mercoledì 29 novembre 2023

Oggetti non identificati negli abissi: ecco i nuovi Ufo

tratto da "Il Giornale" del 22 Ottobre 2019 

Un ex pilota di caccia della Marina degli Stati Uniti ha raccontato la storia da brivido di un incontro con un oggetto sottomarino non identificato. Nel 2004 fu già protagonista di un video divulgato dal Pentagono riguardo la serie di incontri con teorici "Ufo"

Davide Bartoccini


Negli ultimi mesi la Marina degli Stati Uniti si è trovata costretta ad ammettere l'evidenza riguardo quelli che vengono definiti incontri ravvicinati del "primo tipo" con degli Ufo - Unidentified Flying Object. I video, pubblicati dal New York Times che intervistò i piloti dei caccia F/A-18 che tentarono di intercettarli, sono stati condivisi dai giornali di tutto il mondo; ma ora uno dei piloti, divenuto noto per aver "avvistato" un velivolo a forma di "Tic-Tac" gigante poi scomparso dopo un'accellerazione a velocità insostenibile per l'uomo, ha rivelato i dettagli di un altro inquietante incontro ravvicinato. E questa volta l'oggetto non identificato proverrebbe dalle profondità degli abissi.

Il veterano dell'Us Navy ad aver raccontato questa storia spettrale è David Fravor, pilota di marina ritiratosi con il grado di comandante dello Strike Fighter Squadron 41 imbarcato sulla portaerei USS Nimitz e protagonista dell'incidente del novembre 2004. Fravor, ha riportato durante una nota trasmissione radiofonica l'esperienza di un pilota di elicotteri della base navale di Roosevelt Roads, che impegnato nel recupero di bersagli e siluri per il rilevamento di dati telemetrici con il suo Mh-53 Sea Dragon, s'imbattè in una "grande massa nera" che sembrava emergere dalla acqua sotto i suoi piedi (l'Mh-53 ha una conformazione dell'abitacolo che permette di vedere "sotto") per poi sparire improvvisamente. Proprio quello che gli ufologi ribattezzerebbero come un Unidentified Underwater Object (Oggetto sommerso non identificato, ndr).

Nel primo dei due avvistamenti, uno dei membri a bordo dell'elicottero che era impegnato a recupera un Bmq - un finto bersaglio aereo che viene lanciato durante le missioni di addestramento e ha una forma simile a quella di un missile con le ali - avvertì il resto dell'equipaggio che non erano "soli" , quando durante la fase di recupero del bersaglio e del sub che si era tuffato in mare per agganciarlo il cavo del verricello, la "grande massa nera" iniziò a sollevarsi sotto l'elicottero che volava approssimativamente a 15 metri dal livello dell'acqua al largo della costa orientale degli Stati Uniti. Era la metà degli anni '90. Il pilota avrebbe ammesso di aver visto proprio "una massa scura che risaliva dalle profondità ” - gridando :" Che diavolo è quello?", ma subito dopo la massa si sarebbe inabissata. Qualcuno pensò immediatamente a un sottomarino - anche un sottomarino russo al limite - ma il pilota negò questa possibilità: "Non era un sottomarino “, affermò, "Ho già visto sottomarini. Una volta che hai visto un sottomarino non puoi confonderlo con qualcos'altro".

Durante il secondo incontro, lo stesso pilota stava recuperando un siluro per rilevamenti telemetrici quando un grande oggetto sommerso simile a quello avvistato la volta precedente, dalla forma "un po' circolare", risalì per prendere il siluro che venne (letteralmente) "risucchiato" per non essere mai più rivisto. Secondo la testimonianza di Fravor, che non ha rivelato l'identità del protagonista della storia, questo pilota della Marina si rivolse al Times per esporre i fatti nella speranza che venissero riportati, ma il giornale al tempo si rifiutò di pubblicare la storia. Tuttavia, c'è di più.

Gli altri "incontri ravvicinati"

Dopo la sua rivelazione pubblica, Fravor afferma che una donna di 79 anni lo avrebbe contattato per riportagli la testimonianza di suo padre, un ufficiale della Marina di stanza alla base navale di San Francisco negli anni '50. Da bambina le venne mostrato un documento dove si faceva riferimento a "Oggetti non identificati" che erano stati visti "entrare e uscire dall'acqua" a delle particolari coordinate di latitudine e longitudine. Secondo il racconto della donna, suo padre sosteneva che gli oggetti apparissero: "Sempre nella stessa area". Un'altra testimonianza, sempre legata alla Marina statunitense, sarebbe quella di un operatore della Uss Wasp e del suo gruppo di scorta. Nel 1963, sempre al largo delle coste orientali, velivoli per la guerra antisommergibile e cacciatorpedinieri, tracciarono un oggetto sommerso sconosciuto che si muoveva ad alta velocità e che avrebbe dato "segnale" per quattro giorni a alla proibitiva profondità di 8mila metri.

Le testimonianze di oggetti non identificati sommersi sono numerose, quasi quanto quelle degli oggetti volanti non identificati; secondo la versione dell'ex pilota della Marina David Fravor, l'unica ragione per cui lui stesso è stato protagonista del primo e più famoso avvistamento "confermato" dalla Difesa americana, quello dell'Ufo "Tic-Tac" (noto come avvistamento"Flir1"), è proprio perché si trovava a sorvolare quello che definisce un "misterioso oggetto più grande" che era "stato avvistato sott'acqua", dove la superficie appariva "bollente" o "schiumosa". Secondo questo veterano a cui gli Stati Uniti hanno affidato il comando di uno squadrone di cacciabombardieri del valore di milione di dollari per molti anni, e per tutti coloro che gli stanno dando credito, qualcosa si nasconderebbe nelle profondità degli abissi. Proprio come ci mostrò la fantasia di James Cameron nel suo film cult degli anni '80: The Abyss.

domenica 26 novembre 2023

La solitudine siderale di Julius Evola che sfida i secoli

tratto da "Il Giornale" del 31 Marzo 2014

Il lungo cammino attraverso Dada, esoterismo, Tradizione di un filosofo incompreso e rifiutato. Oggi come allora

Marcello Veneziani


«Ho dovuto aprirmi da solo la via... Quasi come un disperso ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose». Così Julius Evola (1898-1974), descrive nella sua autobiografia la solitudine siderale del suo cammino. Mezzo secolo fa Evola scese dal cavallo altero dell'impersonalità e si raccontò in un'autobiografia intellettuale che intitolò con spirito alchemico Il cammino del cinabro. Ora, a quarant'anni dalla sua morte, il testo rivede la luce nelle Opere di Evola (Mediterranee, pagg. 438, euro 32,50), curate da Gianfranco de Turris, aiutato da Giovanni Sessa e Andrea Scarabelli, arricchito di note, notizie e altri scritti. La prefazione è di Geminello Alvi. Curioso l'inserto fotografico con immagini di Evola mai viste, per esempio da bambino coi suoi genitori.

Evola racconta la sua vita attraverso le sue opere e i suoi snodi fondamentali: l'esperienza della Grande Guerra, poi il periodo di pittore Dada, quindi la fase filosofica, poi il suo percorso esoterico, infine il suo cammino nella Tradizione. E sullo sfondo, i suoi rapporti con gli artisti e gli iniziati, gli scrittori e i filosofi del suo tempo, le trasgressioni, il controverso rapporto col fascismo tra sostegno e dissenso, superfascismo e antifascismo, e poi con i giovani della destra postbellica. C'è anche il capitolo scabroso del razzismo. Evola fu teorico di un razzismo spirituale che non piacque ai razzisti doc e ai nazisti ma gli restò addosso come il suo peccato originale. Non c'è in lui odio antisemita né alcun fanatismo, c'è perfino una dignitosa coerenza, riconobbe Renzo De Felice. Ma Evola prescinde totalmente dai fatti e dalla tragedia dello sterminio e si attesta solo sui principi; ciò infonde un tono astratto alle farneticazioni della razza, qui ridotte peraltro da lui a «una parentesi» nella sua vita e nella sua opera. Evola confessa di aver rasentato da giovane «l'area delle allucinazioni visionarie e fors'anche della pazzia» e «una specie di cupio dissolvi, un impulso a disperdersi e a perdersi».

Nelle pagine del Cinabro, a fianco del pensiero e delle opere, scorre la vita, la storia - arricchita dalle note dei curatori - gli ambienti a lui vicini e a lui avversi, le note ostili della questura ai tempi del fascismo, perfino la vicenda di un duello rifiutato da Evola per non abbassarsi al rango dello sfidante che però gli costò la rimozione del grado di ufficiale e gli impedì di partire volontario nella seconda guerra mondiale. Ci sono gli scontri con alcuni fascisti, c'è la sua fama di mago e c'è perfino l'accenno di Evola al Mussolini superstizioso: «Aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava che si pronunciasse il nome in suo cospetto». C'è la storia assurda del processo nel dopoguerra a un gruppo di giovani neofascisti in cui fu coinvolto un Evola del tutto ignaro e ormai paralizzato, vittima di un bombardamento a Vienna. C'è la cronaca della sua morte, l'11 giugno di 40 anni fa, quando si fece portare davanti alla finestra e morì in piedi, guardando al Gianicolo; e poi i funerali con la sua bara senza croce e senza corteo funebre, secondo le sue volontà, e le sue ceneri disperse tra le cime delle Alpi, che aveva amato e scalato.

Evola fu un mito già da vivente, avvolto in un alone di magia. In queste pagine aleggia un paradosso: un pensatore isolato e in disparte che incrocia nella sua vita e nella sua opera, gli autori, le correnti, gli eventi più salienti del Novecento. A questo paradosso ne corrisponde uno inverso sul piano del pensiero: Evola, fautore della Tradizione e del Sacro, fonda la sua opera su un Individualismo Trascendentale, non solo teorico e psichico ma pratico e magico. Per Evola la verità è solo «un riflesso della potenza: la verità è un errore potente, l'errore è una verità debole». Un relativismo imperniato sulla potenza, che ne decide il rango e il valore. «Essere, verità, certezza non stanno dietro ma avanti, sono dei compiti», non dei fondamenti. Grandiosi piani metastorici in nome della Tradizione, templi sacri, civiltà millenarie dell'Essere ma in piedi resta solo la solitudine stellare dell'Io. Solipsismo eroico. «Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue - scrive Evola, sottolineando la sua estraneità alla tradizione cristiana, famigliare e patriottica - il mio impulso alla trascendenza è centrato sull'affermazione libera dell'Io». Anzi, avverte Evola, «non vi è avvenimento rilevante dell'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale». Siamo quasi all'autocreazione, al self made man metafisico. Resta sospesa nei cieli la domanda che qui si pone Evola: «Che cosa può venire dopo il nichilismo europeo?... Dove si può trovare un appoggio, un senso dell'esistenza, senza tornare indietro?». Evola rispose che l'unica soluzione era «essere se stessi, seguire solo la propria legge, facendone un assoluto». Ma non è proprio questa incondizionata libertà la punta più avanzata del nichilismo europeo, non è di questo individualismo assoluto che sta morendo la nostra civiltà? E se fosse l'Individuo Assoluto l'ostacolo estremo alla rivelazione dell'Essere?

Un titanico e aristocratico disdegno del mondo accompagna il racconto biografico di Evola. Ma ogni tanto si apre uno squarcio nel suo severo stile impersonale. Ad esempio quando riporta in queste pagine i giudizi lusinghieri sulle sue opere. Fa tenerezza notare che per lenire il suo isolamento Evola citi queste sporadiche e spesso modeste attenzioni alla sua opera. O quando sfugge al suo stoicismo imperturbabile qualche umana amarezza per il mancato riconoscimento del suo pensiero: «La grande stampa e la cultura ufficiale rimasero, e anche in seguito dovevano rimanere, sorde». Lo stesso Cammino del Cinabro, confessa nella nota d'esordio, fu scritto «nell'eventualità che un giorno l'opera da me svolta in otto lustri sia fatta oggetto di un'attenzione diversa da quella che finora le è stata concessa». Altri otto lustri sono passati dalla sua morte ma non sembrano bastati. La solitudine di Evola sfida i secoli.

mercoledì 22 novembre 2023

Evola, la guerra totale del pensiero

tratto da "Il Giornale" del 1 Giugno 2016

E' stato a lungo considerato un "cattivo maestro". In realtà fu filosofo originale e spirito non conformista: nuovi documenti fanno luce sui rapporti coi servizi segreti tedeschi, sul suo esoterismo e sulle teorie politiche

di Luca Gallesi


È inutile: nonostante la demonizzazione, che aumenta col passare degli anni, coinvolgendo chiunque abbia anche lontanamente avuto a che fare con il regime fascista, quelle vicende continuano a tenere banco. Se paragoniamo l'interesse suscitato dal Ventennio con la storia dei settant'anni posteriori, dobbiamo dedurre che gli anni tra le due guerre sono stati i più interessanti, almeno a giudicare dalla quantità di pubblicazioni, film, eccetera a tema.

Un contributo a capire meglio il fascino dei quegli anni terribili è offerto da un libro di Gianfranco de Turris: Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945 (Mursia, pagg. 340, euro 18), che scrive finalmente la parola fine su tutte le illazioni, spesso in mala fede e non di rado fantasiose, su alcune vicende che hanno riguardato uno dei più discussi pensatori italiani del '900. Tra i massimi esponenti italiani del movimento Dada, Giulio Cesare Andrea, più noto come Barone Julius Evola, è stato anche un importante filosofo propugnatore di un idealismo assoluto, un ardito esploratore delle cime abissali dell'esoterismo, un efficace divulgatore delle dottrine palingenetiche orientali, un originale teorico politico del tradizionalismo integrale, per essere poi, infine, superficialmente stigmatizzato come cattivo maestro, ispiratore del cosiddetto spontaneismo armato, quando non, addirittura, dello stragismo di Stato.

Pensatore isolato, anche se fu perno e catalizzatore del Gruppo di Ur, una delle più curiose esperienze spirituali del nostro '900, Evola si distinse come critico «da destra» durante il Ventennio mussoliniano per accreditarsi, nel dopoguerra, come teorico del neofascismo più intransigente, etichetta che pure gli valse nel 1954 una condanna per apologia di fascismo, poi amnistiata.

Pur occupandosi sostanzialmente del biennio 1943-45, il libro di De Turris tocca tutti gli argomenti citati, che si intrecciano nella biografia evoliana, avvincente come un thriller in cui maghi e spie, avventurieri e filosofi percorrono un'Europa distrutta, ridotta in rovine dai bombardamenti e prossima a scomparire tra le braccia dell'invasore sovietico o anglo-americano. Di quei tragici e appassionanti eventi, Julius Evola è protagonista e testimone: dopo il 25 luglio, che sorprende il filosofo per l'assoluta «mancanza di qualsiasi reazione dopo il tradimento, l'assoluta inerzia dei massimi esponenti del regime e della stessa Milizia (...) come una conferma di quella carenza di forze veramente temprate e salde dietro le strutture gerarchistiche e conformistiche, che purtroppo in più di una occasione era già venuta in evidenza», Evola si pone il problema «di vedere che cosa aveva resistito alla prova, (...) su quali elementi nuovi si poteva contare per mantenere, in forma adatta alle circostanze, le posizioni in ordine sia al problema interno politico italiano, sia alla continuazione della guerra dell'Asse». L'assassinio di Ettore Muti chiude definitivamente la porta a un ipotetico «controcolpo di Stato fascista», nel quale Evola sarebbe stato eventualmente coinvolto, e così il filosofo, a fine agosto 1943 parte verso il nord, in quella che egli definisce una «missione segreta». Pur non avendo mai aderito al Partito Nazionale Fascista, e nonostante la manifesta avversità di alcuni ambienti nazionalsocialisti, e in particolare quelli che facevano capo alla «Ahnenerbe», Evola mantiene stretti rapporti col settore controspionaggio dello SD, il servizio segreto tedesco, e si reca in Germania. Qui riprende i contatti con gli amici Roberto Farinacci e Giovanni Preziosi, con cui, nel quartiere generale di Hitler, il 14 settembre, insieme anche a Pavolini, Renato Ricci e Vittorio Mussolini, accoglierà il Duce, appena liberato dal commando di Otto Skorzeny dalla prigionia sul Gran Sasso.

De Turris ci guida, quindi, con testimonianze e documenti alla mano, lungo le intricate vicende che da Rastenburg si dipanano verso Berlino, poi Monaco, quindi nuovamente in Italia e infine a Vienna, dove Evola vive in incognito. Qui, Evola è impegnato su due fronti: sta per concludere una Storia segreta delle società segrete basata sui documenti dell'archivio di preziosi (opera e archivio che andranno perduti nei bombardamenti che lo coinvolgeranno personalmente), e soprattutto sta lavorando a porre le basi per un'attività politica e ideale che, dopo la sconfitta, avrebbe dovuto tenere in piedi «gli uomini tra le rovine». Intanto, sotto le rovine, e non metaforicamente, ci rimane lo stesso Evola, che il 21 gennaio 1945 «ha subito, a causa della caduta ravvicinata di una bomba», una lesione alla colonna vertebrale, come recita la cartella clinica che viene qui riportata per la prima volta, chiudendo definitivamente le molte illazioni sull'incidente che immobilizzò il filosofo per il resto dei suoi giorni.

Chiarito, per quanto possibile, il mistero sulle vicende legate alla fine della guerra, De Turris fornisce preziose informazioni anche su quello che accadde a Evola negli anni immediatamente successivi, raccontando, anche questo per la prima volta, di un soggiorno di qualche mese a Budapest, probabilmente in una clinica specializzata, e del rientro in Italia, seguito da una lunga degenza, prima a Bolzano, poi in provincia di Varese, poi a Bologna, per tornare, infine, nella casa natale di Roma, dove riallaccerà antichi rapporti di amicizia e si darà da fare per continuare, ora solo con la penna, quella «rivolta contro il mondo moderno» che rimane, al di là di ogni giudizio, la vera eredità di un filosofo che «in guerra» ci rimase per tutta la vita.

martedì 14 novembre 2023

Quel dandy "fantastico" che piaceva a Svevo...

tratto da "Il Giornale" del 2 Gennaio 2019

A un secolo dalla pubblicazione riecco «Gomòria», romanzo esoterico di Carlo H. De' Medici

Di Luigi Mascheroni


Carlo H. De' Medici... uhmmmm... Chi diavolo è costui? Uno scrittore misterioso, del quale si hanno scarne e misteriche notizie. Nacque a Parigi nel 1887, da padre italiano e madre di nobili origini polacche. Non si sa neppure in quale anno morì. Viaggiò e visse tra Francia, Gradisca d'Isonzo, Napoli e Milano. Fu giornalista, narratore (di genere gotico), illustratore (dei suoi stessi libri) dal tocco erotico, soprannaturale e satanico, studioso di scienze occulte. Frequentò, e non è una contraddizione, sia i tradizionalisti cattolici sia i rosacrociani. E pubblicò diversi testi: di esoterismo (ormai irreperibili) e letterari.

Fra cui il romanzo Gomòria, apparso nel 1921, poi scomparso per un secolo, e ora ristampato a cura di Guido Andrea Pautasso dall'editore Cliquot. Un po' Trivialliteratur un po' opera iniziatica, è la storia - costellata da «amplessi lunari», creature stregonesche e uno pseudobiblion rilegato «in pelle di bimbo morto senza battesimo», Sathan... - di un dandy di inizio '900, Gaetano Trevi (un Dorian Gray imbruttito, o uno Sperelli insoddisfatto...) che un tracollo finanziario fa precipitare da un Vittoriale ante litteram a un dimenticato maniero, dove scoprirà una biblioteca magica, incontrerà una zingarella e avrà a che fare con un perfido demone, Gomòria, che si palesa sempre sotto sembiante di donna...

E fino qui, siamo dentro i confini archetipici di un (ottimo) horror-esoterico (patti col diavolo, femme fatale, rapporti sessuali mistico-magici) che il curatore, nella postfazione, inserisce nella linea fantastica dei Bontempelli, Savinio, Buzzati, Landolfi... Ma l'aspetto più curioso - un piccolo scoop - è la recente scoperta che il libro di Carlo H. De' Medici è stato ritrovato, sottolineato, nella biblioteca personale di Italo Svevo. Il quale, c'è da supporre, apprezzò molto il protagonista: ozioso, malato d'inettitudine, accanito fumatore...

domenica 12 novembre 2023

HALLOWEEN E L’IDIOZIA CONTEMPORANEA

tratto da "L'Opinione" del 25 ottobre 2019

di Dalmazio Frau

Puntualmente, ad ottobre, cominciano a comparire ovunque le solite zucche arancioni e tutto l’apparato pseudodarkettone fintogotico di questa festa anglosassone che ci siamo autoimposti da alcuni anni. Un trappolone commerciale fatto di fantasmini e ragni di plastica che noi, colonia Wasp, abbiamo adottato in pieno.

Non detesto Halloween, detesto con tutte le mie forze Allouin, cioè questa puttanata ridicola di cappelli da Strega dell’Est e altre imbecillità varie che non appartengono alla nostra Cultura – a proposito, ne abbiamo ancora una? – che ha sostituito, complice l’attuale ignoranza e disinformazione del clero della Chiesa cattolica, le nostre antiche e sanissime giornate dedicate ai defunti e ai santi. Festività ben più antiche del Cristianesimo, che non hanno nulla da invidiare alla “notte delle streghe” made in Usa, essendo dotate di profonde radici che affondano nel substrato mitico, religioso e anche, sì, magico, delle nostre tradizioni. Anche da noi infatti, in quelle notti, i defunti ritornano tra i mortali, e si ricordano tutti i santi del calendario e con dolci e cibi antichi che insegnano a chi è vivo a credere in un Altrove e in un Mistero che da sempre accompagna e trascende l’uomo. Anche in molte parti d’Italia, sino a non tantissimo tempo fa, alla fine d’ottobre, quando le ombre notturne sono più lunghe, si credeva che le barriere tra il mondo dell’Uomo e l’Aldilà diventassero più esili e facilmente superabili dalle creature sovrannaturali. “Dolcetto o scherzetto” lo abbiamo anche noi, in molte culture popolari e contadine, arcaiche, con cibi che richiamano il mondo dei morti nella forma e nel significato. Non abbiamo bisogno d’importare zucche britanniche, abbiamo anche noi lo stesso simbolismo.

E allora? Allora è che questa nostra società desacralizzata, priva dell’immaginario fantastico, magico, e ormai anche di quello meramente religioso grazie alle ultime virate vaticane, ha gettato via ogni ricordo delle proprie tradizioni per accogliere quelle altrui. Il popolo italiano – negletto da preti accondiscendenti e troppo spesso ignoranti oltre che increduli – si è voluto disfare delle proprie antichità cultuali accettando l’assenza del Mistero e del Sacro nella nostra pseudocultura “postmoderna”. E quello che gli italiani non trovano più nella tradizione, che è fatta anche di aspetti “terrifici”, ecco che tra le nuove generazioni alcuni imbecilli affetti da ignoranza crassa, senza sapere di essere soltanto gli “utili idioti” del gigantesco meccanismo economico della New Age, si comprano il Libro Infernale, si danno un nome cretino come Lady Lucifera o Lord Obscurity e cominciano a invocare Satana alle tre del mattino, svegliando il cane dei vicini.

Allora si vada al Camposanto di Pisa a vedere il Trionfo della Morte o la Danza macabra a Pinzolo o ancora a Palermo. Chi vuole deliziarsi con le ossa, ha a sua disposizione la Cripta dei cappuccini della chiesa di Roma a via Veneto, oppure quella dedicata alla Confraternita dell’Orazione e Morte sita in via Giulia, sempre nella Capitale e si potrà comprendere quale inestimabile patrimonio stiamo perdendo… perché sono soltanto zucche vuote!

martedì 7 novembre 2023

IL 1° CONVEGNO UAP/AEROSPAZIO SI TERRA' IL 12/11/2023 IN SALA CONGRESS AL SIMON HOTEL.

Vista la necessità a livello mondiale di definire il fenomeno UFO Unidentified Flying Object con un termine più consono alla ricerca scientifica ovvero UAP unidentified anomalous/aerial phenomenon la dottoressa Bittarello nota ricercatrice aeronautica e del fenomeno UAP unidentified anomalous/aerial phenomenon  e editrice della casa editrice internazionale LUX-CO EDIZIONI decide di cambiare sostanza e nome ai classici Convegni di ufologia che organizza dal 2014 sostituendoli con i CONVEGNI  UAP/AEROSPAZIO WORLD e iniziando una nuova era dove la ricerca sugli unidentified anomalous/aerial phenomenon si unisce alla ricerca sull' Aerospazio, modifica anche  il nome del suo Centro Studi in CENTRO STUDI UAP WORLD. La nuova generazione di Convegni inizia il 12 novembre 2023 al Simon Hotel dove i Relatori si alternano con le loro ricerche in una piacevole e tecnologica cornice nella Sala Congress del Simon Hotel di Pomezia. Orario 10-19. VI ASPETTIAMO. Sito web www.convegnouapworld.com




lunedì 30 ottobre 2023

Sette sataniche, sincretismo e stragi: ecco i santoni neri di Hollywood

Tratto da "Il Giornale" del 7 Settembre 2021

C'è un (lungo) filo esoterico che collega la fondazione di Hollywood e la sede del cinema internazionale

di Andrea Indini e Matteo Carnieletto


California, 1886. Il sole si infrange sulla terra, rendendola incandescente, mentre un uomo di origini cinesi spinge un carro pieno di legna. Suda e impreca per il gran caldo. All'improvviso incontra un imprenditore, Hobart Johnstone Whitley, il quale gli chiede cosa sta facendo: "I hooly-wood", risponde il carrettiere, intendendo "I'm hauling wood" (sto trasportando del legname). L'imprenditore ha un'epifania, un'irruzione del sacro nella quotidianità, che saranno una costante in questa fetta di mondo. Capisce male, o forse lo fa apposta, e decide di chiamare questo luogo tra le colline della California "Hollywood", il bosco di agrifoglio. È l'inizio di una storia nuova, in cui la luce del sole si mescola alle tenebre del satanismo e dell'occultismo.

A partire dagli anni Quaranta del XIX secolo, migliaia di persone si riversano verso la West Coast. Cercano l'oro. Inseguono un sogno. Vengono dalle parti più disparate del mondo e credono in fedi diverse. Ci sono protestanti e cattolici. Bianchi, indiani e neri. Litigano, a volte si ammazzano anche, ma alla fine si amalgano. Anche spiritualmente. Scrive Jesùs Palacios, autore di Satana a Hollywood (Edizioni NPE), che la California diventa "il luogo ideale per mescolanze e sincretismi, il luogo ideale perché a poco a poco la vecchia fede di indebolisse e si evolvesse in nuove credenze e superstizioni... Affinché proliferassero altresì imbroglioni, santoni, predicatori e falsi profeti".

Sembra quasi che tutti si siano dati appuntamento lì. Negli anni Venti del XX secolo arriva Jiddu Krishamurti. Sopracciglia folte, occhi profondi e lineamenti da statua. Riesce ad ammaliare tutti, ma soprattutto le donne. Ottiene una rendita di cinquecento sterline l'anno. Un'enormità per l'epoca. Viene invitato a tutte le feste e incontra i personaggi più importanti dell'epoca, tra cui l'astrofisico Edwin Hubble e Greta Garbo, che rimane folgorata da lui. Più passa il tempo e più Krishamurti ottiene consensi: "Sempre radicato a Ojai e nelle vicinanze di Hollywood, avrebbe trovato di nuovo il sostegno della comunità cinematografica grazie a Mary Zimbalist, vedova del profuttore Sam Zimbalist, deceduto nel 1958 durante le riprese di Ben-Hur. Sarebbe diventata lei, a partire dal 1964, la sua principale fonte di finanziamento; gli costruì una casa nuova a Ojai, lo invitava spesso nella sua villa di Malibù e contribuiva di tanto in tanto alla sua stabilità economica, tenendo conto che il maestro fu imbranato fino alla fine dei suoi giorni in ambito finanziario". Il 17 febbraio del 1986 Krishamurti muore a Pine Cottage. Non vuole alcuna celebrazione. Sparisce per sempre. Nel vuoto.

Con il passare del tempo, però, accanto all'esoterismo comincia a muoversi il culto per il demonio. Howard Stanton Lavey ne è il fondatore. Nato, l'11 aprile del 1930 a Chicago, a soli 36 anni rivela che è giunta l'Era di Satana e, in poco tempo, si circonda di un numero sempre più cospicuo di fedeli e conquista le bionde più belle di Hollywood. Dopo la seconda guerra mondiale frequenta per un breve tempo Marylin Monroe, consumata per lo più "sotto l'ombra di uno degli edifici più magici e spettacolari dell'architetto e occultista Frank Lloyd Wright a San Francisco, ispirato dall'achitettura maya e azteca del Messico dell'era precolombiana". Ma è con Jayne Mansfield che LaVey crea il legame più profondo: inizialmente l'attrice non lo considera più di tanto ma, non appena lo vede in abiti sacerdotali neri, impazzisce per lui e se ne innamora. Si dice addirittura che LaVey le abbia chiesto la mano e che l'avesse introdotta in alcuni circoli sacerdotali occulti. Accanto al satanista girano avvocati, artisti, anche agenti dei servizi segreti. Sono tutti alla sua corte e partecipano a riti terribili, fatti con candele nere e teschi umani. Nel 1968 apre la prima chiesa dedicata al culto luciferino e, qualche anno più tardi, scrive La Bibbia satanica: "L'opera - scrive Palacios - parla di invertire la morale tradizionale e fornisce una guida teorica e pratica (il libro contiene preghiere, incantesimi e cerimonie magiche) per l'uomo nuovo che dominerà il mondo del futuro, incentrata su un egoismo attivo un tantino darwinista, sul sesso libero, l'amoralità e una sorta di realismo religioso tipicamente ateo e umanista". Strane morti accompagnano la vita di Lavey e che tinteggiano, in una lunga scia di sangue, le colline della California.

Ma come si è potuti arrivare a tutto questo? Secondo Michel Houellebecq, che ne Le particelle elementari, che quest'estate La Nave di Teseo ha riportato in liberia, si è dedicato a questo tema. La strada è lunga ed è indissolubilmente legata ai cambiamenti che, dopo il secondo dopo guerra, attraversarono il Vecchio continente: "Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo - si legge nell'incipit - di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia rapporti saltuari con altri uomini. Visse in un'epoca infelice e travagliata". Nel volume, lo scrittore francese analizza il legame sotteso tra la liberazione sessuale, di cui il Sessantotto si fa portatore sconvolgendo definitivamente i consumi dell'Occidente, e gli omicidi compiuti dai satanisti. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1998, è il racconto (crudo e disilluso) di due vite agli antipodi: Michel Djerzinski, biologo molecolare che spende tutta la sua vita per dare alla vita stessa un significato che sembra non esserci, e il fratellastro Bruno che, invece, cerca quel medesimo significato in un'onnivora attività sessuale devastata e devastante. Sono entrambi i prodotti di una rivoluzione culturale che ha lasciato nudo l'uomo, spogliato di una tradizione millenaria e in balìa di un voyeristico egoismo.

Houellebecq accompagna il lettore per mano in un tour virtuale dentro e fuori le comunità hippy, i raduni new age, i campeggi per nudisti e i club per scambisti, che nella seconda metà del secolo scorso sono sorti in Francia. Quello che emerge è un vuoto cosmico che lascia le anime solo dinnanzi alla propria vacuità. Ma, se nel Sessantotto questa spinta emotiva, che ha portato alla disgregazione della famiglia e dei legami famigliari, viene ammantata da un'aurea di novità, sul finire degli anni Ottanta scema in una compulsiva reiterazione di canoni fallimentari che, però, sono ormai tanto permeati all'interno della nostra società da essere dati per scontati e, quindi, passivamente accettati. Finita l'euforia, che ha drogato gli anni Settanta (poi sfociati nella violenza ideologica del terrorismo), quello che rimane degli ex sessantottini è una triste "congrega" di ex ribelli (non più giovani) in cerca di emozioni ormai sciupate. E così il sesso si fa sempre più estremo e le droghe sempre più pesanti.

È proprio tra gli "scarti" del Sessantotto (pochi soggetti a dire la verità) che Houellebecq intravede l'insinuarsi del germe del satanismo. Ne Le particelle elementari viene dato spazio, anche se per poche pagine, a un personaggio che sin dall'inizio appare oscuro e turpe: David Di Meola, figlio della cultura hippy che, dopo aver fallito come musicista rock, si butta prima sul sesso estremo e poi sul mercato degli snuff movie ammantandolo dei tetri simboli satanici. Il passaggio da violenza sessuale a omicidio è brevissimo. Ma sufficiente a macchiare di sangue un'intera generazione. Nel saggio Il disagio della civiltà (Feltrinelli), Sigmund Freud indaga, tra le altre cose, sul rapporto tra sessualità e morte, due concetti che la nostra mente fatica a tenere insieme. Eppure certi disvalori si sono fatti portatori di una sessualità forzata che in alcune sacche della società è accettata e condivisa (si pensi al masochismo e al sadismo), mentre in situazioni al limite sfocia negli stupri e negli omicidi rituali. Per Houellebecq questa deriva è la diretta conseguenza del materialismo più puro.

Un altro figlio di questa degenerazione è sicuramente Charles Manson (venticinque anni più tardi scimmiottato dal cantante pseudo-satanista Marilyn Manson) la cui ombra sembra calare anche su alcuni capitoli de Le particelle elementari. Rileggendo la storia di Hollywood non deve affatto stupire se nel 1967, dopo aver girovagato per mezza America (dall'Oregon all'Ariziona, dallo stato di Washington al New Mexico), decide di insediare la sua Family (così venivano chiamati i suoi adepti) nella periferia di Los Angeles. Tra loro c'erano anche molte ragazze (tutte giovani, tutte molto belle). Nel romanzo Le ragazze (Einaudi) Emma Cline le descrive così: "Parevano appena ripescate da un lago [...] Stavano giocando con una soglia pericolosa, bellezza e bruttezza allo stesso tempo, e attraversavano il parco lasciandosi alle spalle una scia di improvvisa allerta. Le madri si guardavano intorno cercando i figli piccoli, spinte da una sensazione a cui non avrebbero saputo dare un nome. Le altre giovani prendevano per mano i fidanzati". Ancora una volta: eros e violenza, vita e morte. Che rimangono impregnate nella terra. "C'è gente che dice che questo posto è impregnato di una forza malefica", racconta una segretaria a John Waters mentre è in visita al ranch di Manson. Il male lì sembra non essersene mai andato. Alberga in quella terra e non se ne vuole più andare via. Del resto Charles lo accoglie, anzi lo invoca, per lungo tempo. Raduna attorno a sé un gruppo di hippy ai quali propone una nuova vita spirituale. Scrive Palacios che la "famiglia Manson" frequenta "riunioni notturne degli Angeli dell'Inferno, sette e comunità religiose piuttosto singolari come la crowleyana Loggia Solare dell'Ordine del Tempio d'Oriente (Oto) o l'orientalista Fonte del mondo, ispirata dagli insegnamenti pacidisti di Krishna Venta, che annoverava tra i suoi membri Shorty Shea, impiegato nel ranch, e una delle vittime della Famiglia, il cuio corpo, teoricamente smembrato e cosparso nel desrto, non fu mai ritrovato".

Charles li fomenta. Promette loro il sangue e, infine, glielo concede. Accade tutto in una notte, quella tra l'8 e il 9 agosto del 1969: quattro suoi "figli spirituali" entrano nella casa di Sharon Tate e regista Roman Polanski. L'ordine è uno solo: "Uccidere tutti i presenti, nella maniera più macabra possibile". Così sarà. Alcuni degli ospiti verranno uccisi a colpi di coltello, altri furono freddati con armi da fuoco. La Tate chiede pietà per il figlio che ha in grembo, ma non c'è nulla da fare. È l'helter skelter - questo il nome del massacro, preso in prestito da una canzone dei Beatles - e non possono esserci sopravvissuti. Il sangue deve essere ovunque, perfino sui muri della casa.

Immaginare un altro finale è difficile, ma non impossibile. Ci ha provato il re dello splatter Quentin Tarantino. C'era una volta a... Hollywood riscrive quella mattanza dandogli un altro finale. E prova a liberare Hollywood dai suoi mali. Ma è solo fiction. E Hollywood rimane quella che è.