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domenica 9 novembre 2014

Le tre vie e le forme iniziatiche

tratto da Lettera e Spirito n. 33

http://letteraespirito.wordpress.com/rene-guenon-le-tre-vie-e-le-forme-iniziatiche/

di René Guénon

È noto che la tradizione indù distingue tre “vie” (mârga) che sono rispettivamente quelle di Karma, di Bhakti e di Jnâna; non ritorneremo sulla definizione di questi termini, che dobbiamo supporre sufficientemente conosciuta dai nostri lettori; preciseremo però subito che, giacché a essi corrispondono tre forme di Yoga, ciò implica essenzialmente che tutti hanno o sono suscettibili d’avere un significato d’ordine propriamente iniziatico [1]. D’altra parte, bisogna capire bene che qualunque distinzione di questo genere ha sempre necessariamente un certo carattere “schematico” e piuttosto teorico, poiché, di fatto, le “vie” variano indefinitamente per adeguarsi alla diversità delle nature individuali, e, anche in una classificazione molto generale come quella, non può trattarsi che della predominanza d’uno di quegli elementi in rapporto agli altri, senza che questi possano mai essere interamente esclusi. Questo caso è analogo a quello dei tre guna: si classificano gli esseri secondo il guna che in essi predomina, ma è chiaro che la natura d’ogni essere manifestato comporta ugualmente tutti i guna, sebbene in proporzioni diverse, non potendo essere diversamente in tutto ciò che procede da Prakriti. L’accostamento che facciamo tra questi due casi è d’altronde qualcosa di più che un semplice paragone, ed è tanto più giustificato giacché esiste realmente una certa correlazione tra l’uno e l’altro: infatti, lo Jnâna-mârga è evidentemente quello che conviene agli esseri di natura “sattwica”, mentre il Bhakti-mârga e il Karma-mârga convengono a quelli la cui natura è prevalentemente “rajasica”, peraltro con delle sfumature differenti; in un certo senso si potrebbe forse dire che vi è nell’ultimo qualcosa di più vicino a tamas che nell’altro, benché non convenga spingere questa considerazione troppo in là, poiché è evidente che gli esseri di natura “tamasica” non sono affatto qualificati per seguire una qualsivoglia via iniziatica.
Nonostante quest’ultima riserva, non è men vero che esiste un rapporto tra i caratteri rispettivi dei tre mârga e gli elementi costitutivi dell’essere ripartiti secondo il ternario “spirito, anima, corpo” [2]: la Conoscenza pura è, in se stessa, d’ordine essenzialmente sopraindividuale, cioè in definitiva spirituale, come l’intelletto trascendente in cui rientra; il carattere nettamente psichico di Bhakti è evidente, mentre Karma, in tutte le sue modalità, comporta necessariamente una certa attività d’ordine corporeo, e, quali che siano le trasposizioni di cui questi termini sono suscettibili, qualcosa di questa natura originale deve sempre inevitabilmente ritrovarvisi. Ciò conferma pienamente quanto dicevamo della corrispondenza con i guna: la via “jnânica”, in queste condizioni, può evidentemente convenire solo agli esseri in cui predomina la tendenza ascendente di sattwa e che, per ciò stesso, sono predisposti a mirare direttamente alla realizzazione degli stati superiori piuttosto che attardarsi a uno sviluppo dettagliato delle possibilità individuali; le altre due vie, per contro, fanno dapprima appello a degli elementi prettamente individuali, non fosse altro che per trasformarli alla fine in qualcosa che appartiene a un ordine superiore, e ciò è ben conforme alla natura di rajas, che è la tendenza producente l’espansione dell’essere al livello stesso dell’individualità, la quale, non va dimenticato, è costituita dall’insieme degli elementi psichico e corporeo. D’altra parte, risulta immediatamente da ciò che la via “jnânica” si riferisce più in particolare ai “grandi misteri”, e le vie “bhaktica” e “karmica” ai “piccoli misteri”; in altri termini, si vede ancora da quanto precede che solamente mediante Jnâna è possibile pervenire allo scopo finale, mentre Bhakti e Karma hanno piuttosto una funzione “preparatoria”, dato che le vie corrispondenti conducono soltanto fino ad un certo punto, ma rendono possibile il conseguimento della Conoscenza per coloro la cui natura non ne sarebbe idonea direttamente e senza una tale preparazione. Va da sé d’altronde che non può esservi iniziazione effettiva, sia pure ai primi stadi, senza una parte più o meno grande di conoscenza reale, anche quando, nei mezzi ch’essa mette in opera, l’“accento” cade soprattutto sull’uno o l’altro dei due elementi “bhaktico” e “karmico”; ma ciò che vogliamo dire è che in ogni caso, al di là dei limiti dello stato individuale, non può più esservi che una sola e unica via, che è necessariamente quella della Conoscenza pura. Un’altra conseguenza da tener presente è che, a causa della connessione delle due vie “bhaktica” e “karmica” con l’ordine delle possibilità individuali e con il dominio dei “piccoli misteri”, la distinzione tra loro è molto meno netta di quanto non lo sia con la via “jnânica”, e ciò dovrà naturalmente riflettersi in qualche modo nei rapporti tra le corrispondenti forme iniziatiche; dovremo del resto ritornare brevemente su questo punto nel seguito della nostra esposizione.
Queste considerazioni ci portano a considerare anche un’altra relazione, quella che esiste, in linea generale, tra i tre mârga e le tre caste “due volte nate”; è d’altronde facile da capire che debba esistere una tale relazione, poiché la distinzione delle caste non è altro in principio che una classificazione degli esseri umani secondo le loro nature individuali, ed è precisamente per convenire alla diversità di queste nature che esiste una pluralità di vie. I Brâhmani, essendo di natura “sattwica”, sono particolarmente qualificati per lo Jnâna-mârga, ed è detto espressamente che essi devono tendere il più direttamente possibile al possesso degli stati superiori dell’essere; d’altronde, la loro stessa funzione nella società tradizionale è essenzialmente e prima di tutto una funzione di conoscenza. Le altre due caste, la cui natura è principalmente “rajasica”, esercitano delle funzioni che, in se stesse, non superano il livello individuale e sono orientate verso l’attività esteriore [3]: quelle degli Kshatriya corrispondono a quel che si può chiamare lo “psichismo” della collettività, e quelle dei Vaishya hanno per oggetto le diverse necessità dell’ordine corporeo; da ciò risulta, secondo quanto abbiamo detto precedentemente, che gli Kshatriya devono esser soprattutto qualificati per il Bhakti-mârga e i Vaishya per il Karma-mârga, e, infatti, è proprio quel che si può constatare generalmente nelle forme iniziatiche a loro rispettivamente destinate. Vi è tuttavia un’importante osservazione da fare a questo proposito: se si intende il Karma-mârga nel suo senso più esteso, esso si definisce con lo swadharma, ossia con l’adempimento da parte di ciascun essere della funzione che è conforme alla sua natura propria; si potrebbe allora considerarne una applicazione a tutte le caste, salvo che allora questo termine sarebbe manifestamente improprio per quel che riguarda i Brâhmani, la cui funzione è in realtà al di là del dominio dell’azione; ma si potrebbe almeno applicarlo allo stesso tempo, anche se con modalità diverse, al caso degli Kshatriya e a quello dei Vaishya, ciò che è un esempio della difficoltà che si incontra, come dicevamo sopra, a separare in modo netto quel che conviene agli uni e agli altri, e difatti è noto come la Bhagavad-Gîtâ esponga un Karma-yoga specificamente adatto all’uso degli Kshatriya. Nonostante ciò, non è men vero che, se si prendono i termini in senso stretto, le iniziazioni degli Kshatriya presentano nell’insieme un carattere soprattutto “bhaktico” e quelle dei Vaishya un carattere soprattutto “karmico”, cosa che verrà tra breve meglio chiarita con un esempio preso dalle forme iniziatiche dello stesso mondo occidentale.
Va da sé, infatti, che quando parliamo delle caste come facciamo qui, riferendoci in primo luogo alla tradizione indù per comodità d’esposizione e perché essa ci fornisce al riguardo la terminologia più adeguata, quel che ne diciamo si estende ugualmente a tutto ciò che altrove corrisponde a queste caste, in una forma o nell’altra, poiché le grandi categorie in cui si ripartiscono le nature individuali degli esseri umani sono sempre e dovunque le medesime, per il fatto stesso che, ricondotte al loro principio, esse non sono altro che una risultante del predominio rispettivo dei diversi guna, cosa evidentemente applicabile all’intera umanità, come caso particolare di una legge valevole per tutto l’insieme della manifestazione universale. La sola differenza notevole è nella proporzione più o meno grande, secondo le condizioni di tempo e di luogo, di uomini appartenenti a ciascuna categoria, i quali, se qualificati a ricevere un’iniziazione, saranno di conseguenza suscettibili di seguire l’una o l’altra delle vie corrispondenti [4]; e, nei casi più estremi, può succedere che qualcuna di queste vie cessi praticamente d’esistere in un dato ambiente, se il numero di coloro che sarebbero idonei a seguirla è divenuto insufficiente a consentire la conservazione d’una forma iniziatica distinta [5]. Ciò si è verificato segnatamente in Occidente, dove ormai da lungo tempo le predisposizioni alla conoscenza sono state costantemente molto più rare e meno sviluppate della tendenza all’azione, per cui si può dire che, nell’insieme del mondo occidentale, e persino in quel che ne costituisce l’“élite” almeno relativa, rajas ha di gran lunga la meglio su sattwa; così, già nel Medio Evo, non si trovano tracce chiare dell’esistenza di forme iniziatiche propriamente “jnâniche”, che di norma avrebbero dovuto corrispondere a un’iniziazione sacerdotale; ciò a tal punto che anche le organizzazioni iniziatiche a quel tempo in più stretto rapporto con certi Ordini religiosi avevano pur sempre un carattere “bhaktico” molto accentuato, per quanto è possibile giudicare dai modi d’espressione più abitualmente impiegati da quei loro membri che lasciarono opere scritte. Per contro, si trova a quell’epoca, da una parte l’iniziazione cavalleresca, il cui carattere dominante è evidentemente “bhaktico” [6], e dall’altra le iniziazioni artigianali, che erano “karmiche” in senso stretto, essendo essenzialmente basate sull’esercizio effettivo d’un mestiere. Va da sé che la prima era un’iniziazione di Kshatriya e le seconde erano delle iniziazioni di Vaishya, prendendo la designazione delle caste secondo il significato generale da noi appena spiegato; e aggiungeremo che i legami che di fatto esistettero quasi sempre tra queste due categorie, come abbastanza spesso abbiamo avuto occasione di segnalare altrove, sono una conferma di quanto dicevamo sopra dell’impossibilità di separarle completamente. Più tardi, anche le forme “bhaktiche” disparvero, e le sole iniziazioni che ancora sussistono attualmente in Occidente sono delle iniziazioni di mestiere, o che tali erano all’origine; anche dove, in seguito a certe circostanze particolari, la pratica del mestiere non è più richiesta come condizione necessaria, ciò che del resto non può essere considerato che come una diminuzione, se non come una vera degenerazione, questo non toglie evidentemente nulla al loro carattere essenziale.
Ora, se l’esistenza esclusiva di forme iniziatiche qualificabili come “karmiche” nell’Occidente attuale è un fatto incontestabile, bisogna dire che le interpretazioni alle quali tale fatto ha dato origine non sono sempre esenti, sotto vari punti di vista, da equivoci e confusioni; è quel ci resta da esaminare per mettere a punto le cose nel modo più completo possibile. Innanzitutto, certuni hanno immaginato che, a causa del loro carattere “karmico”, le iniziazioni occidentali si oppongano in certo qual modo alle iniziazioni orientali, che, a loro modo di vedere, sarebbero tutte prettamente “jnâniche” [7]; ciò è del tutto inesatto, poiché la verità è che in Oriente coesistono tutte le categorie di forme iniziatiche, com’è d’altronde sufficientemente provato dall’insegnamento della tradizione indù a proposito dei tre mârga; se al contrario ne esiste soltanto più una in Occidente, gli è che le possibilità di quest’ordine vi si trovano ridotte al minimo. Che la predominanza vieppiù esclusiva della tendenza all’azione esteriore sia una delle cause principali di questo stato di fatto, ciò è fuor di dubbio; ma non è men vero che a dispetto dell’aggravarsi di questa tendenza sussiste ancora oggi un’iniziazione quale che sia, e sostenere il contrario implica un grave equivoco circa il reale significato della via “karmica”, come vedremo più precisamente tra breve. Inoltre, è inammissibile voler fare in certo qual modo una questione di principio di qualcosa che è soltanto l’effetto di una semplice situazione contingente, e considerare le cose come se ogni forma iniziatica occidentale dovesse necessariamente essere di tipo “karmico” solo perché occidentale; crediamo non sia necessario insistervi oltre poiché, dopo tutto quello che già abbiamo detto, deve essere abbastanza chiaro che una visione del genere non può corrispondere alla realtà, che è d’altronde evidentemente ben più complessa di quel ch’essa sembra supporre.
Un altro punto molto importante è questo: il termine Karma, quando si applica a una via o a una forma iniziatica, dev’essere inteso prima di tutto nel suo senso tecnico di “azione rituale”; a questo proposito, è facile vedere che ogni iniziazione presenta un certo lato “karmico”, poiché essa implica sempre essenzialmente il compimento di particolari riti; questo corrisponde d’altronde ancora a quanto abbiamo detto circa l’impossibilità che l’una o l’altra delle tre vie esista allo stato puro. Inoltre, e al di fuori dei riti propriamente detti, ogni azione, per essere realmente “normale”, cioè conforme all’“ordine”, dev’essere “ritualizzata”, e, come spesso abbiamo spiegato, questo avviene effettivamente in una civiltà integralmente tradizionale; anche nei casi che si potrebbero definire “misti”, in cui cioè una certa degenerazione ha portato l’introduzione del punto di vista profano e gli ha fatto un posto più o meno esteso nell’attività umana, quanto sopra rimane ancora vero, almeno per ogni azione che è in rapporto con l’iniziazione, ed è segnatamente così per tutto ciò che riguarda la pratica del mestiere nel caso delle iniziazioni artigianali [8]. Si vede che ciò è quanto mai lontano dall’idea che di una via “karmica” si fa chi pensa che, se un’organizzazione iniziatica presenta tale carattere, debba intromettersi più o meno direttamente in un’azione esteriore e tutta profana, come lo sono inevitabilmente in particolare, nelle condizioni del mondo moderno, le attività “sociali” di ogni genere. La ragione che si invoca a sostegno di questa tesi è generalmente che una tale organizzazione ha il dovere di contribuire al benessere e al miglioramento dell’umanità nel suo insieme; l’intenzione può essere molto lodevole in se stessa, ma il modo in cui se ne considera la realizzazione, anche se la si spoglia delle illusioni “progressiste” cui troppo spesso è associata, non è per ciò meno completamente erronea. Non è certo detto che un’organizzazione iniziatica non possa proporsi secondariamente uno scopo del genere, “per sovrappiù” in certo qual modo, e alla condizione di non confonderlo mai con quello che costituisce il suo scopo proprio ed essenziale; ma allora, per esercitare un’influenza sull’ambiente esterno senza cessare d’essere quel che veramente deve, occorrerà ch’essa metta in opera dei mezzi del tutto diversi da quelli che senza dubbio vengono ritenuti i soli possibili, mezzi d’un ordine molto più “sottile”, ma per questo dotati di ben altra efficacia. Sostenere il contrario significa, in definitiva, misconoscere totalmente il valore di quella che abbiamo talvolta denominato “azione di presenza”; e questa ignoranza è, nell’ordine iniziatico, paragonabile, nell’ordine exoterico e religioso, a quella, così diffusa ai giorni nostri, del ruolo degli Ordini contemplativi; in fondo, nei due casi, è una conseguenza della stessa mentalità specificamente moderna, per cui tutto ciò che non appare esteriormente e non cade sotto i sensi è come non esistesse.
Aggiungeremo ancora, mentre siamo in argomento, che esistono anche molti equivoci sulla natura delle altre due vie, soprattutto della via “bhaktica”, poiché, per quanto riguarda la via “jnânica”, è in ogni caso troppo difficile confondere la Conoscenza pura, o anche le scienze tradizionali che ne dipendono e che rientrano più propriamente nel dominio dei “piccoli misteri”, con le speculazioni della filosofia e della scienza profana. A causa del suo carattere più strettamente trascendente, è molto più facile ignorare del tutto questa via che non snaturarla con false concezioni; e anche i travestimenti come “filosofia”, da parte di certi orientalisti, che non lasciano sussistere assolutamente niente dell’essenziale e riducono tutto all’ombra vana delle “astrazioni”, equivalgono di fatto all’ignoranza pura e semplice e sono troppo distanti dalla verità per potersi imporre a chiunque abbia la minima nozione delle cose iniziatiche. Per quanto riguarda Bhakti, il caso è abbastanza differente, e qui gli errori provengono soprattutto da una confusione del senso iniziatico di questo termine col suo senso exoterico, che d’altronde, agli occhi degli Occidentali, assume quasi inevitabilmente un aspetto specificamente religioso e più o meno “mistico” che nelle tradizioni orientali non ha ragione di essere: tutto ciò non ha assolutamente niente in comune con l’iniziazione, e, se effettivamente non si trattasse d’altro, è evidente che non potrebbe esistere un Bhakti-Yoga; ma questo ci ricondurrebbe ancora una volta alla questione del misticismo e delle sue differenze essenziali con l’iniziazione, argomento che abbiamo già sufficientemente trattato in altre occasioni perché sia necessario ritornarvi nuovamente.

* R. Guénon, Initiation et Réalisation spirituelle, Éditions Traditionnelles, Paris, 1952, cap. XVIII.

1. Diciamo “sono suscettibili d’avere” poiché essi possono avere anche un senso exoterico, ma è evidente che questo non è in causa quando si tratta di Yoga; naturalmente, il senso iniziatico ne è come una trasposizione in un ordine superiore.
2. Anche qui non si dovrebbe vedere niente di esclusivo in una simile corrispondenza, poiché ogni via iniziatica, per essere realmente valida, implica necessariamente una partecipazione dell’essere tutto intero.
3. Diciamo «in se stesse» poiché esse possono essere trasformate da un’iniziazione che le prenda come supporto.
4. Per non complicare inutilmente la nostra esposizione, non facciamo intervenire qui la considerazione delle anomalie che, all’epoca attuale e soprattutto in Occidente, risultano dal «miscuglio delle caste», dalla sempre crescente difficoltà di determinare esattamente la vera natura di ogni uomo, e dal fatto che la maggior parte degli uomini non adempie più la funzione che converrebbe realmente alla propria natura.
5. Segnaliamo per inciso che questo può obbligare coloro che sono ancora qualificati per questa via a «rifugiarsi», se ci si passa l’espressione, in organizzazioni praticanti altre forme iniziatiche che primitivamente non erano fatte per essi, inconveniente che può d’altronde essere attenuato mediante un certo «adattamento» effettuato all’interno di queste stesse organizzazioni.
6. Un carattere analogo avevano altre iniziazioni come quella dei Fedeli d’Amore, come indica espressamente il suo nome, benché l’elemento «jnânico» sembri tuttavia avervi avuto uno sviluppo maggiore che non nell’iniziazione cavalleresca, con la quale d’altronde esse avevano rapporti assai stretti.
7. Si osservi che, secondo tale concezione, l’esistenza d’iniziazioni «bhaktiche» è completamente ignorata o trascurata.
8. Si potrebbe dire che, in questo caso, «karmico» è quasi sinonimo di «operativo», intendendo naturalmente quest’ultimo termine nel suo vero significato, sul quale sovente abbiamo avuto occasione di insistere.