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martedì 9 aprile 2024

Zersetzung, il controllo mentale ai tempi della Stasi

tratto da: https://it.insideover.com/schede/storia/zersetzung-il-controllo-mentale-ai-tempi-della-stasi.html

del 15 AGOSTO 2022

di Emanuel Pietrobon


Il dominio di guerra del futuro è la mente, o meglio il suo controllo. Perché controllare un singolo equivale a farne un candidato manciuriano, sebbene non per forza programmato per uccidere, ma per votare in un certo modo, per pensare in una determinata maniera, per agire prevedibilmente. E perché controllare una massa intera, cioè l’opinione pubblica, significa avere in mano i destini di uno stato.

L’era di questo nuovo modo di fare la guerra, denominata cognitiva, è albeggiante: la pandemia di COVID19 e la guerra in Ucraina ne hanno catalizzato l’ascesa, le ricerche sulla mente degli scienziati nazisti e dei due blocchi nel corso della Guerra fredda ne hanno gettato le fondamenta. E se si scrive delle ricerche avvenute all’interno del Secondo mondo, allora è necessario raccontare la storia di una tecnica pionierizzata dalla Stasi: la Zersetzung.


Le origini della "destabilizzazione psicologica" alla tedesca

Zersetzung è un termine tedesco che può avere una pluralità di significati, tutti interrelati tra loro, che sono corrosione, destabilizzazione, decomposizione e dissolvimento. Che è esattamente ciò che accade, poi, alla mente della vittima di questa psico-tecnica, che viene, passo dopo passo, corrosa, destabilizzata, decomposta e, infine, dissolta.

Zersetzung, la decomposizione della mente. Una tecnica di manipolazione cognitiva e destabilizzazione psicologica nata ai tempi della Germania nazista, nei laboratori di Kurt Plötner, e che nel dopoguerra è stata perfezionata dalla temibile Stasi della Germania Est, trovando vasta applicazione durante l’era Honecker.

Obiettivo del recupero degli studi nazisti sulla decomposizione della mente era la volontà di combattere più efficacemente l’opposizione politica e la resistenza sociale al regime comunista. Perché reprimere il dissenso con la forza, più che insufficiente, sarebbe potuto rivelarsi controproducente. Occorreva qualcosa di nuovo, che fosse pervasivo ma invisibile e pernicioso ma intangibile. E la Zersetzung premetteva e prometteva di avere tali caratteristiche.

Con lo scorrere degli anni Sessanta, di pari passo con il perfezionamento della Zersetzung, le autorità della Germania Est avrebbero progressivamente diminuito il ricorso a strumenti quali la persecuzione giudiziaria e la violenza fisica ai danni di dissidenti, oppositori e critici. Ma non perché l’opposizione dal basso fosse venuta meno, quanto per via dell’estesa applicazione della Zersetzung. Una tendenza accelerata da Erich Honecker a partire dagli anni Settanta.


Teoria e prassi della decomposizione

La Zersetzung, così come strutturata e applicata dalla Germania Est, fu sviluppata da un gruppo di scienziati sociali nella Scuola di legge per la sicurezza statale (JHS, Juristische Hochschule der Staatssicherheit), altresì nota come la Scuola della Stasi.

Attingendo al legato nazista in materia di propaganda e guerra psicologica, che era piuttosto vasto, i ricercatori della Stasi complessificarono e perfezionarono la Zersetzung, facendone un metodo per aggredire l’autostima della vittima al punto tale da suscitare gravi crisi di identità.

Un oppositore politico carismatico e seguito, quando colpito dalla Zersetzung, avrebbe cominciato a vivere dei periodi particolarmente bui, fatti di alienazione sociale, strani incidenti, ostracizzazione e rifiuti. Eventi strettamente personali, apparentemente scollegati alle attività politiche del soggetto, ma psicologicamente destabilizzanti e in grado di provocare delle crisi identitarie ed emozionali. L’esaurimento come capolinea, talvolta accompagnato dal suicidio.

Ogni mezzo era lecito al fine della decomposizione mentale del soggetto da estinguere socialmente: invogliarlo ad avere dei rapporti sessuali con dei minori, farlo entrare in circoli insalubri – con tossicodipendenti –, coinvolgerlo in piccoli delitti – come i furti –, corromperne i colleghi affinché lo emarginassero e i capi affinché lo ostacolassero e/o lo trasferissero in luoghi remoti, farlo dubitare della sua stessa realtà circostante nella speranza di condurlo alla pazzia – la tecnica del cosiddetto gaslighting.

La Zersetzung era un metodo efficiente ed efficace perché personalizzabile e, quasi sempre, personalizzato. Gli addetti alla decomposizione mentale della vittima ne studiavano i tratti caratteriali, i valori e le abitudini, elaborando dei sociogrammi e degli psicogrammi a partire dai quali sviluppare la strategia di emarginazione. Schematismi e piani preconfezionati venivano evitati nella maggior parte dei casi, elevando le prospettive di successo.


L'eredità

Jürgen Fuchs, un intellettuale ribelle che fu vittima della Zersetzung negli anni Settanta, descrisse quell’inusuale periodo di perdurante ostracizzazione – durato anni – come un “crimine psicosociale” ed “un assalto all’anima umana”. Come lui, secondo alcune stime, almeno 5-10mila persone sarebbero state colpite dalla Zersetzung durante l’era Honecker.

Fu proprio Fuchs, deportato in Germania Ovest nel 1977, a mettere il pubblico tedesco a conoscenza della Zersetzung. Sulle colonne dell’influente Der Spiegel, che ripose fiducia nelle sue testimonianze, Fuchs cominciò a pubblicare una mole di documenti relativi all’utilizzo della psicologia da parte della Stasi. Una palla di neve che avrebbe dato vita ad una valanga, tra libri, documentari e inchieste giornalistiche, sebbene la giustizia abbia mantenuto un atteggiamento stranamente ambiguo sulla prosecuzione degli 007 impegnati nella Zersetzung.

Curiosamente, negli stessi anni in cui la Stasi applicava con successo la Zersetzung, nella Romania di Nicolae Ceaușescu veniva eretto il più grande regime di sorveglianza di massa del pianeta – per numero di spie pro capite –, tra Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese tornavano in auge i corsi di rieducazione e negli Stati Uniti, capifila del mondo libero, si realizzavano dei programmi di manipolazione mentale non meno distopici di quelli sperimentati al di là della Cortina di ferro, da MKULTRA a Mockingbird, passando per COINTELPRO. E oggi come allora, nulla è cambiato: l’obiettivo dei potenti resta il controllo della mente degli individui.

domenica 11 febbraio 2024

Preistoria del Vampiro, nato nel 1732 e mai morto

tratto da "Il Giornale" del 26 Ottobre 2023

I vampiri fanno parte della nostra cultura da quando Bram Stoker diede vita al suo conte Dracula

Alex Pietrogiacomi

I vampiri fanno parte della nostra cultura da quando Bram Stoker diede vita al suo conte Dracula, essere ultraterreno che racchiudeva in sé la terribile bellezza dell'uomo che si ritrova senza vita, senza amore, senza fede e senza speranza di sentire qualcosa che non sia il buio che ingoia tutto.

Francesco Paolo de Ceglia con il suo Vampyr. Storia naturale della resurrezione (Einaudi, pagg. XVI-416, euro 34) realizza un capolavoro di indagine, attenta, accurata, stilisticamente perfetta per la sua godibilità, sui non morti che tornano per carpire le energie dei viventi. L'analisi opta per una personalissima versione di un genere letterario, antico e moderno al tempo stesso, capace di intrecciare narrazione e spiegazione: una storia naturale, che ripercorra, a una a una, le principali figure dell'immaginario notturno dell'Europa centrorientale.

Ma dove ha inizio tutto? Quali sono stati i punti cardine della scoperta dei vampiri per l'Europa civilizzata e dove è nato il termine vampiro? Tutto comincia con dei cadaveri riesumati nel dicembre del 1732 a Medvedja, oggi nella Serbia meridionale, ma al tempo da poco annessa all'Impero Austriaco. Queste esumazioni erano state volute da un medico militare per indagare «su un'allarmante sequela di morti sospette, affastellatesi negli ultimi tempi in quel villaggio remoto», e ne uscirono colpevoli due donne, Miliza e Stanno, abitanti di quella zona ma provenienti dai territori ancora sotto il dominio turco. La colpa? Essere sospettate di essere vampire, dopo che vennero dissepolte e dissezionate. Il chirurgo Flückinger constatò che il corpo di Stanno era «pressoché intatto e non corrotto», e cosa si poteva volere di più come prova?

Ma non finisce così, perché da qui si ricerca «il paziente zero», l'iniziatore del contagio, arrivando a un uomo di nome Arnold Paole, morto cinque anni prima, che sostenne di essere stato tormentato da un altro vampiro: anche lui, come le due donne, era stato trovato «intatto e incorrotto», lui che aveva anche attaccato bestie che avrebbero, logicamente, nel corso di quel buco temporale, contagiare altre persone. Da questi atroci fatti, figli dell'ignoranza medica e del folklore, e da due medici che indagarono e riportarono gli accadimenti, ripetendo allo sfinimento «Vampyr», nacque il termine e il mito.


giovedì 8 febbraio 2024

Tra gli X-Files d’America, cosa c'è dietro ai complotti

tratto da "Il Giornale" del 19 Settembre 2021

Non solo Qanon, 11 settembre e morte di JFK. In America prolificano le teorie del complotto e toccano non solo la politica ma tutti i settori della società. Così le cospirazioni più famose e grottesce spiegano perché agli americani piacciono tanto

di Alberto Bellotto

Per anni la sua identità è stata avvolta dal mistero. E per molto tempo era stato semplicemente “umbrella man”, l’uomo con l’ombrello aperto nel centro di Dealey Plaza quando il 22 novembre 1963 venne assassinato il presidente americano John Fitzgerald Kennedy. Poi dopo circa tre lustri quella figura si presentò davanti alla United States House Select Committee on Assassinations (HSCA), l'organo del Congresso che indagava sull’omicidio di JFK dopo la commissione Warren e raccontò la sua storia.

Louie Steven Witt si era presentato nel cuore di Dallas per protestare goliardicamente non tanto col presidente, ma con suo padre Joseph P. Kennedy che ai tempi dell’ascesa di Hitler era tra i sostenitori del premier britannico Chamberlain considerato troppo tenero con il nazismo. Una una protesta grottesca, spiegò ai deputati nel 1978, quasi una burla che però alimentò diversi complotti dopo la morte del presidente.

Non è un caso quindi che anche lui compaia in una puntata della serie tv X-Files, quella che insieme ad altre produzioni come Watchmen o Umbrella Academy hanno alimentato il mito delle cospirazioni in terra americana. Agli occhi di un europeo il Nuovo Mondo appare come una incessante fucina di complotti, misteri e intrighi. I fatti degli ultimi due anni raccolgono alcuni degli esempi più eclatanti del clima che si respira in America.

Pensiamo solo ai fatti del 6 gennaio a Capitol Hill quando una folla di persone ha assaltato il Campidoglio dopo un comizio di Donald Trump. Tra coloro che hanno preso parte al sacco del Congresso molti erano ferventi “credenti” della teoria cospirativa di Qanon. Un movimento convinto che dietro ai democratici ci sia una setta di pedofili che solo The Donald sarebbe in grado di fermare. Nel mezzo una pandemia globale ha fatto fiorire molte teorie intorno alla diffusione del patogeno e ai mezzi per curarlo.

Due secoli di complotti

Un contesto che ha spunto diversi analisti a sottolineare come un mix tra polarizzazione, social media e camere d’eco stia spingendo sempre più americani nell’alveo dei complotti, da quelli più pericolosi e “politici” fino a quelli più bizzarri e innocui. Eppure a ben vendere la ricerca di una cospirazione dietro ai fatti del mondo è molto più vecchia di Qanon, dell'11 settembre o anche solo la caccia alle spie comuniste del senatore McCarthy negli anni ’50.

La storia americana è infatti anche una storia di complotti. Secondo lo storico Richard Hofstadter tutta la politica (e di riflesso la società) americana è percorsa da una sorta di stile paranoico, nato addirittura nel 18esimo secolo con il repubblicanesimo. Già prima che le colonie diventassero uno stato indipendente serpeggiavano paranoie contro lo strapotere inglese. Dopo la rivoluzione la neonata società americana abbondava di complotti e vedeva cospirazioni ovunque. Il partito federalista era convinta che i Jeffersoniani (la formazione da cui poi sarebbero nati repubblicani e democratici) volessero una rivoluzione come quella francese, mentre per gli ultra conservatori di Timothy Dwight i Jeffersoniani stavano complottando con una setta bavarese per rovesciare la cristianità.

Le morti misteriose

Niente di nuovo verrebbe ora da dire pensando ad esempio al Russiagate. Ma è fuori dalla politica che i complotti trovano un terreno ancora più fertile. È il caso alle morti eccellenti come quella del presidente Kennedy. Ancora oggi l’unico colpevole riconosciuto rimane Lee Harvey Oswald, me per oltre il 60% degli americani c’è sicuramente qualcun altro coinvolto. Non è un caso, ad esempio se nel 1991 il film JFK - Un caso ancora aperto diretto da Oliver Stone abbia sollevato un polverone riaprendo ancora una volta il dossier Kennedy.

Ma quella di JFK non è l’unica morte eccellente. Anche altre hanno fatto presa nella cultura popolare contaminata dal complottiamo. È il caso dell'omicidio del reverendo Martin Luther King. L’unico colpevole riconosciuto rimane James Earl Ray ma secondo molti non avrebbe agito da solo e negli anni la responsabilità è stata attribuita via via a Fbi e Ku Klux Klan. Il dipartimento di Giustizia ha persino riconosciuto che forse c’era una cospirazione più ampia ma mai una prova è stata prodotta.

Anche la morte del gangster John Dillinger, il nemico pubblico numero uno negli anni ’30, è stata più volte al centro di supposizioni. Il corpo del bandito impersonato tra gli altri da Johnny Depp nel film Nemico pubblico viene considerato la prova di un complotto più ampio. Troppo diverso da quello di Dillinger, altezza e occhi diversi attesterebbero che il cadavere era di un altro. Non a caso negli anni si sono moltiplicate segnalazioni in tutto il paese e una vita molto più lunga. Persino la scomparsa di Jimmy Hoffa, storico leader sindacale impersonato da Al Pacino nel film di Martin Scorsese The Irishman, è avvolta dalle teorie, c’è chi dice sia stato ucciso e sepolto sotto il Giants Stadium, in New Jersey e chi sostiene sia finito in Illinois, ma nessuna di queste piste ha mai avuto un riscontro.

Il complotti governativi

Un altro terreno fertile per cospirazioni e complotti ha ovviamente a che fare con il governo, come insegna anche la serie creata da Chris Carter o più di recente Stranger Things. E qui i misteri abbondano. In Alaska, ad esempio, una struttura che si occupa di studiare le aurore boreali viene ritenuta da un piccolo gruppo di complottisti come uno centro sofisticato per sviluppare strumenti e tecniche di manipolazione mentale, anche in virtù delle oltre 180 antenne piazzate in tutta l'area. Non solo. Più di qualcuno sostiene, senza prove che fu proprio questa struttura a provocare il disastro della navetta spaziale Columbia nel 2003.

Più di recente nel 2011 un gruppo di attivisti ha chiesto di fare luce sul devastante tornado che ha colpito la cittadina di Joplin, in Missouri. Secondo alcuni alla base del twister che costò la vita a oltre 160 persone ci sarebbe una nuova e potente arma dell’esercito americano, l’HAARP che in realtà non sarebbe altro che un programma di studio dell’atmosfera.

La storia forse più bizzarra e affascinate ha a che fare con il Stanley R. Mickelsen Safeguard Complex, una struttura costruita in Nord Dakota negli anni ’70 all’interno del programma anti-missile dell’esercito americano. La sua forma a piramide che richiama quella presente nelle banconote da un dollaro, non ha però convinto tutti gli americani. Secondo qualcuno si tratta infatti di una struttura in mano gli illuminati massoni. Niente di vero probabilmente, ma c’è un fatto che continua ad alimentare il mito anche dopo 40 anni. Il complesso ebbe infatti vita breve, un giorno. Restò infatti aperto e in funzione dal 1 al 2 ottobre 1975 quando il Congresso bloccò tutto e chiuse il programma.

Un Paese “invaso” dagli Ufo

Ma la vera struttura su cui si reggono gli X-Files d’America è la famosa Area 51, il complesso militare di Nellis nel deserto del Nevata. Il frammento d’America forse più famoso del mondo. Assente da mappe e siti del governo, l’Area 51 è diventato il buco nero di ogni complotto. In quel fazzoletto di deserto succederebbe quasi di tutto. Come insegna anche il blockbuster di Michael Bay, Independence Day al suoi interno ci sarebbero esperimenti sia si corpi degli alieni che sulle loro navi. Corpi e navicelle magari recuperati a Roswell nel Nuovo Messico, altro sito centrale nelle cospirazioni americane e pure nella produzione televisiva come la miniserie Taken prodotta da Steven Spielberg.

Ma gli Ufo sono di casa anche in altri Stati. È il caso di un grosso “avvistamento” nel 1977 dalle parti di Flora, in Mississippi e soprattutto delle 3 mila segnalazioni di Ufo nella contea di Wayne Pike, in Virginia, nell’inverno del 1988 quando centinaia di persone segnalavano luci nel cielo e strani fenomeni mai provati.

L’eredità indiana

Tra gli X-Files più suggestivi ci sono forse quelli legati al passato pre coloniale, quello di cui si sa pochissimo. Pensiamo solo all’abusato cliché della casa costruita sopra un antico cimitero indiano messo in scena in film e serie tv. È il caso Brunswick Springs, in Vermont e delle sue sorgenti. Verso la fine del ‘700 i nativi della tribù degli Abenaki ipotizzarono che l’acqua delle sorgenti avesse potere curativo. Per questo motivo, vuole la leggenda, quando qualche decennio dopo un soldato della guerra franco indiana tentò di imbottigliare l’acqua le sorgenti vennero maledette. Da allora quattro hotel sono stati costruiti nella zona vicina alle sorgenti e tutti sono finiti pai distrutti da una serie di incendi. Elementi sufficienti per i teorici del complotto per credere alla maledizione indiana.

A Salem, nel New Hampshire, invece, è stato rinvenuto un sito archeologico che nessuno è stato ancora in grado di datare. La struttura in pietra è composta da camere, pareti e canali di scolo. Secondo alcuni sarebbe stato costruito dai nativi americani o primissimi coloni ma secondo altri risalirebbe addirittura ai passaggi dei vichinghi ben prima del viaggio di Cristoforo Colombo nel 1492. Un mistero che al momento non ha ancora avuto soluzione.

Le domande senza risposta

Ci sono poi complotti talmente creativi quasi impossibile da smontare. È il caso della capitale americana dei complotti, la città di Denver, o meglio il suo aeroporto. Grande due volte l’isola di Manhattan lo scalo è un raccoglitore di complotti. Il primo riguarda la sua costruzione costata oltre 2 miliardi di dollari che sarebbe giustificata, dicono alcuni, dal fatto che sotto le piste di decollo e atterraggio ci sarebbe uno dei centri massonici degli illuminati.

Secondo altri dietro all’aeroporto ci sarebbero addirittura gruppo neonazisti. Le passerelle sarebbero disposte come una svastica, ma soprattutto l’ente finanziatore, la “New World Airport Commission” non esisterebbe e i capitali arriverebbero da non meglio precisati gruppi legati al Terzo reich.

Persino le ghost town hanno sollevato sospetti e strani complotti. È il caso di Ong's Hat in New Jersey. Abitata fin dall’inizio della colonizzazione inglese si è via via spopolata fino al totale abbandono. I riflettori si sono riaccesi negli anni ’80 quando nella zona uscì un opuscolo che sosteneva come nel paese si fossero stabiliti due scienziati dell’Università di Priceton per compiere studi sui viaggi interdimensionali. Lì, sostengono i complottisti, i due avrebbero creato uno strumento chiamato “L’uovo” capace di trasportare un gruppo di persone in universi alternativi. Sebbene nel tempo più di qualcuno abbia dichiarato di far parte del gruppo di viaggiatori non sono mai state trovate prove a sostegno.

Perché credere ai complotti

Se è vero che nessuno e immune alla seduzione del complotto, Europa e Italia comprese, gli Usa si confermano la patria degli X-files. È difficile spiegare perché lì fioriscano così tanti esempi di cospirazioni e teorie bizzarre. Secondo Peter Ditto, professore di psicologia scientifica dell’Università della California tutto è legato all’evoluzione. “L’essere umano - ha spiegato a Voice of America - è spinto a dividersi in gruppi di persone che tendono a pensarla allo stesso modo. Siamo molto tribali, Attaccati alle persone che sono come noi”.

“L'esperimento americano - ha aggiunto - è essenzialmente un tentativo di lavorare contro tutte quelle forze evolutive e spingere le persone a cooperare”, uno scenario complesso quindi. Nel tempo l’America è diventata un grande contenitore di gruppi diventando sempre più eterogenea. Così moltiplicandosi i gruppi si è anche moltiplicata l’attitudine a sviluppare cerchie ristrette nelle quali si crea una verità prestabilita che sfocia nella ricerca di risposte semplici come complotti o cospirazioni, a volte innocue e grottesche, in altri casi preoccupanti e sempre più mainstream.

martedì 6 febbraio 2024

La grande epopea dei Vichinghi dalla Groenlandia alla Sicilia

tratto da "Il Giornale" del 17 marzo 2023

Qual è stata la vera storia dei Vichinghi? Alberto Massaiu ne parla nel saggio "Vichinghi - Storia degli uomini del Nord" edito da Diarkos

Alberto Massaiu

Le gesta dei vichinghi affascinano per la loro portata mitica e geografica e negli ultimi anni hanno avuto una grande popolarità anche a livello di cultura pop. Ma qual è la vera storia dei guerrieri nordici che nel Medioevo spopolarono in Europa? Lo storico Alberto Massaiu ne parla nel saggio "Vichinghi - Storia degli uomini del Nord" edito da Diarkos di cui oggi presentiamo un estratto.

L’epoca vichinga ricopre un vasto periodo, che comunemente spazia dal 793, anno del saccheggio dell’abbazia di Lindisfarne, fino al 1066, anno della sconfitta delle forze norvegesi di Harald Hardråde a Stamford Bridge. In questo lungo lasso di tempo i normanni navigarono il Mar Baltico, il Mare del Nord, l’Atlantico e il Mar Mediterraneo, oltre che nei grandi fiumi dell’attuale Russia, e qui saccheggiarono, colonizzarono, commerciarono e condussero epici scontri che avrebbero plasmato la memoria e le tradizioni collettive di tanti popoli venuti a contatto con loro. I vichinghi giungeranno a conquistare e a popolare una parte della Scozia, dell’Inghilterra – creando il Danelaw – e buona parte dell’Irlanda.

Fondarono una colonia in Islanda, esplorarono la Groenlandia e stabilirono un insediamento in America settentrionale, ben cinque secoli prima di Cristoforo Colombo, presso l’Anse aux Meadows, sull’isola di Terranova. Saccheggiarono la Francia e la Spagna e in Normandia fondarono l’omonimo ducato dal quale un loro diretto discendente, Guglielmo il Bastardo, nel 1066 partirà per conquistare l’Inghilterra. Crearono un potente e ricco regno nel Meridione d’Italia, strappandolo ai duchi longobardi, ai romani d’oriente in Puglia e Calabria e agli arabi di Sicilia.

Stabilirono la loro potestà su una parte di quelle sconfinate terre nell’Europa dell’Est che proprio da una tribù norrena – i rus’ – avrebbero preso il nome, Russia, e nella quale fondarono le antiche città di Novgorod e di Kiev. Viaggiarono infine fino a Baghdad, Gerusalemme e Costantinopoli, in cui per almeno tre secoli militarono nella celebre Guardia Variaga – varangoi era il termine con cui i bizantini definivano gli scandinavi - dei basilei di Bisanzio, uno dei corpi militari scelti più longevo e celebri del Medioevo. Ma come fecero a compiere tutte queste gesta? E soprattutto, quando e perché iniziarono? La spiegazione data per buona per molto tempo fu di natura ambientale.

Alla fine dell’VIII secolo si verificò un irrigidimento del già non mite clima scandinavo che unito a un aumento della popolazione, costrinse queste genti a emigrare. Fortuna – per loro – volle che all’epoca l’Europa e il Mediterraneo si trovassero squassati dalle invasioni degli avari a Est e dei musulmani a Sud. La morte di Carlo Magno nell’814, inoltre, aveva aperto il campo alla stagione di frammentazione, anarchia e guerre civili che avrebbe portato alla disgregazione del suo grande impero. L’intero scacchiere che un tempo, con Roma, era stato forte, difeso e unito, ora mostrava immense opportunità per i popoli del Nord, che ne seppero approfittare al meglio.

domenica 21 gennaio 2024

Il mito e il mistero del canto delle Sirene

tratto da "Il Giornale" del 24 Dicembre 2023

di Matteo Sacchi


Mistero e melodia. Insinuante e ammaliante, la loro voce è delizia e maledizione. Magia e natura. La loro natura è ambigua e le posiziona a metà tra mondi diversi: quello dei vivi e quello dei morti, quello umano e quello animale. Ragione e sentimento. La loro è una seduzione pericolosissima e irresistibile. Solo un eroe carico di furbizia può disinnescarne la malia con l'astuzia, ascoltare impunito il loro segreto richiamo.

Stiamo parlando ovviamente delle sirene. Per gli antichi greci donne con il corpo di uccello, per il Medioevo e per noi figli di un Medioevo hollywodiano (Splash) donne col corpo di pesce che, ondivaghe e seduttive hanno attraversato il mito e la letteratura.

Ecco che allora si può raccogliere il meglio di quello che alcuni dei più grandi autori della letteratura mondiale hanno scritto su queste misteriose creature e il risultato è Sirene. Il mistero del canto (pagg. 326, euro 20), a cura di Elisabetta Moro e pubblicato da Marsilio. Un libro che, oltre ad essere una strenna perfetta, è la silloge di alcuni dei pezzi migliori di Omero, Ovidio, La Motte Fouqué, Andersen, Nerval, Serao, Kafka, Joyce, Bachmann.

Il risultato è un viaggio di parole e versi che ci accompagna verso queste femmine assolute e magiche che, per dirla come Omero, conoscono tutto del presente, del passato e del futuro. E attendono impassibili il passaggio di ogni questuante di verità. Ma la verità ha sempre un prezzo e non è per tutti, ecco perché l'isola da cui parte il loro canto è circondata dalle ossa calcinate di migliaia di uomini. Ma anche la condizione della sirena stessa, depositaria del mistero è di per se stessa malinconica. E qui l'intuizione migliore è quella di Ovidio: «Ma voi, Sirene, dotte figlie di Acheloo,/ perché mai siete uccelli a metà/ e a metà fanciulle? Eravate forse ancelle di Proserpina/ quando coglievate i fiori di Primavera? E invano la cercaste percorrendo la terra intera e poi sul mare...».

Il mito poi assumerà coda di pesce fondendo le sirene con le ondine: creature leggendarie elencate fra gli elementali dell'acqua nelle opere sull'alchimia di Paracelso (1493 - 1541). Secondo le teorie avanzate dal medico e astrologo svizzero, un'ondina è una ninfa o uno spirito acquatico. Le ondine si trovano, di solito, in laghi, foreste e cascate. Hanno voci meravigliose, che, a volte, possono essere udite sovrapposte allo scrosciare dell'acqua. Secondo alcune leggende, le ondine non possono avere un'anima fino a che non sposano un uomo e non gli danno alla luce un figlio. Questa loro caratteristica le ha portate ad essere molto popolari nella letteratura romantica e tragica, come nell'Undine di Friedrich de la Motte Fouqué (1777 - 1843).

A quel punto sirene antiche, ondine e melusine erano fuse in un nuovo mito romantico e femminino. Del resto non c'è uomo che nel cuore non abbia una sua sirena e melusina, immaginaria o in carne ossa e metafora, da seguire e inseguire in cerca di un po' di amore e verità, di un canto misterioso da ascoltare. Anche se il rischio è sempre altissimo. Il rischio è che il cuore non torni più a casa, finisca ossificato sulle rive di un'isola che non c'è. E niente è più letterario e poetico di così.

mercoledì 10 gennaio 2024

"Le esperienze di pre-morte sono reali e non sono sogni. Ecco perché"

tratto da "Il Giornale" del 30 marzo 2023

Il professor Enrico Facco, in una intervista rilasciata a ilGiornale.it, ha spiegato che le Nde sono esperienze soggettive intense e profonde di aspetto trascendente

di Gabriele Laganà

La morte è la fine di tutto oppure esiste una vita oltre la vita? Uomini di ogni epoca si sono posti questa domanda almeno una volta nel corso della propria esistenza. Una risposta definitiva ancora non c’è. E probabilmente non ci sarà mai. La scienza non ha certezze su cosa accade quando il nostro cuore smette di battere. Negli ultimi decenni, però, alcuni ricercatori hanno iniziato a studiare un fenomeno che si verifica quando si è in prossimità della morte: le Nde (Near death experience), o esperienze di pre-morte.

Si tratta di fenomeni descritti da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo un periodo di coma o dopo essere state dichiarate clinicamente morte. Prezioso il lavoro, nel recente passato, del medico e scrittore americano Raymond Moody che, nel libro “La vita oltre la vita” pubblicato nel 1975, raccolse testimonianze su tali esperienze.

Da quel momento numerosi altri medici hanno dedicato parte del loro tempo allo studio delle Nde, fornendo contributi interessanti. Tra le figure più celebri in questo campo, solo per citarne alcune, spiccano Pim van Lommel, Sam Parnia (che guida il progetto Aware, la più estesa ricerca mai condotta che coinvolge 25 ospedali nel mondo), Bruce Greyson e l’italiano Enrico Facco (con il quale abbiamo parlato).

Fasi della Nde

I soggetti che hanno vissuto una Nde, una volta riprese le funzioni vitali, raccontano di aver provato una esperienza reale, intensa, rassicurante e bellissima. Vi è un elemento che colpisce: le narrazioni sono lineari e presentano elementi comuni tra loro. E questo nonostante le persone abbiano culture e sentimenti religiosi differenti.

Diversi sono i passaggi che caratterizzano le esperienze di pre-morte. Tutto ha inizio quando una persona giunge all’apice della sofferenza fisica. Il soggetto ha la percezione di elevarsi al di sopra del proprio corpo e di assistere a tutto quello che accade intorno.

A quel punto il morente entra in un tunnel buio in fondo al quale intravede un puntino bianco. Puntino che diventa via via sempre più grande e incredibilmente luminoso. Questa luce, però, non dà in alcun modo fastidio alla vista. Ma è sbagliato parlare di luce. Perché tutti affermano che si tratta di una entità viva con la quale inizia una sorta di dialogo. La stessa emana amore puro e illimitato, compassione infinita, pace sconfinata e un senso di benessere impossibile da descrivere.

Avviene, poi, la "rivisitazione" della propria vita attraverso la visione di immagini che scorrono veloci e che comprendono anche episodi dimenticati e apparentemente irrilevanti. Il morente prova dolore e vergogna se osserva errori compiuti durante la vita. Eppure dalla luce non arriva mai una condanna. Anzi, l’entità continua ad ammantare il morente con un amore, una compassione e una accettazione che non hanno limiti.

Altro elemento che contraddistingue quasi tutte le esperienze di pre-morte è l’incontro con familiari, parenti o amici già defunti. Questi accolgono il morente e lo rassicurano. Nella maggior parte dei casi sono proprio queste entità che spiegano al morente che non è ancora giunto il loro tempo e per questo devono tornare indietro. Infine vi è il risveglio.

C’è chi di questi fenomeni dà una spiegazione scientifica mettendo in relazione l’esperienza con specifiche alterazioni transitorie di tipo chimico, neurologico e biologico che divampano in un corpo in punto di morte.

Ci si domanda se un’esperienza così intensa, capace di modificare la concezione della vita di un soggetto, possa essere davvero solo il frutto di una particolare attività cerebrale di un corpo che si avvicina alla fine. Allora, come si può spiegare una Nde?

Le parole del professor Enrico Facco

Per cercare di fare luce sulle esperienze di pre-morte abbiamo intervistato il professore Enrico Facco, specialista in Anestesiologia e Rianimazione, Specialista in Neurologia, Studioso senior, Studium Patavinum - Dip. di Neuroscienze Università di Padova, il quale fa una importante premessa: "Le Nde hanno un elevato potere trasformativo, che comprende il superamento della paura della morte e una evoluzione personale positiva comprendente un aumento della spiritualità di chi le ha vissute. La coscienza è spesso riportata come più lucida di quella ordinaria; ci sono inoltre singoli casi ben documentati di pazienti che sono stati in grado di testimoniare cosa è successo nella sala di rianimazione mentre erano in arresto cardiaco, che hanno visto dall’alto in una esperienza di uscita dal corpo. Alcuni altri rari casi riportati in letteratura durante l’esperienza hanno avuto informazioni di cui non avevano conoscenza prima dell’arresto cardiaco”.

Le esperienze di pre-morte sono fenomeni sporadici o eventi frequenti?

Le Nde sono eventi relativamente frequenti che avvengono in condizioni critiche con perdita di coscienza.

Può dire la percentuale?

Nelle diverse casistiche l’incidenza oscilla tra il 5 e il 18% nei pazienti in arresto cardiaco.

Come si possono inquadrare le Nde?

Sono esperienze soggettive intense e profonde di aspetto trascendente che si verificano in condizioni critiche associate a perdita di coscienza (quali arresto cardiaco, traumi cranici e politraumi, stati di shock) e caratterizzate dalla netta percezione di essere in una dimensione diversa da quella ordinaria della vita terrena, di avere abbandonato il corpo fisico ed oltrepassato i limiti del proprio io e della dimensione spazio-temporale del mondo fisico ordinario.

Le esperienze di pre-morte possono essere forme di delirium, di alterazione organica transitoria del cervello o ancora all’anossia?

Le interpretazioni scientifiche finora proposte sono di natura meccanicista-riduzionista e hanno ipotizzato che esse origino dal disordine cerebrale prodotto dall’insulto; tuttavia rimangono solo ipotesi senza alcuna conferma mentre alcune di esse possono essere smentite sulla base di altri fatti noti che le rendono non verosimili.

La linearità dell’esperienza come può essere considerata?

Sono esperienze coerenti e ben ricordate anche a distanza di oltre 20 anni; alcuni studi elettroencefalografici sul ricordo delle Nde hanno dimostrato una connessione con la memoria episodica e non con ricordi di eventi immaginati.

Nelle Nde si riscontrano solo elementi comuni o anche altri soggettivi?

Le Nde sono piuttosto complesse e comprendono sia elementi individuali sia elementi comuni; gli aspetti fondamentali delle esperienze sono universali e sono riscontrabili in tutte le culture e se ne trovano indizi anche nella letteratura di tutti i tempi, da Omero a Platone, a Dickens, al Libro Tibetano dei Morti.

Rispetto al sogno, come sono le esperienze di pre-morte?

Il sogno ha un linguaggio molto diverso, caratterizzato dalla sovrapposizione di molti elementi diversi che ne rendono difficile o impossibile l’immediata comprensione; quest’ultima è stata oggetto di un lungo lavoro interpretativo da parte di Freud.

Perché non tutti raccontano di aver vissuto una Nde?

Per due essenziali ragioni: a) non tutti le fanno; b) essendo esperienze di aspetto trascendente e di tonalità mistica, si collocano al di fuori di quanto convenzionalmente accettato dalla Weltanschauung (visione del mondo) dominante oggi e c’è quindi un elevato rischio che vengano fraintese e chi le ha vissute sia considerato un visionario o affetto da una disfunzione conseguente all’insulto cerebrale.

Gli scettici sostengono, ad esempio, che la visione della luce vista in una Nde sia in realtà quella presente nella stanza d'ospedale. È possibile?

È solo un’ipotesi senza alcuna conferma. La luce percepita nelle Nde ha caratteristiche molto diverse da quelle della luce artificiale ed è solo un singolo elemento di un’esperienza molto più ricca e complessa. Nel migliore dei casi potrebbe essere una sorta di trigger dell’esperienza, la quale ha natura e implicazioni molto più ampie.

Le Nde sono solo positive o ci sono racconti di esperienze negative?

Ci sono esperienze negative anche se in una percentuale minore di casi. A volte la parte negativa è un elemento di esperienze che comprendono sia elementi negativi sia positivi. In altri casi ciò che viene sperimentato è lo scenario positivo delle Nde, ma vissuto in modo negativo, o una situazione di per sé neutra (ad es. essere in una condizione di vuoto o di buio) ma vissuta come stressante. Molto più raramente vengono riportate esperienze di scenari angoscianti (si potrebbero definire “infernali”).

Chi prova le esperienze pre-morte negative?

Non è ancora chiaro se e quali possano essere gli elementi in grado di favorire esperienze negative.


Editore ‏ : ‎ Altravista (1 gennaio 2010)
Lingua ‏ : ‎ Italiano
Copertina flessibile ‏ : ‎ 424 pagine
ISBN-10 ‏ : ‎ 8895458354
ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8895458359
Peso articolo ‏ : ‎ 762 g
Dimensioni ‏ : ‎ 20 x 20 x 20 cm

martedì 12 dicembre 2023

L’India e il cristianesimo: una storia antica e profonda

Tratto da InsideOver del 9 DICEMBRE 2021

di Andrea Muratore


 “Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo. Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“

La storia del cristianesimo in India è antica quasi quanto quella del cristianesimo stesso. Nella valle dell’Indo, da millenni, tutte le principali religioni dell’Eurasia hanno avuto modo di diffondersi, svilupparsi e influenzarsi reciprocamente, e la presenza cristiana risale ai tempi della predicazione dei primi discepoli di Gesù.

Come in altri casi di predicazione la tradizione cristiana assegna un ruolo da apripista del cristianesimo in India a San Bartolomeo, che negli anni successivi all’Ascensione di Cristo avrebbe portato la parola di Gesù fino al subcontinente, e secondo Eusebio di Cesarea avrebbe lasciato in India copie del Vangelo di Matteo. Così come in altre tradizioni che indicano in Bartolomeo il primo predicatore cristiano in altre terre (Armenia, Etiopia, Mesopotamia), anche in questo caso la tradizione si mescola a fatti storicamente accertati. Nell’anno 52 dopo Cristo, meno di trent’anni dopo la morte di Gesù, uno degli apostoli, San Tommaso, avrebbe messo piede in India sbarcando a Kodungallur, dando vita a una predicazione che lo avrebbe portato al martirio presso l’attuale Chennai. Dunque, il cristianesimo si è stabilito in India persino prima che alcune nazioni europee divenissero cristiane.

Diverse città della costa occidentale dell’India, principalmente nell’attuale Kerala, divennero sede episcopale. Kodugallore, Palayoor, Kottacave, Kokamangalam, Niranam, Chayal, Kollam furono solo alcune delle città in cui in India prese piede una versione particolare del cristianesimo siriaco. Essa si sviluppò in forma pressoché autonoma rispetto alle comunità che prendevano piede in Europa dall’età romana in avanti, pur aprendosi la strada sulla scia delle antiche rotte commerciali tra l’Impero Romano e l’India.

Come racconta Peter Frankopan nel saggio Le vie della seta, l’India fu una delle terre, assieme all’Asia centrale, in cui per secoli si strutturò una forma di cristianesimo totalmente ignorato nel Vecchio Continente, con comunità basate su diocesi, agapi e riti autonomi, il cui richiamo lontano portato da mercanti e viaggiatori alimentò in Europa leggende come quella del Prete Gianni, il misterioso sovrano cristiano d’Oriente associato a diversi regnanti nell’era medievale. L’unica certezza era che la tomba dell’apostolo Tommaso si trovasse in India, tanto che nell’883 Alfredo il Grande re del Sussex inviò doni e omaggi per commemorarlo.

Quando i portoghesi, in seguito all’impresa di Vasco da Gama, iniziarono a raggiungere l’India a fine XV secolo furono sorpresi di trovare sulle sue terre una comunità cristiana minoritaria a livello collettivo ma influente nelle comunità locali. Dopo aver subito persecuzioni ai tempi dell’invasione di Tamerlano e pur trovandosi in una posizione precaria sotto l’arbitrio dei raja di Calcutta e delle altre città i “cristiani di San Tommaso” risultavano influenti nello strategico commercio delle spezie che interessava fortemente i mercanti e gli esploratori al servizio di Lisbona.

Nei secoli, l’arrivo degli europei sedimentò una serie di evangelizzazioni profonde: dapprima i cattolici, con i Gesuiti di Francesco Saverio in prima linea nel XVI secolo assieme a Francescani e Domenicani, a cui dal Settecento fecero seguito i protestanti e, con l’arrivo degli inglesi, gli anglicani. A inizio Novecento anche diverse confessioni di orientamento statunitense, dai metodisti agli evangelici, inviarono missionari.

Senza aver mai dato i propri crismi a nessuna delle dinastie o degli Stati che hanno dominato il subcontinente, il cristianesimo in India è da tempo la terza religione maggiormente professata dopo l’induismo e l’Islam. Il 2,30% della popolazione indiana, oltre 27 milioni di persone, nel 2011 si è dichiarato cristiano nel censimento nazionale, e i cristiani erano la maggioranza in tre Stati: Meghalaya (87.93%), Mizoram (87.16%) e Nagaland (74.59%), risultando inoltre il 20% in Kerala, lo Stato indiano coi più alti indici di sviluppo. Significativo il caso del Meghalaya, lo “Stato tra le nuvole” confinante con il Bangladesh nel quale, come ha scritto La Voce di New York, “da quando i missionari protestanti e cattolici hanno cominciato ad arrivare, spesso a rischio per la propria vita, il cristianesimo ha spesso preso il posto dell’antica religione monoteistica che privilegiava lo stretto rapporto tra la divinità e la natura, la lingua, da orale, è diventata scritta grazie all’aiuto del missionario gallese Thomas Jones”. Ma al contempo, la proliferazione del cristianesimo è stata fonte di valorizzazione delle culture locali: ” Nel 2000, ad esempio, l’ordine dei Salesiani ha aperto a Shillong il Museo Don Bosco della cultura indigena, che ha una splendida collezione di artefatti, strumenti originali e costumi delle varie tribù”.

L’India è una nazione con una storia profonda, complessa, millenaria. Una storia che affonda le sue radici nel mito e nella tradizione. Una storia, in ogni caso, plurale e articolata, in cui anche i cristiani hanno sempre potuto giocare un ruolo fondamentale. Il ruolo di pontieri, di edificatori di comunità plurali, di antidoto contro ogni fanatismo. Un ruolo pluralista, dunque, come plurale è la natura delle confessioni, che dalle formazioni di stampo europeo si allarga a una versione nazionale e antica della fede cristiana, che getta le sue radici nella storia stessa dei seguaci di Gesù. Tale insieme di tradizioni è innervato nella storia stessa dell’India e va preservato ad ogni costo. Per permettere all’India di mantenere intatta un’identità nel cui cuore profondo c’è spazio importante per il cristianesimo.

mercoledì 6 dicembre 2023

Paranormale e armi psichiche: il piano (fallito) della Cia contro l’Urss

tratto da InsideOver (https://it.insideover.com/storia/paranormale-e-armi-psichiche-il-piano-fallito-della-cia-contro-lurss.html)

del 22 AGOSTO 2023

di Emanuel Pietrobon


Nel corso della Guerra fredda, l’epico scontro per il dominio globale del Novecento, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica investirono cifre a nove zeri in attività di ricerca e sviluppo su super-armi non convenzionali, dalle bombe radiologiche alle sostanze stupefacenti, caratterizzate da un comune denominatore: il cervello.

Usa e Urss, nel contesto della psichedelica corsa al cervello, portarono avanti esperimenti illegali su esseri umani, reclutarono fumettistici scienziati pazzi e diedero fiducia a persone presumibilmente dotate di percezioni extrasensoriali con l’obiettivo di costruire l’arma perfetta grazie ai segreti della mente.

Uno dei programmi più estremi dell’epoca della corsa al cervello, più dentro che fuori il campo della fantascienza, fu sicuramente il progetto Stargate. Un progetto della Dia, la sorella militare della Cia, incentrato sull’investigazione dei fenomeni psichici.


Le origini di Stargate

I ricercatori militari e gli scienziati sociali della Germania nazista erano ossessionati dall’archeologia misteriosa, dalla criptozoologia e dalle pseudoscienze. Avevano indagato la teoria della Terra cava, si erano messi sulle tracce del martello di Thor e del Santo Graal, avevano allestito delle unità all’interno dei lager in cui condurre esperimenti sulla manipolazione della mente, i loro compagni di lavoro erano cartomanti, chiaroveggenti e sensitivi.

Stati Uniti e Unione Sovietica vennero a conoscenza dell’ossessione del Terzo Reich per il soprannaturale con la presa di Berlino. Non ritenendola affatto un’assurdità. E mettendo in piedi, rispettivamente, le operazioni Paperclip e Osoaviakhim con l’obiettivo di reclutare il maggior numero possibile di cervelli implicati nei programmi militari segreti nazisti.

La storia avrebbe dato ragione alla lungimiranza di Washington e Mosca: la passeggiata spaziale di Jurij Gagarin e l’allunaggio dell’Apollo 11 sarebbero stati impensabili senza il supporto degli ex nazisti. E ugualmente impensabili sarebbero stati i programmi di ricerca sul controllo mentale e sulle facoltà paranormali, anch’essi sviluppati a partire dalle precedenti ricerche del Terzo Reich sui due temi, dei quali Stargate è stato sicuramente il più audace.


I sensitivi sconfiggeranno l’Unione Sovietica

Stati Uniti, 1970. Il programma MKULTRA sta iniziando a dare i primi frutti, dato che gli psichedelici stanno effettivamente trasformando la grande contestazione antisistema in un movimento culturale fondato sul consumo di droga e sul sesso libero, quando le antenne dell’intelligence a stelle e strisce captano un nuovo segnale di minaccia proveniente dalle terre a est della cortina di ferro: guerra psichica.

La Casa Bianca viene informata da fonti in loco, che alcuni reputano però inaffidabili, che l’Unione Sovietica starebbe spendendo all’incirca 60 milioni di rubli l’anno in ricerca e sviluppo di armi psichiche, o psicotroniche, con l’aiuto di persone dotate di facoltà paranormali. Forse è disinformazione per spingere gli Stati Uniti a investire tempo e risorse in programmi inutili. O forse le armi mentali sono il futuro della guerra. Nel dubbio, Dia e Cia ricevono un ordine dall’alto: indagare sulle indiscrezioni e, se necessario, avviare dei programmi nazionali dello stesso tipo.

Nel 1972, poco dopo l’inaugurazione del programma Scanate da parte della Cia, la Dia riunisce civili e militari, da fisici a sensitivi, all’interno di quello che più in là diverrà il progetto Stargate. Gli operatori hanno materiale da cui partire, in particolare gli studi sulla cosiddetta visione remota condotti dai parapsicologi Russell Targ e Harold Puthoff presso lo Stanford Research Institute, e devono capire se i cinque sensi della mente siano una truffa o se, invece, siano una potenziale arma.

Il caos avrebbe regnato sovrano sul progetto Stargate, dalla sua nascita alla sua morte, rendendolo uno dei più celebri buchi nell’acqua della storia del Pentagono. Caos perché il personale è diviso in due fazioni, credenti e scettici, le cui convinzioni influiscono sui loro rapporti di valutazione. La soglia tra verità e suggestionabilità sembra essere sottilissima, quasi impercettibile, inficiando il lavoro d’indagine.

I truffatori che si presentano all’uscio di Stargate sono tanti, tra i quali un giovane Uri Geller, eppure i risultati di alcuni esperimenti lasciano a bocca aperta anche i più increduli. Come quando, nel 1976, una sensitiva sarebbe riuscita a risalire alla posizione di un velivolo spia sovietico, fuggito al monitoraggio dei radar americani, per mezzo della visione remota.

All’acme del progetto i sensitivi arruolati dalla Dia saranno più di venti: chiaroudenti per ascoltare conversazioni in altre stanze, chiaroveggenti per prevedere il futuro, telecineti per spostare oggetti con la mente, telepati per leggere i pensieri altrui, visualizzatori remoti per localizzare oggetti/persone a grandi distanze e viaggiatori astrali per testare le esperienze extracorporee. La Dia era interessata all’indagine di ogni percezione extrasensoriale.


Una fine inconcludente?

Svelato al pubblico per la prima volta nel 1984, e schernito dalla comunità scientifica sin da allora, il programma di ricerca sulle armi psichiche è successivamente entrato in una fase discendente a base di definanziamenti, riassegnazioni e ridenominazioni.

Dopo l’uscita del Pentagono dalle ricerche, avvenuta nel 1985, il progetto è stato passato dalla Dia prima a strutture private, come la Science Applications International Corporation, e dopo, nel 1995, alla Cia. Quest’ultima commissionò un rapporto di valutazione all’American Institutes for Research (Air) per capire se le indagini sul paranormale valessero ulteriori investimenti oppure no, decidendo di chiudere il programma a seguito del parere negativo ricevuto.

La relazione dell’Air non aveva lasciato alla Cia altra scelta se non la cancellazione di Stargate. Per gli esaminatori, infatti, gli esperimenti fallimentari superavano di gran lunga i casi di successo e questi ultimi, in diversi casi, erano più che contestabili: sospetti di manipolazione, vaghezza dei contenuti, ambiguità della metodologia di studio utilizzata, nessuna facoltà paranormale rivelatasi in grado di contribuire in maniera incisiva a un’operazione di intelligence.

La Cia chiuse il progetto, costato un totale di 20 milioni di dollari ai predecessori, bollandolo come un flop. Punto. Fine. No. In realtà il rapporto dell’Air, che oggi è di pubblico dominio insieme agli atti di Stargate, non aveva emesso una sentenza così severa sui risultati ottenuti dalla Dia. Gli psicologi, anzi, constatarono che “nei laboratori è stato osservato un effetto statisticamente significativo, sebbene non è chiaro se l’esistenza di un fenomeno paranormale, la visione remota, sia stata dimostrata”.

I veri problemi, per l’Air, erano legati alla metodologia – eterodossa e antiscientifica – e all’applicabilità militare della presunta facoltà psichica – ritenuta limitata. Il rapporto dell’Air, in sintesi, non aveva escluso a priori l’esistenza di facoltà paranormali, ma, dinanzi all’impossibilità di verificare le condizioni in cui erano stati effettuati gli esperimenti, non poteva confermare l’esistenza e la validità a fini militari e di intelligence.

Secondo l’ufficiale Joseph McMoneagle, tra i principali responsabili di Stargate e remote viewer numero 1, il progetto sarebbe stato un successo se l’Esercito avesse avuto un’attitudine maggiormente aperta nei confronti del paranormale. Perciò all’indomani della chiusura del progetto ha iniziato a sensibilizzare i colleghi e il grande pubblico sui poteri psichici, dando alla stampa quattro libri sulle sue esperienze, e ha ispirato la penna del giornalista Jon Ronson, dal cui libro sugli esperimenti psichici condotti dagli Stati Uniti durante la Guerra fredda è stato tratto il celebre film L’uomo che fissa le capre.

mercoledì 29 novembre 2023

Oggetti non identificati negli abissi: ecco i nuovi Ufo

tratto da "Il Giornale" del 22 Ottobre 2019 

Un ex pilota di caccia della Marina degli Stati Uniti ha raccontato la storia da brivido di un incontro con un oggetto sottomarino non identificato. Nel 2004 fu già protagonista di un video divulgato dal Pentagono riguardo la serie di incontri con teorici "Ufo"

Davide Bartoccini


Negli ultimi mesi la Marina degli Stati Uniti si è trovata costretta ad ammettere l'evidenza riguardo quelli che vengono definiti incontri ravvicinati del "primo tipo" con degli Ufo - Unidentified Flying Object. I video, pubblicati dal New York Times che intervistò i piloti dei caccia F/A-18 che tentarono di intercettarli, sono stati condivisi dai giornali di tutto il mondo; ma ora uno dei piloti, divenuto noto per aver "avvistato" un velivolo a forma di "Tic-Tac" gigante poi scomparso dopo un'accellerazione a velocità insostenibile per l'uomo, ha rivelato i dettagli di un altro inquietante incontro ravvicinato. E questa volta l'oggetto non identificato proverrebbe dalle profondità degli abissi.

Il veterano dell'Us Navy ad aver raccontato questa storia spettrale è David Fravor, pilota di marina ritiratosi con il grado di comandante dello Strike Fighter Squadron 41 imbarcato sulla portaerei USS Nimitz e protagonista dell'incidente del novembre 2004. Fravor, ha riportato durante una nota trasmissione radiofonica l'esperienza di un pilota di elicotteri della base navale di Roosevelt Roads, che impegnato nel recupero di bersagli e siluri per il rilevamento di dati telemetrici con il suo Mh-53 Sea Dragon, s'imbattè in una "grande massa nera" che sembrava emergere dalla acqua sotto i suoi piedi (l'Mh-53 ha una conformazione dell'abitacolo che permette di vedere "sotto") per poi sparire improvvisamente. Proprio quello che gli ufologi ribattezzerebbero come un Unidentified Underwater Object (Oggetto sommerso non identificato, ndr).

Nel primo dei due avvistamenti, uno dei membri a bordo dell'elicottero che era impegnato a recupera un Bmq - un finto bersaglio aereo che viene lanciato durante le missioni di addestramento e ha una forma simile a quella di un missile con le ali - avvertì il resto dell'equipaggio che non erano "soli" , quando durante la fase di recupero del bersaglio e del sub che si era tuffato in mare per agganciarlo il cavo del verricello, la "grande massa nera" iniziò a sollevarsi sotto l'elicottero che volava approssimativamente a 15 metri dal livello dell'acqua al largo della costa orientale degli Stati Uniti. Era la metà degli anni '90. Il pilota avrebbe ammesso di aver visto proprio "una massa scura che risaliva dalle profondità ” - gridando :" Che diavolo è quello?", ma subito dopo la massa si sarebbe inabissata. Qualcuno pensò immediatamente a un sottomarino - anche un sottomarino russo al limite - ma il pilota negò questa possibilità: "Non era un sottomarino “, affermò, "Ho già visto sottomarini. Una volta che hai visto un sottomarino non puoi confonderlo con qualcos'altro".

Durante il secondo incontro, lo stesso pilota stava recuperando un siluro per rilevamenti telemetrici quando un grande oggetto sommerso simile a quello avvistato la volta precedente, dalla forma "un po' circolare", risalì per prendere il siluro che venne (letteralmente) "risucchiato" per non essere mai più rivisto. Secondo la testimonianza di Fravor, che non ha rivelato l'identità del protagonista della storia, questo pilota della Marina si rivolse al Times per esporre i fatti nella speranza che venissero riportati, ma il giornale al tempo si rifiutò di pubblicare la storia. Tuttavia, c'è di più.

Gli altri "incontri ravvicinati"

Dopo la sua rivelazione pubblica, Fravor afferma che una donna di 79 anni lo avrebbe contattato per riportagli la testimonianza di suo padre, un ufficiale della Marina di stanza alla base navale di San Francisco negli anni '50. Da bambina le venne mostrato un documento dove si faceva riferimento a "Oggetti non identificati" che erano stati visti "entrare e uscire dall'acqua" a delle particolari coordinate di latitudine e longitudine. Secondo il racconto della donna, suo padre sosteneva che gli oggetti apparissero: "Sempre nella stessa area". Un'altra testimonianza, sempre legata alla Marina statunitense, sarebbe quella di un operatore della Uss Wasp e del suo gruppo di scorta. Nel 1963, sempre al largo delle coste orientali, velivoli per la guerra antisommergibile e cacciatorpedinieri, tracciarono un oggetto sommerso sconosciuto che si muoveva ad alta velocità e che avrebbe dato "segnale" per quattro giorni a alla proibitiva profondità di 8mila metri.

Le testimonianze di oggetti non identificati sommersi sono numerose, quasi quanto quelle degli oggetti volanti non identificati; secondo la versione dell'ex pilota della Marina David Fravor, l'unica ragione per cui lui stesso è stato protagonista del primo e più famoso avvistamento "confermato" dalla Difesa americana, quello dell'Ufo "Tic-Tac" (noto come avvistamento"Flir1"), è proprio perché si trovava a sorvolare quello che definisce un "misterioso oggetto più grande" che era "stato avvistato sott'acqua", dove la superficie appariva "bollente" o "schiumosa". Secondo questo veterano a cui gli Stati Uniti hanno affidato il comando di uno squadrone di cacciabombardieri del valore di milione di dollari per molti anni, e per tutti coloro che gli stanno dando credito, qualcosa si nasconderebbe nelle profondità degli abissi. Proprio come ci mostrò la fantasia di James Cameron nel suo film cult degli anni '80: The Abyss.

domenica 26 novembre 2023

La solitudine siderale di Julius Evola che sfida i secoli

tratto da "Il Giornale" del 31 Marzo 2014

Il lungo cammino attraverso Dada, esoterismo, Tradizione di un filosofo incompreso e rifiutato. Oggi come allora

Marcello Veneziani


«Ho dovuto aprirmi da solo la via... Quasi come un disperso ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose». Così Julius Evola (1898-1974), descrive nella sua autobiografia la solitudine siderale del suo cammino. Mezzo secolo fa Evola scese dal cavallo altero dell'impersonalità e si raccontò in un'autobiografia intellettuale che intitolò con spirito alchemico Il cammino del cinabro. Ora, a quarant'anni dalla sua morte, il testo rivede la luce nelle Opere di Evola (Mediterranee, pagg. 438, euro 32,50), curate da Gianfranco de Turris, aiutato da Giovanni Sessa e Andrea Scarabelli, arricchito di note, notizie e altri scritti. La prefazione è di Geminello Alvi. Curioso l'inserto fotografico con immagini di Evola mai viste, per esempio da bambino coi suoi genitori.

Evola racconta la sua vita attraverso le sue opere e i suoi snodi fondamentali: l'esperienza della Grande Guerra, poi il periodo di pittore Dada, quindi la fase filosofica, poi il suo percorso esoterico, infine il suo cammino nella Tradizione. E sullo sfondo, i suoi rapporti con gli artisti e gli iniziati, gli scrittori e i filosofi del suo tempo, le trasgressioni, il controverso rapporto col fascismo tra sostegno e dissenso, superfascismo e antifascismo, e poi con i giovani della destra postbellica. C'è anche il capitolo scabroso del razzismo. Evola fu teorico di un razzismo spirituale che non piacque ai razzisti doc e ai nazisti ma gli restò addosso come il suo peccato originale. Non c'è in lui odio antisemita né alcun fanatismo, c'è perfino una dignitosa coerenza, riconobbe Renzo De Felice. Ma Evola prescinde totalmente dai fatti e dalla tragedia dello sterminio e si attesta solo sui principi; ciò infonde un tono astratto alle farneticazioni della razza, qui ridotte peraltro da lui a «una parentesi» nella sua vita e nella sua opera. Evola confessa di aver rasentato da giovane «l'area delle allucinazioni visionarie e fors'anche della pazzia» e «una specie di cupio dissolvi, un impulso a disperdersi e a perdersi».

Nelle pagine del Cinabro, a fianco del pensiero e delle opere, scorre la vita, la storia - arricchita dalle note dei curatori - gli ambienti a lui vicini e a lui avversi, le note ostili della questura ai tempi del fascismo, perfino la vicenda di un duello rifiutato da Evola per non abbassarsi al rango dello sfidante che però gli costò la rimozione del grado di ufficiale e gli impedì di partire volontario nella seconda guerra mondiale. Ci sono gli scontri con alcuni fascisti, c'è la sua fama di mago e c'è perfino l'accenno di Evola al Mussolini superstizioso: «Aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava che si pronunciasse il nome in suo cospetto». C'è la storia assurda del processo nel dopoguerra a un gruppo di giovani neofascisti in cui fu coinvolto un Evola del tutto ignaro e ormai paralizzato, vittima di un bombardamento a Vienna. C'è la cronaca della sua morte, l'11 giugno di 40 anni fa, quando si fece portare davanti alla finestra e morì in piedi, guardando al Gianicolo; e poi i funerali con la sua bara senza croce e senza corteo funebre, secondo le sue volontà, e le sue ceneri disperse tra le cime delle Alpi, che aveva amato e scalato.

Evola fu un mito già da vivente, avvolto in un alone di magia. In queste pagine aleggia un paradosso: un pensatore isolato e in disparte che incrocia nella sua vita e nella sua opera, gli autori, le correnti, gli eventi più salienti del Novecento. A questo paradosso ne corrisponde uno inverso sul piano del pensiero: Evola, fautore della Tradizione e del Sacro, fonda la sua opera su un Individualismo Trascendentale, non solo teorico e psichico ma pratico e magico. Per Evola la verità è solo «un riflesso della potenza: la verità è un errore potente, l'errore è una verità debole». Un relativismo imperniato sulla potenza, che ne decide il rango e il valore. «Essere, verità, certezza non stanno dietro ma avanti, sono dei compiti», non dei fondamenti. Grandiosi piani metastorici in nome della Tradizione, templi sacri, civiltà millenarie dell'Essere ma in piedi resta solo la solitudine stellare dell'Io. Solipsismo eroico. «Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue - scrive Evola, sottolineando la sua estraneità alla tradizione cristiana, famigliare e patriottica - il mio impulso alla trascendenza è centrato sull'affermazione libera dell'Io». Anzi, avverte Evola, «non vi è avvenimento rilevante dell'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale». Siamo quasi all'autocreazione, al self made man metafisico. Resta sospesa nei cieli la domanda che qui si pone Evola: «Che cosa può venire dopo il nichilismo europeo?... Dove si può trovare un appoggio, un senso dell'esistenza, senza tornare indietro?». Evola rispose che l'unica soluzione era «essere se stessi, seguire solo la propria legge, facendone un assoluto». Ma non è proprio questa incondizionata libertà la punta più avanzata del nichilismo europeo, non è di questo individualismo assoluto che sta morendo la nostra civiltà? E se fosse l'Individuo Assoluto l'ostacolo estremo alla rivelazione dell'Essere?

Un titanico e aristocratico disdegno del mondo accompagna il racconto biografico di Evola. Ma ogni tanto si apre uno squarcio nel suo severo stile impersonale. Ad esempio quando riporta in queste pagine i giudizi lusinghieri sulle sue opere. Fa tenerezza notare che per lenire il suo isolamento Evola citi queste sporadiche e spesso modeste attenzioni alla sua opera. O quando sfugge al suo stoicismo imperturbabile qualche umana amarezza per il mancato riconoscimento del suo pensiero: «La grande stampa e la cultura ufficiale rimasero, e anche in seguito dovevano rimanere, sorde». Lo stesso Cammino del Cinabro, confessa nella nota d'esordio, fu scritto «nell'eventualità che un giorno l'opera da me svolta in otto lustri sia fatta oggetto di un'attenzione diversa da quella che finora le è stata concessa». Altri otto lustri sono passati dalla sua morte ma non sembrano bastati. La solitudine di Evola sfida i secoli.

mercoledì 22 novembre 2023

Evola, la guerra totale del pensiero

tratto da "Il Giornale" del 1 Giugno 2016

E' stato a lungo considerato un "cattivo maestro". In realtà fu filosofo originale e spirito non conformista: nuovi documenti fanno luce sui rapporti coi servizi segreti tedeschi, sul suo esoterismo e sulle teorie politiche

di Luca Gallesi


È inutile: nonostante la demonizzazione, che aumenta col passare degli anni, coinvolgendo chiunque abbia anche lontanamente avuto a che fare con il regime fascista, quelle vicende continuano a tenere banco. Se paragoniamo l'interesse suscitato dal Ventennio con la storia dei settant'anni posteriori, dobbiamo dedurre che gli anni tra le due guerre sono stati i più interessanti, almeno a giudicare dalla quantità di pubblicazioni, film, eccetera a tema.

Un contributo a capire meglio il fascino dei quegli anni terribili è offerto da un libro di Gianfranco de Turris: Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945 (Mursia, pagg. 340, euro 18), che scrive finalmente la parola fine su tutte le illazioni, spesso in mala fede e non di rado fantasiose, su alcune vicende che hanno riguardato uno dei più discussi pensatori italiani del '900. Tra i massimi esponenti italiani del movimento Dada, Giulio Cesare Andrea, più noto come Barone Julius Evola, è stato anche un importante filosofo propugnatore di un idealismo assoluto, un ardito esploratore delle cime abissali dell'esoterismo, un efficace divulgatore delle dottrine palingenetiche orientali, un originale teorico politico del tradizionalismo integrale, per essere poi, infine, superficialmente stigmatizzato come cattivo maestro, ispiratore del cosiddetto spontaneismo armato, quando non, addirittura, dello stragismo di Stato.

Pensatore isolato, anche se fu perno e catalizzatore del Gruppo di Ur, una delle più curiose esperienze spirituali del nostro '900, Evola si distinse come critico «da destra» durante il Ventennio mussoliniano per accreditarsi, nel dopoguerra, come teorico del neofascismo più intransigente, etichetta che pure gli valse nel 1954 una condanna per apologia di fascismo, poi amnistiata.

Pur occupandosi sostanzialmente del biennio 1943-45, il libro di De Turris tocca tutti gli argomenti citati, che si intrecciano nella biografia evoliana, avvincente come un thriller in cui maghi e spie, avventurieri e filosofi percorrono un'Europa distrutta, ridotta in rovine dai bombardamenti e prossima a scomparire tra le braccia dell'invasore sovietico o anglo-americano. Di quei tragici e appassionanti eventi, Julius Evola è protagonista e testimone: dopo il 25 luglio, che sorprende il filosofo per l'assoluta «mancanza di qualsiasi reazione dopo il tradimento, l'assoluta inerzia dei massimi esponenti del regime e della stessa Milizia (...) come una conferma di quella carenza di forze veramente temprate e salde dietro le strutture gerarchistiche e conformistiche, che purtroppo in più di una occasione era già venuta in evidenza», Evola si pone il problema «di vedere che cosa aveva resistito alla prova, (...) su quali elementi nuovi si poteva contare per mantenere, in forma adatta alle circostanze, le posizioni in ordine sia al problema interno politico italiano, sia alla continuazione della guerra dell'Asse». L'assassinio di Ettore Muti chiude definitivamente la porta a un ipotetico «controcolpo di Stato fascista», nel quale Evola sarebbe stato eventualmente coinvolto, e così il filosofo, a fine agosto 1943 parte verso il nord, in quella che egli definisce una «missione segreta». Pur non avendo mai aderito al Partito Nazionale Fascista, e nonostante la manifesta avversità di alcuni ambienti nazionalsocialisti, e in particolare quelli che facevano capo alla «Ahnenerbe», Evola mantiene stretti rapporti col settore controspionaggio dello SD, il servizio segreto tedesco, e si reca in Germania. Qui riprende i contatti con gli amici Roberto Farinacci e Giovanni Preziosi, con cui, nel quartiere generale di Hitler, il 14 settembre, insieme anche a Pavolini, Renato Ricci e Vittorio Mussolini, accoglierà il Duce, appena liberato dal commando di Otto Skorzeny dalla prigionia sul Gran Sasso.

De Turris ci guida, quindi, con testimonianze e documenti alla mano, lungo le intricate vicende che da Rastenburg si dipanano verso Berlino, poi Monaco, quindi nuovamente in Italia e infine a Vienna, dove Evola vive in incognito. Qui, Evola è impegnato su due fronti: sta per concludere una Storia segreta delle società segrete basata sui documenti dell'archivio di preziosi (opera e archivio che andranno perduti nei bombardamenti che lo coinvolgeranno personalmente), e soprattutto sta lavorando a porre le basi per un'attività politica e ideale che, dopo la sconfitta, avrebbe dovuto tenere in piedi «gli uomini tra le rovine». Intanto, sotto le rovine, e non metaforicamente, ci rimane lo stesso Evola, che il 21 gennaio 1945 «ha subito, a causa della caduta ravvicinata di una bomba», una lesione alla colonna vertebrale, come recita la cartella clinica che viene qui riportata per la prima volta, chiudendo definitivamente le molte illazioni sull'incidente che immobilizzò il filosofo per il resto dei suoi giorni.

Chiarito, per quanto possibile, il mistero sulle vicende legate alla fine della guerra, De Turris fornisce preziose informazioni anche su quello che accadde a Evola negli anni immediatamente successivi, raccontando, anche questo per la prima volta, di un soggiorno di qualche mese a Budapest, probabilmente in una clinica specializzata, e del rientro in Italia, seguito da una lunga degenza, prima a Bolzano, poi in provincia di Varese, poi a Bologna, per tornare, infine, nella casa natale di Roma, dove riallaccerà antichi rapporti di amicizia e si darà da fare per continuare, ora solo con la penna, quella «rivolta contro il mondo moderno» che rimane, al di là di ogni giudizio, la vera eredità di un filosofo che «in guerra» ci rimase per tutta la vita.

martedì 14 novembre 2023

Quel dandy "fantastico" che piaceva a Svevo...

tratto da "Il Giornale" del 2 Gennaio 2019

A un secolo dalla pubblicazione riecco «Gomòria», romanzo esoterico di Carlo H. De' Medici

Di Luigi Mascheroni


Carlo H. De' Medici... uhmmmm... Chi diavolo è costui? Uno scrittore misterioso, del quale si hanno scarne e misteriche notizie. Nacque a Parigi nel 1887, da padre italiano e madre di nobili origini polacche. Non si sa neppure in quale anno morì. Viaggiò e visse tra Francia, Gradisca d'Isonzo, Napoli e Milano. Fu giornalista, narratore (di genere gotico), illustratore (dei suoi stessi libri) dal tocco erotico, soprannaturale e satanico, studioso di scienze occulte. Frequentò, e non è una contraddizione, sia i tradizionalisti cattolici sia i rosacrociani. E pubblicò diversi testi: di esoterismo (ormai irreperibili) e letterari.

Fra cui il romanzo Gomòria, apparso nel 1921, poi scomparso per un secolo, e ora ristampato a cura di Guido Andrea Pautasso dall'editore Cliquot. Un po' Trivialliteratur un po' opera iniziatica, è la storia - costellata da «amplessi lunari», creature stregonesche e uno pseudobiblion rilegato «in pelle di bimbo morto senza battesimo», Sathan... - di un dandy di inizio '900, Gaetano Trevi (un Dorian Gray imbruttito, o uno Sperelli insoddisfatto...) che un tracollo finanziario fa precipitare da un Vittoriale ante litteram a un dimenticato maniero, dove scoprirà una biblioteca magica, incontrerà una zingarella e avrà a che fare con un perfido demone, Gomòria, che si palesa sempre sotto sembiante di donna...

E fino qui, siamo dentro i confini archetipici di un (ottimo) horror-esoterico (patti col diavolo, femme fatale, rapporti sessuali mistico-magici) che il curatore, nella postfazione, inserisce nella linea fantastica dei Bontempelli, Savinio, Buzzati, Landolfi... Ma l'aspetto più curioso - un piccolo scoop - è la recente scoperta che il libro di Carlo H. De' Medici è stato ritrovato, sottolineato, nella biblioteca personale di Italo Svevo. Il quale, c'è da supporre, apprezzò molto il protagonista: ozioso, malato d'inettitudine, accanito fumatore...

lunedì 30 ottobre 2023

Sette sataniche, sincretismo e stragi: ecco i santoni neri di Hollywood

Tratto da "Il Giornale" del 7 Settembre 2021

C'è un (lungo) filo esoterico che collega la fondazione di Hollywood e la sede del cinema internazionale

di Andrea Indini e Matteo Carnieletto


California, 1886. Il sole si infrange sulla terra, rendendola incandescente, mentre un uomo di origini cinesi spinge un carro pieno di legna. Suda e impreca per il gran caldo. All'improvviso incontra un imprenditore, Hobart Johnstone Whitley, il quale gli chiede cosa sta facendo: "I hooly-wood", risponde il carrettiere, intendendo "I'm hauling wood" (sto trasportando del legname). L'imprenditore ha un'epifania, un'irruzione del sacro nella quotidianità, che saranno una costante in questa fetta di mondo. Capisce male, o forse lo fa apposta, e decide di chiamare questo luogo tra le colline della California "Hollywood", il bosco di agrifoglio. È l'inizio di una storia nuova, in cui la luce del sole si mescola alle tenebre del satanismo e dell'occultismo.

A partire dagli anni Quaranta del XIX secolo, migliaia di persone si riversano verso la West Coast. Cercano l'oro. Inseguono un sogno. Vengono dalle parti più disparate del mondo e credono in fedi diverse. Ci sono protestanti e cattolici. Bianchi, indiani e neri. Litigano, a volte si ammazzano anche, ma alla fine si amalgano. Anche spiritualmente. Scrive Jesùs Palacios, autore di Satana a Hollywood (Edizioni NPE), che la California diventa "il luogo ideale per mescolanze e sincretismi, il luogo ideale perché a poco a poco la vecchia fede di indebolisse e si evolvesse in nuove credenze e superstizioni... Affinché proliferassero altresì imbroglioni, santoni, predicatori e falsi profeti".

Sembra quasi che tutti si siano dati appuntamento lì. Negli anni Venti del XX secolo arriva Jiddu Krishamurti. Sopracciglia folte, occhi profondi e lineamenti da statua. Riesce ad ammaliare tutti, ma soprattutto le donne. Ottiene una rendita di cinquecento sterline l'anno. Un'enormità per l'epoca. Viene invitato a tutte le feste e incontra i personaggi più importanti dell'epoca, tra cui l'astrofisico Edwin Hubble e Greta Garbo, che rimane folgorata da lui. Più passa il tempo e più Krishamurti ottiene consensi: "Sempre radicato a Ojai e nelle vicinanze di Hollywood, avrebbe trovato di nuovo il sostegno della comunità cinematografica grazie a Mary Zimbalist, vedova del profuttore Sam Zimbalist, deceduto nel 1958 durante le riprese di Ben-Hur. Sarebbe diventata lei, a partire dal 1964, la sua principale fonte di finanziamento; gli costruì una casa nuova a Ojai, lo invitava spesso nella sua villa di Malibù e contribuiva di tanto in tanto alla sua stabilità economica, tenendo conto che il maestro fu imbranato fino alla fine dei suoi giorni in ambito finanziario". Il 17 febbraio del 1986 Krishamurti muore a Pine Cottage. Non vuole alcuna celebrazione. Sparisce per sempre. Nel vuoto.

Con il passare del tempo, però, accanto all'esoterismo comincia a muoversi il culto per il demonio. Howard Stanton Lavey ne è il fondatore. Nato, l'11 aprile del 1930 a Chicago, a soli 36 anni rivela che è giunta l'Era di Satana e, in poco tempo, si circonda di un numero sempre più cospicuo di fedeli e conquista le bionde più belle di Hollywood. Dopo la seconda guerra mondiale frequenta per un breve tempo Marylin Monroe, consumata per lo più "sotto l'ombra di uno degli edifici più magici e spettacolari dell'architetto e occultista Frank Lloyd Wright a San Francisco, ispirato dall'achitettura maya e azteca del Messico dell'era precolombiana". Ma è con Jayne Mansfield che LaVey crea il legame più profondo: inizialmente l'attrice non lo considera più di tanto ma, non appena lo vede in abiti sacerdotali neri, impazzisce per lui e se ne innamora. Si dice addirittura che LaVey le abbia chiesto la mano e che l'avesse introdotta in alcuni circoli sacerdotali occulti. Accanto al satanista girano avvocati, artisti, anche agenti dei servizi segreti. Sono tutti alla sua corte e partecipano a riti terribili, fatti con candele nere e teschi umani. Nel 1968 apre la prima chiesa dedicata al culto luciferino e, qualche anno più tardi, scrive La Bibbia satanica: "L'opera - scrive Palacios - parla di invertire la morale tradizionale e fornisce una guida teorica e pratica (il libro contiene preghiere, incantesimi e cerimonie magiche) per l'uomo nuovo che dominerà il mondo del futuro, incentrata su un egoismo attivo un tantino darwinista, sul sesso libero, l'amoralità e una sorta di realismo religioso tipicamente ateo e umanista". Strane morti accompagnano la vita di Lavey e che tinteggiano, in una lunga scia di sangue, le colline della California.

Ma come si è potuti arrivare a tutto questo? Secondo Michel Houellebecq, che ne Le particelle elementari, che quest'estate La Nave di Teseo ha riportato in liberia, si è dedicato a questo tema. La strada è lunga ed è indissolubilmente legata ai cambiamenti che, dopo il secondo dopo guerra, attraversarono il Vecchio continente: "Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo - si legge nell'incipit - di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia rapporti saltuari con altri uomini. Visse in un'epoca infelice e travagliata". Nel volume, lo scrittore francese analizza il legame sotteso tra la liberazione sessuale, di cui il Sessantotto si fa portatore sconvolgendo definitivamente i consumi dell'Occidente, e gli omicidi compiuti dai satanisti. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1998, è il racconto (crudo e disilluso) di due vite agli antipodi: Michel Djerzinski, biologo molecolare che spende tutta la sua vita per dare alla vita stessa un significato che sembra non esserci, e il fratellastro Bruno che, invece, cerca quel medesimo significato in un'onnivora attività sessuale devastata e devastante. Sono entrambi i prodotti di una rivoluzione culturale che ha lasciato nudo l'uomo, spogliato di una tradizione millenaria e in balìa di un voyeristico egoismo.

Houellebecq accompagna il lettore per mano in un tour virtuale dentro e fuori le comunità hippy, i raduni new age, i campeggi per nudisti e i club per scambisti, che nella seconda metà del secolo scorso sono sorti in Francia. Quello che emerge è un vuoto cosmico che lascia le anime solo dinnanzi alla propria vacuità. Ma, se nel Sessantotto questa spinta emotiva, che ha portato alla disgregazione della famiglia e dei legami famigliari, viene ammantata da un'aurea di novità, sul finire degli anni Ottanta scema in una compulsiva reiterazione di canoni fallimentari che, però, sono ormai tanto permeati all'interno della nostra società da essere dati per scontati e, quindi, passivamente accettati. Finita l'euforia, che ha drogato gli anni Settanta (poi sfociati nella violenza ideologica del terrorismo), quello che rimane degli ex sessantottini è una triste "congrega" di ex ribelli (non più giovani) in cerca di emozioni ormai sciupate. E così il sesso si fa sempre più estremo e le droghe sempre più pesanti.

È proprio tra gli "scarti" del Sessantotto (pochi soggetti a dire la verità) che Houellebecq intravede l'insinuarsi del germe del satanismo. Ne Le particelle elementari viene dato spazio, anche se per poche pagine, a un personaggio che sin dall'inizio appare oscuro e turpe: David Di Meola, figlio della cultura hippy che, dopo aver fallito come musicista rock, si butta prima sul sesso estremo e poi sul mercato degli snuff movie ammantandolo dei tetri simboli satanici. Il passaggio da violenza sessuale a omicidio è brevissimo. Ma sufficiente a macchiare di sangue un'intera generazione. Nel saggio Il disagio della civiltà (Feltrinelli), Sigmund Freud indaga, tra le altre cose, sul rapporto tra sessualità e morte, due concetti che la nostra mente fatica a tenere insieme. Eppure certi disvalori si sono fatti portatori di una sessualità forzata che in alcune sacche della società è accettata e condivisa (si pensi al masochismo e al sadismo), mentre in situazioni al limite sfocia negli stupri e negli omicidi rituali. Per Houellebecq questa deriva è la diretta conseguenza del materialismo più puro.

Un altro figlio di questa degenerazione è sicuramente Charles Manson (venticinque anni più tardi scimmiottato dal cantante pseudo-satanista Marilyn Manson) la cui ombra sembra calare anche su alcuni capitoli de Le particelle elementari. Rileggendo la storia di Hollywood non deve affatto stupire se nel 1967, dopo aver girovagato per mezza America (dall'Oregon all'Ariziona, dallo stato di Washington al New Mexico), decide di insediare la sua Family (così venivano chiamati i suoi adepti) nella periferia di Los Angeles. Tra loro c'erano anche molte ragazze (tutte giovani, tutte molto belle). Nel romanzo Le ragazze (Einaudi) Emma Cline le descrive così: "Parevano appena ripescate da un lago [...] Stavano giocando con una soglia pericolosa, bellezza e bruttezza allo stesso tempo, e attraversavano il parco lasciandosi alle spalle una scia di improvvisa allerta. Le madri si guardavano intorno cercando i figli piccoli, spinte da una sensazione a cui non avrebbero saputo dare un nome. Le altre giovani prendevano per mano i fidanzati". Ancora una volta: eros e violenza, vita e morte. Che rimangono impregnate nella terra. "C'è gente che dice che questo posto è impregnato di una forza malefica", racconta una segretaria a John Waters mentre è in visita al ranch di Manson. Il male lì sembra non essersene mai andato. Alberga in quella terra e non se ne vuole più andare via. Del resto Charles lo accoglie, anzi lo invoca, per lungo tempo. Raduna attorno a sé un gruppo di hippy ai quali propone una nuova vita spirituale. Scrive Palacios che la "famiglia Manson" frequenta "riunioni notturne degli Angeli dell'Inferno, sette e comunità religiose piuttosto singolari come la crowleyana Loggia Solare dell'Ordine del Tempio d'Oriente (Oto) o l'orientalista Fonte del mondo, ispirata dagli insegnamenti pacidisti di Krishna Venta, che annoverava tra i suoi membri Shorty Shea, impiegato nel ranch, e una delle vittime della Famiglia, il cuio corpo, teoricamente smembrato e cosparso nel desrto, non fu mai ritrovato".

Charles li fomenta. Promette loro il sangue e, infine, glielo concede. Accade tutto in una notte, quella tra l'8 e il 9 agosto del 1969: quattro suoi "figli spirituali" entrano nella casa di Sharon Tate e regista Roman Polanski. L'ordine è uno solo: "Uccidere tutti i presenti, nella maniera più macabra possibile". Così sarà. Alcuni degli ospiti verranno uccisi a colpi di coltello, altri furono freddati con armi da fuoco. La Tate chiede pietà per il figlio che ha in grembo, ma non c'è nulla da fare. È l'helter skelter - questo il nome del massacro, preso in prestito da una canzone dei Beatles - e non possono esserci sopravvissuti. Il sangue deve essere ovunque, perfino sui muri della casa.

Immaginare un altro finale è difficile, ma non impossibile. Ci ha provato il re dello splatter Quentin Tarantino. C'era una volta a... Hollywood riscrive quella mattanza dandogli un altro finale. E prova a liberare Hollywood dai suoi mali. Ma è solo fiction. E Hollywood rimane quella che è.

domenica 8 ottobre 2023

Quando i nazisti andarono alla ricerca di Atlantide

tratto da Inside Over del 19 GENNAIO 2022

di Pietro Emanueli

Immagine tratta da Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Atlantide#/media/File:Atlantis_Kircher_Mundus_subterraneus_1678.jpg

I nazisti avevano un’ossessione verso la razza, come l’Olocausto degli ebrei, degli slavi e del popolo romani ha orribilmente dimostrato, ed è storia che abbiano avuto anche una profonda fissazione nei confronti di tutto ciò che riguardasse l’esoterico, l’occulto e il mistico. Perché il nazismo, ancor prima che politica, fu religione.

Scrivere e parlare del lato misterico di quello che Alfred Rosenberg aveva definito il Mito del ventesimo secolo è più che importante – è indispensabile –, perché è soltanto disaminando ciò che accadde nel dietro le quinte del Reichstag che si può comprendere la lucidità delle imprese apparentemente folli dell’Ahnenerbe. Imprese come la caccia al Santo Graal, la spedizione in Tibet, la missione in Amazzonia e la dimenticata ricerca di Atlantide.

Le prime ricerche

Dietro ogni leggenda si cela un pizzico di verità, così si suol dire, e il rinvenimento delle colonne d’Ercole ne è l’ennesima dimostrazione. E i nazisti, per un insieme di ragioni avevano affidato all’Ahnenerbe il compito di indagare sugli antichi miti europei, erano legati ad una leggenda in particolare: quella della civiltà perduta di Atlantide.

La storia della ricerca di Atlantide è la seguente. Nel 1935, anno della fondazione dell’Ahnenerbe, Heinrich Himmler radunò una squadra di specialisti in una varietà di discipline – archeologia, esplorazione sottomarina, storia – allo scopo di trovare prove della passata esistenza di quest’isola perduta, localizzata al di là delle colonne d’Ercole, che stando alle cronache degli antichi sarebbe stata la casa di una civiltà avanzata. Una civiltà che, secondo gli occultisti e gli esoteristi che avevano ispirato la mitologia nazista – come la Società di Thule, la Società Teosofica di Madame Blavatsky e la Società Antroposofica di Rudolf Steiner –, sarebbe stata collegata agli iperborei ed un’espressione della razza ariana.

Influenzato da Herman Wirth, storico fermamente convinto della passata esistenza dell’isola-civiltà e co-fondatore dell’Ahnenerbe, Himmler diede il via all’operazione Atlantide. I cantieri furono inaugurati nell’Europa continentale, più precisamente nel complesso megalitico di Externsteine, dove fu data vita ad una sessione di scavi archeologici supervisionata da Wilhelm Teudt. Gli scavi non contribuirono agli scopi della missione, non avendo portato alla luce nessun collegamento tra il sito e Atlantide, ma Externsteine, a partire dal 1935, sarebbe comunque divenuto uno dei luoghi-simbolo del misticismo nazista.

Una missione senza confini

Wirth e Himmler avrebbero seguito i lavori dell’operazione Atlantide, a Externsteine come nel resto del mondo, da una pittoresca palazzina costruita appositamente per pubblicizzare la bizzarra missione, Haus Atlantis – ancora oggi esistente –, realizzata dal visionario architetto Bernhard Hoetger e fungente da centro studi su Atlantide.

Da Haus Atlantis, un veridico incubatore di idee, nel dopo-Externsteine sarebbe provenuta l’idea di estendere le ricerche al Tibet, ritenuto un luogo tanto connesso ad Atlantide quanto ad altri miti di interesse per l’Ahnenerbe, come l’Iperborea, il regno sotterraneo di Agarthi e la teoria del ghiaccio cosmico. L’insieme di moventi di cui sopra, nel 1938, avrebbe dato vita alla spedizione nazista in Tibet.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale, come è noto, avrebbe posto un freno all’Ahnenerbe, coartando il governo a riorientare le risorse dalla ricerca pseudostorica al settore bellico. Haus Atlantis, ad ogni modo, avrebbe continuato le proprie attività fino al 1945, attraendo ricercatori e semplici appassionati ai miti del mondo antico e raccogliendo fondi utili a espletare missioni di ricerca tra Francia, Islanda, Scozia e Svezia.


 

giovedì 28 settembre 2023

La disfida delle dieci città per la conquista del sacro Graal

tratto da "Il Giornale" del 10 Maggio 2017

Chiese e castelli si vantano di custodire l'ampolla col sangue di Gesù. Una reliquia che richiama ogni anno milioni di turisti

di Emanuela Fontana

Forme geometriche pure, unione tra uomo e infinito, perfezione aurea, scolpita nel numero di Dio. A Castel del Monte il grecale che viene dal mare soffia forte su quattro lati dell'ottagono, ma camminando contro corrente si placa lungo i torrioni rivolti alla campagna, fitti di conifere. Un luogo che è un mistero, da sciogliere come un gomitolo girandoci intorno, lungo quelle mura di forme chiuse e aperte, torri che sembrano lavorate al tornio, stelle a cinque punte e linee vitruviane, volute da Federico II ma di cui non risulta nessuna testimonianza storica di tempi di costruzione, utilità, funzione.

Isolato su una collina a sedici chilometri da Andria, il castello emerge come una conchiglia al limitare dell'Alta Murgia ed è uno degli scrigni d'Italia dove si dice sia custodito il Santo Graal, il sangue di Cristo. La ricerca del sacro tesoro lambisce angoli di Italia apparentemente non connessi tra loro dal punto di vista geografico o storico, come se la ricerca del Mistero, di una pietra filosofale in forma di sangue rappreso, non si esaurisse mai dopo secoli, libri, leggende e premonizioni. Castel del Monte, la fortezza a forma di coppa di calice, dove archi, portale, linee, rispondono al numero aureo, la sequenza di Fibonacci, e dove i visitatori crescono al ritmo di 15mila in più ogni anno (è il sito più visitato della Puglia e tra i primi del sud Italia). La chiesa di uno dei Santi più enigmatici della cristianità, Nicola di Bari, dalle cui ossa si sprigiona un liquido, la manna. L'insistente iconografia dell'angelo guerriero che sostiene un calice, i giochi di luce che sembrano illuminare un indizio inciso su una parete del Castello del Maschio Angioino a Napoli. Le leggende legate a un miracoloso arrivo via mare di un'ampolla a Sarzana, nell'entroterra ligure al confine con la Lunigiana. Il sacro catino della Cattedrale di Genova. Il Saas Carlash della Val Codera. Il calice di vetro del Duomo di Berceto lungo la via Francigena. Tutti questi luoghi rivendicano la custodia del sangue reale, il sang real. Calice, sangue, tomba.


IL CASTELLO DIVINO

In Puglia molti dei 260mila turisti che salgono la collina dell'ottogonale castello, di cui non si conoscono nè architetti nè data di costruzione, cercano un senso agli ultimi studi pubblicati sul Graal. Come il libro, in vendita nella libreria della fortezza, «Castel del Monte e il Santo Graal», edito da Laterza, di Aldo Tavolaro, in cui il castello a forma di cristallo, di pietra calcarea, marmo e breccia corallina viene vivisezionato nel gioco di diagonali del cortile interno, con l'angolo a 47 gradi, «doppio dell'angolo di inclinazione dell'asse terrestre». Secondo questa ricostruzione, in una cella segreta, in una nicchia tra le otto stanze trapezoidali del pian terreno e le altrettante del primo, potrebbe essere custodito il sangue di Gesù, o esservi addirittura una tomba che attesti una discendenza. Federico aveva un rapporto conflittuale con i Templari, i custodi del Graal, ma il castello è infarcito di simboli templari, a partire dalla testa barbuta presenta nella chiave di volta della settima sala, il Baphomet. Queste le teorie sullo scrigno della Murgia.


IL CRITTOGRAMMA DI SAN NICOLA

Ma forse per stare dietro al grande successo del castello svevo, anche Bari torna alla carica sulla paternità del Graal. Nella basilica è custodita una riproduzione della lancia di Longino, il centurione che trafisse il costato di Gesù sulla Croce. Dalla lancia che incise la ferita al sangue il passo è breve: la sacra essenza sarebbe custodita in un luogo che solo la decrittazione di un'incisione a 624 lettere posta sull'altare, il crittogramma di San Nicola, può svelare. Ovviamente nessuno sinora ci è riuscito. Nemmeno Dan Brown. Il trasporto nel 1087 delle ossa di San Nicola da Myrna, città turca di cui era vescovo, potrebbe quindi essere stato associato a un trasferimento ancora più prezioso.

Con il patrocinio dell'assessorato al Turismo, Napoli ha avviato a ottobre un imponente progetto con visite guidate e convegni, «Il Graal al Maschio Angioino». La possibile presenza del calice, o del sangue di Cristo, è legata a una serie di bassorilievi che ritraggono l'Arcangelo Michele, ma anche alla figura di Lucrezia d'Alagno, amata da Alfonso V d'Aragona. Le presenze al Maschio nel 2016 hanno sfiorato quota 300mila, con un aumento di visitatori negli ultimi due anni del 400%.


L'AMPOLLA DI LUNI

Anche la Liguria era crocevia di strade che collegavano l'Europa del Medioevo. A pochi chilometri dal mare, c'è una cittadina che rivendica il Santo Graal, ed è Sarzana. Qui vicino nacque, si sviluppò e si esaurì una florida civiltà legata al culto della dea Luna, e furono proprio le acque di Luni che nel 782 portarono sulla spiaggia una croce con inciso il volto di Gesù, il Santo Volto, e un'ampolla. I vescovi di Luni e Lucca si spartirono il miracolo, e a Luni, ora Sarzana, andò l'ampolla.

Compete con Valencia come possibile autentico calice l'affascinante Sacro catino della cattedrale di Genova, ora in restauro a Firenze, un vaso esagonale verde brillante in pietra bizantina indicato come il piatto usato da Gesù nell'Ultima cena. Sarebbe stato portato a Genova dopo la prima Crociata da Guglielmo Embriaco.


IL MISTERO IN UNA VALLE

La reliquia più cercata della storia sarebbe rimasta custodita fino al Quinto secolo nella chiesa di Aquae Sulis, in Britannia, e da qui spostata per la minaccia degli eserciti pagani. Ma prima di arrivare a Roma, avrebbe sostato in Val Codera, provincia di Sondrio, e qui si sarebbe fermata per l'invasione dei Longobardi. Il luogo scelto da un sacerdote del posto fu un enorme masso al termine di una conca, il Saas Carlash. Ma il Graal potrebbe anche trovarsi sotto il centro storico di Desenzano, o tra Desenzano e Sirmione, ovviamente ben nascosto, indicato dalle leggende come tesoro dei Catari. O sepolto in un pozzo vicino Aquileia. O giacere sotto la Basilica di Collemaggio, colpita dal terremoto del 2009, all'Aquila. O trovarsi nell'Abbazia di San Galgano, in provincia di Siena, vicino alla quale c'è addirittura una spada nella roccia. Ma non è di Artù, è di Galgano.


domenica 24 settembre 2023

Zolla scava nella "Tradizione" per scoprire l'Essere perfetto

tratto da "Il Giornale" del 10 Maggio 2023

La sola ragione non è in grado di porsi come guida dell'uomo. E l'apologia del progresso è un veleno

di Luigi Iannone

Lo stigma dell'ottuso reazionario è stato associato ad Elémire Zolla per larga parte della sua vita. Fu attratto dalla mistica e dall'Oriente, sedotto da alchimie, archetipi e sciamani. E poi, peggio ancora, pubblicava con Rusconi, nel cui catalogo volle autori come Ceronetti, Florenskij, Weil, Voegelin e Tolkien. Insomma, vagabondava tra elementi considerati tanto disdicevoli da essere collocato da Umberto Eco tra gli apocalittici.

Eppure, alla fine dei suoi anni rimase incantato dalla Realtà virtuale, «vertice e rovesciamento salutare della rivoluzione industriale». Ciò accadde perché i suoi scritti disegnano un giro polifonico per la rinascita dei valori autentici che mai abdicano ad una ricerca che agisce nel divenire storico. Non certo franando nei luccichii della Realtà virtuale o nei prodigi della tecnica ma, pur saldo sulle verità eterne e leggendo gli eventi con un certo grado di leggerezza, Zolla fu sempre stimolato dalle cose del mondo. Per capirlo, basta leggere uno dei libri più noti, Che cos'è la Tradizione, ora riproposto da Marsilio (pagg. 272, euro 22, a cura di Grazia Marchianò).

La Tradizione a cui fa riferimento, «cui compete la maiuscola» e non è solo cattolica, travalica dottrine e popoli, muta sembianze nel corso del tempo, abbraccia territori disparati, e permane come elemento sovrastorico che trasmette «l'idea dell'Essere nella sua perfezione massima». E lui la cerca incessantemente, anche setacciando la coltre polverosa dell'ordinario.

Bisogna però fare attenzione. Di tradizioni ne esistono tante «poiché anche una masnada di scellerati trasmette al nuovo affiliato le furbizie, le parole di passo, le norme di spartizione» e se si resta ancorati alla superficie inseguendo la natura dell'Essere attraverso dimostrazioni logico-scientifiche si corre il rischio di cadere - come diceva Nietzsche - nella mera idolatria del fatto. Per Zolla, la sola ragione è incapace di definire e rivelare la natura dell'Essere e quindi porsi come guida della vita di ogni singolo uomo.

Il suo è infatti un lavoro di sottrazione e di scavo. Per sottrarsi alla retorica mondana e a quegli interrogativi («i labirinti del nulla») che si pongono continuamente gli uomini, parte dall'esperienza interiore che è altra cosa rispetto al lavoro psicanalitico. Pur critico verso lo storicismo, ricerca gli archetipi e le vestigia della Tradizione lungo i crinali del tempo e l'incedere delle civiltà umane. Ma vaga in tutte le direzioni in modo da poter sfuggire all'identificazione con un tempo storico o una società. Al contempo, non cade nell'errore opposto. Rifugge il mito del progresso e non presta attenzione agli apologeti della nuova religione laica che prende il via con la rivoluzione francese. L'attesa del futuro che attraverso l'uso della ragione sempre emanciperebbe e riscatterebbe la condizione umana, a suo dire, produce odio profondo per l'ascesi e la vita contemplativa e un pericoloso adeguamento allo spirito del tempo diventato egemonico anche all'interno della Chiesa, dove «si è arrivati al diffuso disprezzo per la contemplazione pura».

Il progressismo («vocabolo che è ripugnante pronunciare») non solo crede nella logica inesorabile del mondo futuro ma, concependolo come esito fatale e positivo, discrimina ogni rapporto di trascendenza. Ma c'è un'astuzia sul metodo che rende il mito del progresso subito popolare e fascinoso e verrà segnalata, oltre che da Zolla, anche da Augusto Del Noce: la capacità di attrarre consenso grazie ad una sorta di traslazione del pensiero cristiano, richiamando concetti teologici secolarizzati dove la idealizzazione del futuro sostituisce l'aldilà e la redenzione da Dio è rimpiazzata dall'ideologia umanitaria.

Lungo questa linea il finale pare già scritto. La ricerca fanatica e ossessiva del cambiamento, scuotendo dalle fondamenta le civiltà, non può che avere esisti nichilistici («l'uomo si va pietrificando») e l'assenza di ogni legame non può che condannarci a moderni e sofisticati dispotismi («Maledetto l'uomo che confida nell'uomo!» ricorda Zolla, citando Geremia). I frutti politici del Sessantotto (anche qui ritorna Del Noce) con l'idea di affrancare la parola «autorità» dalla parola «tradizione», sarebbero alcuni dei tasselli più visibili. Il fatto che Zolla anteponga la sapienza tradizionale e la dimensione eterna dell'Essere alla cultura dell'individuo moderno, prometeico, che subordina ogni cosa al divenire, per taluni assume tratti di follia bambinesca, dimensione fluttuante tra il magico e l'aleatorio.

Tuttavia, Zolla ci indica i segni concreti della permanenza perenne della sapienza tradizionale che è «verità segreta esposta in evidenza», che può attraversare molte tradizioni minori («ogni atto umano è nella sua forma ottima un tramite della Tradizione»), concretizzarsi attraverso una serie di strumenti («sacramenti, simboli, riti il cui fine è di sviluppare nell'uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia consentito») e, se proprio non si è ciechi, svelarsi per mezzo di elementi che hanno una materialità percettibile come l'opera di Dante, di Virgilio, di Shakespeare, i canti degli sciamani asiatici o il Partenone.