pubblicato su Mystero n. 56, gennaio 2005 (rivista edita da Luigi Cozzi)
di Vito Foschi
Introduzione
Noi viviamo in un mondo tecnologico, in cui tecnica e
scienza sono dominanti ed anche in un paese poco attento a tali tematiche com'è
l’Italia, siamo indotti a pensare di vivere in un mondo lineare in cui il
progresso scientifico sia un processo chiaro e lineare, in cui le scoperte
dell’oggi migliorano le nostre conoscenze in un continuo affinamento tendente
al raggiungimento della verità. Ma è proprio cosi? Né dubitiamo…
Se volessimo descrivere il progresso scientifico con una
metafora non è certamente possibile usare né una linea retta né una linea di
trend, tipo l’indice di borsa con locali discese e salite ma con una tendenza
di lungo periodo al rialzo. È più corretto usare l’immagine usata da
Lèvy-Leblond nel suo libro “La
Pietra di Paragone, la scienza alla prova…”: «Alla visione
tradizionale di un sapere scientifico stabile, che cresce per estensione
sistematica e concentrica, deve allora sostituirsi l’immagine frattale di un
ambito parcellizzato, costituito da saperi differenziati, pseudopodi in
perpetua ramificazione, che lasciano negli interstizi golfi di ignoranza e al
loro interno vacuoli di dubbio».
Ci capita di pensare al passato immaginando un’epoca barbara
in cui dominava la superstizione e l’ignoranza. Ma ancora una volta: è proprio
così? Noi abbiamo effettivamente più conoscenze dei nostri antenati? O più
precisamente: ogni generazione aumenta la conoscenza della generazione
precedente? O, accanto a nuove scoperte, distrugge parte della conoscenza
acquisita dai propri avi? È vera l’immagine di Lévy-Leblond di un sapere
parcellizzato incuneato di profonde sacche di ignoranza?
L’amnesia del passato
La parte di passato che conosciamo con una certa accuratezza
coincide sostanzialmente con l’inizio della produzione di testi scritti, mentre
del periodo precedente, chiamato preistoria, abbiamo solo conoscenze indiziarie
e congetture basate sul lavoro degli archeologi. È da notare però, che questo
schema è vero in parte, perché in realtà la nostra conoscenza del passato parte
da un periodo all’incirca coincidente con la nascita di Roma; del periodo
antecedente si posseggono comunque documenti scritti come le scritture egizie e
le tavolette d’argilla mesopotamiche, però spesso non sono considerate
attendibili ma riferentesi ad eventi mitici. L’assurdo si ha con alcuni
documenti, che sono considerati esatti
quando si riferiscono ad eventi recenti ed inattendibili quando si riferiscono
ad eventi più remoti. Ma si tratta dello stesso documento! Questo è un altro
argomento, però già da questo si incomincia ad intuire che l’uomo ha la
tendenza a dimenticare il proprio passato.
Anche di un’epoca recente come quella greca e romana ci
rimane poco ed anche opere di autori come Aristotele sono andate perdute. Di
altri abbiamo solo frammenti sopravissuti come citazioni di altri autori, come
è accaduto per esempio, ad Eraclito. In epoca medievale si è assistito ad una
ampia distruzione del sapere classico, salvatosi in parte, grazie alla civiltà
araba allora fiorente e ai monaci, anche se la stessa Chiesa ha, a volte,
contribuito alla scomparsa di alcune conoscenze che riteneva pagane.
La distruzione medievale è stata molto più grave di quanto
si creda. Semplificando il discorso, la tecnica romana era all’incirca
equivalente a quella rinascimentale. Tanto è vero, che alcuni autori hanno
potuto affermare che gli uomini del rinascimento hanno semplicemente copiato da
antichi trattati greco-romano. Un brano da un articolo de “Il Sole 24 Ore” del
25 gennaio 2004 che recensisce una nuova edizione di un manuale di metallurgia
rinascimentale: «All’autore che è medico e filosofo, che nutre una forte
passione per lo studio dei minerali, delle miniere, delle tecniche d’estrazione
e lavorazione dei metalli, sia le cose sia i nomi appaiono collocati in una
sorta d’indistinto caos. Molti minerali, già nel mondo antico, sono stati
utilizzati come farmaci, ma l’oblio della lingua greca, la confusione derivante
dalle traduzioni dal greco e dal siriano in arabo e dall’arabo al latino, hanno
come oscurato le conoscenze, hanno distrutto, accanto alla nomenclatura, anche
una traduzione di sapere e una continuità di pratiche. Va fatto il tentativo di
introdurre ordine e chiarezza, bisogna classificare e descrivere sia ciò che era
noto e mal definito, sia ciò che è nuovo».
Ma questi episodi sono meno eclatanti. Ad esempio tutti
pensano che la macchina a vapore sia un’invenzione del ‘700 per opera di Thomas
Newcomen e migliorata da James Watt. E si sbagliano. Una macchina che funzionava
grazie al vapore esisteva già all’epoca dei romani, la famosa eolipila di Erone
di Alessandria, uno dei più grandi ingegneri di tutti i tempi. Una sfera veniva
riempita d’acqua che riscaldata produceva il vapore che attraverso due tubi
piegati ad angolo retto e diametralmente opposti metteva in moto la sfera
libera di girare su un perno.
«Egli [P.M. Schul] ha notato che Erone descrive
accuratamente non solo l’eolipila (una piccola macchina a vapore che produce il
moto circolare di una sfera), ma anche una versione dell’hodometron da
applicarsi alle navi per misurare le distanze percorse mediante una ruota a
pale parzialmente sommersa in acqua. Come osserva Schuhl, sarebbe bastato che
il meccanismo dell’eolipila di Erone fosse applicato a una o più pale come
quello dell’odometro descritto dallo stesso Erone, perché la navigazione a
vapore fosse inventata con molti secoli di anticipo»(1). Esistono molti
studiosi che si chiedono come mai non ci sia stata la rivoluzione industriale
ai tempi dell’impero romano, dato che già esistevano tutte le conoscenze
tecniche perché ciò avvenisse ed hanno pensato di trovare la causa di questa
mancata rivoluzione nel sistema sociale ed economico dell’epoca con un’economia
basata sul lavoro degli schiavi. È emblematico, il titolo “La rivoluzione
dimenticata”, che lo studioso Lucio Russo ha voluto dare al suo libro che si
occupa della scienza in epoca classica.
Una cosa semplice come la rotondità della terra, i più
pensano che sia stata una scoperta moderna e confermata dal viaggio di
Cristoforo Colombo. Niente di più sbagliato. La rotondità della terra era stata
già ipotizzata ai tempi dell’antica Grecia, da Pitagora nel VI secolo a.C., da
Aristotele, Euclide e così via e, se si va ai Fori Imperiali a Roma e si
raggiunge il Tempio di Vesta ci si troverà un cartello affisso che recita:
«sembra che Numa Pompilio re dei romani abbia costruito il tempio di Vesta
rotondo avendo creduto che della stessa forma fosse la terra, da cui dipende la
vita degli uomini». Questo semplice esempio dimostra che i nostri antenati non
erano così ingenui come li dipingiamo.
D’altro canto, lo stesso Colombo non ha affrontato il
viaggio verso le Americhe così alla cieca come a volte si lascia intendere,
seguendo una sua brillante intuizione. Sicuramente era conoscenza di queste
antiche teorie e si è servito sì del suo intelletto, ma per verificarne la
fondatezza e non per inventarsele. Il suo viaggio è stato accuratamente
preparato e sicuramente si è documentato su antichi testi dei vari astronomi e geografi
dell’antichità.
Rick Sanders, un ricercatore straniero, in un suo lavoro(2)
dimostra, che già gli antichi egizi erano in grado di affrontare viaggi intorno
al globo, grazie ad uno strumento in grado di calcolare la longitudine, simile
al torquetum usato a fine ‘400. In particolare si occupa della spedizione di
Rata e Maui, promossa dallo scienziato Erastotene, direttore della Biblioteca
di Alessandria nel III secolo a.C., forse allo scopo di dimostrare la sua
teoria sulla rotondità della Terra. Si Ricordi, inoltre, che ci sono stati vari
studiosi che hanno riprodotto antiche imbarcazioni ed hanno attraversato gli
oceani dimostrando la fattività di simili imprese nel passato.
Le stesse idee di Leonardo da Vinci sono state trascurate
per cinque secoli, quando un loro attento studio avrebbe potuto aiutare ad
arrivare prima a certi risultati. In una puntata di Stargate-Linea di confine,
si è visto costruire uno scafandro basato sui disegni di Leonardo dimostrandone
la fattività già nel cinquecento, mentre i primi scafandri sono stati costruiti
solo nel secolo scorso!
Possiamo affermare che l’uomo ha difficoltà a conservare
memoria delle sue scoperte.
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