martedì 19 dicembre 2023

“I POTERI DELLE TENEBRE”: E VOI LO AVETE LETTO IL NUOVO DRACULA DI BRAM STOKER?

Tratto https://www.cacciatoredilibri.com/i-poteri-delle-tenebre-il-nuovo-dracula-di-bram-stoker/

Di Simone Berni

La strana edizione islandese di Dracula

Malauguratamente, per gran parte degli studiosi e dei librai l’edizione islandese del 1901 è ancora unanimemente riconosciuta come la prima traduzione del Dracula di Bram Stoker, sebbene la traduzione ungherese, e relativa coeva edizione in volume, andrebbero considerate le prime in ordine cronologico. L’unico dubbio che la traduzione islandese possa aver preceduto quella ungherese è legato alla data apposta in calce alla prefazione dell’edizione di Reykjavik, ossia agosto 1898. Ad ogni modo, l’edizione ungherese in volume precede di tre anni quella analoga islandese.

Datazione a parte, Dracula di Bram Stoker fu tradotto per i lettori islandesi da Valdimar Ásmundsson, giornalista e scrittore; inizialmente apparve a puntate nel periodico «Fjallkonan» di Reykjavik, e questo a partire dal 13 gennaio 1900. Il traduttore era il marito dell’editor Bríet Bjarnhéðinsdóttir.

Sia l’edizione a puntate che quella in tomo portano il titolo di Makt Myrkranna (ossia: “Forze delle tenebre”, o “Potenze delle Tenebre“), che fu ideato dallo stesso Ásmundsson. Dal colophon lo stampatore risulta essere Nokkrir Prentarar di Reykjavik. In realtà Nokkrir Prentarar significa “stampatori vari” in lingua islandese. Il libraio Agúst Eirikur della Libreria Bokin di Reykjavik ci spiega amabilmente che non è noto dove e quali fossero realmente in città questi stampatori. Félagsprentsmiðjan risulta essere il nome della casa editrice.

Ma è veramente “Dracula”?

Solo in anni più recenti ci si è resi conto, analizzando il testo del romanzo, che Makt Myrkranna non era affatto un’edizione integrale e fedele del romanzo di Stoker. La trama è risultata diversa e c’erano delle aggiunte piuttosto interessanti, al punto da poter parlare quasi di un nuovo romanzo. Il testo risulta essere più breve dell’originale, con una suspense più concentrata e un arricchimento del lato sensuale ed erotico della trama. Dice uno dei primi italiani ad essersi accorto della stranezza, ossia, Francesco Brandoli:

“È evidente come la trama di Powers of Darkness, nella seconda parte del romanzo, si discosti in maniera massiccia dal testo originale, aprendo molti spunti a possibili sviluppi e intrecci della trama.

È ipotizzabile che, avendo Stoker ceduto i diritti di pubblicazione all’editore per Inghilterra e Stati Uniti, lo stesso abbia poi trattato direttamente la cessione in Islanda, per lucrare maggiormente, forse cedendo una delle prime stesure del romanzo (all’epoca non era facile né rapido inviare copie, non certo via mail, e questo potrebbe aver favorito – ipotizzo – l’invio di un manoscritto di bozza già pronto).”

Il romanzo, quindi, è uscito anche in italiano, con il titolo de I Poteri delle Tenebre: Dracula, il manoscritto ritrovato, di Bram Stoker e Valdimar Ásmundsson (Milano, Carbonio Editore, 2019).

Per la cronaca, il romanzo Powers of Darkness, per la prima volta in lingua inglese, curato da Hans Corneel de Ross, uno dei massimi studiosi di Dracula, è uscito nel 2017 per Overlook Duckworth.

martedì 12 dicembre 2023

L’India e il cristianesimo: una storia antica e profonda

Tratto da InsideOver del 9 DICEMBRE 2021

di Andrea Muratore


 “Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo. Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“

La storia del cristianesimo in India è antica quasi quanto quella del cristianesimo stesso. Nella valle dell’Indo, da millenni, tutte le principali religioni dell’Eurasia hanno avuto modo di diffondersi, svilupparsi e influenzarsi reciprocamente, e la presenza cristiana risale ai tempi della predicazione dei primi discepoli di Gesù.

Come in altri casi di predicazione la tradizione cristiana assegna un ruolo da apripista del cristianesimo in India a San Bartolomeo, che negli anni successivi all’Ascensione di Cristo avrebbe portato la parola di Gesù fino al subcontinente, e secondo Eusebio di Cesarea avrebbe lasciato in India copie del Vangelo di Matteo. Così come in altre tradizioni che indicano in Bartolomeo il primo predicatore cristiano in altre terre (Armenia, Etiopia, Mesopotamia), anche in questo caso la tradizione si mescola a fatti storicamente accertati. Nell’anno 52 dopo Cristo, meno di trent’anni dopo la morte di Gesù, uno degli apostoli, San Tommaso, avrebbe messo piede in India sbarcando a Kodungallur, dando vita a una predicazione che lo avrebbe portato al martirio presso l’attuale Chennai. Dunque, il cristianesimo si è stabilito in India persino prima che alcune nazioni europee divenissero cristiane.

Diverse città della costa occidentale dell’India, principalmente nell’attuale Kerala, divennero sede episcopale. Kodugallore, Palayoor, Kottacave, Kokamangalam, Niranam, Chayal, Kollam furono solo alcune delle città in cui in India prese piede una versione particolare del cristianesimo siriaco. Essa si sviluppò in forma pressoché autonoma rispetto alle comunità che prendevano piede in Europa dall’età romana in avanti, pur aprendosi la strada sulla scia delle antiche rotte commerciali tra l’Impero Romano e l’India.

Come racconta Peter Frankopan nel saggio Le vie della seta, l’India fu una delle terre, assieme all’Asia centrale, in cui per secoli si strutturò una forma di cristianesimo totalmente ignorato nel Vecchio Continente, con comunità basate su diocesi, agapi e riti autonomi, il cui richiamo lontano portato da mercanti e viaggiatori alimentò in Europa leggende come quella del Prete Gianni, il misterioso sovrano cristiano d’Oriente associato a diversi regnanti nell’era medievale. L’unica certezza era che la tomba dell’apostolo Tommaso si trovasse in India, tanto che nell’883 Alfredo il Grande re del Sussex inviò doni e omaggi per commemorarlo.

Quando i portoghesi, in seguito all’impresa di Vasco da Gama, iniziarono a raggiungere l’India a fine XV secolo furono sorpresi di trovare sulle sue terre una comunità cristiana minoritaria a livello collettivo ma influente nelle comunità locali. Dopo aver subito persecuzioni ai tempi dell’invasione di Tamerlano e pur trovandosi in una posizione precaria sotto l’arbitrio dei raja di Calcutta e delle altre città i “cristiani di San Tommaso” risultavano influenti nello strategico commercio delle spezie che interessava fortemente i mercanti e gli esploratori al servizio di Lisbona.

Nei secoli, l’arrivo degli europei sedimentò una serie di evangelizzazioni profonde: dapprima i cattolici, con i Gesuiti di Francesco Saverio in prima linea nel XVI secolo assieme a Francescani e Domenicani, a cui dal Settecento fecero seguito i protestanti e, con l’arrivo degli inglesi, gli anglicani. A inizio Novecento anche diverse confessioni di orientamento statunitense, dai metodisti agli evangelici, inviarono missionari.

Senza aver mai dato i propri crismi a nessuna delle dinastie o degli Stati che hanno dominato il subcontinente, il cristianesimo in India è da tempo la terza religione maggiormente professata dopo l’induismo e l’Islam. Il 2,30% della popolazione indiana, oltre 27 milioni di persone, nel 2011 si è dichiarato cristiano nel censimento nazionale, e i cristiani erano la maggioranza in tre Stati: Meghalaya (87.93%), Mizoram (87.16%) e Nagaland (74.59%), risultando inoltre il 20% in Kerala, lo Stato indiano coi più alti indici di sviluppo. Significativo il caso del Meghalaya, lo “Stato tra le nuvole” confinante con il Bangladesh nel quale, come ha scritto La Voce di New York, “da quando i missionari protestanti e cattolici hanno cominciato ad arrivare, spesso a rischio per la propria vita, il cristianesimo ha spesso preso il posto dell’antica religione monoteistica che privilegiava lo stretto rapporto tra la divinità e la natura, la lingua, da orale, è diventata scritta grazie all’aiuto del missionario gallese Thomas Jones”. Ma al contempo, la proliferazione del cristianesimo è stata fonte di valorizzazione delle culture locali: ” Nel 2000, ad esempio, l’ordine dei Salesiani ha aperto a Shillong il Museo Don Bosco della cultura indigena, che ha una splendida collezione di artefatti, strumenti originali e costumi delle varie tribù”.

L’India è una nazione con una storia profonda, complessa, millenaria. Una storia che affonda le sue radici nel mito e nella tradizione. Una storia, in ogni caso, plurale e articolata, in cui anche i cristiani hanno sempre potuto giocare un ruolo fondamentale. Il ruolo di pontieri, di edificatori di comunità plurali, di antidoto contro ogni fanatismo. Un ruolo pluralista, dunque, come plurale è la natura delle confessioni, che dalle formazioni di stampo europeo si allarga a una versione nazionale e antica della fede cristiana, che getta le sue radici nella storia stessa dei seguaci di Gesù. Tale insieme di tradizioni è innervato nella storia stessa dell’India e va preservato ad ogni costo. Per permettere all’India di mantenere intatta un’identità nel cui cuore profondo c’è spazio importante per il cristianesimo.

mercoledì 6 dicembre 2023

Paranormale e armi psichiche: il piano (fallito) della Cia contro l’Urss

tratto da InsideOver (https://it.insideover.com/storia/paranormale-e-armi-psichiche-il-piano-fallito-della-cia-contro-lurss.html)

del 22 AGOSTO 2023

di Emanuel Pietrobon


Nel corso della Guerra fredda, l’epico scontro per il dominio globale del Novecento, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica investirono cifre a nove zeri in attività di ricerca e sviluppo su super-armi non convenzionali, dalle bombe radiologiche alle sostanze stupefacenti, caratterizzate da un comune denominatore: il cervello.

Usa e Urss, nel contesto della psichedelica corsa al cervello, portarono avanti esperimenti illegali su esseri umani, reclutarono fumettistici scienziati pazzi e diedero fiducia a persone presumibilmente dotate di percezioni extrasensoriali con l’obiettivo di costruire l’arma perfetta grazie ai segreti della mente.

Uno dei programmi più estremi dell’epoca della corsa al cervello, più dentro che fuori il campo della fantascienza, fu sicuramente il progetto Stargate. Un progetto della Dia, la sorella militare della Cia, incentrato sull’investigazione dei fenomeni psichici.


Le origini di Stargate

I ricercatori militari e gli scienziati sociali della Germania nazista erano ossessionati dall’archeologia misteriosa, dalla criptozoologia e dalle pseudoscienze. Avevano indagato la teoria della Terra cava, si erano messi sulle tracce del martello di Thor e del Santo Graal, avevano allestito delle unità all’interno dei lager in cui condurre esperimenti sulla manipolazione della mente, i loro compagni di lavoro erano cartomanti, chiaroveggenti e sensitivi.

Stati Uniti e Unione Sovietica vennero a conoscenza dell’ossessione del Terzo Reich per il soprannaturale con la presa di Berlino. Non ritenendola affatto un’assurdità. E mettendo in piedi, rispettivamente, le operazioni Paperclip e Osoaviakhim con l’obiettivo di reclutare il maggior numero possibile di cervelli implicati nei programmi militari segreti nazisti.

La storia avrebbe dato ragione alla lungimiranza di Washington e Mosca: la passeggiata spaziale di Jurij Gagarin e l’allunaggio dell’Apollo 11 sarebbero stati impensabili senza il supporto degli ex nazisti. E ugualmente impensabili sarebbero stati i programmi di ricerca sul controllo mentale e sulle facoltà paranormali, anch’essi sviluppati a partire dalle precedenti ricerche del Terzo Reich sui due temi, dei quali Stargate è stato sicuramente il più audace.


I sensitivi sconfiggeranno l’Unione Sovietica

Stati Uniti, 1970. Il programma MKULTRA sta iniziando a dare i primi frutti, dato che gli psichedelici stanno effettivamente trasformando la grande contestazione antisistema in un movimento culturale fondato sul consumo di droga e sul sesso libero, quando le antenne dell’intelligence a stelle e strisce captano un nuovo segnale di minaccia proveniente dalle terre a est della cortina di ferro: guerra psichica.

La Casa Bianca viene informata da fonti in loco, che alcuni reputano però inaffidabili, che l’Unione Sovietica starebbe spendendo all’incirca 60 milioni di rubli l’anno in ricerca e sviluppo di armi psichiche, o psicotroniche, con l’aiuto di persone dotate di facoltà paranormali. Forse è disinformazione per spingere gli Stati Uniti a investire tempo e risorse in programmi inutili. O forse le armi mentali sono il futuro della guerra. Nel dubbio, Dia e Cia ricevono un ordine dall’alto: indagare sulle indiscrezioni e, se necessario, avviare dei programmi nazionali dello stesso tipo.

Nel 1972, poco dopo l’inaugurazione del programma Scanate da parte della Cia, la Dia riunisce civili e militari, da fisici a sensitivi, all’interno di quello che più in là diverrà il progetto Stargate. Gli operatori hanno materiale da cui partire, in particolare gli studi sulla cosiddetta visione remota condotti dai parapsicologi Russell Targ e Harold Puthoff presso lo Stanford Research Institute, e devono capire se i cinque sensi della mente siano una truffa o se, invece, siano una potenziale arma.

Il caos avrebbe regnato sovrano sul progetto Stargate, dalla sua nascita alla sua morte, rendendolo uno dei più celebri buchi nell’acqua della storia del Pentagono. Caos perché il personale è diviso in due fazioni, credenti e scettici, le cui convinzioni influiscono sui loro rapporti di valutazione. La soglia tra verità e suggestionabilità sembra essere sottilissima, quasi impercettibile, inficiando il lavoro d’indagine.

I truffatori che si presentano all’uscio di Stargate sono tanti, tra i quali un giovane Uri Geller, eppure i risultati di alcuni esperimenti lasciano a bocca aperta anche i più increduli. Come quando, nel 1976, una sensitiva sarebbe riuscita a risalire alla posizione di un velivolo spia sovietico, fuggito al monitoraggio dei radar americani, per mezzo della visione remota.

All’acme del progetto i sensitivi arruolati dalla Dia saranno più di venti: chiaroudenti per ascoltare conversazioni in altre stanze, chiaroveggenti per prevedere il futuro, telecineti per spostare oggetti con la mente, telepati per leggere i pensieri altrui, visualizzatori remoti per localizzare oggetti/persone a grandi distanze e viaggiatori astrali per testare le esperienze extracorporee. La Dia era interessata all’indagine di ogni percezione extrasensoriale.


Una fine inconcludente?

Svelato al pubblico per la prima volta nel 1984, e schernito dalla comunità scientifica sin da allora, il programma di ricerca sulle armi psichiche è successivamente entrato in una fase discendente a base di definanziamenti, riassegnazioni e ridenominazioni.

Dopo l’uscita del Pentagono dalle ricerche, avvenuta nel 1985, il progetto è stato passato dalla Dia prima a strutture private, come la Science Applications International Corporation, e dopo, nel 1995, alla Cia. Quest’ultima commissionò un rapporto di valutazione all’American Institutes for Research (Air) per capire se le indagini sul paranormale valessero ulteriori investimenti oppure no, decidendo di chiudere il programma a seguito del parere negativo ricevuto.

La relazione dell’Air non aveva lasciato alla Cia altra scelta se non la cancellazione di Stargate. Per gli esaminatori, infatti, gli esperimenti fallimentari superavano di gran lunga i casi di successo e questi ultimi, in diversi casi, erano più che contestabili: sospetti di manipolazione, vaghezza dei contenuti, ambiguità della metodologia di studio utilizzata, nessuna facoltà paranormale rivelatasi in grado di contribuire in maniera incisiva a un’operazione di intelligence.

La Cia chiuse il progetto, costato un totale di 20 milioni di dollari ai predecessori, bollandolo come un flop. Punto. Fine. No. In realtà il rapporto dell’Air, che oggi è di pubblico dominio insieme agli atti di Stargate, non aveva emesso una sentenza così severa sui risultati ottenuti dalla Dia. Gli psicologi, anzi, constatarono che “nei laboratori è stato osservato un effetto statisticamente significativo, sebbene non è chiaro se l’esistenza di un fenomeno paranormale, la visione remota, sia stata dimostrata”.

I veri problemi, per l’Air, erano legati alla metodologia – eterodossa e antiscientifica – e all’applicabilità militare della presunta facoltà psichica – ritenuta limitata. Il rapporto dell’Air, in sintesi, non aveva escluso a priori l’esistenza di facoltà paranormali, ma, dinanzi all’impossibilità di verificare le condizioni in cui erano stati effettuati gli esperimenti, non poteva confermare l’esistenza e la validità a fini militari e di intelligence.

Secondo l’ufficiale Joseph McMoneagle, tra i principali responsabili di Stargate e remote viewer numero 1, il progetto sarebbe stato un successo se l’Esercito avesse avuto un’attitudine maggiormente aperta nei confronti del paranormale. Perciò all’indomani della chiusura del progetto ha iniziato a sensibilizzare i colleghi e il grande pubblico sui poteri psichici, dando alla stampa quattro libri sulle sue esperienze, e ha ispirato la penna del giornalista Jon Ronson, dal cui libro sugli esperimenti psichici condotti dagli Stati Uniti durante la Guerra fredda è stato tratto il celebre film L’uomo che fissa le capre.

mercoledì 29 novembre 2023

Oggetti non identificati negli abissi: ecco i nuovi Ufo

tratto da "Il Giornale" del 22 Ottobre 2019 

Un ex pilota di caccia della Marina degli Stati Uniti ha raccontato la storia da brivido di un incontro con un oggetto sottomarino non identificato. Nel 2004 fu già protagonista di un video divulgato dal Pentagono riguardo la serie di incontri con teorici "Ufo"

Davide Bartoccini


Negli ultimi mesi la Marina degli Stati Uniti si è trovata costretta ad ammettere l'evidenza riguardo quelli che vengono definiti incontri ravvicinati del "primo tipo" con degli Ufo - Unidentified Flying Object. I video, pubblicati dal New York Times che intervistò i piloti dei caccia F/A-18 che tentarono di intercettarli, sono stati condivisi dai giornali di tutto il mondo; ma ora uno dei piloti, divenuto noto per aver "avvistato" un velivolo a forma di "Tic-Tac" gigante poi scomparso dopo un'accellerazione a velocità insostenibile per l'uomo, ha rivelato i dettagli di un altro inquietante incontro ravvicinato. E questa volta l'oggetto non identificato proverrebbe dalle profondità degli abissi.

Il veterano dell'Us Navy ad aver raccontato questa storia spettrale è David Fravor, pilota di marina ritiratosi con il grado di comandante dello Strike Fighter Squadron 41 imbarcato sulla portaerei USS Nimitz e protagonista dell'incidente del novembre 2004. Fravor, ha riportato durante una nota trasmissione radiofonica l'esperienza di un pilota di elicotteri della base navale di Roosevelt Roads, che impegnato nel recupero di bersagli e siluri per il rilevamento di dati telemetrici con il suo Mh-53 Sea Dragon, s'imbattè in una "grande massa nera" che sembrava emergere dalla acqua sotto i suoi piedi (l'Mh-53 ha una conformazione dell'abitacolo che permette di vedere "sotto") per poi sparire improvvisamente. Proprio quello che gli ufologi ribattezzerebbero come un Unidentified Underwater Object (Oggetto sommerso non identificato, ndr).

Nel primo dei due avvistamenti, uno dei membri a bordo dell'elicottero che era impegnato a recupera un Bmq - un finto bersaglio aereo che viene lanciato durante le missioni di addestramento e ha una forma simile a quella di un missile con le ali - avvertì il resto dell'equipaggio che non erano "soli" , quando durante la fase di recupero del bersaglio e del sub che si era tuffato in mare per agganciarlo il cavo del verricello, la "grande massa nera" iniziò a sollevarsi sotto l'elicottero che volava approssimativamente a 15 metri dal livello dell'acqua al largo della costa orientale degli Stati Uniti. Era la metà degli anni '90. Il pilota avrebbe ammesso di aver visto proprio "una massa scura che risaliva dalle profondità ” - gridando :" Che diavolo è quello?", ma subito dopo la massa si sarebbe inabissata. Qualcuno pensò immediatamente a un sottomarino - anche un sottomarino russo al limite - ma il pilota negò questa possibilità: "Non era un sottomarino “, affermò, "Ho già visto sottomarini. Una volta che hai visto un sottomarino non puoi confonderlo con qualcos'altro".

Durante il secondo incontro, lo stesso pilota stava recuperando un siluro per rilevamenti telemetrici quando un grande oggetto sommerso simile a quello avvistato la volta precedente, dalla forma "un po' circolare", risalì per prendere il siluro che venne (letteralmente) "risucchiato" per non essere mai più rivisto. Secondo la testimonianza di Fravor, che non ha rivelato l'identità del protagonista della storia, questo pilota della Marina si rivolse al Times per esporre i fatti nella speranza che venissero riportati, ma il giornale al tempo si rifiutò di pubblicare la storia. Tuttavia, c'è di più.

Gli altri "incontri ravvicinati"

Dopo la sua rivelazione pubblica, Fravor afferma che una donna di 79 anni lo avrebbe contattato per riportagli la testimonianza di suo padre, un ufficiale della Marina di stanza alla base navale di San Francisco negli anni '50. Da bambina le venne mostrato un documento dove si faceva riferimento a "Oggetti non identificati" che erano stati visti "entrare e uscire dall'acqua" a delle particolari coordinate di latitudine e longitudine. Secondo il racconto della donna, suo padre sosteneva che gli oggetti apparissero: "Sempre nella stessa area". Un'altra testimonianza, sempre legata alla Marina statunitense, sarebbe quella di un operatore della Uss Wasp e del suo gruppo di scorta. Nel 1963, sempre al largo delle coste orientali, velivoli per la guerra antisommergibile e cacciatorpedinieri, tracciarono un oggetto sommerso sconosciuto che si muoveva ad alta velocità e che avrebbe dato "segnale" per quattro giorni a alla proibitiva profondità di 8mila metri.

Le testimonianze di oggetti non identificati sommersi sono numerose, quasi quanto quelle degli oggetti volanti non identificati; secondo la versione dell'ex pilota della Marina David Fravor, l'unica ragione per cui lui stesso è stato protagonista del primo e più famoso avvistamento "confermato" dalla Difesa americana, quello dell'Ufo "Tic-Tac" (noto come avvistamento"Flir1"), è proprio perché si trovava a sorvolare quello che definisce un "misterioso oggetto più grande" che era "stato avvistato sott'acqua", dove la superficie appariva "bollente" o "schiumosa". Secondo questo veterano a cui gli Stati Uniti hanno affidato il comando di uno squadrone di cacciabombardieri del valore di milione di dollari per molti anni, e per tutti coloro che gli stanno dando credito, qualcosa si nasconderebbe nelle profondità degli abissi. Proprio come ci mostrò la fantasia di James Cameron nel suo film cult degli anni '80: The Abyss.

domenica 26 novembre 2023

La solitudine siderale di Julius Evola che sfida i secoli

tratto da "Il Giornale" del 31 Marzo 2014

Il lungo cammino attraverso Dada, esoterismo, Tradizione di un filosofo incompreso e rifiutato. Oggi come allora

Marcello Veneziani


«Ho dovuto aprirmi da solo la via... Quasi come un disperso ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose». Così Julius Evola (1898-1974), descrive nella sua autobiografia la solitudine siderale del suo cammino. Mezzo secolo fa Evola scese dal cavallo altero dell'impersonalità e si raccontò in un'autobiografia intellettuale che intitolò con spirito alchemico Il cammino del cinabro. Ora, a quarant'anni dalla sua morte, il testo rivede la luce nelle Opere di Evola (Mediterranee, pagg. 438, euro 32,50), curate da Gianfranco de Turris, aiutato da Giovanni Sessa e Andrea Scarabelli, arricchito di note, notizie e altri scritti. La prefazione è di Geminello Alvi. Curioso l'inserto fotografico con immagini di Evola mai viste, per esempio da bambino coi suoi genitori.

Evola racconta la sua vita attraverso le sue opere e i suoi snodi fondamentali: l'esperienza della Grande Guerra, poi il periodo di pittore Dada, quindi la fase filosofica, poi il suo percorso esoterico, infine il suo cammino nella Tradizione. E sullo sfondo, i suoi rapporti con gli artisti e gli iniziati, gli scrittori e i filosofi del suo tempo, le trasgressioni, il controverso rapporto col fascismo tra sostegno e dissenso, superfascismo e antifascismo, e poi con i giovani della destra postbellica. C'è anche il capitolo scabroso del razzismo. Evola fu teorico di un razzismo spirituale che non piacque ai razzisti doc e ai nazisti ma gli restò addosso come il suo peccato originale. Non c'è in lui odio antisemita né alcun fanatismo, c'è perfino una dignitosa coerenza, riconobbe Renzo De Felice. Ma Evola prescinde totalmente dai fatti e dalla tragedia dello sterminio e si attesta solo sui principi; ciò infonde un tono astratto alle farneticazioni della razza, qui ridotte peraltro da lui a «una parentesi» nella sua vita e nella sua opera. Evola confessa di aver rasentato da giovane «l'area delle allucinazioni visionarie e fors'anche della pazzia» e «una specie di cupio dissolvi, un impulso a disperdersi e a perdersi».

Nelle pagine del Cinabro, a fianco del pensiero e delle opere, scorre la vita, la storia - arricchita dalle note dei curatori - gli ambienti a lui vicini e a lui avversi, le note ostili della questura ai tempi del fascismo, perfino la vicenda di un duello rifiutato da Evola per non abbassarsi al rango dello sfidante che però gli costò la rimozione del grado di ufficiale e gli impedì di partire volontario nella seconda guerra mondiale. Ci sono gli scontri con alcuni fascisti, c'è la sua fama di mago e c'è perfino l'accenno di Evola al Mussolini superstizioso: «Aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava che si pronunciasse il nome in suo cospetto». C'è la storia assurda del processo nel dopoguerra a un gruppo di giovani neofascisti in cui fu coinvolto un Evola del tutto ignaro e ormai paralizzato, vittima di un bombardamento a Vienna. C'è la cronaca della sua morte, l'11 giugno di 40 anni fa, quando si fece portare davanti alla finestra e morì in piedi, guardando al Gianicolo; e poi i funerali con la sua bara senza croce e senza corteo funebre, secondo le sue volontà, e le sue ceneri disperse tra le cime delle Alpi, che aveva amato e scalato.

Evola fu un mito già da vivente, avvolto in un alone di magia. In queste pagine aleggia un paradosso: un pensatore isolato e in disparte che incrocia nella sua vita e nella sua opera, gli autori, le correnti, gli eventi più salienti del Novecento. A questo paradosso ne corrisponde uno inverso sul piano del pensiero: Evola, fautore della Tradizione e del Sacro, fonda la sua opera su un Individualismo Trascendentale, non solo teorico e psichico ma pratico e magico. Per Evola la verità è solo «un riflesso della potenza: la verità è un errore potente, l'errore è una verità debole». Un relativismo imperniato sulla potenza, che ne decide il rango e il valore. «Essere, verità, certezza non stanno dietro ma avanti, sono dei compiti», non dei fondamenti. Grandiosi piani metastorici in nome della Tradizione, templi sacri, civiltà millenarie dell'Essere ma in piedi resta solo la solitudine stellare dell'Io. Solipsismo eroico. «Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue - scrive Evola, sottolineando la sua estraneità alla tradizione cristiana, famigliare e patriottica - il mio impulso alla trascendenza è centrato sull'affermazione libera dell'Io». Anzi, avverte Evola, «non vi è avvenimento rilevante dell'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale». Siamo quasi all'autocreazione, al self made man metafisico. Resta sospesa nei cieli la domanda che qui si pone Evola: «Che cosa può venire dopo il nichilismo europeo?... Dove si può trovare un appoggio, un senso dell'esistenza, senza tornare indietro?». Evola rispose che l'unica soluzione era «essere se stessi, seguire solo la propria legge, facendone un assoluto». Ma non è proprio questa incondizionata libertà la punta più avanzata del nichilismo europeo, non è di questo individualismo assoluto che sta morendo la nostra civiltà? E se fosse l'Individuo Assoluto l'ostacolo estremo alla rivelazione dell'Essere?

Un titanico e aristocratico disdegno del mondo accompagna il racconto biografico di Evola. Ma ogni tanto si apre uno squarcio nel suo severo stile impersonale. Ad esempio quando riporta in queste pagine i giudizi lusinghieri sulle sue opere. Fa tenerezza notare che per lenire il suo isolamento Evola citi queste sporadiche e spesso modeste attenzioni alla sua opera. O quando sfugge al suo stoicismo imperturbabile qualche umana amarezza per il mancato riconoscimento del suo pensiero: «La grande stampa e la cultura ufficiale rimasero, e anche in seguito dovevano rimanere, sorde». Lo stesso Cammino del Cinabro, confessa nella nota d'esordio, fu scritto «nell'eventualità che un giorno l'opera da me svolta in otto lustri sia fatta oggetto di un'attenzione diversa da quella che finora le è stata concessa». Altri otto lustri sono passati dalla sua morte ma non sembrano bastati. La solitudine di Evola sfida i secoli.

mercoledì 22 novembre 2023

Evola, la guerra totale del pensiero

tratto da "Il Giornale" del 1 Giugno 2016

E' stato a lungo considerato un "cattivo maestro". In realtà fu filosofo originale e spirito non conformista: nuovi documenti fanno luce sui rapporti coi servizi segreti tedeschi, sul suo esoterismo e sulle teorie politiche

di Luca Gallesi


È inutile: nonostante la demonizzazione, che aumenta col passare degli anni, coinvolgendo chiunque abbia anche lontanamente avuto a che fare con il regime fascista, quelle vicende continuano a tenere banco. Se paragoniamo l'interesse suscitato dal Ventennio con la storia dei settant'anni posteriori, dobbiamo dedurre che gli anni tra le due guerre sono stati i più interessanti, almeno a giudicare dalla quantità di pubblicazioni, film, eccetera a tema.

Un contributo a capire meglio il fascino dei quegli anni terribili è offerto da un libro di Gianfranco de Turris: Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945 (Mursia, pagg. 340, euro 18), che scrive finalmente la parola fine su tutte le illazioni, spesso in mala fede e non di rado fantasiose, su alcune vicende che hanno riguardato uno dei più discussi pensatori italiani del '900. Tra i massimi esponenti italiani del movimento Dada, Giulio Cesare Andrea, più noto come Barone Julius Evola, è stato anche un importante filosofo propugnatore di un idealismo assoluto, un ardito esploratore delle cime abissali dell'esoterismo, un efficace divulgatore delle dottrine palingenetiche orientali, un originale teorico politico del tradizionalismo integrale, per essere poi, infine, superficialmente stigmatizzato come cattivo maestro, ispiratore del cosiddetto spontaneismo armato, quando non, addirittura, dello stragismo di Stato.

Pensatore isolato, anche se fu perno e catalizzatore del Gruppo di Ur, una delle più curiose esperienze spirituali del nostro '900, Evola si distinse come critico «da destra» durante il Ventennio mussoliniano per accreditarsi, nel dopoguerra, come teorico del neofascismo più intransigente, etichetta che pure gli valse nel 1954 una condanna per apologia di fascismo, poi amnistiata.

Pur occupandosi sostanzialmente del biennio 1943-45, il libro di De Turris tocca tutti gli argomenti citati, che si intrecciano nella biografia evoliana, avvincente come un thriller in cui maghi e spie, avventurieri e filosofi percorrono un'Europa distrutta, ridotta in rovine dai bombardamenti e prossima a scomparire tra le braccia dell'invasore sovietico o anglo-americano. Di quei tragici e appassionanti eventi, Julius Evola è protagonista e testimone: dopo il 25 luglio, che sorprende il filosofo per l'assoluta «mancanza di qualsiasi reazione dopo il tradimento, l'assoluta inerzia dei massimi esponenti del regime e della stessa Milizia (...) come una conferma di quella carenza di forze veramente temprate e salde dietro le strutture gerarchistiche e conformistiche, che purtroppo in più di una occasione era già venuta in evidenza», Evola si pone il problema «di vedere che cosa aveva resistito alla prova, (...) su quali elementi nuovi si poteva contare per mantenere, in forma adatta alle circostanze, le posizioni in ordine sia al problema interno politico italiano, sia alla continuazione della guerra dell'Asse». L'assassinio di Ettore Muti chiude definitivamente la porta a un ipotetico «controcolpo di Stato fascista», nel quale Evola sarebbe stato eventualmente coinvolto, e così il filosofo, a fine agosto 1943 parte verso il nord, in quella che egli definisce una «missione segreta». Pur non avendo mai aderito al Partito Nazionale Fascista, e nonostante la manifesta avversità di alcuni ambienti nazionalsocialisti, e in particolare quelli che facevano capo alla «Ahnenerbe», Evola mantiene stretti rapporti col settore controspionaggio dello SD, il servizio segreto tedesco, e si reca in Germania. Qui riprende i contatti con gli amici Roberto Farinacci e Giovanni Preziosi, con cui, nel quartiere generale di Hitler, il 14 settembre, insieme anche a Pavolini, Renato Ricci e Vittorio Mussolini, accoglierà il Duce, appena liberato dal commando di Otto Skorzeny dalla prigionia sul Gran Sasso.

De Turris ci guida, quindi, con testimonianze e documenti alla mano, lungo le intricate vicende che da Rastenburg si dipanano verso Berlino, poi Monaco, quindi nuovamente in Italia e infine a Vienna, dove Evola vive in incognito. Qui, Evola è impegnato su due fronti: sta per concludere una Storia segreta delle società segrete basata sui documenti dell'archivio di preziosi (opera e archivio che andranno perduti nei bombardamenti che lo coinvolgeranno personalmente), e soprattutto sta lavorando a porre le basi per un'attività politica e ideale che, dopo la sconfitta, avrebbe dovuto tenere in piedi «gli uomini tra le rovine». Intanto, sotto le rovine, e non metaforicamente, ci rimane lo stesso Evola, che il 21 gennaio 1945 «ha subito, a causa della caduta ravvicinata di una bomba», una lesione alla colonna vertebrale, come recita la cartella clinica che viene qui riportata per la prima volta, chiudendo definitivamente le molte illazioni sull'incidente che immobilizzò il filosofo per il resto dei suoi giorni.

Chiarito, per quanto possibile, il mistero sulle vicende legate alla fine della guerra, De Turris fornisce preziose informazioni anche su quello che accadde a Evola negli anni immediatamente successivi, raccontando, anche questo per la prima volta, di un soggiorno di qualche mese a Budapest, probabilmente in una clinica specializzata, e del rientro in Italia, seguito da una lunga degenza, prima a Bolzano, poi in provincia di Varese, poi a Bologna, per tornare, infine, nella casa natale di Roma, dove riallaccerà antichi rapporti di amicizia e si darà da fare per continuare, ora solo con la penna, quella «rivolta contro il mondo moderno» che rimane, al di là di ogni giudizio, la vera eredità di un filosofo che «in guerra» ci rimase per tutta la vita.

martedì 14 novembre 2023

Quel dandy "fantastico" che piaceva a Svevo...

tratto da "Il Giornale" del 2 Gennaio 2019

A un secolo dalla pubblicazione riecco «Gomòria», romanzo esoterico di Carlo H. De' Medici

Di Luigi Mascheroni


Carlo H. De' Medici... uhmmmm... Chi diavolo è costui? Uno scrittore misterioso, del quale si hanno scarne e misteriche notizie. Nacque a Parigi nel 1887, da padre italiano e madre di nobili origini polacche. Non si sa neppure in quale anno morì. Viaggiò e visse tra Francia, Gradisca d'Isonzo, Napoli e Milano. Fu giornalista, narratore (di genere gotico), illustratore (dei suoi stessi libri) dal tocco erotico, soprannaturale e satanico, studioso di scienze occulte. Frequentò, e non è una contraddizione, sia i tradizionalisti cattolici sia i rosacrociani. E pubblicò diversi testi: di esoterismo (ormai irreperibili) e letterari.

Fra cui il romanzo Gomòria, apparso nel 1921, poi scomparso per un secolo, e ora ristampato a cura di Guido Andrea Pautasso dall'editore Cliquot. Un po' Trivialliteratur un po' opera iniziatica, è la storia - costellata da «amplessi lunari», creature stregonesche e uno pseudobiblion rilegato «in pelle di bimbo morto senza battesimo», Sathan... - di un dandy di inizio '900, Gaetano Trevi (un Dorian Gray imbruttito, o uno Sperelli insoddisfatto...) che un tracollo finanziario fa precipitare da un Vittoriale ante litteram a un dimenticato maniero, dove scoprirà una biblioteca magica, incontrerà una zingarella e avrà a che fare con un perfido demone, Gomòria, che si palesa sempre sotto sembiante di donna...

E fino qui, siamo dentro i confini archetipici di un (ottimo) horror-esoterico (patti col diavolo, femme fatale, rapporti sessuali mistico-magici) che il curatore, nella postfazione, inserisce nella linea fantastica dei Bontempelli, Savinio, Buzzati, Landolfi... Ma l'aspetto più curioso - un piccolo scoop - è la recente scoperta che il libro di Carlo H. De' Medici è stato ritrovato, sottolineato, nella biblioteca personale di Italo Svevo. Il quale, c'è da supporre, apprezzò molto il protagonista: ozioso, malato d'inettitudine, accanito fumatore...