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domenica 23 aprile 2023

Inquisitori e negromanti nella Sicilia «magica»

tratto da "Il Giornale del 3 Aprile 2022

Venivano chiamate così in Sicilia le donne che partecipavano ai Sabba per invocare il demonio. In realtà nell’isola erano diffuse antiche tradizioni magiche soprattutto curative e legate a erboristeria e alchimia.

Matteo Sacchi

Anno del Signore 1598, Margherita La Beita viene denunciata al Sant'Uffizio siciliano. I delatori sostengono di averla trovata, sola, in un giorno di tempesta, in riva al mare, mentre faceva una figura con alghe e immondizie portate a riva dalle onde. Avvicinatisi - curiosità, malizia, una vera caccia alla strega? Non lo sapremo mai - vedono che la donna ha un involto che contiene un'arancia piena di spine e con un chiodo in mezzo. Ma non solo: nel suo armamentario ci sono un coltello, una calamita, un pezzo di membrana amniotica di un neonato con delle scritte misteriose... A cosa servono le sue portentose masserizie magiche? A cercare tesori ed altro ancora. Il 22 di novembre del medesimo anno è condannata alla gogna e poi bandita da Palermo. Ad altri «stregoni» o eretici finiti in mano al Sant'Uffizio dell'Isola va ben peggio, il rogo è un esito minoritario ma non improbabile. Eppure le carte del terribile tribunale che la Monarchia spagnola lottò duramente per imporre alla Sicilia, adusa a rivendicare la sua autonomia, si sono trasformate in un vero tesoro per gli studiosi. Occhiuti, dotati di informatori e di appoggi potenti, gli inquisitori hanno raccolto, con metodi e scopi che oggi ci appaiono aberranti, una messe di materiale enorme che svela una cultura antichissima e tradizionale che nessuna altra fonte potrebbe svelare così bene.

Per rendersene conto niente di meglio di quella che è probabilmente l'opera più importante di Maria Sofia Messana (1948-2011): Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), appena ripubblicata per i tipi di Sellerio (pagg. 856, euro 24). La storica dell'Università di Palermo ha esaminato una mole di documenti enorme che le ha consentito di ricostruire una storia «magica» fatta di credenze antichissime che sono sopravvissute attraverso il Medioevo sino ad approdare all'Età Moderna. Ne esce una narrazione che svela un mondo parallelo su cui il conformismo religioso nato dal Concilio di Trento stenta a prendere il controllo. Si passa dai guaritori muniti di libri segreti, dalle tradizioni pagane rivisitate dagli stessi religiosi alle donne di fora, così dette perché si credeva che vagassero di notte in spirito recandosi ai sabba. Come? Grazie a certi unguenti che probabilmente contenevano sostanze psicotrope. Confessa una certa Antonia Pallalonga, processata nel 1600: «que se untase con cierto unguento... y evoco los demonios». A volte però si trattava di semplici medicamenti tradizionali e il Sant'Uffizio ebbe i suoi problemi quando si trovò a processare monache che li usavano non vedendoci nulla di male.

Abbastanza perché in molti casi i potenti della corte di Palermo si spaccassero in due. Non era solo questione di fede o di stregoneria, i processi erano questione di potere e gli stessi governatori spagnoli poco amavano l'autonomia del Sant'Uffizio. Così il saggio ci mostra consorterie contrapposte, enti religiosi, credulità popolari e credulità colte, divinazioni fatte leggendo fave che galleggiano nell'acqua e dotte discussioni in punta di diritto canonico. Il tutto con un impianto scientifico rigoroso, a tratti da storia quantitativa, ma dove la penna di Messana è sempre capace di unire il dato alla narrazione avvincente. Una Sicilia magica, che nemmeno gli autodafé seppero stroncare, raccontata magistralmente.



mercoledì 31 ottobre 2018

Così il mito del Vampiro morse sul collo il Futurismo

tratto da Il Giornale del 3 giugno 2018

di Luigi Mascheroni

Un saggio svela tutti gli «strani» rapporti tra il movimento d'avanguardia e l'esoterismo

Con la rivista Poesia, la casa del primo futurismo fondata nel 1905 da Filippo Tommaso Marinetti, collaborarono, tra gli altri, William Butler Yeats, studioso dell'alchimia e delle dottrine esoteriche occidentali; Éduard Schuré, membro della Società Teosofica e discepolo dei «grandi iniziati»; Catulle Mendès, «il grande negromante», come lo definì il pittore Henri Rousseau; Auguste Villiers de l'Isle-Adam, il cui dramma rosacrociano Axel diventò una Bibbia per il movimento simbolista; Paul Adam, appartenente all'Ordre Kabbalistique de la Rose Croix...
«Noi crediamo alla possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichiariamo senza sorridere che nella carne dell'uomo dormono delle ali» declama il manifesto futurista L'Uomo moltiplicato e il Regno della Macchina, del 1910. Le ali, le ali... Il volo alato della Poesia, le ali del pipistrello, l'ombra lunga del vampiro...

Il vampiro succhiatore di sangue - archetipo primordiale malvagio e perverso, metafora dell'erotismo sadico e della modernità che avanza - pullula, anche se il lettore distratto non se ne accorge, nelle opere (pre)futuriste, infilando i suoi canini e allungando gli artigli in tante pagine della pattuglia avanguardista, a partire dal Signore&Fondatore, F.T. Marinetti, frequentatore di occultisti, forse persino massone, di sicuro assiduo partecipante alle sedute spiritiche che si tenevano nella casa milanese di Enrico Annibale Butti e della moglie Lidia Brochon. Il poeta delle Parole in libertà disprezzava il chiaro di luna e l'amore romantico, ma era attratto dal Vampiro, figura ultra-razionale e ribelle, e dalla vampira, femmina «disposta a tutte le acrobazie della libidine»... Nella tragedia satirica e nichilista Le Roi Bombance (1905) Marinetti inventa la figura di Ptiokarum, vampiro che bevendo sangue umano legge i pensieri dei moribondi, frugando «nelle arterie come negli scaffali di una biblioteca». Nel poemetto La Conquête des Étoiles (1902) appare Lucifero, un demone umano diventato «vi-pistrello», il cui bacio «avido» imprigiona l'anima delle sue vittime. Nel poema Destruction (1904) l'amante sensuale è una vampira «bianca e pura» dalla carne flessuosa, con una bocca dal «tepore assorbente» illuminata da «denti lucenti». E visioni vampiriche e vampirizzazioni erotiche appaiono in Lussuria-Velocità (1908), in Come si seducono le donne (1917) ne L'alcova d'acciaio (1921)... Senza citare l'altra faccia del vampirismo: l'antropofagia. Tra i futuristi il cibo, il sesso e il cannibalismo si miscelano armoniosamente in un pot-pourri esplosivo (il menu prevede, oltre il racconto La carne congelata di Marinetti, Donna allo spiedo di Emilio Settimelli, il «Cannibale vegetariano» di Pino Donizzetti, il Manifesto Antropofago di Oswald De Andrade...). «Amiamo le donne. Spesso ci siamo torturati con mille baci golosi nell'ansia di mangiarne una. Nude ci sembrarono sempre tragicamente vestite. Il loro cuore, se stretto dal supremo godimento d'amore, ci parve l'ideale frutto da mordere masticare suggere», proclamano Marinetti e Fillìa nella Cucina futurista.

Vampiri, cabbala ebraica, tavolini per evocare le anime dei morti (come quello intarsiato dall'artista e futurista eccentrico, Thayath), ufologia, procedimenti alchemici e misteriosofici. Ma quanto è profonda l'anima nera di Marinetti&Co.!

Le scienze occulte e i fenomeni paranormali sono un abisso in cui si immerse tantissimo Futurismo. Che oggi, per la prima volta, viene letteralmente scandagliato da Guido Andrea Pautasso - figlio di tanto padre e profondo conoscitore della materia - in un saggio-rivelatore: Vampiro futurista. I futuristi e l'esoterismo (Vanillaedizioni, pagg. 160, euro 19). Chi avrebbe immaginato che il movimento più d'avanguardia del Novecento avesse radici così arcaiche?

«Alcuni futuristi italiani si occuparono di occultismo e di magia latu sensu ed è possibile distinguere tra il futurismo milanese di Marinetti e di Boccioni di stampo magico-teosofico, quello fiorentino vicino alla rivista Lacerba di carattere animista-metafisico e quello del gruppo de L'Italia Futurista, legato ad interessi spiritualisti ed occultisti», scrive Pautasso. E poi via, in una filologica cavalcata fra i testi del futurismo, dalla poesia alla prosa, dal teatro al romanzo, che fra sottile ironia e compiacimento per il macabro, flirtano con le culture sotterranee, alternative e ribelli: magia, stregoneria, occultismo, esoterismo, astrologia, ermetismo, alchimia...

Gino Severini partecipò a Parigi a diverse sedute medianiche in compagnia della moglie Jeanne Fort. A caccia di spiriti andarono anche il pioniere dell'estetica cinematografica Ricciotto Canudo e l'artista Thayaht. Giacomo Balla partecipava a sedute spiritiche e, attratto dagli insegnamenti del teosofo Johannes Lauweriks, si definì occultista («Cammino senza toccar terra, talmente il mio spirito è elevato e sento anche quello che non si vede»). Umberto Boccioni credeva alla teosofia e alla materializzazione degli ectoplasmi e fu influenzato dalla teoria della «quarta dimensione» dell'architetto-teosofo Claude Bragdon. Paolo Buzzi ne L'ellisse e la spirale contempla immagini e iscrizioni alla tradizione dei Rosa+Croce e nel Poema di Radio-Onde (1933-38) dimostra padronanza del mondo magico-alchemico. I fratelli Ginanni Corradini (Arnaldo Ginna e Bruno Corra) si interessarono all'arte medianica, alla trance, alla scrittura automatica, alla telecinesi, alla teosofia e all'antroposofia. Enrico Prampolini realizzò le scenografie di Thaïs (1916), film allucinatorio girato da Anton Giulio Bragaglia, inventore del fotodinamismo futurista e appassionato di «fotografia dell'invisibile». E ancora. Corrado Govoni, il pittore Athos Casarini e l'aeropittore Mino Delle Site si appassionarono ai principî teosofici, alla metapsichica e all'astrologia. Gino Cantarelli, autore dell'esoterico Ascendenze cromatiche, disegnava motivi astratti stimolati da visioni medianiche e da imprevisti flussi del subconscio. Luigi Russolo, creatore dell'arte dei rumori, iniziato all'occultismo e alle filosofie orientali, scrisse Al di là della materia, investigazione sulle «scienze segrete» e sul magnetismo. Enrico Cardile si dedicò a studi esoterici e cabalistici, culminati con la curatela del Trattato della Quinta Essenza ovvero de' Secreti di Natura attribuito al «mago» Raimondo Lullo. Giovanni Papini, prima di scendere nell'arena futurista di Lacerba, fondò con Giovanni Amendola la rivista teosofica L'Anima; poi con Ardengo Soffici, Ottone Rosai ed Emilio Pettoruti frequentò il mago (e poi pittore medianico in Argentina) Alejandro Schultz Solari, famoso come Xul Solar...

Solo i futuristi - fra arte, letteratura, moda, cinema, cucina, fotografia, design, grafica, musica, teatro e politica - furono così onnivori e pronti vampirescamente ad assorbire qualsiasi stimolo e a «divorare tutto», anche le culture più emarginate e occulte. Adoravano la luce - luce e progresso, l'arte della luce, la luce elettrica, la macchina: Fiat lux!, L'elica e la luce, Luce Marinetti - e furono attratti dal Principe delle Tenebre. Ruggero Vasari (1898-1968), poeta e pittore fra i fondatori del Futurismo, lasciò scritto: «La verità è nelle tenebre». Furono così avveniristici e razionali da precipitare nell'impenetrabile. Corsero così tanto e così avanti che si lasciarono - senza accorgersene? - il futuro dietro le spalle. Risero così apertamente da mostrare gli affilati canini. Del resto la poesia, per loro, fu sempre e solo un assalto violento «contro le forze ignote».

sabato 18 marzo 2017

La Strega di Bergamo Un’inedita testimonianza secentesca

di Andrea Romanazzi


Per questo articolo sulla stregoneria prendiamo spunto da un antico manoscritto secentesco, ad oggi Inedito, che narra le vicende di una strega bergamasca. Prima di addentrarci in questo racconto, però facciamo prima un po’ di chiarezza sul fenomeno della stregoneria.
La figura della “Strega” affonda le sue radici in un lontano passato quando l’uomo e la donna vivevano nell’immanenza della Grande Dea espletando rituali a lei dedicati per propiziare la fertilità e la procreazione. E’ questo il seme da cui si svilupperà, successivamente, la stregoneria.
Andiamo con ordine dunque. Chi erano davvero le streghe?
Il termine “strega” deriva da strix, un mitico uccello notturno, descritto Plinio come una sorta di gufo con la testa grossa, gli occhi fissi, il becco, gli artigli da rapace e le penne chiare. Secondo la tradizione, penetrava nelle case per cibarsi del sangue dei bambini o per allattarli e in tal modo avvelenarli. E’ da questo animale che nasce il successivo termine striges e dunque strega.  Ovviamente esistono poi tutta una sorta di termini locali per indicare queste donne demoniache, troviamo le Gatte Masciare pugliesi, le Masche piemontesi, le Janare campane, per fare alcuni esempi. In ognuna di queste etimologie è racchiuso un indizio sull’origine della “strega”. Ecco così che il termine piemontese ricorda l’uso di mascherarsi durante i rituali di fertilità, la “janara” si ricollega direttamente ai culti di Giano Bifronte,  mentre il termine pugliese nasconde, secondo la tradizione,  la capacità delle streghe, di mutare forma e sembianze.
Con l’avvento della Nuova Religione, il rispetto verso gli antichi dèi divenne adorazione del diavolo, mentre l’espressione ludica e procreativa dei rituali vegetazionali si trasformò in atti sessuali e libidinosi. Ciò che rimaneva dei rituali di fertilità ed accoppiamento espletati ancora nelle campagne, da qui il termine Pagano, ovvero abitante del “Pagus”, diventarono il regno del Maligno.
I rituali di gioia furono  demonizzati e trasformati nel famigerato Sabba, gli incontri demoniaci ove “…si fa coire carnalmente, se l’è maculo con femena, se l’è femena con maculo…con acti lassivi et amatorii tocamenti, et parlamenti cupidinei et venerei…”.
L’atteggiamento iniziale della Chiesa nei confronti della stregoneria fu quello di considerare queste credenze come il frutto di stupide superstizioni pagane, sogni ispirati da Satana che interessavano le donne di basso ceto.
Nel 452  il concilio di Nicea condannò ufficialmente il culto delle pietre, ma questo non bastò per cancellare pratiche religiose ben radicate tra le popolazioni. Nel 789 il Concilio di Tours proibì nuovamente qualunque rituale legato ai culti naturali, ma anche queste norme rimasero disattese.
E’ nel XI secolo che troviamo il primo testo importante che affronta il fenomeno della stregoneria: il Canon Episcopi. In questo scritto si cita per la prima volta della società di Diana, ovvero donne ingannate dal diavolo e dunque accusate esclusivamente per la loro credulità.
“…Chi può essere tanto sciocco o ottuso da credere che tutte queste cose che accadono solo nello spirito avvengano anche nel corpo?…”.
Le punizioni previste erano molto blande, da 40 giorni ad un anno di carcere o solo alcune penitenze come testimonia lo stesso testo
“...I vescovi e i loro ministri facciano in modo di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle loro parrocchie la pratica perniciosa inventata dal diavolo;  e se trovassero uomini o donne che si dedicano a tali scelleratezze li caccino dalle parrocchie perché si tratta di gente turpe e disonesta...“.
Almeno fino ai primi del 1300 l’atteggiamento della Chiesa fu dunque molto tollerante anche se nel 1233, con la Bolla Vox in Rama, Papa Gregorio IX incominciò a porre sempre maggiore attenzione al fenomeno, e tra il 1280 e il 1300 diverse donne vennero accusate e processate non però con l’accusa di stregoneria ma di eresia.
Sono però gli eventi ad imprimere una accelerata alla caccia all’untore, da una parte le carestie del 1315-17, le epidemie di Peste nera del 1347-50, nonché le varie ondate di eresie che si diffondevano oltralpe, promossero subito una sorta di “linea dura” contro queste donne.
E’ in questo momento che si affaccia l’immagine, sin ad allora sconosciuta, delle seguaci del demonio, le donne che succhiamo il sangue ai bambini, che si nutrono delle loro carni e li sacrificano a Satana:  un tema che, affondando le sua radici nel paganesimo romano, deriva probabilmente anche dal fatto che queste guaritrici erano spesso  ostetriche e dunque le morti dei neonati a loro imputate erano attribuibili ad aborti avvenuti subito dopo la nascita o dopo il parto.
Inizia ad apparire il nuovo stereotipo della strega e dei suoi  gli incontri segreti con il diavolo poi chiamati sabba, termine, che alcuni farebbero risalire all’ebraico sabbath, sabato, e quindi connesso alle eresie, per altri a Dioniso, al quale era spesso associato l’appellativo sabazius, da sabae, cioè “capra”. Nel ‘400 nasce la vera e propria disquisizione demonologia, la stregoneria non era più solo frutto di illusione ma i terribili rituali erano realmente espletati. Alle “nuove streghe” vengono così associate le trasformazioni in animali e mistiche pozioni ed unguenti capaci di trasportarle rapidamente al luogo del raduno secondo la credenza "lassando a casa il corpo", tanto che anche il sonnambulismo sarà spesso associato al volo stregonesco come poi ritroveremo nello stesso Malleus Maleficarum.
“esempi provino almeno non essere impossibile il trasporto dei Maliardi al congresso notturno, poiché l’impossibilità del loro trasporto è una delle più forti obiezioni che si formino contro l’opinione che li sostiene…sappiamo dal Vangelo che il demonio portò il nostro signore Salvatore su la cima del Tempio di Gerusalemme. Sappiamo altresì che il profeta Abacuc fu trasportato dalla Giudea in Babilonia per portar da mangiare a Daniele…il Diacono San Filippo fu trasportato dalla strada di Gaza a Azot…che il Mago Simone fu dal Diavolo alzato in aria e precipitato dalle orazioni dell’Apostolo San Pietro”.
Nel 1484 sarà papa Innocenzo VIII a dal inizio, con la sua bolla Summis desiderantes affectibus, alla infausta caccia, ratificata poi dal famoso Malleus Maleficarum dei domenicani Jacob Sprenger e Heirich Kramer. E’ nel XIII secolo che nasce quella che sarà una propria caccia a questa “novella strega”.
Uno dei primissimi processi è quello svoltosi a Todi, nel 20 Marzo 1428 nei confronti di Matteuccia di Francesco, processata perché reputata per pubblica fama una maliarda, definita con il termine incantrix e accusata di ben 30 capi d’accusa. A lei si rivolgevano, secondo il dossier, cittadini provenienti da tutto il contado, da Todi, Orvieto, Spoleto, in particolare per ottenere elisir d’amore o per impedire o favorire una gravidanza.
“…una certa donna di nome Catarina del Castello della Pieve per averne un rimedio per non rimanere incinta, non essendo ancora sposata ed avendo coabitato varie volte con un certo presbitero…e temeva che poteva verificarsi il caso di rimanere incinta…la detta Matteuccia disse di prendere un’unghia di mula, di bruciarla e ridurla in polvere e di bere detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole, cioè: io te piglio nel nome del peccato, et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più…” Negli incartamenti si narra di come la donna, attraverso l’uso di particolari unguenti, potesse trasformarsi in gatta, la “masipula conversa”, dal termine latino musio poi erroneamente tradotto dal Mammoli, che ne riscopre il documento, con il termine di mosca. La trasformazione in gatto non è casuale, l’animale è infatti il famiglio delle streghe per eccellenza.  Molti sono i racconti popolari che narrano di ferite inferte da contadini ai gatti notturni poi ritrovate, il giorno successivo, sul corpo di alcune donne del paese.
Ma soprattutto appare per la prima volta il tema del volo al noce di Benevento, una storia che tristemente diventerà un punto fisso delle confessioni da tortura, Matteuccia sarà la prima strega ad esser condannata per il volo stregonesco corporalier “unguento unguento, mandame ala noce de Benevento, supra acqua et supra vento, et supra omne maltempo”. Anche in questo caso tra gli scritti del processo traspare la voce della corda, e stranamente, dalle accuse di magie e fatture si passa a quello che diventerà lo stereotipo della strega, ecco che “…molte volte andò a Stregato devastando bambini, il sangue degli stessi lattanti succhiando in molti e diversi luoghi…” come quando si recò al castello di Montefalco ove “…sugò e percosse suo figlio [il bambino della castellana Andreuccia n.d.A.] per il qual fatto il bambino si ammolò e si consunse…” e lo stesso fece ai neonati del castello di Canale e di Andria di Perugina.
Abbiamo narrato il processo di Matteuccia perché è da qui che parte lo stereotipo della strega che ritroveremo anche nel nostro manoscritto.



Processi lombardi

Il documento che a breve mostreremo narra una breve vicenda di una strega bergamasca. La Lombardia fu una regione fortemente colpita dall’Inquisizione. La Valtellina fu centro nevralgico delle manovre contro la stregoneria locale, e Sondrio ne fa da testimone con i registri mortuari della città. Si narra infatti che nel Palazzo Pretorio esistesse una prigione chiamata “delle streghe”, “la quale era una buca del tutto cieca”, dove venivano confinate le maliarde. Streghe condannate con l’accusa di partecipare al Sabba, chiamato localmente barilot, e per aver stregato bambini e uomini le troviamo a Como e Lecco dove furono incarcerate “alcune femine per strie e farsi hora quatro hano confessato d’esser stato a quel ballo o gioco diabolico et confessano d’haver maleficiato et fato morire creature et bestiame et molte altre scelleragini”.
Centro importante dell’attività inquisitoria fu anche Morbegno, dove nel 1432 operava fra Ubertino da Vercelli. Fu lui a condannare al rogo una certa Ganzina di Gerla, detta “Barzia”, “combusta pro crimine heretice pravitatis … in Serta apud locum iustitiae”. In ricordo della sua esecuzione, in contrada Serta vi è oggi una casa antica nota con il nome di Casa di Stria de Serta, sopra la quale è ancora visibile una croce. Insieme a lei, il domenicano fra Cristoforo da Luino fece inquisire altre tredici donne, accusate di “indovinationis et alterius malefitii” e “cuiusdam suspectationis conversationis bone societatis seu diaboli”, tutte successivamente rilasciate, e un ecclesiastico, Gapare di Parazo parroco di S. Pietro a Dubino, che fu invece allontanato dal paese per dieci anni.  Anche Varese non fu indifferente al dilagare della stregoneria: vi si bruciarono nel 1579 Marta d’Albiolo e nel 1588 Lucia di Azzate.
Attorno all’inizio del Cinquecento l’attenzione degli inquisitori si spostò verso la Valcamonica dove le diocesi di Brescia e Bergamo la facevano da padrone. A quel tempo le due città erano sotto il controllo di Venezia che vigilava sui processi. Questo non è un particolare di poco conto per quanto consterà il manoscritto ritrovato. Secondo le tesi inquisitoriali le streghe avevano scelto quella valle come loro dimora perché da li potevano raggiungere uno dei più noti luoghi del sabba in Italia, il Tonale.
 “…Queste bestie eretiche hanno electo uno monte, el qual se chiama monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare, qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius et che onzendo un bastone, montano a cavalo et efìcitur equus, sopra il quale vanno a ditto monte et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali…”.
Solo nella Diocesi di Brescia furono arsi vivi “60 femine e forsi 20 homini tutti vivi”.
L’elenco di tutti i processi lombardi potrebbe richiedere un saggio apposito, questo brevissimo e certamente non esaustivo excursus è semplicemente per mostrare i numerosi processi lombardi.
In realtà, focalizzandoci esclusivamente sulla città di Bergamo, non ci sono molte notizie di streghe ivi vissute. La più nota è sicuramente una certa  Benvenuta detta “Pincinella”, una donna di circa sessant’anni nota alla comunità come maliarda accusata di professare le arti magiche e di partecipare al famoso Sabba sul Tonale, dove veniva trasportata grazie all’uso del magico unguento, “col qual subito onzevo il bastone el diventa una capra o un cavallo, o qualche altra sorte di animali, et se leva in aire con tanta prestezza che per el vento che me da in el petto qualche volta non posso piliar fià”. La sua storia è conservata tra le mura della Biblioteca Civica di Bormio, in Palazzo de Simoni, dove troviamo, tra le carte impolverate, gli atti del Quaternum inquistitorum, uno dei processi più tremendi ai danne delle streghe. La storiografia ci narra poi di una certa Caterina de Pilli di Bergamo, soprannominata, anche come Ruggiera da Monza, condannata per stregoneria e condannata al rogo nel gennaio del 1471. Ebbene a queste due streghe bergamasche oggi possiamo aggiungere una terza, il cui nome, purtroppo, è andato perso nell’oblio. La vicenda narrata, sin ora inedita, è descritta in un antico manoscritto secentesco ritrovato all’interno di un saggio di esorcismi del 1600. Il Documento, parecchio lungo e ancora in fase di decifrazione, parla, tra l’altro, del sabba beneventano e del demonio Beliath. In una delle ultime pagine è narrata una curiosa vicenda.
Siamo a Bergamo. Il tema è il “male d’occhi”, ovvero la fattura, il potere di una strega di rendere infetto il sangue affascinandolo dagli occhi. E’ in questo contesto che si narra la confessione di una fanciulla, una incredibile e rara testimonianza finora mai narrata.



Una donna con una figliola di 9 anni dal suo palazzo, in Bergamo, “presi certi unguenti che tenea sotto il letto zozzo e alcuni quadrelli,se ne unse tutto il corpo. Preso un bastone se lo mise sotto come cavalcando…uscì dalla finestra di detta camera che più non la si vide. La figliola ungersi anch’essa e spogliatasi fece lo stesso che avea visto fare alla madre…e in un brevissimo tempo furono in Venetia…in casa di certi parenti, tutta ignuda, e trovò ivi la madre che procedea a stregare un figlio di quelli nel letto…che spaventato gridò l’Ave Maria. Immediata sparve sua madre e  ella si trovò da sola etutta  ignuda…e senza unguanto che l’aveva trasportata. Tutto confessò la povera figlia …e l’ Inquisizione di Bergamo fece subito pigliare quella donna”.

Un interessante, nuovo documento che descrive ancora una volta lo stereotipo della strega italiana.



martedì 4 ottobre 2016

A caccia di streghe con i "Libri in cantina"

tratto da Il Giornale del 28/9/2016

La mostra della piccola e media editoria "Libri in cantina" va di scena a Susegana (Treviso). Tra i libri presentati c'è un interessante volume sulla stregoneria

di Raffaello Binelli

Il prossimo 1 e 2 ottobre a Susegana (Treviso) si svolge la mostra della piccola e media editoria "Libri in cantina".

Tra i numerosi volumi che verranno presentati ce n'è uno che parla di stregoneria: "A caccia di streghe nei domini della Serenissima" (Itinera Progetti Editore) a cura di Mauro Fasan.

Un fenomeno, quello della stregoneria, che nel corso degli anni ha ispirato saggi e trattati, romanzi e fiabe. Nel territorio oggi racchiuso fra le province di Treviso e Pordenone fra il 1500 e il 1600 si sono svolti decine di processi per stregoneria.

Sotto questa etichetta comune infatti, in quegli anni di grande fermento religioso, spesso l’Inquisizione raggruppò luterani e benandanti (appartenenti ad un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli), guaritori e astrologi a vario titolo accusati di rapporti con il diavolo.

Attraverso una minuziosa analisi di documenti e cronache dell’epoca l’autore ricostruisce alcuni fra i principali processi nei quali furono coinvolti anche importanti nobildonne ed esponenti dell’aristocrazia veneta, oltre al celebre mago Aquino Turra, un personaggio di primo piano attorno a cui hanno ruotato storie curiose: presunto stregone nonché abile donnaiolo, era figlio di un prete e venne perennemente inseguito dai mariti traditi. E poi le streghe di Meduna (e Pasiano), da cui si comprende molto bene quanto la stregoneria fosse diffusa in tutte le classi sociali e vissuta come una cosa normale, un aspetto della vita quotidiana.