giovedì 15 settembre 2022

LA RELIGIONE DELL’ANTICA ROMA

tratto da "L'Opinione" del 3-02-2022

di Antonio Saccà

Dalla monarchia all’imperatore divinizzato

Ecco la nostra civiltà, la nostra antichità eterna, dalla Monarchia all’Impero, quasi un millennio, e per sempre. Roma, la Gerusalemme pagana, Roma, con Atene, la sommità a cui noi europei siamo pervenuti. Roma che ci guarda e la guardiamo, Imperatori, templi, strade, rovine monumentali, terme, colonne, ovunque Roma, quella dei millenni che furono e che sono. Abitare a Roma è vivere con i romani, dove fu ucciso Cesare, dove fu sepolti Augusto, e Traiano, e Antonino, e Caracalla. E Marco Aurelio, il Campidoglio, il Pantheon, la casa di Mecenate. Le origini di Roma sono mitiche al pari di quasi tutte le origini delle Città e delle Civiltà. Anche se non direttamente, Roma proverrebbe dai fuggitivi di Troia che, devastata dai Greci, tuttavia non fu annientata, riuscì a scampare uno degli eroi troiani, Enea, figlio di Priamo e della dea Venere. Enea, con pochi altri, salva il padre ed il figlio, Ascanio (Iulio), e si allontana dalla Patria, ramingo nel Mediterraneo, con vicende in qualche modo simili ad Ulisse. Vi è un destino per Enea, un compito sacro, ineluttabile, fondare una nuova Città, una nuova Civiltà. A tale scopo, Enea sacrifica Didone, Regina dei Cartaginesi, che gli offriva, insieme, amore e Regno. Enea non può accettare, il suo obbligo, disposto da forze supreme, è fondare la nuova Città, la nuova Civiltà. Enea parte, Didone si uccide. L’ amore infelice tra Didone ed Enea costituisce uno tra gli amori leggendari dell’antichità. Enea si volge all’ Italia, approda alle coste, si spinge nel Lazio, sposa la figlia del re Latino, Lavinia, vince i potenti locali, principalmente Turno, erge la città di Lavinio, che lascia al figlio, dal quale proverrà la Gens Iulia che conterrebbe anche Giulio Cesare, Ottaviano, Tiberio.

Enea reca, sempre nella Leggenda, gli Dei patrii. Ed è un particolare da considerare. Bisogna smentire radicalmente l’idea che “i pagani” fossero atei o miscredenti. Credevano in altri Dei, intensamente e con perenni forme ritualistiche, sacre, e vincolate alla interpretazione di “segnali” che venivano dagli Dei o da potenze occulte. Per gli antichi, ma la situazione non è cambia, ancora oggi, se, ad esempio, cadeva un fulmine, scoppiava un temporale, ciò non avveniva a caso, era un “segnale”, indicava qualcosa da fare o da non fare. Tutto, ripeto,doveva essere interpretato, tutto aveva un significato, era un’ indicazione. Gli antichi, mi riferisco soprattutto ai greci ed ai romani vivevano sotto l’ incubo di ottenere il favore degli Dei o di non esserne approvati. Quindi, riti, sacrifici, e soprattutto la ricerca delle cause che avevano (avrebbero) cagionato l’ ira di qualche Dio e il modo per riappacificarsi. La vita dei greci e dei romani, in genere degli antichi, era un continuo interpretare perché accadeva un evento, se celava segni favorevoli o sfavorevoli, nel timore di offendere un Dio, nella paura della vendetta degli Dei, nella volontà di riappacificazione. Tutto questo metteva l’ esistenza dei “pagani” sotto il segno della religione in modo pressante.

Antica Roma, la monarchia

Roma nasce con una leggenda. Esistevano popolazioni italiche dal I millennio, ma, nella leggenda, fu nel 753 a. C. che viene fondata dai gemelli Romolo e Remo, figli di Marte e di Silvia. Avversati, Romolo e Remo, dallo zio Amulio, vengono salvati in una cesta posta sul Tevere, raccolti e cresciuti dal pastore Faustolo, nutriti da una lupa; adulti riconquistano Albalonga per l’ avo Numitore, e si combattono tra loro perché Remo passa i confini della nuova Città, il che è atto sacrilego. Romolo uccide Remo, e regna per primo, il primo Re di Roma. La leggenda è tutta immersa nella religione superstiziosa e sacrale, nelle caratterizzazioni del mito: un parente avverso, il salvataggio prodigioso, la nascita da fonte divina, la disgrazia, la vittoria. Nel caso di Giove, di Edipo, di Mosè, di Gesù abbiamo circostanze simili. Nella leggenda di Romolo e Remo vi è il particolare nutrimento da una lupa. Di sicuro perché la vicinanza tra uomini e animali era assoluta, ma inoltre come segno che i gemelli sono nutriti con latte di lupa, saranno dei “lupi”. Importantissimo nella leggenda, il valore del confine. Secondo talune fonti, la lupa non è l’animale, è il soprannome di chi allevò i gemelli, e l’ uccisione di Remo fu dovuta alla disputa su chi avesse il diritto di fondare la Città.

martedì 6 settembre 2022

INTERVISTA AL PROFESSOR LUIGI PRUNETI SUL CONTE DI CAGLIOSTRO

tratto da "L'Opinione" del 26 agosto 2021

di Pierpaola Meledandri

“Giuseppe Balsamo fu un figlio del suo tempo, un’età straordinaria, durante la quale nacquero e si svilupparono tendenze e personaggi opposti: De Sade e Beccaria, razionalismo e irrazionalismo, privilegio nobiliare e istanze rivoluzionarie. Nelle logge di quel secolo si mischiarono scienziati e sedicenti maghi, empiristi e occultisti, chimici e alchimisti. Cagliostro recitò la sua commedia umana su quel palcoscenico”. Luigi Pruneti, scrittore, giornalista pubblicista e ricercatore, parla dell’affascinante ed enigmatica figura del Conte di Cagliostro.

Oggi ricorre l’anniversario della morte del Conte di Cagliostro, deceduto il 26 agosto 1795. Fu veramente un personaggio così straordinario da divenire “leggenda”?


Senza dubbio, fu sicuramente un personaggio eccezionale per le vicende della sua vita, per la fama che lo circondò, per il mistero che aleggiò intorno a lui, per la sua tragica fine. Non a caso Cagliostro è stato l’oggetto di infiniti saggi, di numerosi romanzi, di tanti racconti e film.

Chi era in realtà il Conte di Cagliostro: uno studioso, un alchimista, un mago un taumaturgo, il palermitano Giuseppe Balsamo, uno scaltro truffatore?


L’uno e l’altro. Alcuni dicono che fosse un portoghese di nobili origini, addirittura il figlio del re Giovanni V, in realtà nacque a Palermo, il 2 giugno del 1743, da Felicia Bracconieri e da Pietro Balsamo, commerciante di stoffe. Fu uno dei numerosi avventurieri del XVIII secolo, come Giacomo Casanova o Barry Lyndon, il protagonista del celebre film di Kubrick, tratto dall’opera William Makepeace Thackeray. Giuseppe Balsamo fu, pertanto, un figlio del suo tempo, un’età straordinaria, durante la quale nacquero e si svilupparono tendenze e personaggi opposti: De Sade e Beccaria, razionalismo e irrazionalismo, privilegio nobiliare e istanze rivoluzionarie. Nelle logge di quel secolo si mischiarono scienziati e sedicenti maghi, empiristi e occultisti, chimici e alchimisti. Cagliostro recitò la sua commedia umana su quel palcoscenico. Generoso e affascinante, curioso e approssimativo, lestofante e iniziato, millantatore e innovativo. Sicuramente imbrogliò qualche potente, distribuì improbabili panacee e scroccò soldi a nobili desiderosi di pietre filosofali o d’improbabili ringiovanimenti. Fu, comunque, un anticonformista, un libertario dai tratti picareschi e un martire, condannato a una terribile agonia, nel “pozzo” di san Leo.

Quanto devono le discipline latomistiche e la massoneria alle esperienze e alle pratiche del Conte?


Le discipline latomistiche furono debitrici di Cagliostro almeno per due aspetti. Il primo è costituito dalla funzione del “Gran Cofto” di corriere di esperienze massoniche diverse, il secondo è rappresentato dal primato che egli ebbe di aver diffuso l’idea di una massoneria egiziana. Badi bene, fu il diffusore, non il creatore, perché l’idea di una siffatta corrente massonica nacque con il “Sethos” dell’abate Terrasson e l’Ordine degli Architetti Africani.

Il processo a Cagliostro rientra nella storia della Santa Inquisizione? Ci può narrare come si svolse e l’epilogo della vicenda?


Nella primavera del 1789 Cagliostro si recò a Roma, nella bocca del leone, convinto che la protezione del vescovo-conte di Trento fosse sufficiente a salvaguardarlo. Nell’Urbe fu imprudente e in più venne tradito da parenti acquisiti e dalla stessa consorte, la celebre Serafina. Pertanto, il 27 dicembre di quell’anno fu arrestato e imprigionato nelle segrete di Castel Sant’Angelo. A quel punto la Santa Inquisizione decise di usare il processo di Cagliostro come atto mediatico, per colpire la massoneria e dimostrare come i “fatti di Francia” fossero un complotto dovuto alla setta della squadra e del compasso. I suoi libri e oggetti rituali furono arsi, con somma teatralità, in Pazza Sopra Minerva; egli fu condannato a morte, pena che fu poi derubricata in carcere perpetuo nella Fortezza di San Leo, dove era difficile sopravvivere più di qualche anno. Infine, la Reverendissima Camera Apostolica Romana pubblicò il “Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo, denominato Conte di Cagliostro …”, in cinque capitoli, di cui uno dedicato alla sua vita e quattro ai “misfatti” della massoneria.

San Leo si erge su uno strapiombo nei pressi di San Marino. Nella suggestiva fortezza fu imprigionato e terminò i proprio giorni, in un’angusta cella, uno dei più enigmatici protagonisti dell’età dei Lumi. La sua storia continua ad attirare la curiosità e l’attenzione di molti. A San Leo si tengono sempre eventi che ricordano il Conte di Cagliostro?


Non glielo so dire. Un tempo si teneva, in corrispondenza del 26 agosto, una manifestazione, patrocinata dal comune di San Leo, denominata “Alchimia Alchimie”. Era una bella iniziativa che prevedeva una sorta di fiera, conferenze, spettacoli; io facevo parte del Comitato tecnico-scientifico. Poi le cose cambiarono, anche perché quella formula non era apprezzata da tutti. Da allora me ne sono disinteressato, non so se si tenga ancora qualcosa. Forse sì, ma non ne conosco gli eventuali termini.

All’interno del complesso fortificato di San Leo, vi è un piccolo museo dedicato a Cagliostro, con qualche targa e cimelio. La cella del Conte è visitabile; ho visto il suo piccolo letto, omaggiato da alloro e mazzi di fiori. Quali sono stati i suoi meriti e quali, a oggi, i frutti della sua avventurosa esistenza?


In parte le ho già risposto. Il principale merito è stato quello di diventare un mito e un’icona di un aspetto particolare della sua epoca. La leggenda di Cagliostro ha, a sua volta, ispirato storie più o meno fantastiche e opere letterarie come un romanzo di Alexandre Dumas. Non è poco.

Tra le varie leggende, una, in particolare, narra che alla sua presunta morte, il corpo non venne mai ritrovato, quasi a testimoniare le capacità magiche di quest’uomo. Quali sono, in realtà, le risultanze storiche documentate sul punto?


Cagliostro morì il 26 agosto del 1795 verso le 22,30. I suoi carcerieri lo seppellirono come eretico impenitente, in terra sconsacrata, in un punto imprecisato a ovest della rupe di San Leo. Il suo corpo non è mai stato rinvenuto. Ciò ha fatto sorgere altre leggende e storie fantastiche. Collin De Plancy, nel suo “Dizionario infernale” afferma che si sarebbe strangolato da solo. Altri spergiurano che non sarebbe morto lì, altri ancora ipotizzano che a San Leo se ne andò all’altro mondo un suo sosia... insomma, anche con la morte Cagliostro alimentò il mito.

L’attrazione per il mondo egizio, compresi gli insegnamenti occultisti e teurgici, hanno ispirato studi e rituali massonici. So che Lei ha analizzato l’argomento e scritto su questo tema un testo in collaborazione con altri autori. Cosa può raccontare a riguardo?


Mi sono occupato di Cagliostro già tanto tempo fa, nel 1996, quando scritti un saggio: “Cagliostro la Massoneria e il Rito egiziano” che fu pubblicato nella collettanea “Processo a Cagliostro a duecento anni dalla sua scomparsa”. Sono ritornato sull’argomento quasi venticinque anni dopo, pubblicando insieme ad Antonio Donato, traduttore dei rituali del Palermitano, il libro “Rituale Egizio di Cagliostro, con saggi storici e biografici” (l’Arco e la Corte, Bari 2020). L’argomento mi piacque, tanto che, questa primavera, sempre insieme ad Antonio Donato, ho dato alle stampe i “Rituali della Massoneria Egizia di Cagliostro” (L’Arco e la Corte, Bari 2021). Quest’ultimo volume è un’opera completa, che riporta i testi latomistici del Nostro. Pertanto, anch’io sono rimasto affascinato e avvinto, dal “Gran Cofto”, una sorta di Ulisse del Settecento che odora un po’ di zolfo...

sabato 3 settembre 2022

La storia dietro al legame tra l’esoterismo e le SS

tratto da: https://it.insideover.com/storia/la-storia-dietro-al-legame-tra-lesoterismo-e-le-ss.html

Luca Gallesi

20 GIUGNO 2021

Nel secondo volume della sua trilogia dedicata al “nazismo magico”, Hitler e la cultura occulta (Rizzoli 2013), Giorgio Galli affronta il tema dell’esoterismo delle SS, argomento tra i più gettonati dai ciarlatani dell’occulto per l’indubbio fascino esercitato sugli amanti del macabro e dei misteri prêt-à-porter. Chincaglierie nazi-occultiste a parte, restano dei fatti e delle persone che, oggettivamente, hanno creato i filoni di pensiero che costituiscono l’epopea razzista del corpo d’élite hitleriano. 

La più famosa missione “esoterica” delle SS, accanto alle già menzionate –in un precedente articolo– spedizioni in Tibet, resta quella di Otto Rahn, studioso dei trovatori provenzali e membro delle SS, che ritenne di identificare il mito del Graal con la tragica storia dei Catari, la cui avventura finì stroncata nel sangue nel Castello di Montségur. La fortezza, che si trova nella regione dei Midi-Pirenei, nel 1243 fu cinta d’assedio per quasi un anno dalle forze crociate che volevano estirpare una volta per tutte l’eresia degli albigesi, così come chiesto da papa Innocenzo III. Secondo Otto Rahn, che pubblicò il resoconto del suo viaggio e i risultati delle sue ricerche in due libri disponibili anche in italiano (Crociata contro il Graal  e La corte di Lucifero, Società Editrice Barbarossa/AGA), gli eretici erano stati gli ultimi custodi del Sacro Graal, il misterioso oggetto che, forse, fu la coppa dove, secondo la leggenda, era stato raccolto il sangue di Gesù oppure, secondo altre versioni, lo smeraldo incastonato sulla corona di Lucifero, prima che l’angelo più bello si ribellasse al suo Creatore.

Nel suo libro, Rahn racconta così le origini del mito del Graal secondo la versione degli eretici: “Al tempo in cui le mura di Montsegur erano ancora in piedi, i Catari tennero qui il Sacro Graal. Montsegur era in pericolo. Le armate di Lucifero lo accerchiavano. Volevano il Graal, per rimetterlo sul diadema del loro Principe dal quale si staccò durante la caduta dei suoi angeli sulla Terra. Allora, nel momento più critico, discese dal cielo una colomba bianca, la quale spaccò col suo becco il Tabor (Montsegur) in due. Esclarmonda, che era la custode del Graal, gettò il gioiello sacro nelle profondità della montagna, che si rinchiuse su sé stessa, ed in questa maniera il Graal fu salvato”. 

Il Graal non fu trovato, ma le ricerche di Otto Rahn continuarono, anche se non si sa nulla delle nuove scoperte, da lui annunciate ma mai svelate, anche perché, enigma su enigma, nel 1939 morì misteriosamente sulle Alpi. Il 18 maggio 1939, sul quotidiano nazionalsocialista “Völkischer Beobachter” pubblicava l’annuncio della sua scomparsa: “Durante  una tempesta di neve in montagna, nello scorso marzo, ha perduto tragicamente la vita l’Obersturmführer delle SS Otto Rahn. Ricordando questo defunto camerata, ci dogliamo della perdita di un onesto ufficiale delle SS nonché autore di eccellenti opere storiche.” 

La misteriosa morte di Otto Rahn non segna, però, le fine dell’interesse delle SS per l’eresia catara. Come ricorda Giorgio Galli, sono molte le opere che tracciano un collegamento tra i Catari e il nazionalsocialismo, e ci sono indizi che confermerebbero la prosecuzione di ricerche e addirittura la celebrazione di riti a Montsegur ancora nel 1943-1944, grazie all’interessamento, se non addirittura alla partecipazione, di Himmler e Rosenberg,  che si intrecciano, continua Galli, con “la magia delle rune indagata da von List, e l’esistenza di una storia umana dimenticata, con le tracce delle sue civiltà scomparse, con echi di Steiner e di Helena Petrovna Blavatsky”.

Il tutto, sapientemente miscelato con le più suggestive tradizioni cavalleresche germaniche, che furono da Himmler abilmente riprese e coniugate in una nuova versione nazionalsocialista, che pretendeva di innestarsi, anche figurativamente, sulle antiche saghe tedesche. Racconta bene un ricercatore indipendente, Gianfranco Drioli, autore di un saggio, Ahnenerbe. Appunti su scienza e magia del Nazionalsocialismo (Ritter), che i candidati a entrare nelle SS seguivano le regole di un Ordine religioso o militare: “Come nel Medioevo i cavalieri ricevevano la spada nel momento dell’investitura, così gli SS ricevevano la loro daga, sulla cui lama era inciso il motto delle SS: Meine Ehre heisst Treue (Il mio onore si chiama fedeltà).

Nella cerchia più vicina a Himmler c’erano dodici gerarchi, i più alti ufficiali delle SS, che si riunivano nel castello di Wewelsburg, il centro dell’universo del nuovo ordine (nero) mondiale, sia sotto il profilo militare sia sotto quello esoterico-religioso”. Wewelsburg, infatti, presentava innanzitutto una curiosità architettonica: era costruito, a forma di freccia, secondo l’asse Nord-Sud, invece del più consueto Est-Ovest, e nella torre nord furono costruite ad hoc delle stanze ricche di motivi mistico – esoterici, tra cui una sala per i suddetti dodici ufficiali SS e una cripta dove sarebbero state riposte le loro ceneri dopo la morte. 

I piani di ristrutturazione del maniero furono interrotti dall’avanzate delle truppe americane. Prima, però, che i fanti della 3° Divisione U.S.A. raggiungessero Wewelsburg, Himmler ordinò ai difensori, che si erano trincerati dietro le ampie mura, di bruciare il castello perché non cadesse nelle mani del nemico. I pochi soldati che si arresero agli americano furono fatti prigionieri e sbrigativamente passati per le armi. Finita la tragedia, cala la quiete sull’antico maniero.

Ironia della sorte, oggi, la sede dell’élite dell’Ordine nero ospita un ostello della gioventù internazionale, e, al posto degli archivi dell’Ahnenerbe, è sorto un museo dedicato ai crimini di guerra compiuti dai tedeschi.