domenica 26 febbraio 2023

Gli Ufo e la fine di un'epoca

 tratto da: https://it.insideover.com/societa/gli-ufo-e-la-fine-di-unepoca.html

del 20 SETTEMBRE 2021

di Luca Gallesi

Più o meno ogni vent’anni, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, appaiono sulla grande stampa di tutto il mondo notizie di avvistamenti di “oggetti volanti non identificati” (in inglese Ufo, Unidentified Flying Objects, oppure Uap, Unidentified Aerial Phenomenon), che suscitano nella gente curiosità e meraviglia mischiate a paura e inquietudine. L’ultima, rilevante ondata di segnalazioni risale proprio ai mesi scorsi, quando, oltre ai numerosi avvistamenti in varie parti del globo, alcuni Ufo sono stati immortalati addirittura dalla Nasa, che avrebbe ripreso in diretta dalla Stazione spaziale internazionale “una navicella con quattro luci disposte in forma triangolare” di provenienza sconosciuta.

A creare ulteriori aspettative sulla possibile esistenza di vita extraterrestre si è aggiunta la divulgazione del rapporto del Pentagono sugli avvistamenti di Uap effettuati dalle Forze armate statunitensi, il cui annuncio aveva creato tra gli appassionati di ufologia molte aspettative, per lo più andate deluse. La task force ufficialmente incaricata di indagare sugli Ufo, denominata Uaptf, ha trasmesso, lo scorso giugno, al Senato Usa una relazione dove sono elencati ben 144 casi di misteriosi avvistamenti segnalati, negli ultimi 15 anni, dai piloti o dalle strumentazioni militari.

Ovviamente, non c’è nessuna prova definitiva che tali fenomeni abbiano origine extra-terrestre, ma nemmeno si può altrettanto sicuramente negarne la possibilità, lasciando, ancora una volta, in dubbio l’esistenza di forme di vita aliena, argomento diventato popolare soprattutto a partire dal secondo dopoguerra.

Era il 1947, infatti, quando due fatti straordinari suscitarono l’interesse dell’opinione pubblica mondiale verso quelli che, da allora, furono popolarmente chiamati “dischi volanti”: il pilota Kenneth Arnold, in volo il 24 giugno con il suo aereo personale vicino al Monte Rainier, nello stato di Washington, dichiarò di aver incontrato nove oggetti sconosciuti, simili a piatti o dischi (flying saucers). Interrogato a lungo dall’Aviazione militare, risultò essere assolutamente sincero, come confermano le conclusioni del rapporto ufficiale, stilato il 12 luglio dal Tenente F. Brown e dal Capitano W. Davidson: “È opinione dell’interrogatore che Kenneth Arnold ha realmente visto ciò che sostiene di aver visto. È difficile credere che un uomo con (il suo) carattere e l’evidente integrità possa affermare di vedere delle cose e di scrivere il rapporto che ha scritto, se non li avesse visti”.

Un paio di giorni dopo, invece, ci fu il celebre, o famigerato, secondo i punti di vista, episodio di Roswell, nel New Mexico, dove si disse che era precipitato un disco volante, addirittura con due alieni a bordo. Il fatto era avvenuto vicino alla più grande base militare dell’Usaf, una zona top secret anche per via del poligono nucleare molto attivo in quegli anni. Il relitto caduto venne sequestrato dai militari, e cominciarono a trapelare le più strane versioni dei fatti, fino a dichiarare che si trattava di un pallone sonda.

Non è il caso, qui, di ricostruire tutti gli strascichi di quella strana e contorta vicenda, con l’annesso filmato – visionabile in Rete – della presunta autopsia degli improbabili “extraterrestri”, e l’inchiesta ufficiale che, soltanto nel 1980, svelò tutte le contraddizioni e falsità della versione autorizzata. Basti ricordare che, dopo quell’anno, ci fu un moltiplicarsi di avvistamenti fino alla metà degli anni Cinquanta, tanto che, delle “cose volanti che si vedono in cielo”, si occupò anche, in una delle sue ultime opere, Carl Gustav Jung (1875-1961).

Era il 1958 quando uscì il saggio Un mito moderno. Le cose che di vedono in cielo, dove il padre della psicologia analitica analizzò i dischi volanti con una motivazione che suona sconcertante: afferma, infatti, nell’introduzione, che l’impulso che lo aveva spinto a scrivere scaturiva “dalla mia coscienza di medico, che mi consiglia di compiere il mio dovere, preavvisando quei pochi dai quali mi posso far intendere che l’umanità si trova alla soglia di avvenimenti che corrispondono alla fine di un eone”. E, per lanciare quello che lui stesso riteneva “un grido di allarme”, è disposto a muoversi nel “territorio infido assai prossimo alle nebulose fantasie che oscurano la mente di astrologi e riformatori dell’universo” e così “mettere in gioco la mia reputazione, faticosamente conquistata, di uomo veritiero, degno di fede e capace di giudicare in modo rigorosamente scientifico”. Curioso, come lo era stato tutta la vita, di qualsiasi cosa sembrasse strana o meravigliosa, Jung si era interessato agli Ufo dagli anni Quaranta, quando aveva cominciato a leggere e raccogliere tutto quello che trovava sull’argomento, giungendo alla conclusione che, per quanto sia impossibile sapere cosa siano i dischi volanti, non possiamo negarne l’esistenza. Per questo motivo, lo studioso del profondo cercò di interpretare quello che riteneva un importantissimo simbolo, utile a diagnosticare una grave frammentazione nell’animo dell’umanità. Gli Ufo sarebbero, dunque, una oggettivazione delle paure e delle speranze che animano l’inconscio dell’uomo, che, secondo lo psichiatra svizzero, cerca inconsciamente, in ogni luogo e in tutte le epoche, un equilibrio tra la dimensione fisica e la sfera psichica, tentativo di riconciliazione che si riflette nell’universo, che ci invia i segnali utili a ristabilire l’ordine infranto.

Il problema, quindi, non è sapere se gli oggetti volanti non identificati siano o meno l’annuncio del prossimo arrivo di esseri extraterrestri, bensì rendersi conto che essi sono un segnale di allarme per l’umanità, che si trova sull’orlo di una crisi gravissima, causata, sempre secondo Jung, dal contrasto insanabile tra le mirabolanti scoperte della tecnica e il concomitante inaridimento dell’animo umano.



mercoledì 22 febbraio 2023

La civiltà è sulle spalle dei Giganti di Mont'e Prama

tratto da "Il Giornale" del 31 luglio 2022

Dal sito "sacro" continuano a emergere statue. E a Cabras è pronto il museo che le accoglierà tutte

Luigi Mascheroni


Cabras (Oristano). La storia che raccontano i Giganti di Mont'e Prama è lunga tremila anni, dal IX secolo a.C., quando furono scolpiti ed eretti lungo la strada che corre verso lo Stagno di Cabras, fino a oggi, orgoglio della Sardegna, custodi di pietra di un passato ancestrale, eroico, misterioso. Furono scoperti, nella primavera del 1974, da due contadini, quando il loro aratro incocciò una pietra levigata che sembrava un volto. Poi ne trovarono un'altra, e un'altra ancora... Ci vollero anni per capire cosa fossero quei frammenti, di chi erano quei volti. Ma si intuì subito che si trattava della più grande scoperta archeologica d'epoca recente nell'area del Mediterraneo.

Penisola del Sinis, Sardegna centro-occidentale, attorno al grande stagno di Cabras. Oggi la terra è cotta dal sole, il caldo dell'estate è torrido, i centri abitati rari, isolati. Nel I millennio a.C. era una terra pianeggiate, fertile e per quei tempi ricca: per la caccia, la pesca, le insenature, il golfo, l'acqua dolce, la posizione felice per i commerci, le risorse minerarie. Il Sinis, a nord, è chiuso dai Montiferru. È qui, dove la presenza di uomini civilizzati è attestata da almeno settemila anni, che ai piedi della bassa collina - poco più di 50 metri sul livello del mare nel corso del IX secolo a.C. alcune comunità tardo nuragiche cominciano a seppellire i loro morti in tombe a pozzetto, coperte da cumuli di pietra, e poi, col passare del tempo, crescendo la potenza e la ricchezza di una società sorprendentemente avanzata e complessa, decidono di scolpire grandi statue nell'arenaria, in blocchi estratti da cave distanti qualche chilometro da qui, per arricchire la parte più nobile della necropoli, probabilmente riservata all'élite guerriera e sacerdotale. Eccoli, i Giganti di Mont'e Prama. Non si sa chi siano esattamente (antenati? eroi mitici delle leggende nuragiche?) ma di certo il loro compito era sorvegliare, silenziosi e imponenti, le tombe disposte sulla via sacra che scendeva verso lo stagno. Finora, dal '74 a oggi (due nuovi ritrovamenti sono stati fatti a maggio, due mesi fa) dal terreno, a trenta centimetri circa di profondità, sono emersi 5.178 frammenti che hanno permesso di ricostruire, parzialmente, 32 grandi statue, alte fra il metro e 85 e i due metri e 15 centimetri, collocate su basamenti di pietra e che avevano, in origine, anche elmi con corna animali molto lunghe, quindi di molto superiori all'altezza media degli uomini dell'epoca, e raffiguranti almeno tre diversi «tipi» di uomini: i guerrieri, i pugilatori e gli arcieri. Le statue, che non hanno altri paragoni con la storia dell'arte occidentale, sono bianche e lisce, ma non è escluso che in origine avessero uno strato di colore, e di certo portavano, in pugno e sulla schiena, lance e spade di ferro. Se oggi gli studiosi sono concordi nel ritenere che la funzione dei Giganti fosse quella di segnare dal punto di vista monumentale un luogo sacro, resta da capire quali popolazioni, in quale epoca - forse prima dell'arrivo dei punici - e per quale ragione abbatterono le statue, distruggendole. La caduta dei Giganti fu provocata da una «guerra civile»? O da invasori? O da cause naturali (che però non spiegherebbero la frammentazione)?

«Sos gigantes de Monti Prama», si dice in sardo. A oggi le statue ricostruite sono 28, più altre quattro da ricomporre, ma chissà quante altre giacciono nascoste sottoterra: la campagna di scavi continua e sarà ancora lunga. Venti sono al Museo archeologico di Cagliari, una è itinerante per una mostra, una in restauro e sei sono qui, al Museo di Cabras, centro nevralgico del Sinis, a pochi chilometri in linea d'aria, al di là dello stagno, dall'area dei ritrovamenti, destinata a breve a diventare Parco archeologico protetto. Eccoli qui i sei giganti di Cabras, allineati uno accanto all'altro nell'ultima sala del percorso di visita: l'allestimento è semplice, per nulla scenografico, ma l'effetto è potente. Vederli a pochi centimetri, accorgersi delle lunghe trecce che scendono sul busto, distinguere le decorazioni dei gambali, fissare i grandi occhi rotondi a doppio cerchiello che ricordano il robot di Guerre stellari C-3PO, notare i dettagli delle stole... - ci indica tutto l'archeologa Nicoletta Camedda che ci accompagna nella visita - è qualcosa di incomparabile, e di magico. Qui, nei depositi del museo, ci sono anche le due statue disseppellite da poco.

Ma presto tutti i Giganti - questi di Cabras, quelli di Cagliari e quelli in restauro - saranno radunati in un unico luogo, nella nuova ala del museo, qui accanto. È un lungo parallelepipedo orizzontale affacciato sullo stagno: sugli ampi pannelli esterni si vedono già delle meravigliose decorazioni che citano le sculture di sabbia del grande artista sardo Costantino Nivola, e all'interno è suddiviso in due grandi sale in cui sarà ricostruita la necropoli di Mont'e Prama. «L'ala del museo sarà terminata entro l'anno e l'apertura con il nuovo allestimento è prevista per la primavera 2023, e a quel punto, una volta trasformato il sito degli scavi in Parco archeologico, invece di arrivarci con i pullman o in auto - ora ci vuole un quarto d'ora circa - si potrà raggiungerlo direttamente dal museo attraverso lo stagno con un battello elettrico», spiega Anthony Muroni, nato in Australia ma sardo di origine, presidente della Fondazione Mont'e Prama costituita dal ministero per i Beni culturali un anno fa per valorizzare l'immenso patrimonio del sito archeologico. «Stiamo organizzando un tour europeo dei Giganti a Parigi, Barcellona e Londra; e poi negli Stati Uniti nel 2023-24, sulle due coste, a New York e San Francisco. E poi nel 2025 l'obiettivo è il gemellaggio tra i Giganti di Mont'e Prama e i guerrieri di Xi'an, in Cina, con due grandi esposizioni parallele. C'è un filo rosso che lega le grandi statue del Sinis all'Esercito di terracotta cinese: sono entrambi testimoni di due straordinarie civiltà del passato e sono stati scoperti nello stesso anno, il 1974». Da allora sono passati quasi cinquant'anni. Per molto tempo di loro non si sapeva nulla. Oggi i Giganti, pronti a entrare in una nuova casa, sono diventati quasi gente di famiglia, per i sardi. 

martedì 14 febbraio 2023

Superstizioni. Il gatto, la scala e altre superstizioni

Superstizioni. Il gatto, la scala e altre superstizioni di Roberto La Paglia


«“Non è vero… ma ci credo”: così recitava il titolo di una commedia in tre atti del 1942 scritta da Peppino De Filippo, commedia dalla quale, dieci anni dopo, venne poi tratto l’omonimo film. Il tema ovviamente era la superstizione, soggetto principale di questo libro che tenta di esplorare il fenomeno scrutando dietro le quinte, ricercando le origini delle superstizioni più conosciute e, infine, offrendo un’ampia panoramica di come si sono evolute nel mondo. La superstizione, al di là dei discorsi culturali, rimane comunque parte integrante di un folclore che rispecchia in fondo l’istinto umano, e come tale un argomento degno di essere trattato, discusso e analizzato. A ben riflettere, in fondo, siamo tutti superstiziosi, chi per scelta, chi per convinzione, chi semplicemente per puro. Sarà quindi un viaggio curioso e stimolante, durante il quale verranno percorsi i sentieri della nostra storia meno conosciuti, alla ricerca delle origini degli atteggiamenti superstiziosi. D’altra parte, dietro ogni fatto curioso, dietro ogni evento definito spesso bizzarro, si cela quasi sempre una storia particolare, reale, così come nel caso della paura dei gatti neri che ci attraversano la strada, fatto che, tra l’altro, si porta dietro secoli di avvenimenti storici che partono addirittura dall’antico Egitto. Un percorso curioso e stimolante, per un approccio diverso al mondo delle superstizioni che di certo non mancherà di intrigare il lettore, trascinandolo in un mondo del tutto particolare, tra antiche divinità pagane, streghe, vecchie credenze e piccoli scenari storici a volte del tutto sconosciuti».


venerdì 10 febbraio 2023

L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele

L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele di Luigi Angelino. Verso le origini misteriose e lontane della civiltà umana. Un libro di Stamperia del Valentino

Nel saggio introduttivo del volume L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele di Luigi Angelino (I Polifemi, Stamperia del Valentino), Edoardo Tinto ci parla della storia assiro-babilonese, ma anche della loro stupefacente religione, spiega infatti che essa “si basava in massima parte sulla loro famosa dottrina. I sacerdoti assiri - che erano propriamente detti Caldei - rappresentavano nello stesso tempo i loro savi, detentori del sapere. Questi, come narra Diodoro Siculo, affermavano di antivedere il futuro”. E non solo, interpretavano i sogni, spiegavano i fenomeni della natura e “presagivano il bene e il male agli uomini e alle nazioni”.

Le scoperte archeologiche nell’area mesopotamica hanno contribuito a farci comprendere lo sviluppo culturale di questa civiltà. Prima del diciannovesimo secolo le conoscenze di cui disponevamo si basavano su fonti greche ed ebraiche non proprio attendibili.

L’epopea di Gilgamesh, che è da considerarsi il testo più importante della tradizione assiro-babilonese giunto fino a noi, fu scoperta a metà Ottocento e narra le imprese del mitico re di Uruk, descrivendo fatti mitizzati, risalenti alla fine del terzo millennio a.C., ma secondo alcuni interpreti anche più antichi. Profonda è l’influenza che questo testo ha avuto sugli scritti biblici, soprattutto sui primi cinque libri della tradizione masoretica. Il legame della cultura assiro-babilonese con quanto narrato nella Bibbia è ancora più evidente nel racconto della torre di Babele, divenuta il simbolo della superbia umana a cui corrisponde la punizione divina della confusione degli idiomi. L’epopea di Gilgamesh e la torre di Babele ci portano verso un’epoca lontana e misteriosa, alle origini della civiltà umana, di cui ancora sappiamo troppo poco.

“Epopea di Gilgamesh è il titolo attribuito dagli studiosi moderni a un ciclo epico di ambientazione sumerica, che risale in maniera presuntiva a circa 4.500 anni fa, in quanto la data di elaborazione più probabile è individuata tra il 2600 e il 2500 a.C.”, spiega Angelino. La redazione del poema avvenne in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla di diverse versioni, e sono giunte fino ai nostri giorni seguendo varie vie e provenienze. Composto secoli prima dell’Iliade e dell’Odissea, “costituisce il più antico e significativo esempio di elevazione spirituale della civiltà umana” in grado di influenzare non solo le varie culture successive, ma la stessa Bibbia.


L’autore

Luigi Angelino nasce a Napoli, dove si laurea in Giurisprudenza. Nel 2017 pubblica il romanzo “Le tenebre dell'anima”, nel 2018 la sua versione inglese “The darkness of the soul” e la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”. Nel 2019, il thriller filosofico-teologico, “La redenzione di Satana I-Apocatastasi”. Nel 2020, “L'arazzo dell'apocalisse di Angers” e “Pandemia - Il mondo sta cambiando”, nonché il racconto dedicato a sua madre, “Anna”.

Nel 2021 ha prodotto “Nel braccio di Orione”, un viaggio onirico attraverso il sistema solare, “La redenzione di Satana II - Apostasia”, “La ricerca del divino”. Nello stesso anno è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana. Del 2022 è il volume “Sulla fine dei tempi” per Stamperia del Valentino.


La casa editrice

Editore dal 2002, Paolo Izzo, alter-ego della Stamperia del Valentino, gestisce con estremo rigore le scelte editoriali della sua “creatura”. Il risultato è un catalogo di alto profilo sia nell’ambito della cultura napoletana, che in quello della produzione di stampo umanistico, esoterico e storico.

La Stamperia del Valentino vuole riportare all’attenzione del pubblico la Napoli colta, folkloristica e letteraria. A tal proposito seleziona opere rivolte al curioso colto come allo studioso, con un occhio all’originalità e completezza dei temi proposti.


Titolo: L’epopea assiro-babilonese
Sottotitolo: Da Gilgamesh alla Torre di Babele
Autore: Luigi Angelino
Saggio introduttivo: Edoardo Tinto
Collana: I Polifemi
Prezzo: € 12,00
Pagine: 94
ISBN: 979-12-80721-11-2 


lunedì 6 febbraio 2023

CARAVAGGIO ALCHIMISTA DELLA PITTURA & I ROSACROCE

Tratto da Pangea.news

di Claudia Gualdana

“Le tenebre sono semplicemente la contrazione della luce”, scriveva Robert Fludd nella Medicina cattolica. Solo chi ancora non ha letto il Caravaggio di Dalmazio Frau (Caravaggio, luci ed ombre tra alchimia e altri misteri, Bastogilibri), può trovare ardito questo accostamento. Robert Fludd di Michelangelo Merisi è contemporaneo, ma il primo è uno dei massimi mistici inglesi, l’altro uno dei più grandi artisti della storia. Non si sono mai incontrati. Fludd scrive di elementi, eppure sembra suggerire l’atmosfera di lotta tra la luce e la tenebra che va in scena in alcuni capolavori del Caravaggio.

Prendiamo, per esempio, il celebre Amor Vincit Omnia, un olio su tela oggi conservato a Berlino, che per Frau è l’opera in cui “più sono evidenti i messaggi rosacruciani di filosofi quali Fludd e Maier”. Nella tela un Eros sorridente emerge da uno sfondo di assoluta tenebra, tanto che le sue carni bianche sembrano rilucere. È questo, a mio vedere, il miracolo della pittura del Merisi: strappare le forme della vita dall’indistinto cupo, profondo, del buio senza forma. Come se prima del suo tratto magico nulla esistesse. Dipingere come dare la vita. Prendere la materia e insufflarle il respiro nelle vene, in un religioso fiat lux di biblica memoria. A misura d’uomo, s’intende.

Non sono elucubrazioni, sono le suggestioni che Frau dissemina sapientemente attirandoci in un dedalo di riletture dei capolavori caravaggeschi in una sorta di giallo per iniziati alla pittura e all’alchimia. E infatti nell’Amor Vincit Omnia – l’amore vince ogni cosa – legge il compasso e la squadra ai piedi della divinità greca in ottica ermetica, unendo a tali strumenti il significato della musica, ben rappresentata dal liuto e dal violino.

I Rosacroce, di cui faceva parte Fludd, erano una loggia iniziatica tedesca di ispirazione cristiana che esisteva da ormai due secoli. Gli adepti erano avvolti nel mistero. E di nuovo ci si può domandare cosa c’entri quel geniaccio incline alla violenza e a Venere con le sottigliezze intellettuali di uomini in cerca di un perfezionamento interiore che con le armi e i postriboli non potevano aver niente da spartire. Frau suggerisce la soluzione del rebus accompagnandoci nei sacri palazzi di Roma, città in cui Merisi visse il massimo splendore del suo astro, disgraziatamente destinato a spegnersi in fretta. Ed ecco che il mistero dell’arte del ribelle dal pennello magico si dirada: egli era il braccio teso a descrivere significati che provenivano da pozzi di scienza sacra, del quale forse neanche era del tutto consapevole.

Il braccio di un alto prelato romano, il cardinale Francesco Maria del Monte. Per lui dipinse, tra l’altro, Giove, Nettuno e Plutone, il suo unico affresco, al Casino Ludovisi. Un vero e proprio gabinetto alchemico la cui esistenza fu scoperta solo nel 1969. Merisi porta la luce in uno spazio angusto, staglia le figure in scorcio esaltandone, come suo uso, la virile nudità, tracciando tra le righe lo zodiaco e gli stadi del processo alchemico in una sorta di athanor dipinto. In fondo non c’è niente di strano in questo. Tutta l’arte rinascimentale è un movimento tellurico di simboli, allegorie, rimandi mistici e paganeggianti, in un inno alla natura che sottende un nuovo modo di fare filosofia. Un dipingere per ricreare l’esistente, replicarlo all’infinito in quel gesto prometeico che è l’arte maiuscola: un tentativo di strappare il fuoco agli dei. Che in Caravaggio è perfettamente riuscito.