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mercoledì 25 luglio 2018

Un libro alla scoperta del Biellese segreto, tra eredità celtiche, riti pagani e misteri esoterici.

tratto da: http://www.rivistaetnie.com/roberto-gremmo-biellese-segreto-87535/

Roberto Gremmo, Biellese segreto – L’eredità delle civiltà antiche, le credenze magiche e i misteri esoterici, Storia Ribelle, Biella 2017, 18 euro.

Questo nuovo libro del noto etnista e storico Roberto Gremmo è frutto di anni di ricerche difficili e appassionate alla scoperta di un Biellese insolito, imprevisto e celato. Spuntano le vestigia dell’ancestrale “Vittimula”, centro di estrazione dell’oro poi schiavizzato dai romani; le incisioni rupestri in val dl’Elf; la “Pera Pichera” e il “Roch dla Regina” di Roppolo, che ricordano antiche devozioni comunitarie; il “battesimo” della “Scarpa du laver” di Postua e nella fonte magica e guaritrice di Lozzolo, veri e propri culti paganeggianti delle acque. Il “Roch dla vita” di Oropa, che conserva ancora molti misteri e poco noti rituali ereditati dalla religiosità pre-cristiana. Di leggendarie località scomparse resta memoria nella tradizione del paese perduto di Viverone, del lago scomparso di Crevacuore, di San Pajarin nei boschi sacri di Arro e Carisio e nella fortezza di Ysingarda della Baraggia di Candelo. Robuste tradizioni di masche ammaliatrici, guaritrici o diaboliche popolano ancora i racconti dei più anziani. Ma in tempi a noi più vicini non mancano suggestioni esoteriche come la chiesa con la svastica di Rosazza, la fontana massonica nascosta al Lago della Vecchia, il menhir di Santa Esuberanza sulla Janka, e tanti altri misteri.

giovedì 15 giugno 2017

Druidismo & Cristianesimo: Riflessioni sul tema

di Andrea Romanazzi

Quando iniziai a percorrere il sentiero del Druidismo nell’OBOD, mi soffermai più volte su una affermazione che mi appariva strana: “non importa se sei Buddista, Cristiano, Pagano, etc…” puoi partecipare al corso OBOD...”. Chi si approccia all’inizio del Corso non può capirne il perché…anzi…rimane stupito e si chiede…”ma io sono pagano”…
Invece poi tutto si snoda, durante il cammino la Verità appare attraverso l’Integrazione, il messaggio anche etico del grado Druidico. Ross Nichols affermava che il Druidismo non è tanto una religione ma è piuttosto alla base della spiritualità presente di esse. L’Integrazione è dunque uno dei doni del Corso, la parola chiave del druidismo.
Si tratta però di solo rispetto o c’è qualcosa di più? Può esistere una “fratellanza” spirituale tra il Cristianesimo e il Druidismo?
Secondo Mark Townsend, Matthew Fox e Barbara Erskine e il loro libro  Jesus Through Pagan Eyes: Bridging Neopagan Perspectives, non c’è dubbio. Esaminiamo meglio la questione. Il Druidismo, ma soprattutto il neo-Druidismo non è una via che potremmo definire “pura”, per il semplice motivo che da sempre nessuna Religione o Via Spirituale si è evoluta nell’isolamento ma in qualunque di esse ci sono elementi presi da altre tradizioni. I culti Romani attinsero fortemente a quelli greci ed egiziani, il Buddismo tibetano ha fortissime radici nei culti esoterici del Bon, il Cristianesimo è ricco di tradizioni pagane che ha fortemente fatto proprie. Quale è la “vera e pura” religione? Più indietro andiamo e più troviamo qualche culto precedente a cui quello “nuovo” ha preso in prestito elementi, ovviamente costruendoci attorno rituali e culti che avrebbero da un lato segnato una diversità, dall’altro, spesso, favorito la nuova casta sacerdotale. E’ accaduto nel Cristianesimo come nel mondo egizio. Se così eliminiamo gli orpelli che spesso appesantiscono le religioni “Neo”, Nuove o Antiche, troviamo il nocciolo comune.
Esaminiamo, ad esempio, i due elementi centrali della Cristianità. L’immagine della Vergine Maria è assolutamente uguale a quella di molte dee Greco-Romane, a loro volta simili all’immagine di Iside e Horus. Andando sempre più in dietro troviamo che l’immagine femminile e madriarcale, dalle caratteristiche immortali, e quella del suo Figlio e Compagno, il dio vegetazionale, sono presenti in tutte le cosmogonie e i miti del mondo antico. Il culto del Dio che muore per poter risorgere, simboleggiato dal Cristo, è assolutamente identico alle storie di Attis, Adone, Osiride, Taliesin. A loro volta questi sono questi rivisitazione dei numerosi rituali e miti sciamanici che narrano di rituali di smembramento e della morte, sempre cruenta, del dio, espressione non di una ingiustificata violenza ma, espressione della vita che risorge dalla distruzione da parte dell’uomo dei prodotti dei campi, falciati, battuti e poi ridotti in polvere. Anche l’usanza del cibarsi delle carni e del sangue del dio, mutuata appunto dal Cristianesimo, è antichissima ma non esclusiva.
Quando i primi missionari cristiani scoprirono  in Gallia un gruppo di Celti intenti a venerare una figura femminile nell'atto di dare alla luce un bambino, non tentarono  neppure di modificare le loro concezioni religiose. Si limitavano a spiegare agli indigeni che, senza saperlo, erano già cristiani, e stavano adorando un'immagine della Madonna. Se tutto andava bene, sul luogo sacro veniva costruita una chiesa, e l'idolo pagano, trasferito al suo interno, si trasformava automaticamente in una rappresentazione cristiana e  per giustificare la presenza di figurazioni mariane che, a volte, precedevano la stessa nascita di Maria, i teologi coniarono addirittura un termine "Prefigurazione della Vergine ". Per molti neo-pagani il “vero” culto era quello dei Galli…ma non è questo il culto “primigenio”, a loro volta lo avevano assimilato da ritualistiche e religioni più antiche.
Dunque quale è la Vera Religione? Chi scrive si lascia “ispirare” dalla Natura, espressione di quell’Awen che appartiene a tutti, al di là delle pratiche sacerdotali, quelli si, inventate dagli uomini appannaggio troppo spesso delle caste dominanti.
La terra dei Celti, con la conquista romana, fu presto raggiunta dal Cristianesimo e da quegli “apostoli” che voleva convertire alla Nuova Religione i pagani del nord. In Britannia il Cristianesimo arrivò attorno al 200 d.C., anche se dobbiamo aspettare almeno altri cento anni prima di vederlo radicalizzato sul territorio e trovare Vescovi provenienti da queste terre. Sta di fatto che già nel 360 d.C. Vescovi e Pensatori celti erano diventati eminenti personaggi nelle gerarchie Cristiane. Un esempio può essere Pelagio, pensatore e teologo, amico di sant’Agostino. Egli, permeato da quella cultura che potremmo definire “druidica”, tentò una forte operazione sincretica tentando di piegare il Cristianesimo locale alle più antiche eredità druidiche. Senza entrare nel merito del “pelagismo”, del quale voglio solo sottolineare l’assenza del concetto di “peccato oiginale”, possiamo dire che si avvicinava fortemente ai rituali della chiesa d’Oriente. Ad esempio il Battesimo era esercitato attraverso una completa immersione, retaggio proveniente dagli antichi rituali celtici. Anche il concetto di “trinità”, è stato in qualche modo adattato alla “triplice sacralità” druidica. In quello che potremmo definire, anche se a me non piace ma che rende bene l’idea, “Cristianesimo Celtico” funzione importantissima avevano le Donne. A differenza del Cristianesimo Romano, per cui la donna era peccatrice e soggetto di tentazioni, dunque elemento pericoloso, nell’area britannica, laddove da sempre le donne erano sacerdotesse e/o druidesse, rivestivano un ruolo importantissimo. Pensiamo ad esempio alla badessa del monastero di Kildare, quella che oggi conosciamo come Santa Brigida, una suora missionaria omonima dell’antica Brigid, figlia di Dagda, da sempre venerata dai popoli celti. La leggenda narra che Brigida nacque da una donna mentre trasportava una brocca contenente del latte, particolare importante per il proseguo delle vicende della santa. La bambina infatti aveva la caratteristica di non nutrirsi di cibo comune, ma solo di latte di mucca bianca con le orecchie rosse, animale ricorrente nella mitologia celtica e che appunto ricorda lo stretto legame tra la santa e la dea, sempre rappresentata in compagnia dei suoi magici buoi. Divenuta badessa di Kildare la santa faceva produrre alle vacche del convento grandissime quantità di latte e ceste di burro tanto che in Scozia veniva chiamata “Milkmade Bride”, patrona dei lattai e dei lavoratori caseari. Molto del Druidismo e della Pratica Pagana più in generale è sopravvissuto tra i manoscritti e l’adattamento rituale della Chiesa Cristiana. L’errore comune tra i neopagani odierni è pensare che la loro cultura sia stata cancellata e sradicata dal Cristianesimo, ma questo è fuorviante e spesso basato su una scarsa conoscenza folklorica e delle origini. Il mondo sudamericano ed africano, molto più abituato di quello Occidentale all’accoglimento, non ebbe mai problemi ad assumere i nuovi nomi per non dimenticare i vecchi. Ecco così che divenne facile sovrapporre le divine figure, Cristo sembrava tanto simile ad Oxalà, mentre la Vergine Maria era la perfetta descrizione di Yemanjià. Gli antichi culti animisti africani si rispecchiavano facilmente nel politeismo monoteista cristiano fatto da un dio lontano e da molteplici santi i cui culti, assolutamente personalizzati, li facevano tanto assomigliare agli Antichi Spiriti. Preghiere ed orazioni del resto non venivano utilizzate per ottenere anche aiuti materiali in questa vita? Dunque cosa cambiava se la candela veniva accesa davanti a Oxossì o a Sant’Antonio? Si adoravano così gli antichi dei ma con i nuovi nomi, nulla è mai cambiato per il sudamericano. Gli Orishas, i loro dei, sopravvivevano. Allo stesso modo dovrebbe pensare il “neo”. Questa credo sia una lezione che molte vie neopagane devono ancora apprendere. Ross Nichols già a metà anni novanta lo sottolineava.

sabato 11 febbraio 2017

SAN VALENTINO E LA FOLGORAZIONE MISTICA

Ovvero Sesso, rituali pagani e Amor Cortese


Ci stiamo avvicinando, ancora una volta, alla Festa degli Innamorati, ovvero San Valentino, tutti lo festeggiano o lo hanno festeggiato ma sappete il perché di tale associazione?
Vi incuriosisce scoprire le antiche origini di una festa che oggi farebbe gridare allo scandalo?
Abbandonate l’immagine da bacio perugina ed addentriamoci tra i meandri falloforici.

L'originale festività religiosa prende il nome dal santo Valentino da Terni, e venne istituita nel 496 da papa Gelasio I. In realtà ancora nulla centra la festa degli “Innamorati” con quella del Santo,  La pratica moderna di celebrazione della festa, sembrerebbe risalire  probabilmente al Basso Medioevo, e potrebbe essere in particolare riconducibile al circolo di Geoffrey Chaucer che, nel Parlamento degli Uccelli associa la ricorrenza al fidanzamento di Riccardo II d'Inghilterra con Anna di Boemia, anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo.
Per altri l’associazione tra il Santo e l’Amore è legato ad un episodio che all'epoca suscitò vasto clamore: S. Valentino, secondo la tradizione, fu il primo ministro di Dio a celebrare l'unione fra un pagano e una cristiana. Alcuni studiosi del mondo naturale hanno legato tale festività alla credenza che da metà di febbraio si riscontrino i primi segni di risveglio della natura e nel Medioevo, soprattutto in Francia e Inghilterra, si riteneva che in quella data cominciasse l'accoppiamento degli uccelli e quindi l'evento si prestava a considerare questa la festa degl'innamorati. Direi un accoppiamento un po’ forzato, con gli estremi per un divorzio.
Per gli amanti dell’Oltralpe, in area norrena il periodo era dedicato a Vali, dio arciere figlio di Odino, ed era il periodo  dell'anno per celebrare matrimonio, anche se è un aspetto poco conosciuto all'interno della Tradizione nordica e comunque non particolarmente importante.
Possiamo dire che la festa dell’amore sia una festa di “importazione” il "St. Valentine's day" sullo stile di Halloween?
Parzialmente perché la festa degli “innamorati” si sovrapponeva ad una festività pagana molto nota, i famosi Lupercali.

"Nella Roma antica il giorno precedente i Lupercalia , il 14 Febbraio, era
festa in onore di Giunone, la regina degli dei e delle dee romane nonché
delle donne e del matrimonio.
E' questa tra l'altro una delle origini della festa di S.Valentino, a quel
tempo infatti, le vite dei ragazzi e delle ragazze erano rigidamente
separate e quella festa era un'occasione di incontro per ambo i sessi.
La vigilia della festa di Lupercalia i nomi dei ragazzi romani venivano
scritti su pezzetti di carta e messi dentro dei recipienti. Ogni ragazzo
doveva sorteggiare il nome di una ragazza dal recipiente:la ragazza scelta
sarebbe stata così sua partner per tutta la durata della festa."

Così  raccontano alcuni studiosi novecenteschi. In realtà davvero i Lupercali erano una festività importantissima per Roma in quanto rimandava alle stesse origini della città. Ovidio faceva risalire la tradizione della festa alle antiche celebrazioni dedicate a Priapo, Il dio,  spesso rappresentato con un volto umano e le orecchie di una capra, tiene in mano un bastone usato per spaventare gli uccelli, la falce per potare gli alberi e sulla testa foglie d’alloro.
Per altri la festività era in onore del dio Lupesco protettore delle greggi e degli armenti, spesso confuso con Pan
Secondo la mitologia il Dio nacque dall'unione di Ermes con Driope, la ninfa della quercia. La leggenda vuole che il dio stesse portando al pascolo delle pecore in Arcadia vide la fanciulla e subito se ne innamorò, dall’incontro nacque un bimbo metà uomo e metà capra.
La divinità era spesso rappresentato in forma fallica o addirittura dotato di un doppio fallo, simbolo proprio della sua natura feconda, aspetto per il quale era anche rappresentato da un pilastrino verticale con sopra scolpita la sua testa e il suo fallo eretto, simbolo appunto della fecondazione.
In quei giorni era dunque costume, in onore al Dio, scannare le capre e utilizzarne le pelli per vestire i lucerci, sacerdoti che staffilavano le donne contente di essere percosse perché convinte che quel rituale avrebbe facilitato la loro gravidanza e il parto.
I rituali, basati spesso su riti orgiastici con sacrifici animali erano stati a loro volta ereditati dai romani dalle popolazioni autoctone che vedevano nell’animale una divinità.
E’ già in questa festa che vediamo la germinazione del Carnevale, ovvero del “Camuffamento” del sacerdote che, avvolto in pelli d’animale, personificava il dio. La maschera indossata dal sacerdote/demonio era incarnazione di un personaggio mitico, un antenato, un animale totemico, un dio, e aveva la capacità di trasumanare l’uomo che la indossava. Le donne e le sacerdotesse, nella loro unione con il dio-sacerdote durante i rituali di fertilità, credevano così di esserne rese feconde.
I rituali di fertilità, il concetto di accoppiamento sacro, metafora del ciclo naturale,  ove l’uomo e la donna, si sostituiscono alle divinità e per loro intercessione perpetuano il mistero della nascita, e successivamente le falloforie, sono così archetipo del sabba.
Culti simili sono presenti in molte altre aree di Italia e d’Europa. Il Mannhardt, per esempio, ne descrive moltissimi relativi il “battere” gli alberi o le piante in primavera o a fine inverno per cacciare gli spiriti maligni e ostili alla rinascita vegetazionale.
Insomma, scopriamo che San Valentino che oggi festeggiamo era una gran festa del sesso.
Successivamente i Lupercali assunsero il carattere di una festa di purificazione, all'inizio, del gregge, e poi della città, senza però perdere il ricordo di base.
Uomini vestiti con le pelli degli animali sacrificati, percuotevano le donne che incontravano con lo scopo propiziatorio di trovare presto marito o per ottener una numerosa prole. Le frustate dei Luperci, divenuti anche uomini-capri non sono state dimenticate, così Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli, parla dell’usanza del battere e percuotere le donne con le verghe per assicurare loro la fecondità.

“Vidi sbucare dal fondo tre fantasmi vestiti di bianco in mano portavano pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciose, e battevano con esse sulla schiena e sul capo di tutti quelli che non si scansavano in tempo”.

Se però questa visione poco poetica della festa vi ha creato problemi, rimediamo subito con un po’ di “Amor Cortese”…


Il Colpo di Fulmine e il “Celtismo” Irlandese


Nel linguaggio moderno spesso si parla di “colpo di fulmine” ad indicare l’oramai famoso amore a prima vista. I media e i giornali ci han mostrato tutte le innumerevoli sfaccettature di questo termine nascondendoci pero’ la vera essenza che si nasconde in esso, a meta’ strada tra amore e magia e che affonda le sue radici in miti e leggende che ci riportano ad indomiti guerrieri ma anche a splendidi e dolci amanti.
Da sempre infatti amore e guerra sono andate di pari passo, in passato un re impotente o comunque che non poteva generare figli non poteva governare un paese, e gli stessi cavalieri e paladini erano screditati se avessero rifiutato di  giacere nel letto di una fanciulla che glielo avesse chiesto. Ancora oggi questo legame tra guerra e amore è ricordato in molti detti popolari come il comunissimo “in amore ed in guerra tutto è  permesso”.
L’energia “amorosa”, generata da una donna, può rendere l’uomo invincibile e da qui la tradizione di una antichissima tecnica di combattimento chiamata appunto “Colpo di fulmine”.
Un interessante episodio da narrare in tal senso è quello di Cuchulainn, il mitico eroe d’Irlanda, il leggendario sovrano si trova dalla sua maga-iniziatrice Scatach quando una notte, la figlia della sacerdotessa, Uatach, innamorata dell’eroe decide di sedurlo andando a riposare nuda nello stesso letto. L’eroe infastidito all’inizio rifiuta la proposta ma ecco che la fanciulla , in cambio di una semplice notte d’amore promette al re di spiegare come ottenere dalla madre una terribile tecnica di combattimento che lo avrebbe reso invincibile.
Ancora una volta, dunque, è attraverso la donna che l’uomo diventa imbattibile e infatti solo dopo aver giaciuto con Uatach e poi successivamente con la stessa sacerdotessa Scatach che Cuchulainn ottiene il segreto della micidiale Scarica di Fulmine che lo renderà famoso in battaglia.
L’esempio del mitico re irlandese non è l’unico, questa strana tecnica di combattimento era conosciuta anche da Lug , Batraz e molte altre divinità celtiche che , a loro volta , l’avevano sempre appresa da una donna. Ricordi di questa magica arma fisico-spirituale li ritroviamo successivamente nella Materia di Bretagna, e in particolare in una delle prime versioni del “Lanzelot en Prose”, la storia di uno dei più famosi paladini della tavola rotonda, appunto Sir Lancellotto.
Anche il paladino arturiano è da sempre circondato da donne-maghe , da Viviana a Morgana, esseri fatati che gli insegnano l’arte della guerra, ma solo una donna speciale potrà rendere l’eroe invincibile e tutto nascerà da uno “sguardo” o come oggi lo definiremmo da un “colpo di fulmine”.


“…Colpito al suo arrivo dalla sua beltà, lei gli sembra incomparabile più splendida da vicino, ed egli le  appare più alto e più forte. La regina prega Dio di far di lui un valoroso per la pienezza della bellezza di cui lo ha favorito…”

Questi versi del “Lanzelot en prose” descrivono perfettamente  il colpo di fulmine dopo il quale il paladino diventa il cavaliere più forte del regno, ed e’ ancora una volta l’amor fulmineo a trasformarsi in arma e “folgore divina”.
Solo chi conosce la “donna” può così esser un grande eroe, solo chi conosce l’ “amore” può diventare invincibile come può essere letto tra le righe  di tutta la mitologia celtica alla quale la materia di Bretagna si rifa’, e cosi’ il figlio indomito di Cuchulainn, non conoscendo l’amore viene ucciso in battaglia dal proprio padre che, non riconoscendolo, lo sconfigge proprio con la tecnica del colpo di fulmine,  stessa sorte toccherà a Galaad, figlio di Lancillotto. Infatti il cavaliere dal cuore puro e designato per l’arduo compito della cerca del Graal potrà portare a termine a differenza del padre proprio perché pudico, ma in realtà sarà proprio questa sua mancanza d’ “amore” a decretare la sua fine , infatti perira’ fulminato dalla luce stessa della mistica coppa d’Amore!
Colui che non conosce la “scarica di fulmine” non potrà essere invincibile e nessun cavaliere potrà mai conoscerla  senza la propria donna, il tramite d’amore che permette il raggiungimento della mistica folgorazione il cui ricordo, ancora oggi, si conserva nella tipica espressione “colpo di fulmine”.

domenica 14 febbraio 2016

I CELTI IN PIEMONTE – PARTE 1

I COTII DELLA VAL DI SUSA : Dai Druidi a Maometto

Di Andrea Romanazzi

Il Piemonte, per la sua posizione, è stato da sempre terra di passaggio e dunque terra di colonizzatori. La regione alpina piemontese fu sicuramente abitata già 100.000 anni a.C. anche se la vera e propria colonizzazione avvenne attorno a 7000-6000 a.C. come testimoniano i ritrovamenti del sito La Maddalena, presso Chiomonte il cui museo, purtroppo, è chiuso. Il popolamento dell’arco alpino può essere diviso in tre fasi, una preindoeuropea, una uralo-altaica ed infine una indoeuropea. Fanno parte della prima fase i Liguri, una popolazione autoctona erroneamente collegata ai Celti. Questo gruppo di allevatori-agricoltori aveva origine mediterranea, forse legata ai mitici “Popoli del Mare” o comunque di origine mediorientale. Almeno fino al 500 a.C. i Liguri dominarono l’area. In realtà tale gruppo venne presto in contatto con popolazioni di provenienza uralica, quelle che antropologicamente oggi vengono definite “razze alpine”, che, fondendosi con le popolazioni liguri locali, portarono in dote le credenze animistico-sciamaniche tipiche dell’area della Mongolia. Solo successivamente arrivarono gli Indoeuropei, più noti come Celti, in realtà un insieme numeroso di popoli linguisticamente e culturalmente simili suddiviso in moltissime tribù. Questa nuova avanzata spinse i Liguri ad occupare le aree montuose mentre le popolazioni celtiche si posizionarono nelle pianure come testimoniano molti studi sulla toponomastica. Ad esempio la radice –asco indicherebbe le origini liguri, molto più diffuse in montagna, contro quella –ago ascrivibile alle origini celtiche.


 
Il nostro viaggio nel Piemonte celtico parte dunque dall’area della Val di Susa, dominata delle Alpi Cozie, il cui nome deriva, appunto, dalla popolazione celtica dei Cotii. Il regno dei Cotii era forse quello più geograficamente definito, questo, forse, a causa degli ottimi rapporti con i Romani che lasciarono a tale popolo il governo dell’area in cambio di un appoggio politico-militare. Simbolo di tale collaborazione è l’arco di “trionfo” realizzato a Susa, eretto tra il 9 e l’8 a.C. con lo scopo di onorare Augusto il conquistatore e sigillare il patto tra Cesare e Cozio. E’ però già in questo luogo che troviamo le prime tracce degli antichi culti celtici: rocce coppellate legate al culto delle acque sono presenti infatti proprio sotto l’arco romano. Il territorio si estendeva da una non meglio identificata Ocelum, presumibilmente borgo nei pressi dell’attuale Avigliana, fino ad Exilles, il cui nome poverrebbe da Exingomagus, ovvero borgo degli Exingi, una importante popolazione della valle. Interessiamoci ora della religione dei Cotii. Come per le altre popolazioni celtiche, i culti, officiati dai sacerdoti, chiamati druidi, erano legati alla Natura. Alberi, fonti, rocce e montagne erano espressione della divinità. Ovviamente ogni popolazione aveva i suoi nomi peculiari, nell’area dei Cotii, ovvero la regione alpina occidentale, ad esempio era Albiorix il dio dei monti, come testimoniano numerose iscrizioni ritrovate nell’area e il tempio che presumibilmente doveva sorgere a Sauze d’Oulx, alle pendici del monte Genevris. Era sicuramente la divinità più venerata della zona, successivamente poi soppiantata da Apollo che ne prenderà il posto. Insieme alla divinità dei monti era poi diffuso il culto di Belenos, il dio solare, come testimonia un’iscrizione ritrovata a Bardonecchia o testimoniato a Sarre, Oropa. E’ suo il simbolo solare della “stella delle Alpi”, detto anche rosa celtica, oggi divenuto un simbolo politico. Infine altro culto fortemente diffuso era quello delle tre Matrone, divinità femminili dalle caratteristiche non perfettamente definite ma che dovevano avere legami con il culto della Grande Madre di diffusione mediterranea. Il nome Mons Matrona, dato al Monginevro ne attesta il culto nella zona. Se vogliamo però raggiungere uno dei tanti luoghi sacri ai Cotii dobbiamo seguire le orme dei Saraceni che, dalle loro basi in Provenza, cercavano di espugnare il Piemonte. Infatti a Bussoleno, proprio nell’area che fu dei Cotii si parla del castello Saraceno, la cui leggenda vuole realizzato proprio da tali invasori. Un po’ più a sud troviamo il borgo di Frassinello, considerato il quartier generale dei Saraceni e Mandrogne, colonia araba, giusto per fare due esempi. Approfondiremo in una successiva parte questa “invasione araba”, ma ora questo cosa centra con i culti dei celti? Ebbene, se volete raggiungere il sacro luogo del quale mi accingo a parlare, dovete chiedere del “Maometto” di Borgone. Il “Maometto” si trova in un’area boschiva su uno sperone roccioso in gneiss e ridosso del massiccio montuoso che a nord chiude la val di Susa. Si tratta di un’edicola rupestre  80x60 cm circa scolpita a bassorilievo sulla parete rocciosa, con all’interno raffigurato un personaggio che la tradizione popolare ha voluto identificare con Maometto. Piuttosto curioso visto che i mussulmani, per tradizione, non possono raffigurare i loro idoli religiosi e questo esclude che si possa davvero trattare del profeta. Si tratta ovviamente di una chiara demonizzazione di un luogo sacro pagano a cui la Chiesa ha associato un culto demoniaco ovvero infedele. Di esempi simili è ricchissima l’Italia e rimando ad un mio libro “Guida ai luoghi della Dea Madre in Italia” per approfondirlo.
Se osserviamo bene il bassorilievo, danneggiato fortemente dagli agenti atmosferici e dall’incuria dell’uomo, possiamo riconoscere una sorta di piccolo tempio con due colonne ai fianchi e una figura maschile al centro, con un mantello e con in mano due oggetti non facilmente identificabili. In particolare nella mano destra sembra essere presente uno strumento sottile e ricurvo, una sorta di falcetto, mentre ai piedi è presente una figura animale che potrebbe essere identificata come un cane. Sul sito comunale questa figura viene descritta come legata a Giove Dolicheno, un dio venerato dai militi romani, nel I° e II° secolo d.C.. Infatti proprio attorno all'attuale Borgone, sorgeva il confine tra l'Impero romano e il Regno di Re Cozio, sulla via che portava alle Gallie. Il culto di “Maometto” sarebbe legato ai contingenti mercenari che,  provenendo dalla città di Doliche in Siria, adoravano per l'appunto Dolicheno, divinità ittita, il cui culto si fuse con quello del romano Giove. Una visione che mi sento di non condividere, perché “scomodare” antiche divinità lontane? La figura infatti è sicuramente legata al culto di Silvano, di cui mi sono già occupato nel saggio “Il ritorno del Dio che Balla”. La divinità per l’Antico è concepita come immanente, essa permea tutto ciò che circonda l’uomo e dunque essa è anche dendromorfa. Se però all’inizio l’albero stesso è la divinità, successivamente, non viene più visto come essa ma come sua dimora, lo spirito arboreo invece di essere considerato l’anima di ogni albero, diventa la divinità della foresta, si passa così da una fase animista ad una politeista. In seguito allo spirito arboreo viene associato un aspetto antropico, anche a causa della semplicità da parte dell’Antico di associare ad una divinità sembianze umane. Iniziano così a nascere figure di divinità silvane, spesso rappresentate con un volto umano e con attributi agresti, come il bastone usato per spaventare gli uccelli, la falce per potare gli alberi e sulla testa foglie d’alloro e spesso con un enorme fallo. E’ questo il nostro “Maometto”. La sacralità dell’area è poi attestata da tutto ciò che circonda la figura. Sono infatti presenti molteplici rocce con scavate delle nicchie semisferiche, probabilmente il luogo ove venivano riposte delle offerte.





Continuando il nostro excursus piemontese, procedendo verso est, incontriamo le Valli di Lanzo tre valli delle Alpi Graie piemontesi, comprese tra la Valle dell'Orco a Nord e la Val di Susa a Sud, che prendono il nome dalla cittadina di Lanzo Torinese, posta su un'antica morena glaciale al termine delle valli…
….continua a breve