collezione più che una categoria"[1].

"Per la letteratura esemplare sembra più conveniente impiegare il termine meraviglioso, intendendo con esso la dimensione del sovrannaturale, sia esso folclorico o cristiano. Nella mentalità medievale il meraviglioso fa parte integrante dell'universo, si incontra e si confronta con la sfera dell'esperienza quotidiana, suscitando spesso effetti di un sublime grottesco. Il patto sotteso tra narratore e destinatario dei racconti esemplari, fondato sulla comune credenza nel sovrannaturale, elimina alla radice la possibilità di quella vertigine epistemologica, di quella  <<crispation du rationalisme>>, in cui risiede il fascino peculiare della letteratura fantastica moderna. Posto di fronte ad un evento meraviglioso il lettore medievale deve decidere non già se esso sia verisimile, ma se esso ricada nella categoria dei mirabilia naturali, o non sia piuttosto un miracolo, o una diablerie, cioè un finto miracolo, costruito dalla scienza diabolica mediante la manipolazione dei processi naturali. Angeli, santi e demoni per dirla con Le Goff, sono le <<milizie cristiane del meraviglioso>>, alle quali spetta il compito di orientare e di rendere significativo l'ordine banale della vita quotidiana".[2]

Da questa pagina di Delcorno emerge un dato per noi fondamentale,  quello della quotidianità del meraviglioso per l'uomo medievale. Quotidianità che dimostra l'esistenza di una mentalità del fantastico in generale e del meraviglioso in particolare. E se per Le Goff più che di categoria è opportuno parlare di universo, di collezione di oggetti, noi tenteremo di verificare, allora, se questo universo può essere una categoria. Lo scopo di questo capitolo è quello di far emergere l'"abitudine" mentale al meraviglioso, al fantastico negli uomini del Medioevo Occidentale.

" Il Medioevo non rinuncerà mai al fantastico. Vi ritorna senza posa nel corso della sua evoluzione, ora facendo rivivere le sue forme primitive, ora arricchendole con sistemi nuovi".[3]

Il fantastico può cambiare modo espressivo,  si evolve, si trasforma e rimodella, ma è sempre presente nella cultura medievale". La rinascita dei cicli dell'Inferno, delle creature deformi, degli esseri favolosi che si moltiplicano nei Bestiari, nei margini dei manoscritti o nella decorazione scultorea, e il reintegrarsi di tutto un mondo fittizio all'interno del mondo vivente, alterano l'unità dei temi e dei princìpi della prima fase di questa genesi. Essi fanno rivivere allo stesso tempo le fonti che hanno sempre alimentato le fantasie e le leggende: l'Antichità classica e l'Oriente".[4] Dieci secoli nei quali possiamo individuare una sicura costante, questo universo che ha come prerogativa l'insolito e forse per questo motivo entra sì prepotentemente nel quotidiano.

Sul rapporto e sulle differenze tra il fantastico ed il meraviglioso nella letteratura del Medioevo Occidentale può essere interessante il discorso fatto da Poirion nell'introduzione al suo Il meraviglioso nella letteratura francese del Medioevo[5]: " Tuttavia i teorici del fantastico, nella loro <<poetica>>, hanno dato scarsa rilevanza alla féerie medievale. Northrop Frye, Roger Caillos, Tzvetan Todorov considerano lo strano e il meraviglioso come qualità marginali rispetto al fantastico, valorizzato dal mistero che introduce nella realtà.

Queste distinzioni risultano assai meno pertinenti se si cerca di utilizzarle per spiegare Chrétien de Troyes, Maria di Francia o il Lancelot en prose. In tal caso le opere qualificate come  <<meravigliose>> (la parola meraviglia esprime spesso il giudizio dell'autore) corrispondono esattamente alle forme che, quando ricorrono nell'iconografia gotica, lo storico dell'arte Jurgis Baltrusaitis designa col termine di fantastiche. In effetti lo strano, il meraviglioso, il fantastico indicano lo stesso fenomeno, ma visto secondo le diverse prospettive della psicologia, della letteratura e dell'arte. Se poi consideriamo il fenomeno in se stesso, possiamo definirlo come la manifestazione di uno scarto culturale fra i valori di referenza, che servono a stabilire la comunicazione fra l'autore e il suo pubblico, e le qualità di un mondo altro. Dato che il nostro oggetto è la letteratura, ci serviremo del termine meraviglioso per designare la presenza di tale alterità nelle opere medievali, senza rinunciare, in parallelo, a cercare la percezione di una stranezza su cui si fonda o l'apertura verso un immaginario fantastico che le dà forma."[6].
Michele Leone


[1] J. Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente medievale, Editori Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 5-6.
[2] C. Delcorno, Illusione diabolica e meraviglioso quotidiano nell'<<exemplum>> medievale, in Gli universi del fantastico, a c. di V. Branca e C. Ossola, Vallecchi Editore, Firenze 1988, pp. 238-239.
[3] J. Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell'arte gotica, Adelphi, Milano 1994, p. 39.
[4] Idem.
[5] D. Poirion, Il meraviglioso nella letteratura francese del Medioevo, trad. it. di G. Zattoni Nesi, Giulio Einaudi editore, Torino 1988.
[6] Idem p. 3.

giovedì 22 ottobre 2015

Rieti e la sua ricchezza sotterranea

tratto da L'Opinione del 7 ottobre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/10/07/perricone_cultura-07-10.aspx)

di Gianluca Perricone

L’Italia è il Paese più bello del mondo perché ricco di testimonianze della propria storia, del proprio passato, delle proprie origini. E, a questo proposito, diverse città italiane “nascondono”, nel loro sottosuolo, le testimonianze di quelle che furono le loro origini. Ci è capitato di recente di esplorare i sotterranei di Rieti, nel Lazio, alle pendici del monte Terminillo: sotto alle vie dell’attuale centro cittadino si apre un mondo straordinario ed affascinante (www.rietidascoprire.it), fatto di volte, architravi, antichi vicoli, che conduce al viadotto romano e che aspetta di essere scoperto dai visitatori.

Anticamente occupata da un grande bacino, Rieti fu conquistata insieme al resto della regione sabina, nel 290 a.C. da Manio Curio Dentato. Le acque del fiume Velino, ricche di sostanze minerali, avevano nel corso dei secoli incrostato le rocce, creando una barriera travertinosa che impediva il deflusso delle stesse a valle. Il console romano fece eseguire il taglio delle Marmore, consentendo così al fiume di precipitare nel Nera e liberare la pianura di Rieti dalle acque del “lacus Velinus”. Questa importante opera idraulica, citata spesso nelle fonti antiche, è considerata uno degli interventi paesaggistici più interessanti e spettacolari della storia, che da una parte mise Reate in urto con Terni per i contrastanti interessi connessi alla regolamentazione delle acque del fiume Velino; dall’altra trasformò la città in un importante centro agricolo, naturale fornitore di Roma, “vocazione” che il capoluogo sabino non ha mai abbandonato nel corso dei secoli.

Dopo la conquista Rieti fu sempre molto legata a Roma e collegata ad essa dalla Salaria, la via più antica che usciva da Roma. La denominazione dell’importante arteria si deve alla sua funzione originaria che consentiva alla popolazioni dell’entroterra sabino e dell’agro reatino di raggiungere Roma per rifornirsi di sale nel Foro Boario, trasportato qui dalle saline della foce del Tevere ed alle popolazioni del Piceno di trasportare numerosi prodotti verso la capitale. Inizialmente la strada doveva giungere a Rieti, e solo successivamente venne prolungata fino all’Adriatico, in seguito all’assoggettamento del Piceno avvenuto nel 268 a.C.

L’ampliamento del percorso richiese un notevole dispendio di energie e di risorse economiche, se si pensa che per aprirsi un varco in direzione del mare, i romani furono costretti a realizzare subito dopo l’abitato di Interocrium (l’odierna Antrodoco) dei tagli verticali nelle rocce che ancora oggi caratterizzano le “gole del Velino”. In loco il fiume ha scavato una forra profondissima , forse la più selvaggia e suggestiva di tutto l’Appennino, dove è possibile ammirare il “Masso dell’Orso”, rupe tagliata dai romani per un’altezza di circa 30 metri e una lunghezza di 20 a perpendicolo sul fiume. Queste ed altre modifiche, furono necessarie per rendere la consolare Salaria, la principale via di comunicazione per l’intero territorio sabino, utilizzabile in qualsiasi periodo.

Insomma, proprio all’acqua sono state, nella storia, collegate le vicende del capoluogo sabino. L’abbondanza delle acque della città di Rieti infatti, e le ricorrenti piene del Fiume Velino, resero altresì necessaria la costruzione di un viadotto formato da fornici rampanti per elevare la Salaria. Questo manufatto, superando il fiume con un solido ponte in pietra dove sono ancora visibili i profondi solchi lasciati dalla ruote dei carri utilizzati per il trasporto del sale, permetteva alla strada di raggiungere la città sviluppatasi su una rupe, evitando allagamenti ed impaludamenti. La struttura inglobata nei sotterranei di alcune dimore patrizie reatine è formata da grandiosi fornici romani costruiti con enormi blocchi squadrati di travertino cavernoso, a sostegno del piano stradale.

Il rapporto tra Rieti e l’acqua è testimoniato anche dall’esistenza di quello che fu un porto fluviale posizionato sulla riva destra del fiume Velino e che veniva utilizzato per l’attracco delle barche che trasportavano granaglie dalla valle reatina ai sotterranei degli edifici citati. In loco, la presenza di archi ribassati testimonia i continui aumenti di livello delle rive del fiume, tesi ad evitare l’annoso problema delle inondazioni delle case. Nel passato infatti, le acque si addentravano per diversi metri lungo l’odierna via del Porto trasformandola in un canale navigabile. Così Rieti, con stretti canali formati da case torre appoggiate al viadotto romano, si trasformava in un piccola “Venezia di acqua dolce” per poi tornare, per brevi periodi, alla percorribilità delle sue strade. Una interazione in continua evoluzione del rapporto città-acqua-fiume-viadotto romano e le cui testimonianze sono ancora evidenti nel meraviglioso mondo sotterraneo della città.

giovedì 15 ottobre 2015

I SENTIERI DI SAN MICHELE

Culti micaelici e antica viabilità sui monti del Chianti
di R. Centri e L. Pecchioni

Sui monti del Chianti il nome di San Michele Arcangelo ritorna costantemente, caratterizzando chiese, eremi, torrenti e la vetta stessa della catena: Monte San Michele, che fino all’inizio del novecento era meta di processioni devozionali. Il contesto geografico è reso coerente dall’esistenza di una strada antichissima, che rappresentava nel medioevo un importante itinerario per i pellegrini e un punto di riferimento per le transumanze. Di essa rimane un avvincente intreccio di sentieri, ricchi di curiosità e scorci suggestivi: un patrimonio culturale che aspetta da molto tempo di essere riscoperto, sia in senso archeologico, sia semplicemente turistico.
Proprio in Chianti, in un eremo dedicato a San Michele, esattamente settecento anni fa nasceva una confraternita le cui costituzioni si sarebbero diffuse in buona parte dell’occidente europeo. I monaci, solo in seguito definiti girolamini, scelsero questi luoghi per rifugiarsi sotto la protezione dell’Arcangelo, come fecero già molti eremiti in precedenza. Per gli autori del presente volume l’anniversario è stato uno stimolo a procedere in una ricerca specificamente dedicata ai culti e alle titolazioni micaeliche del Chianti, argomento raramente affrontato in modo esteso.    

tra gli argomenti trattati:
VIABILITÀ E PROPOSTE SENTIERISTICHE
SAN MICHELE NELLE DONAZIONI PRO-ANIMA
I LONGOBARDI E LE TITOLAZIONI A SAN MICHELE
L'ABBAZIA DI SAN PIETRO E SAN MICHELE DE' MONTI
MONTEDOMINI E ORSANMICHELE
LE TRADIZIONI MICAELICHE TRA IL XVII E IL XIX SECOLO
(...)


giovedì 8 ottobre 2015

Il mistero Gesù

Dove visse Gesù durante l’adolescenza e la maturità, prima di ricomparire, a trent’anni, sulla scena pubblica?
Quelle arcane vicende sono andate veramente così come le hanno narrate i quattro Evangelisti Luca, Marco, Matteo e Giovanni?
Il Cristo sopravvisse alla crocifissione?
Si recò sul serio nel lontanissimo Ladakh ove ancor oggi è visitabile la Tomba di Issa, un predicatore che proveniva dalla Terra Santa?
Che cosa è realmente la Sindone e come si è formata quell’immagine che ricorda il corpo inanime di un uomo?
Chi era quello sventurato “imitatore” di Gesù che rispondeva al nome di Simon Mago?
Chi erano, da dove provenivano – e soprattutto! – quanti erano i Magi che avrebbero portato i doni al Divin fanciullo?
Questo libro è una buona occasione per conoscere qualcosa in più sul personaggio che ha segnato la storia.


Il Golgota racconta. Nascita, «anni perduti», presunti miracoli e morte sulla croce di Gesù
di Roberto Volterri
Scipioni Editore   -  Valentano (VT)
128 pagine

sabato 3 ottobre 2015

“Massoneria e Mediterraneo”

trattoa da "L'Opinione" del 29 settembre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/09/29/fossati_cultura-29-09.aspx)

di Gianni Fossati

Vi sono libri che valgono per un titolo che definisce il loro contenuto con una chiarezza implacabile, “Massoneria e Mediterraneo” di Francesca Parisi a cura di Luigi Danesin è molto di più: un testo che approfondisce con rigore i rapporti dell’area del mediterraneo e dei Paesi che vi si affacciano. Un approccio particolare nel quale circola aria nuova e prospettive coraggiose ma reali, nonostante la complessità della materia, in un contesto spesso caratterizzato da un linguaggio che si attarda su considerazioni non sempre supportate da rigore scientifico.

Il libro, uscito in questi giorni per i tipi di Editoriale Programma, prende le mosse dalla felice intuizione del Prof. Franco Franchi già Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia convinto che al tramonto del secondo millennio fosse giunto il momento di rivolgere l’attenzione al Mare Nostrum per risalire alla nostra matrice comune. Questo anche il senso della prefazione di Luigi Danesin che non a casa annette particolare importanza all’Università intesa anche come luogo di formazione dei giovani e della classe dirigente.

D’altra parte ciò che contorna questo grande bacino chiuso in un “habitat” che ha dato origine a civiltà che costituiscono la base stessa della nostra cultura occidentale. L’autrice ha avuto la capacità di offrire al lettore un quadro sufficientemente ampio e diversificato del ruolo che la voce popolare e certa storiografia ha ignorato sul ruolo che la Massoneria ha svolto dal punto di vista geopolitico.

L’affacciarsi di espressioni puntuali riconducibili all’Unione Massonica del Mediterraneo come concreta azione delle Obbedienze Liberali che si affacciano su quelle sponde sembrano condividere la volontà di ricercare la dimensione utile per valorizzare il processo di globalizzazione e ricomporre un tessuto di civile convivenza tra nazioni che si riconoscono in una particolare identità.

Naturalmente non vi è che non veda come la situazione attuale renda utopiche alcune visioni dopo le speranze della Primavera araba che si è trasformata in una stagione di conflitti e di profonde inquietanti incertezze sul corso di una storia che troppo facilmente avevamo creduto avviata verso un progresso in termini di democrazia e diritti. Tuttavia, obiettivo dell’istituzione massonica è proprio quello di superare barriere altrimenti insormontabili.

In questo senso, il richiamo ad Alain de Keghel, già Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Grande Oriente di Francia, appare illuminante rispetto alle sfide del terzo millennio che sembrano quasi impossibili ma sorrette da Franz Kafka, uno dei tragici protagonisti del Novecento europeo: “La vita non cessa d’insegnare, suo malgrado, che non si può mai salvare qualcuno se non con una presenza, e con nient’atro”.

Il bacino del Mediterraneo è tutt’ora distante dall’essere una zona omogenea, esistono infinite disparità che marcano i due mondi e il lavoro da compiere è assai rilevante tuttavia,ancora una volta, come nella esperienza del XVIII secolo l’istituzione di squadra e compasso potrebbe rappresentare un punto di incontro privilegiato dove in nome della tolleranza potrebbero prendere corpo condizioni che consentono di elaborare progetti a misura d’uomo utili alla pacificazione dei popoli.