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di René Guénon
È noto che la tradizione indù distingue tre “vie” (mârga) che sono rispettivamente quelle di Karma, di Bhakti e di Jnâna;
non ritorneremo sulla definizione di questi termini, che dobbiamo
supporre sufficientemente conosciuta dai nostri lettori; preciseremo
però subito che, giacché a essi corrispondono tre forme di Yoga, ciò implica essenzialmente che tutti hanno o sono suscettibili d’avere un significato d’ordine propriamente iniziatico [1].
D’altra parte, bisogna capire bene che qualunque distinzione di questo
genere ha sempre necessariamente un certo carattere “schematico” e
piuttosto teorico, poiché, di fatto, le “vie” variano indefinitamente
per adeguarsi alla diversità delle nature individuali, e, anche in una
classificazione molto generale come quella, non può trattarsi che della
predominanza d’uno di quegli elementi in rapporto agli altri, senza che
questi possano mai essere interamente esclusi. Questo caso è analogo a
quello dei tre guna: si classificano gli esseri secondo il guna che in essi predomina, ma è chiaro che la natura d’ogni essere manifestato comporta ugualmente tutti i guna, sebbene in proporzioni diverse, non potendo essere diversamente in tutto ciò che procede da Prakriti.
L’accostamento che facciamo tra questi due casi è d’altronde qualcosa
di più che un semplice paragone, ed è tanto più giustificato giacché
esiste realmente una certa correlazione tra l’uno e l’altro: infatti, lo
Jnâna-mârga è evidentemente quello che conviene agli esseri di natura “sattwica”, mentre il Bhakti-mârga e il Karma-mârga
convengono a quelli la cui natura è prevalentemente “rajasica”,
peraltro con delle sfumature differenti; in un certo senso si potrebbe
forse dire che vi è nell’ultimo qualcosa di più vicino a tamas
che nell’altro, benché non convenga spingere questa considerazione
troppo in là, poiché è evidente che gli esseri di natura “tamasica” non
sono affatto qualificati per seguire una qualsivoglia via iniziatica.
Nonostante quest’ultima riserva, non è men vero che esiste un rapporto tra i caratteri rispettivi dei tre mârga e gli elementi costitutivi dell’essere ripartiti secondo il ternario “spirito, anima, corpo” [2]:
la Conoscenza pura è, in se stessa, d’ordine essenzialmente
sopraindividuale, cioè in definitiva spirituale, come l’intelletto
trascendente in cui rientra; il carattere nettamente psichico di Bhakti è evidente, mentre Karma,
in tutte le sue modalità, comporta necessariamente una certa attività
d’ordine corporeo, e, quali che siano le trasposizioni di cui questi
termini sono suscettibili, qualcosa di questa natura originale deve
sempre inevitabilmente ritrovarvisi. Ciò conferma pienamente quanto
dicevamo della corrispondenza con i guna: la via “jnânica”, in
queste condizioni, può evidentemente convenire solo agli esseri in cui
predomina la tendenza ascendente di sattwa e che, per ciò
stesso, sono predisposti a mirare direttamente alla realizzazione degli
stati superiori piuttosto che attardarsi a uno sviluppo dettagliato
delle possibilità individuali; le altre due vie, per contro, fanno
dapprima appello a degli elementi prettamente individuali, non fosse
altro che per trasformarli alla fine in qualcosa che appartiene a un
ordine superiore, e ciò è ben conforme alla natura di rajas,
che è la tendenza producente l’espansione dell’essere al livello stesso
dell’individualità, la quale, non va dimenticato, è costituita
dall’insieme degli elementi psichico e corporeo. D’altra parte, risulta
immediatamente da ciò che la via “jnânica” si riferisce più in
particolare ai “grandi misteri”, e le vie “bhaktica” e “karmica” ai
“piccoli misteri”; in altri termini, si vede ancora da quanto precede
che solamente mediante Jnâna è possibile pervenire allo scopo finale, mentre Bhakti e Karma
hanno piuttosto una funzione “preparatoria”, dato che le vie
corrispondenti conducono soltanto fino ad un certo punto, ma rendono
possibile il conseguimento della Conoscenza per coloro la cui natura non
ne sarebbe idonea direttamente e senza una tale preparazione. Va da sé
d’altronde che non può esservi iniziazione effettiva, sia pure ai primi
stadi, senza una parte più o meno grande di conoscenza reale, anche
quando, nei mezzi ch’essa mette in opera, l’“accento” cade soprattutto
sull’uno o l’altro dei due elementi “bhaktico” e “karmico”; ma ciò che
vogliamo dire è che in ogni caso, al di là dei limiti dello stato
individuale, non può più esservi che una sola e unica via, che è
necessariamente quella della Conoscenza pura. Un’altra conseguenza da
tener presente è che, a causa della connessione delle due vie “bhaktica”
e “karmica” con l’ordine delle possibilità individuali e con il dominio
dei “piccoli misteri”, la distinzione tra loro è molto meno netta di
quanto non lo sia con la via “jnânica”, e ciò dovrà naturalmente
riflettersi in qualche modo nei rapporti tra le corrispondenti forme
iniziatiche; dovremo del resto ritornare brevemente su questo punto nel
seguito della nostra esposizione.
Queste considerazioni ci portano a considerare anche un’altra relazione, quella che esiste, in linea generale, tra i tre mârga
e le tre caste “due volte nate”; è d’altronde facile da capire che
debba esistere una tale relazione, poiché la distinzione delle caste non
è altro in principio che una classificazione degli esseri umani secondo
le loro nature individuali, ed è precisamente per convenire alla
diversità di queste nature che esiste una pluralità di vie. I Brâhmani,
essendo di natura “sattwica”, sono particolarmente qualificati per lo Jnâna-mârga,
ed è detto espressamente che essi devono tendere il più direttamente
possibile al possesso degli stati superiori dell’essere; d’altronde, la
loro stessa funzione nella società tradizionale è essenzialmente e prima
di tutto una funzione di conoscenza. Le altre due caste, la cui natura è
principalmente “rajasica”, esercitano delle funzioni che, in se stesse,
non superano il livello individuale e sono orientate verso l’attività
esteriore [3]:
quelle degli Kshatriya corrispondono a quel che si può chiamare lo
“psichismo” della collettività, e quelle dei Vaishya hanno per oggetto
le diverse necessità dell’ordine corporeo; da ciò risulta, secondo
quanto abbiamo detto precedentemente, che gli Kshatriya devono esser
soprattutto qualificati per il Bhakti-mârga e i Vaishya per il Karma-mârga,
e, infatti, è proprio quel che si può constatare generalmente nelle
forme iniziatiche a loro rispettivamente destinate. Vi è tuttavia
un’importante osservazione da fare a questo proposito: se si intende il Karma-mârga nel suo senso più esteso, esso si definisce con lo swadharma,
ossia con l’adempimento da parte di ciascun essere della funzione che è
conforme alla sua natura propria; si potrebbe allora considerarne una
applicazione a tutte le caste, salvo che allora questo termine sarebbe
manifestamente improprio per quel che riguarda i Brâhmani, la cui
funzione è in realtà al di là del dominio dell’azione; ma si potrebbe
almeno applicarlo allo stesso tempo, anche se con modalità diverse, al
caso degli Kshatriya e a quello dei Vaishya, ciò che è un esempio della
difficoltà che si incontra, come dicevamo sopra, a separare in modo
netto quel che conviene agli uni e agli altri, e difatti è noto come la Bhagavad-Gîtâ esponga un Karma-yoga
specificamente adatto all’uso degli Kshatriya. Nonostante ciò, non è
men vero che, se si prendono i termini in senso stretto, le iniziazioni
degli Kshatriya presentano nell’insieme un carattere soprattutto
“bhaktico” e quelle dei Vaishya un carattere soprattutto “karmico”, cosa
che verrà tra breve meglio chiarita con un esempio preso dalle forme
iniziatiche dello stesso mondo occidentale.
Va da sé, infatti, che quando parliamo delle
caste come facciamo qui, riferendoci in primo luogo alla tradizione
indù per comodità d’esposizione e perché essa ci fornisce al riguardo la
terminologia più adeguata, quel che ne diciamo si estende ugualmente a
tutto ciò che altrove corrisponde a queste caste, in una forma o
nell’altra, poiché le grandi categorie in cui si ripartiscono le nature
individuali degli esseri umani sono sempre e dovunque le medesime, per
il fatto stesso che, ricondotte al loro principio, esse non sono altro
che una risultante del predominio rispettivo dei diversi guna,
cosa evidentemente applicabile all’intera umanità, come caso particolare
di una legge valevole per tutto l’insieme della manifestazione
universale. La sola differenza notevole è nella proporzione più o meno
grande, secondo le condizioni di tempo e di luogo, di uomini
appartenenti a ciascuna categoria, i quali, se qualificati a ricevere
un’iniziazione, saranno di conseguenza suscettibili di seguire l’una o
l’altra delle vie corrispondenti [4];
e, nei casi più estremi, può succedere che qualcuna di queste vie cessi
praticamente d’esistere in un dato ambiente, se il numero di coloro che
sarebbero idonei a seguirla è divenuto insufficiente a consentire la
conservazione d’una forma iniziatica distinta [5].
Ciò si è verificato segnatamente in Occidente, dove ormai da lungo
tempo le predisposizioni alla conoscenza sono state costantemente molto
più rare e meno sviluppate della tendenza all’azione, per cui si può
dire che, nell’insieme del mondo occidentale, e persino in quel che ne
costituisce l’“élite” almeno relativa, rajas ha di gran lunga la meglio su sattwa;
così, già nel Medio Evo, non si trovano tracce chiare dell’esistenza di
forme iniziatiche propriamente “jnâniche”, che di norma avrebbero
dovuto corrispondere a un’iniziazione sacerdotale; ciò a tal punto che
anche le organizzazioni iniziatiche a quel tempo in più stretto rapporto
con certi Ordini religiosi avevano pur sempre un carattere “bhaktico”
molto accentuato, per quanto è possibile giudicare dai modi
d’espressione più abitualmente impiegati da quei loro membri che
lasciarono opere scritte. Per contro, si trova a quell’epoca, da una
parte l’iniziazione cavalleresca, il cui carattere dominante è
evidentemente “bhaktico” [6],
e dall’altra le iniziazioni artigianali, che erano “karmiche” in senso
stretto, essendo essenzialmente basate sull’esercizio effettivo d’un
mestiere. Va da sé che la prima era un’iniziazione di Kshatriya e le
seconde erano delle iniziazioni di Vaishya, prendendo la designazione
delle caste secondo il significato generale da noi appena spiegato; e
aggiungeremo che i legami che di fatto esistettero quasi sempre tra
queste due categorie, come abbastanza spesso abbiamo avuto occasione di
segnalare altrove, sono una conferma di quanto dicevamo sopra
dell’impossibilità di separarle completamente. Più tardi, anche le forme
“bhaktiche” disparvero, e le sole iniziazioni che ancora sussistono
attualmente in Occidente sono delle iniziazioni di mestiere, o che tali
erano all’origine; anche dove, in seguito a certe circostanze
particolari, la pratica del mestiere non è più richiesta come condizione
necessaria, ciò che del resto non può essere considerato che come una
diminuzione, se non come una vera degenerazione, questo non toglie
evidentemente nulla al loro carattere essenziale.
Ora, se l’esistenza esclusiva di forme
iniziatiche qualificabili come “karmiche” nell’Occidente attuale è un
fatto incontestabile, bisogna dire che le interpretazioni alle quali
tale fatto ha dato origine non sono sempre esenti, sotto vari punti di
vista, da equivoci e confusioni; è quel ci resta da esaminare per
mettere a punto le cose nel modo più completo possibile. Innanzitutto,
certuni hanno immaginato che, a causa del loro carattere “karmico”, le
iniziazioni occidentali si oppongano in certo qual modo alle iniziazioni
orientali, che, a loro modo di vedere, sarebbero tutte prettamente
“jnâniche” [7];
ciò è del tutto inesatto, poiché la verità è che in Oriente coesistono
tutte le categorie di forme iniziatiche, com’è d’altronde
sufficientemente provato dall’insegnamento della tradizione indù a
proposito dei tre mârga; se al contrario ne esiste soltanto più
una in Occidente, gli è che le possibilità di quest’ordine vi si
trovano ridotte al minimo. Che la predominanza vieppiù esclusiva della
tendenza all’azione esteriore sia una delle cause principali di questo
stato di fatto, ciò è fuor di dubbio; ma non è men vero che a dispetto
dell’aggravarsi di questa tendenza sussiste ancora oggi un’iniziazione
quale che sia, e sostenere il contrario implica un grave equivoco circa
il reale significato della via “karmica”, come vedremo più precisamente
tra breve. Inoltre, è inammissibile voler fare in certo qual modo una
questione di principio di qualcosa che è soltanto l’effetto di una
semplice situazione contingente, e considerare le cose come se ogni
forma iniziatica occidentale dovesse necessariamente essere di tipo
“karmico” solo perché occidentale; crediamo non sia necessario
insistervi oltre poiché, dopo tutto quello che già abbiamo detto, deve
essere abbastanza chiaro che una visione del genere non può
corrispondere alla realtà, che è d’altronde evidentemente ben più
complessa di quel ch’essa sembra supporre.
Un altro punto molto importante è questo: il termine Karma,
quando si applica a una via o a una forma iniziatica, dev’essere inteso
prima di tutto nel suo senso tecnico di “azione rituale”; a questo
proposito, è facile vedere che ogni iniziazione presenta un certo lato
“karmico”, poiché essa implica sempre essenzialmente il compimento di
particolari riti; questo corrisponde d’altronde ancora a quanto abbiamo
detto circa l’impossibilità che l’una o l’altra delle tre vie esista
allo stato puro. Inoltre, e al di fuori dei riti propriamente detti,
ogni azione, per essere realmente “normale”, cioè conforme all’“ordine”,
dev’essere “ritualizzata”, e, come spesso abbiamo spiegato, questo
avviene effettivamente in una civiltà integralmente tradizionale; anche
nei casi che si potrebbero definire “misti”, in cui cioè una certa
degenerazione ha portato l’introduzione del punto di vista profano e gli
ha fatto un posto più o meno esteso nell’attività umana, quanto sopra
rimane ancora vero, almeno per ogni azione che è in rapporto con
l’iniziazione, ed è segnatamente così per tutto ciò che riguarda la
pratica del mestiere nel caso delle iniziazioni artigianali [8].
Si vede che ciò è quanto mai lontano dall’idea che di una via “karmica”
si fa chi pensa che, se un’organizzazione iniziatica presenta tale
carattere, debba intromettersi più o meno direttamente in un’azione
esteriore e tutta profana, come lo sono inevitabilmente in particolare,
nelle condizioni del mondo moderno, le attività “sociali” di ogni
genere. La ragione che si invoca a sostegno di questa tesi è
generalmente che una tale organizzazione ha il dovere di contribuire al
benessere e al miglioramento dell’umanità nel suo insieme; l’intenzione
può essere molto lodevole in se stessa, ma il modo in cui se ne
considera la realizzazione, anche se la si spoglia delle illusioni
“progressiste” cui troppo spesso è associata, non è per ciò meno
completamente erronea. Non è certo detto che un’organizzazione
iniziatica non possa proporsi secondariamente uno scopo del genere, “per
sovrappiù” in certo qual modo, e alla condizione di non confonderlo mai
con quello che costituisce il suo scopo proprio ed essenziale; ma
allora, per esercitare un’influenza sull’ambiente esterno senza cessare
d’essere quel che veramente deve, occorrerà ch’essa metta in opera dei
mezzi del tutto diversi da quelli che senza dubbio vengono ritenuti i
soli possibili, mezzi d’un ordine molto più “sottile”, ma per questo
dotati di ben altra efficacia. Sostenere il contrario significa, in
definitiva, misconoscere totalmente il valore di quella che abbiamo
talvolta denominato “azione di presenza”; e questa ignoranza è,
nell’ordine iniziatico, paragonabile, nell’ordine exoterico e religioso,
a quella, così diffusa ai giorni nostri, del ruolo degli Ordini
contemplativi; in fondo, nei due casi, è una conseguenza della stessa
mentalità specificamente moderna, per cui tutto ciò che non appare
esteriormente e non cade sotto i sensi è come non esistesse.
Aggiungeremo ancora, mentre siamo in
argomento, che esistono anche molti equivoci sulla natura delle altre
due vie, soprattutto della via “bhaktica”, poiché, per quanto riguarda
la via “jnânica”, è in ogni caso troppo difficile confondere la
Conoscenza pura, o anche le scienze tradizionali che ne dipendono e che
rientrano più propriamente nel dominio dei “piccoli misteri”, con le
speculazioni della filosofia e della scienza profana. A causa del suo
carattere più strettamente trascendente, è molto più facile ignorare del
tutto questa via che non snaturarla con false concezioni; e anche i
travestimenti come “filosofia”, da parte di certi orientalisti, che non
lasciano sussistere assolutamente niente dell’essenziale e riducono
tutto all’ombra vana delle “astrazioni”, equivalgono di fatto
all’ignoranza pura e semplice e sono troppo distanti dalla verità per
potersi imporre a chiunque abbia la minima nozione delle cose
iniziatiche. Per quanto riguarda Bhakti, il caso è abbastanza
differente, e qui gli errori provengono soprattutto da una confusione
del senso iniziatico di questo termine col suo senso exoterico, che
d’altronde, agli occhi degli Occidentali, assume quasi inevitabilmente
un aspetto specificamente religioso e più o meno “mistico” che nelle
tradizioni orientali non ha ragione di essere: tutto ciò non ha
assolutamente niente in comune con l’iniziazione, e, se effettivamente
non si trattasse d’altro, è evidente che non potrebbe esistere un Bhakti-Yoga;
ma questo ci ricondurrebbe ancora una volta alla questione del
misticismo e delle sue differenze essenziali con l’iniziazione,
argomento che abbiamo già sufficientemente trattato in altre occasioni
perché sia necessario ritornarvi nuovamente.
* R. Guénon, Initiation et Réalisation spirituelle, Éditions Traditionnelles, Paris, 1952, cap. XVIII.
1. Diciamo “sono
suscettibili d’avere” poiché essi possono avere anche un senso
exoterico, ma è evidente che questo non è in causa quando si tratta di Yoga; naturalmente, il senso iniziatico ne è come una trasposizione in un ordine superiore.
2. Anche qui non
si dovrebbe vedere niente di esclusivo in una simile corrispondenza,
poiché ogni via iniziatica, per essere realmente valida, implica
necessariamente una partecipazione dell’essere tutto intero.
3. Diciamo «in se stesse» poiché esse possono essere trasformate da un’iniziazione che le prenda come supporto.
4. Per non
complicare inutilmente la nostra esposizione, non facciamo intervenire
qui la considerazione delle anomalie che, all’epoca attuale e
soprattutto in Occidente, risultano dal «miscuglio delle caste», dalla
sempre crescente difficoltà di determinare esattamente la vera natura di
ogni uomo, e dal fatto che la maggior parte degli uomini non adempie
più la funzione che converrebbe realmente alla propria natura.
5. Segnaliamo per
inciso che questo può obbligare coloro che sono ancora qualificati per
questa via a «rifugiarsi», se ci si passa l’espressione, in
organizzazioni praticanti altre forme iniziatiche che primitivamente non
erano fatte per essi, inconveniente che può d’altronde essere attenuato
mediante un certo «adattamento» effettuato all’interno di queste stesse
organizzazioni.
6. Un carattere analogo avevano altre iniziazioni come quella dei Fedeli d’Amore,
come indica espressamente il suo nome, benché l’elemento «jnânico»
sembri tuttavia avervi avuto uno sviluppo maggiore che non
nell’iniziazione cavalleresca, con la quale d’altronde esse avevano
rapporti assai stretti.
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