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giovedì 6 gennaio 2022

Le sciamane, IL SEGRETO DELLA GRANDE MADRE

tratto da InsideOver: https://it.insideover.com/reportage/donne/le-sciamane.html

Testo di Valeria Gradizzi, Morena Luciani Russo

Foto di Valeria Gradizzi

30 AGOSTO 2020


Gli ultimi raggi di sole sfiorano le foglie del bosco. Scintille di fuoco, leggere, si alzano verso il cielo. La brace si gonfia, passando dal grigio al rosso. Sono gli ultimi respiri del legno. Gli elementi del mondo si incontrano e si consumano. L’alto scende verso il basso. Il basso sale verso l’alto. La natura si muove in un ciclo continuo. Non esiste un inizio, non esiste una fine. C’è solo la natura.

Dal bosco appaiono alcune donne, i cui volti sono incorniciati da veli leggeri. Portano tamburi e maschere. Si inginocchiano. È il segno che il rito può iniziare. Una nenia, prima leggera e poi sempre più forte, rompe il silenzio. Il ritmo diventa sempre più concitato. La voce si mischia alle percussioni in un unico suono. I corpi iniziano a danzare con movimenti sfrenati. È il climax. È l’estasi più pura. Le donne si uniscono alla natura, la Grande Madre.

È lei a sussurrare magiche parole a queste donne, in un dialogo continuo. Si torna ad ascoltare la realtà che le circonda: “Una voce – ci spiegano – riunisce donne e uomini intorno al sistema di conoscenza e guarigione più antico al mondo”. I tamburi suonano. I corpi danzano. L’estasi tocca tutti.

Le mani sfiorano tutto ciò che le circonda: gli alberi, l’erba, l’acqua. Tutti ricordi di un mondo ancestrale in cui gli uomini e le donne veneravano la Grande Madre, che era tutto: era la terra che calpestavano, le stelle che fissavano per interrogarsi sul mistero, l’acqua che li dissetava, il fuoco che li riscaldava. Era possibile toccarla, la Grande Madre. Toccandola le si sfiorava anche l’anima. Nasce così lo sciamanesimo. Si può dare forma a ciò che è allo stesso tempo l’essenza del materiale e dell’immateriale? Il suo corpo, così ricco, comincia ad essere inciso sulla roccia. Vasi vengono realizzati e templi innalzati. Mentre si diffonde, la natura diventa il centro di tutto. Era questo il mondo che era possibile vivere e osservare due millenni fa.

I riti della Grande Madre sono poco alla volta scomparsi. Il mondo era cambiato per sempre. Pochi fedeli hanno continuato a praticarli e a trasmetterli fino ai giorni nostri. Semplici danze e parole arcaiche che nascondono significati segreti e che hanno il potere di collegare, ancora una volta, gli essere umani alla natura. Per le donne che intraprendono la via sciamanica, l’umanità deve riscoprire la vera dimensione del sacro per rivolgersi a quella Madre cancellata, a loro dire, dal “genocidio delle culture antico-europee e mediterranee” che avrebbe condotto alla sottomissione della donna.

Qui il grande nodo: riscoprire la Terra, e riscoprire la saggezza femminile, che si nutre di pratiche di spiritualità orientate alla Terra e ai suoi cicli naturali. Pratiche rituali collettive che sradicano la realtà dei nostri tempi, rovesciando i valori su cui si fonda la nostra società. A partire dalla donna e dalla natura, teatro mistico di questi riti arcaici e dove da secoli l’uomo fugge.

Ma nella via sciamanica il percorso è verso l’origine: non si fugge più da quel bosco di cui ci hanno insegnato ad avere paura, ma si percorrono i suoi sentieri, i suoi cicli, si incontrano i suoi animali “portatori di Vita e di Morte”, si riscopre un mondo nascosto, sotterraneo, e si cerca un’altra via. E un’altra vita


sabato 23 febbraio 2019

Una chiacchierata su Ananke

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/ananke-e-la-legge-del-cosmo/

Trascrizione infedele dell’intervento si Ananke tenuto ieri al Centro le Cicogne di Racconigi per l’associazione culturale umanistica “all’ombra del Monviso”.

Ananke prima ancora di “diventare” una divinità era una idea, un’idea astratta. La stessa parola Ananke potrebbe essere di origine semitica e trovare la sua essenza nelle tre lettere: hnk. Avremo nell’antico egizio: hnkper angusto; hngper gola e enekcon il senso di strangolare, abbracciare circondare; il siriaco hnk per catena soffocamento, l’accadico hanaquper stringere, avvolgere strettamente al collo, l’ebraico anãkper collana a forma di catena.[1]

Nei secoli che sono diventi millenni noi siamo stati abituati a percepire e “subire” la Necessità (Ananke) come qualcosa di negativo. Se proviamo a denudare la storia di Ananke, scopriamo che Ananke ha una famiglia sui generis. Si è parlato pocanzi delle Moire e non ritornerò sull’argomento avendo i minuti contati, se diamo uno sguardo alle cosmologie e cosmogonie orfiche, argomento accennato dai primi relatori, scopriamo che Ananke era prima degli dei, cosa che condivide ad esempio con Fanes, ma questa è un’altra storia. Scopriamo che imparentate ad Ananke vi sono altre due figure femminili: Astradea e Themis (purtroppo non sarà possibile parlarne), ma è impossibile non accennare al fatto che Themis è presente nel culto misterico di Mitra. Perché i culti misterici? Quale è l’importanza dei culti misterici? È uno snodo fondamentale il collegamento con i culti misteri. Ed è così importante che vi chiedo per un attimo di abbandonare la vostra razionalità. Muoviamoci utilizzando la Fantasiaed il Nous.[2]In questo torniamo ad essere dionisiaci, perché Dioniso guardandosi allo specchio vedeva in questo il mondo riflesso (Dioniso guardandosi nello specchio vede il mondo). Proviamo a fare lo stesso, dimentichiamo per un attimo di essere nel 2018 e.v., proviamo a diventare o tornare esseri “primigeni” e non primitivi, espandiamo la nostra coscienza e le nostre sensazioni ed anziché razionalizzare tutto quello che sentiamo, proviamo e pensiamo, “lavoriamo usando due parole che per noi sono inusuali: Fantasiae Nous”. Che possiamo definire per estrema esemplificazione e comodità come quel pensare “pre” razionale nel quale tutto è compreso. Un pensare unitario e non frammentato. L’uno ci rimanda a Pitagora, quindi inevitabilmente alle antiche iniziazioni e anche a quella musica prodotta dalle Sirene vicino alle Moire di cui si è parlato prima (vedi mito Er). Perché questo riferimento? Perché solo se siamo uno possiamo divederci, solo dall’unità viene la molteplicità, ma in quanto molteplicità spesso disordinata abbiamo la necessità di tornare all’unità. Ricomporre la nostra unità, tornare ad essere uniti ed armonici è uno degli scopi delle iniziazioni in generale e di quelle misteriche in particolare. Non dimentichiamo Dioniso allo specchio. Nella vita di tutti i giorni siamo frammentati, nei diversi momenti dell’esistenza o della giornata riverberano schegge di noi, siamo padri, mogli, lavoratoti, abbiamo una vita emozionale spesso scissa da altre parti noi, siamo, spesso, tanti piccoli frammenti di quella unità che è ogni singolo individuo. Per ricomporci, noi dobbiamo tornare a quella unità che eravamo in origine. Cosa c’entra Ananke in tutto questo? La Necessità, la sola parola necessità, basta ascoltarla per metterci uno stato d’ansia, la necessità di fare qualcosa, vissuta come obbligo e costrizione e con come un imperativo, direi categorico, della nostra coscienza, del nostro spirito delle nostre emozioni. Forse, abbiamo perso il nostro rapporto più intimo con Ananke molto tempo fa e l’abbiamo persa per quanto ci riguarda più da vicino, nella nostra storia, in due momenti topici. Il primo è quando è morto l’Occidente, la morte dell’Occidente inizia con la separazione della Poesia dalla Filosofia o con Euclide che tradisce la matematica sacra di Pitagora. L’uomo oggi si trova in una stanza buia e come tutti i bambini teme i mostri che ne possano uscire o, peggio, quelli che egli stesso creerà. Lo smarrimento dell’esserciè massimamente dovuto alla negazione più che cancellazione (in altra sede approfondirò gli effetti di questa negazione) di due elementi che lo rapportavano con la sua coscienza/pneuma e con il Mondo Universo. La negazione del principio erotico e del sacro, stanno portando l’essere umano a divenire una macchina di sangue e carne disumanizzandolo.

L’annuncio di questa morte sulla fine del secolo XIX viene dato con questa semplice frase: Dio è morto.Annuncio che come tutti voi sapete è dato da Nietzsche in La gaia scienzae Così parlò Zarathustra. La morte di dio porta l’Occidente a qualcosa di ancora più drammatico: la perdita del sacro. La perdita del sacro è una perdita che riguarda eminentemente l’uomo, perché persa la via del sacro l’essere umano perde questa relazione con se stesso, con gli altri e il Mondo Universo. Questa perdita porta inevitabilmente alla cancellazione, all’oblio della sacralità della vita. Inutile soffermarsi ora su questo, la perdita della sacralità della vita è un fenomeno tanto reale quanto psichico e coscienziale al quale assistiamo, quasi anestetizzati, tutti i giorni. Si perde un altro elemento costitutivo dell’uomo, dell’esserci, perdita che avviene in contemporanea con l’annuncio della morte di dio e trova la sua massima realizzazione nella contemporaneità, parlo della perdita del principio Erotico.

Potrà sembrare strano parlare di perdita del principio erotico in una società definita di costumi liberi o immorale da finti perbenisti e afflitta dalla dipendenza pornografica manifestata dalla youporn generation, ma il principio erotico nulla ha a che vedere con la pornografia. Il principio erotico è il principio vitale sia esso fisico, artistico o metafisico, è in qualche maniera il principio dionisiaco della vita che reclama la sua manifestazione. L’esserci nella modernità ha in qualche modo rinunciato alla zoé e alla psyché pur cercandola bramosamente in luoghi diversi da quelli nella quale si trovano. Il rapporto erotico con la vita è quella pulsione imprescindibile che ci spinge ad andare avanti, è quella forza necessariamente disordinata che nella sua realizzazione ci porta all’ordine, meglio, all’armonia. Mi viene in mente come Ananke in alcuni testi magici sia presentata come la Dea dell’irrazionale. Molti dei motti dedicati ad Ananke sono con l’alfa privativa davanti alla parola logos, quindi con una traduzione imperfetta e semplificata: senza logica, senza razionalità. Non basta, noi dobbiamo recuperare tutto questo. Per recuperare tutto questo cosa possiamo fare? Dovremmo ricordarci di Ananke con le braccia aperte che accoglie in sé l’intero Cosmo, l’intero Mondo Universo e non voglio arrivare a parlare della Grande Madre, però è un dato di fatto…

…Potremmo leggere dei frammenti della letteratura orfica, ma non abbiamo tempo. Ananke, probabilmente, è la legge del cosmo, del Mondo Universo, non è la necessità intesa nel senso comune. È tanto la legge della fisica newtoniana moderna, tanto la legge occulta dei maghi, tanto la legge altrettanto occulta degli psicanalisti che occupandosi della coscienza si occupa di qualcosa di occulto nel senso di celato, non visibile. Noi guardiamo ad Ananke come colei che è nata con il serpente prima degli dei, che avvolge e accoglie l’intero universo in un continuo atto erotico di produzione e riproduzione, ed è colei che attraverso la sorella o la figlia, a seconda delle versioni di miti, che tra le altre cose avrebbe accudito Zeus (e questo la dice lunga) nella grotta. , e se l’uomo è microcosmo nel macrocosmo, è quindi governato in una qualche maniera dalle stesse identiche leggi, solo abbracciando Ananke avremo l’armonia, ricomporremo l’unità e potremo stare bene.

Ho detto

Gioia – Salute – Prosperità



mercoledì 9 agosto 2017

Sterile nell'anima e nel corpo. L'Europa è una terra desolata

tratto da il Giornale del 29 giugno 2017

Il poeta Eliot profetizzò le malattie dell'inconscio dovute al materialismo. Guarire si può: con una «Vita selvatica»

di Cluadio Risé

La più efficace rappresentazione della modernità occidentale: questo è La terra desolata di Eliot per Ezra Pound. Non si tratta infatti solo di un'opera poetica. I suoi versi hanno anche un contenuto profetico; non soltanto perché descrivono i morti sul London Bridge 96 anni prima dell'attacco di venti giorni fa.

Questi morti Eliot li vede camminare sul ponte con «gli occhi fissi ai piedi». Il loro sguardo (come il nostro oggi), vola basso. In un tempo ormai di post secolarizzazione, dove tutto il mondo torna a guardare verso l'alto, l'Occidente non sa più riconoscere di essere figlio di Dio e prendersi la propria quota di divinità. Così mentre ovunque Dio è forza, visione, obiettivi, noi lo viviamo come un peso da nascondere. Mentre per gli altri è energia (distruttiva se non governata), l'Occidente, come intuì James Hillman, ha trasformato Dio in malattia. La nostra visione è attirata dal basso, dove vanno gran parte delle nostre energie.

La terra desolata, però, non riguarda solo noi oggi. È un archetipo dell'inconscio collettivo, un'immagine da sempre presente nella psiche e storia umana, che si attiva in tempi di forte cambiamento. Attraverso di essa l'inconscio collettivo spinge l'uomo a ritrovare una forza vitale perduta, a guarire malattie che corrodono la sua anima, il suo corpo e la sua vita quotidiana. Era già presente, come racconta Eliot, nell'Europa del 1200, cui si riferiscono le leggende e i miti Arturiani. Epoca di ricerca, cambiamento e fondazione di quella che fu poi per cinquecento anni la civiltà occidentale, coinvolgendo nei suoi sviluppi gran parte del mondo.

La terra desolata ci fa sentire che qualcosa di molto prezioso sta sbocciando, ma rischia di andare perduto se non riconosciamo le cause dell'attuale desolazione. È una sfida forte posta all'uomo dal proprio tempo; riguarda sia le personalità individuali che la società e il mondo in cui vivono.

C'è un ordine da ricostituire: Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre? si chiede il Re Pescatore. La situazione gli impone di riconoscere la difficoltà dello sviluppo, della germinazione di nuove cose, da distinguere da quelle morte, da abbandonare. La terra desolata di Eliot, comincia proprio con un mese di germinazione e di sviluppo.

Aprile è il mese più crudele, generando/ Lillà da terra morta, confondendo/ Memoria e desiderio, risvegliando/ radici dormienti con piogge primaverili.

Nell'immagine della Terra desolata nel poema come nell'archetipo, e dunque nella vita che si svolge sotto la sua influenza sono sempre compresenti le forze della generazione e della vita, e della morte e decomposizione. Da qui deriva l'energia delle immagini archetipiche. Tra questi poli la coscienza dell'uomo è ora chiamata a scegliere, altrimenti si può sviluppare regressione e malattia, anche psichica.

La terra del Graal, l'Europa dove nelle leggende tardo-medievali regna il Re Pescatore, sovrano della cristianità, è appunto attraversata da questo potente conflitto. Si tratta dell'eterno scontro tra la soddisfazione del piacere immediato e lo sviluppo di capacità di simbolizzazione, e di sacrificio per visioni più ampie, non egoistiche e di lungo periodo.

In questa lotta, che è anche un conflitto passionale per la donna (rappresentazione anche dell'Anima maschile) il re viene ferito da un potente nemico, un cavaliere moro. La ferita è in mezzo alle gambe, nel luogo della sua generatività e della fallicità. Il re, Amfortas, ha sottovalutato sia il proprio l'accecamento passionale, che la forza dell'avversario: per questo è stato ferito. L'aspetto emotivo e femminile della sua psiche invece di essere una forza ispiratrice ha preso il sopravvento sulla coscienza maschile soffocandone la tensione verso l'alto e consentendo la ferita. Dalla quale si perde il suo sangue, e si genera marcescenza e putredine.

A partire dal corpo e dallo spirito del re l'aridità conquista ogni spazio vitale attorno rendendo desolata la terra. Il calo della fertilità, la compravendita di parti del corpo e funzionalità riproduttive, la molteplicità di problemi sessuali che affliggono i cittadini della modernità traducono in cronaca quotidiana le conseguenze della ferita del Re Pescatore, ubriacato dalla sua superficialità. Con lui, ferito all'inguine, nella sua sessualità e virilità, è l'uomo occidentale, protagonista di La terra desolata di Eliot. Siamo noi.

Per riportare l'ordine non solo nelle terre del re pescatore, ma tra femminile e maschile, e tra terra e cielo, allora come oggi, nella terra desolata è decisivo l'amore. Ma vero. Ne parlano due miti fondatori dell'Occidente: Tristano e Isotta, ispiratori di Eliot. In entrambi si parla di amore e di sacrificio, indispensabili alla crescita personale e al benessere di tutti. Al centro dei due miti c'è un potente simbolo femminile: una coppa. Tristano e Isotta, presi dall'attrazione, ne bevono e muoiono.

Nel racconto Tristano sta accompagnando Isotta da re Marc di Cornovaglia, cui la fanciulla è promessa. Durante la navigazione, in un momento di caldo e grandissima sete (classico scenario da «demone meridiano») l'accompagnatrice di Isotta versa una bevanda a Tristano. Il giovane beve, e porge la coppa a Isotta. Subito i due sono presi dal bisogno di andare l'una verso l'altro, fisicamente e sessualmente. Il liquido della coppa era un filtro di erbe che era stato affidato alla serva dalla madre di Isotta. Da questo imprigionamento i due giovani non usciranno vivi. Nelle narrazioni dell'epoca percepiscono subito che si tratta di una spinta non d'amore, ma di morte. Come Isotta racconta nel trovatore Béroul: «Lui non mi ama/ né io lui / Accadde per un filtro da cui bevvi / e così per lui».

Il veleno agisce sui due giovani trasformando il loro innamoramento innocente nella spinta ad agire subito la loro attrazione, irresistibile dopo la bevanda. Così l'aspetto distruttivo dell'archetipo della Grande Madre (che può essere positiva e vitale, oppure distruggere), incline all'agito immediato più che alla simbolizzazione, sostituisce al matrimonio fecondo del Re, propiziato dall'amato nipote Tristano, il potere della droga e la morte dei due giovani, che lascerà senza discendenza il Re Marc.

Anche Parsifal ha una madre invadente, Herzeloide, che alleva questo figlio lontano dal mondo della cavalleria, chiudendolo in una tenuta, perché non vuole che muoia come il padre e i fratelli. Parsifal però la lascia quando viene invitato alla reggia di Artù, e la madre muore di crepacuore. Dolore difficile da elaborare, ma salvifico per il re pescatore, che guarirà solo quando il «puro folle» Parsifal gli porrà la domanda risanante: «dimmi, cosa ti strugge?» Prendendo così su di sé la sofferenza dell'altro, e in questo modo guarendo la terra dalla sua aridità e desolazione.

Anche nel Parsifal c'è una coppa, sulla base della quale compare appunto il suo nome. Ma è quella del Graal, dove è stato versato il sangue di Cristo dopo la sua passione, promessa di risurrezione. Per rinascere, infatti, per rigenerarsi, occorre avere il coraggio di attraversare la morte.

Ogni profonda trasformazione, sul piano simbolico, lo richiede. Soprattutto nella civiltà fondata su Gesù Cristo: risorto appunto perché capace di morire.