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giovedì 27 luglio 2023

Gli Ufo tra complotti e visioni mistiche

tratto da https://it.insideover.com/societa/gli-ufo-tra-complotti-e-visioni-mistiche.html

di Luca Gallesi

8 NOVEMBRE 2021

Per quanto strano possa sembrare, il tema degli Ufo e della possibile vita extraterrestre ha appassionato, oltre a filosofi e militari anche teorici del complotto, leader politici e autorità religiose. Probabilmente, molti hanno sentito parlare della bizzarra teoria diffusa dal ricco complottista inglese David Icke (classe 1952), secondo cui il mondo sarebbe guidato da una razza di mostruosi alieni provenienti dal sistema stellare Alpha Draconis. Parliamo dei cosiddetti “Rettiliani”, o uomini-serpente, che, nascosti nelle loro basi scavate nel sottosuolo del nostro pianeta, si impadroniscono delle menti, e talvolta anche dei corpi, dei più importanti leader mondiali, come la famiglia reale britannica, i Bush, i Clinton, i Rothschild, i Rockfeller, e tutti coloro che gestiscono il potere reale, politico o finanziario che sia.

La “grande sostituzione” ebbe inizio quando, nelle parole di Icke, “migliaia di anni fa, le razze rettiliane sono arrivate sul pianeta Terra e si sono incrociate con la razza umana. Non fisicamente, tuttavia, ma attraverso la manipolazione del codice umano, il Dna”. Da allora, gli alieni sono il vero governo occulto mondiale che, indifferente alla volontà popolare, decide i destini del mondo in maniera non dissimile da quella descritta nei cosiddetti Protocolli dei Savi Anziani di Sion, testo base di tutto il complottismo di estrema destra. Ma non si creda che i sostenitori del potere alieno siano una prerogativa di questo schieramento politico: per quanto si cerchi di nasconderlo, anche nell’estrema sinistra troviamo bizzarri personaggi convinti che gli extraterrestri siano i padroni del mondo. Il maestro del leader afroamericano “Malcom X” era, per esempio, un convinto complottista. Stiamo parlando di Elijah Muhammmad (1897- 1975), un musulmano nero che negli Usa degli anni Trenta divenne Supreme Minister della Nation of Islam propagandando il rigido rifiuto dell’integrazione razziale, che avrebbe sminuito la superiorità degli afroamericani sui bianchi. Ma, oltre al curioso fatto che Muhammad ha tenuto comizi segregazionisti assieme al leader neonazista Lincoln Rockwell, la cosa davvero bizzarra è la sua ferma credenza nella visione apocalittica secondo la quale, alla fine dei tempi, gli Ufo scenderanno sulla Terra per eliminare definitivamente i bianchi e permettere così ai neri di riconquistare il primato che Dio, all’inizio dei tempi, aveva loro concesso.

Teorie del complotto a parte, il tema del rapporto tra Dio e gli Ufo è stato affrontato anche seriamente, e addirittura ai massimi livelli della gerarchia cattolica, ovvero dai due Papi attuali. Sia Bergoglio, in una intervista concessa nel 2015 a Paris Match, sia Benedetto XIV, in una lettera indirizzata l’anno precedente al professor Paolo Musso, docente di Filosofia Teoretica all’Università dell’Insubria, hanno, infatti, aperto alla possibilità che esistano forme di vita extraterrestri, lasciando però alla scienza il compito di verificarne la realtà.

All’argomento ha dedicato recentemente la copertina il mensile cattolico Il Timone, ospitando teologi e mistici con opinioni difformi ma sempre molto stimolanti; il docente di Teologia Mauro Gagliardi sottolinea la complessità del tema, data la difficoltà di conciliare l’ipotesi di vita extraterrestre con la dottrina della grazia e del peccato originale. L’unica certezza è che, essendo Dio l’unico creatore, tutto l’universo rimane comunque a Lui sottomesso, compresa ogni eventuale forma di vita aliena. Più variegata, invece, è la posizione dei mistici: alcuni, come l’austriaca Maria Simma, sono sicuri che “gli avvistamenti di Ufo sono opera del diavolo”, perché, suscitando la curiosità dell’uomo, lo distolgono dai temi fondamentali, che riguardano la salvezza dell’anima. Dello stesso parere è un altro religioso, il salesiano Giuseppe Tomaselli, che considera quello degli extraterrestri “un trucco di Satana per far inorgoglire gli uomini, una trappola diretta ad annullare quanto Dio ha rivelato nella Bibbia”. Di parere opposto, invece, sono due mistici molto popolari, tra cui Padre Pio, convinto che “il Signore non ha certo ristretto la sua gloria a questo piccolo pianeta: in altri pianeti ci saranno degli esseri che non hanno peccato”, opinione condivisa dalla visionaria Maria Valtorta, che riferisce quanto confidatole direttamente da Gesù: “Sarei un ben piccolo e limitato creatore se non avessi creato che la terra come mondo abitato! Con un palpito del mio volere ho suscitato mondi e mondi dal nulla e li ho proiettati, pulviscolo luminoso, nell’immensità del firmamento. La Terra, di cui siete tanto orgogliosi e tanto feroci, non è che uno dei pulviscoli rotanti dell’infinito, e non il più grande. Certo però è il più corrotto”. E, considerato che questa visione avvenne quasi ottant’anni fa, possiamo immaginare quanto sia peggiorato da allora il giudizio divino…


domenica 23 luglio 2023

Da Barbablù al vampiro di Bergamo ecco i casi veri del passato

tratto da Il Giornale del 13 Agosto 2021 

La figura dell'omicida seriale esiste da sempre. Locusta fece una strage ai tempi dell'antica Roma

di Matteo Sacchi


Gli esseri umani uccidono. Per un infinità di motivi. A volte però diventa un atto compulsivo, incoercibile, ribadito con furia e modalità sempre uguale. La psicoanalisi ha esaminato queste psicosi, ha incasellato, a partire dagli anni Settanta del Novecento, chi ne è soggetto come omicida seriale. Ma se la classificazione di questi comportamenti, aberranti, è recente il loro insorgere tra gli esseri umani è antichissimo, probabilmente ancestrale. Difficile risalire a quale sia il più antico serial killer conosciuto. Si potrebbe fare appello addirittura al mito greco di Procuste. Questo brigante appostato sul monte Coridallo, nell'Attica, lungo la via sacra tra Eleusi e Atene, aggrediva i viandanti e li straziava battendoli con un martello su un'incudine modellata a misura di letto (il suo). I malcapitati venivano così torturati e «stirati» se troppo corti, o amputati qualora i loro arti sporgessero. Forse il personaggio ucciso nella leggenda da Teseo non è mai esistito. Ma il comportamento può ricordare quello di serial killer moderni con disturbi legati alla loro fisicità. Procuste per non sentirsi inadeguato adegua il mondo a se stesso.

Ci sono casi in epoca storica che indubbiamente potrebbero avvicinarsi alle tipologie dell'assassino seriale come quello dell'avvelenatrice romana (ma di origine gallica) Locusta. Venne accusata anche della uccisione dell'imperatore Claudio, di Britannico e di un numero imprecisato di altre persone. Arrestata fu condannata a morte nel 69 dopo Cristo durante le Agonalia. In questo caso difficile distinguere tra la killer prezzolata e l'assassina compiaciuta delle sue pozioni descritta da alcune fonti antiche come Svetonio. Era invece probabilmente un serial killer a tutti gli effetti Gilles de Montmorency-Laval (1405-1440). Barone di Rais, compagno d'Arme di Giovanna d'Arco si interessava di pratiche alchemiche condite con l'omicidio e lo stupro. Torturò e uccise, secondo le accuse centoquaranta adolescenti. Attorno al 1432 dopo lunghi anni di campagna militare contro gli inglesi e per una serie di incroci familiari si ritrovò ad ereditare un enorme ricchezza. Si diede rapidamente a spese folli e guerre private. Si fece rapidamente anche dei nemici. Contemporaneamente iniziò a dare la caccia alla pietra filosofale, condita con sacrifici umani. I suoi eccessi e le sue violenze portarono al suo arresto nel 1440. Iniziarono ad accumularsi testimonianze sulla scomparsa di bambini nelle sue proprietà. Ne approfittarono i suoi rivali, il duca di Bretagna e il Vescovo di Nantes montando un processo a senso unico. Finì prima impiccato e poi bruciato. Ma per gli storici attuali è difficile capire quanti dei reati di cui è stato accusato siano reali. Di certo la confessione di Gilles venne estorta con la tortura. Alcuni storici e antropologi, tra cui George Bataille, hanno provato a riconsiderare la realtà delle accuse. I giudizi sono divisi ma di certo il processo restò nell'immaginario collettivo. Tutta l'incredibile e truculenta faccenda ha ispirato lo scrittore francese Charles Perrault per la fiaba del 1697 Barbablù.

Ancora più truce, se possibile, la vicenda di Peter Stubbe che, nel 1589, fu giustiziato per «licantropia». Stubbe viveva a Bedburg, nei pressi di Colonia, secondo gli atti processuali gli sono attribuibili l'omicidio di due donne incinte e tredici bambini (compresi i suoi figli). Uccideva le vittime tagliando o mordendo loro la gola, dopodiché ne portava il cadavere in luoghi isolati per poterne bere il sangue ed estrarne gli organi interni (uccise anche suo figlio per mangiarne il cervello).

Una compulsione non molto diversa da quella dell'italiano Vincenzo Verzeni. Noto come il vampiro della Bergamasca venne condannato per l'omicidio di due donne e l'aggressione di altre sei tra il 1867 e il 1872. Il suo caso attirò l'attenzione anche di Cesare Lombroso. In questo caso siamo già di fronte ad un processo moderno e a testimonianze non estorte: «Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere.». Verzeni venne rinchiuso nel manicomio milanese della Senavra (il palazzo esiste ancora) e lì trascorse moltissimi anni. La scienza medica stava iniziando a spalancare gli abissi della mente umana per studiarli. I disturbi di Verzeni erano legati ad un'infanzia piena di violenze e di traumi. Cosa abbia trasformato in predatori seriali moltissimi prima di lui, non lo sapremo mai.

giovedì 27 aprile 2023

Politici, re, chiromanti e stregoni: l'eterno legame tra potere e occulto

tratto da InsideOver del 9 OTTOBRE 2021

Emanuel Pietrobon


È dall’alba dei tempi e del primo uomo, Adam Qadmon, che gli abitanti della Terra sono intrigati, e al tempo stesso impauriti, da ciò che non conoscono e non riescono a comprendere. E anche laddove scienza, positivismo, razionalismo e scientismo riescono a imporsi su fede e superstizione, comunque, l’ignoto non perde mai del tutto né fascino né seguaci.

Il caso della Repubblica Ceca è eloquente a proposito della presa sempiterna dell’arcano sulle genti. Perché questa piccola nazione, che è la più scristianizzata del Vecchio Continente e tra le più atee del mondo, è un semenzaio di nuovi movimenti religiosi e culti New Age al cui interno prosperano la superstizione e il mercato dell’occulto.

Praga e il 21esimo secolo, comunque, non sono né l’unico luogo e né l’unico tempo dove la defenestrazione del Dio abramitico, più che alla capillarizzazione del pensiero ateistico stricto sensu, ha condotto all’entrata in scena di forme nere di magia, esoterismo, misticismo ed occultismo. Perché è dall’Età moderna che le Bibbie vengono sostituite dai Grimori, i preti dai maghi e le croci dai talismani. Sostituzioni che, sin dal Cinquecento, lungi dal riguardare semplicemente l’uomo comune, interessano in maniera speciale i salotti letterari, i caffé filosofici, i circoli aristocratici e le corti dei re.

I condottieri e l’occulto

L’eminenza grigia è il consigliere per antonomasia, una persona che, essendo più realista del re, spesso e volentieri può combaciare con o sovrapporsi ad altre figure simili, quali sono il potere dietro al trono e il grande burattinaio. Ogni capo di Stato che si rispetti ha una o più eminenze grigie: loschi ma preparati figuri, battezzati alle arti sacre della guerra e della diplomazia, che sanno come muoversi nel mondo, che conoscono le leggi del bellum omnium contra omnes e che aiutano i loro re Davide ad affrontare e vincere i Golia di turno.

Historia homines docet che cambiano le epoche, differiscono i contesti e mutano i regimi, ma le eminenze grigie sono una costante inamovibile e onnipresente: ieri le hanno avute gli imperatori, oggi le hanno i presidenti. Pragmatici, lungimiranti, geniali e diabolici, questi poteri dietro al trono, a volte, non rispondono al canone comune e stereotipato dello stratega in giacca e cravatta, freddo, calcolatore, razionale e spietato. Al contrario, non sono rari i casi di chiromanti, oracoli, occultisti e maghi, più legati al cielo che alla terra, che hanno sussurrato all’orecchio di re, imperatori, presidenti e dittatori.

L’elenco dei condottieri che allo stratega formatosi nelle scuole diplomatiche hanno preferito uno stregone dalle origini nebulose è piuttosto lungo. E questi stregoni, lungi dall’aver provocato la rovina dei loro capi, in alcuni casi hanno cambiato il corso della storia. Tra i più importanti occultisti al servizio del potere si ricordano:

John Dee. Alchimista, cabalista e chiromante, fu il consigliere per la politica estera di Elisabetta I, alla quale suggerì di fondare delle colonie nell’America settentrionale e per la quale delineò un piano per la trasformazione del regno in una talassocrazia transcontinentale basato su espansione della Marina, controllo di isole-chiave e sviluppo del commercio. Fu il coniatore, inoltre, del termine “Impero britannico”.

Cosimo Ruggieri. Astrologo e negromante, fu l’uomo della famiglia De Medici alla corte del re di Francia.

Julia. Chiaroveggente, fu la consigliera di Cristina di Svezia.

Ulrica Arfvidsson. Indovina errante, veniva consultata da Gustavo III prima delle campagne belliche e dell’assunzione di decisioni in materia di politica domestica.

Clotilde-Suzanne Courcelles de Labrousse. Medium, era l’eminenza grigia di Robespierre.

Henrietta Zofia z Puszetów Lullier. Divinatrice francese di stanza a Varsavia, fu la consulente per la politica estera di re Stanislao II Augusto di Polonia.

Grigorij Rasputin. Mistico ortodosso, fu il consigliere privato della famiglia Romanov prima e durante la prima guerra mondiale.

Erik Jan Hanussen. Chiaroveggente e occultista, fu tra i mentori di Adolf Hitler.

Karl Maria Wiligut. Esoterista, fu il precettore di Heinrich Himmler.

Wolf Messing. Veggente e telepata, durante la seconda guerra mondiale fu trasferito segretamente dalla Germania all’Unione Sovietica su ordine di Stalin, del quale diventò confidente.

Edgar Cayce. Sensitivo, chiaroveggente e presunto taumaturgo, fu il confidente, lo psicologo e “medico curante” informale del potente Nelson Rockefeller.

Il fascino dell’arcano

Da John Dee a Wolf Messing, passando per il celeberrimo Rasputin, sono vari gli elementi che accomunano le eminenze nere: il carisma, l’arrivismo, la previdenza, l’intelligenza superiore, il fascino e l’aura misterica. Elementi che li hanno trasformati in strateghi infallibili e veraci agli occhi di condottieri a volte deboli, come Nicola II, e a volte semplicemente suggestionabili, come Stalin.

Alcuni, come Hitler e Himmler, nell’operato di mistici, veggenti, sensitivi, occultisti e stregoni avrebbero intravisto qualcosa di estremamente utile ai fini del comando e del controllo delle masse. Perché l’arcano, nell’ottica nazista, poteva essere utilizzato per creare una nuova religione, nuovi miti e nuove credenze, e dunque un nuovo popolo. E quell’arcano, difatti, sarebbe stato usato per legittimare la nascita dell’Ahnenerbe, le ricerche esoteriche di Otto Rahn e le adunate orfiche delle SS nel castello di Wewelsburg.

I fatti, anche se è poco noto, avrebbero dato ragione a Hitler. Perché l’internazionale dell’occulto, nel dietro le quinte del palcoscenico mondiale, avrebbe lavorato duramente affinché la causa nazista superasse la prova del fuoco, cioè la seconda guerra mondiale, riscrivendo l’Uomo e il Mondo ad immagine e somiglianza di quelle teorie metafisiche e mefistofeliche propagate dalla scuola esoterica inglese, dall’ariosofia e dalla teosofia. Per quella causa, infatti, avrebbero lottato il negromante più famoso del Novecento, Aleister Crowley, e il gerarca nazista Rudolf Hess, che partì alla volta della Scozia (anche) per convincere la massoneria britannica a facilitare la fine delle ostilità tra Londra e Berlino.

domenica 23 aprile 2023

Inquisitori e negromanti nella Sicilia «magica»

tratto da "Il Giornale del 3 Aprile 2022

Venivano chiamate così in Sicilia le donne che partecipavano ai Sabba per invocare il demonio. In realtà nell’isola erano diffuse antiche tradizioni magiche soprattutto curative e legate a erboristeria e alchimia.

Matteo Sacchi

Anno del Signore 1598, Margherita La Beita viene denunciata al Sant'Uffizio siciliano. I delatori sostengono di averla trovata, sola, in un giorno di tempesta, in riva al mare, mentre faceva una figura con alghe e immondizie portate a riva dalle onde. Avvicinatisi - curiosità, malizia, una vera caccia alla strega? Non lo sapremo mai - vedono che la donna ha un involto che contiene un'arancia piena di spine e con un chiodo in mezzo. Ma non solo: nel suo armamentario ci sono un coltello, una calamita, un pezzo di membrana amniotica di un neonato con delle scritte misteriose... A cosa servono le sue portentose masserizie magiche? A cercare tesori ed altro ancora. Il 22 di novembre del medesimo anno è condannata alla gogna e poi bandita da Palermo. Ad altri «stregoni» o eretici finiti in mano al Sant'Uffizio dell'Isola va ben peggio, il rogo è un esito minoritario ma non improbabile. Eppure le carte del terribile tribunale che la Monarchia spagnola lottò duramente per imporre alla Sicilia, adusa a rivendicare la sua autonomia, si sono trasformate in un vero tesoro per gli studiosi. Occhiuti, dotati di informatori e di appoggi potenti, gli inquisitori hanno raccolto, con metodi e scopi che oggi ci appaiono aberranti, una messe di materiale enorme che svela una cultura antichissima e tradizionale che nessuna altra fonte potrebbe svelare così bene.

Per rendersene conto niente di meglio di quella che è probabilmente l'opera più importante di Maria Sofia Messana (1948-2011): Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), appena ripubblicata per i tipi di Sellerio (pagg. 856, euro 24). La storica dell'Università di Palermo ha esaminato una mole di documenti enorme che le ha consentito di ricostruire una storia «magica» fatta di credenze antichissime che sono sopravvissute attraverso il Medioevo sino ad approdare all'Età Moderna. Ne esce una narrazione che svela un mondo parallelo su cui il conformismo religioso nato dal Concilio di Trento stenta a prendere il controllo. Si passa dai guaritori muniti di libri segreti, dalle tradizioni pagane rivisitate dagli stessi religiosi alle donne di fora, così dette perché si credeva che vagassero di notte in spirito recandosi ai sabba. Come? Grazie a certi unguenti che probabilmente contenevano sostanze psicotrope. Confessa una certa Antonia Pallalonga, processata nel 1600: «que se untase con cierto unguento... y evoco los demonios». A volte però si trattava di semplici medicamenti tradizionali e il Sant'Uffizio ebbe i suoi problemi quando si trovò a processare monache che li usavano non vedendoci nulla di male.

Abbastanza perché in molti casi i potenti della corte di Palermo si spaccassero in due. Non era solo questione di fede o di stregoneria, i processi erano questione di potere e gli stessi governatori spagnoli poco amavano l'autonomia del Sant'Uffizio. Così il saggio ci mostra consorterie contrapposte, enti religiosi, credulità popolari e credulità colte, divinazioni fatte leggendo fave che galleggiano nell'acqua e dotte discussioni in punta di diritto canonico. Il tutto con un impianto scientifico rigoroso, a tratti da storia quantitativa, ma dove la penna di Messana è sempre capace di unire il dato alla narrazione avvincente. Una Sicilia magica, che nemmeno gli autodafé seppero stroncare, raccontata magistralmente.



venerdì 31 marzo 2023

Nell'eclissi degli intellettuali chi brillò fu Elémire Zolla

tratto da "Il Giornale" del 26 Maggio 2022 

Un "conoscitore di segreti": così Grazia Marchianò racconta il grande orientalista, a vent'anni dalla morte

Luigi Mascheroni

Il puro conoscitore - diceva Elémire Zolla - «Si limita a sapere o a non sapere o a sapere dubitando», senza nutrire illusioni, senza ombra di fede.

Conoscitore puro, senza steccati mentali di fronte ai più vari campi del sapere, uomo senza ombre di fede e nessuna illusione, Elémire Zolla (1926-2002) è stato uno dei pensatori più grandi del nostro secondo Novecento: filosofo e storico delle religioni, studioso di dottrine esoteriche, frequentatore della mistica occidentale e orientale, indagatore delle sfere più segrete della spiritualità umana.

Torinese, ma di madrelingua inglese, poliglotta e poligrafo - parlava francese, italiano, tedesco, e studiò spagnolo, portoghese, russo... e scrisse moltissimo, tutta la vita era laureato in Giurisprudenza, quando già si interessava di Medicina legale e Psichiatria forense, poi fu critico letterario, romanziere (Minuetto all'inferno dopo alcune esitazioni della casa editrice Einaudi uscì nella collana «I Gettoni» con risvolto di Elio Vittorini e vinse il premio Strega Opera prima nel '57), ebbe una carriera accademica durata 40 anni, come docente di Letteratura anglo-americana, fra le Università di Catania, Genova e La Sapienza di Roma. Viaggiò moltissimo: in Birmania, Corea, India, Indonesia e Bali, Hawaii, Giappone, Iran, Israele, Taiwan, gli Stati Uniti degli indiani d'America... Scrittura elegante e erudizione sterminata, fu grande uomo di editoria: lavorando con la casa editrice Borla e con Alfredo Cattabiani alla Rusconi portò l'attenzione in Italia su autori come Carlos Castaneda, Ananda Coomaraswamy e J.R.R. Tolkien (è sua la prefazione alla prima edizione italiana del Signore degli anelli), o come Marius Schneider, Pavel Florenskij, Simone Weil, Eric Voegelin, tutti spiriti totalmente estranei all'egemonia culturale dei tempi. Fondò la rivista trimestrale Conoscenza religiosa: 67 fascicoli, molti monografici, dal 1968 all'83, una miniera di sapienza diffusa in tutte le discipline umanistiche del mondo. E fu firma nobile della Terza pagina del Corriere della sera dal 1958 al 2000. Ciò significa che non fu un intellettuale isolato, anzi. Di certo però non fu mai davvero compreso, almeno in Italia, rispetto ad altri Paesi nel mondo.

Chi lo conosce meglio, a fondo, è Grazia Marchianò, l'ultima moglie (Zolla fu sposato con Maria Luisa Spaziani, poi a lungo legato con Cristina Campo), anche lei orientalista e già ordinaria di Estetica all'Università di Siena. Conobbe Zolla nel '70, quando lui era segretario dell'Istituto Accademico di Roma, con lui percorse il tratto di strada più importante delle loro vite e dopo la morte di Elémire ha continuato a curarne la memoria con la pubblicazione di tutte le opere per Marsilio: «Io scelsi subito Cesare De Michelis, un italianista che aveva la stessa ampiezza di vedute di Zolla, poi però si dovette superare un piccolo dissidio con Roberto Calasso, che rivendicava il diritto sui suoi scritti...». Oggi, a venti anni dalla morte del marito, Grazia Marchianò organizza un convegno internazionale su «Il conoscitore di segreti: il lascito intellettuale di Elémire Zolla» all'Accademia Vivarium Novum di Villa Falconieri, a Frascati, donando alla stessa Accademia la grande biblioteca del marito, 300 casse trasportate qui dalla loro casa di Montepulciano con 9mila volumi divisi in sezioni disciplinari da capogiro: Simbologia, Letterature antiche e moderne, Etnologia, Antropologia, Sciamanesimo, Scienze religiose, Alchimia, Astrologia, Esoterismo... Più l'intera collezione oggi rarissima - della rivista Conoscenza religiosa e l'archivio privato: un centinaio di faldoni con quaderni autografi, fotografie, appunti preparatori per i libri e gli articoli giornalistici, ma purtroppo poche lettere («Aveva la strana idea che, una volta lette, non dovesse essere conservate»... e chissà cosa ci siamo persi).

Conoscitore di segreti, raccoglitore di scintille, maestro sì ma scomodo ancora un anno fa Piergiorgio Odifreddi, nel coccodrillo di Roberto Calasso, non ha risparmiato dure critiche a Zolla e a una certa deriva «antiscientifica» di Adelphi intellettuale a sé che intravide l'Eclisse dell'intellettuale... Chi fu davvero Elémire Zolla?

domenica 19 marzo 2023

Mistero Peter Kolosimo, il creatore di mondi

tratto da "Il Giornale" del 10 Dicembre 2022

Un romanzo, una raccolta di saggi e un convegno ricordano il padre della fantarcheologia italiana. Fra Ufo, miti, scienza

Luigi Mascheroni

Per coloro i quali «l'Uomo di Palenque» veniva davvero dallo spazio, Peter Kolosimo è un amico. Per tutti gli altri, un mistero.

Mistero Peter Kolosimo.

Pioniere dei viaggi stellari a bordo della navicella Fantasia, giornalista e divulgatore che osò andare Oltre il cielo che è il titolo della celebre rivista di astronautica e fantascienza dove debuttò come firma e sorta di Doctor Who che più velocemente di tanti altri seppe viaggiare nello spazio e nel tempo tra fascinazione, scienza, fantascienza e pseudoscienza, Peter Kolosimo, che poi era italianissimo, si chiamava Pier Domenico Colosimo (1922-84) anche se a un certo punto sostituì la «C» del cognome con una «K» arcana, è stato colui che tra gli anni Sessanta e Settanta, epoca d'oro di enigmi e segreti, diffuse a livello di massa la fantarcheologia (o, se preferite, la paleoastronautica o teoria del paleocontatto). Stiamo parlando, ma a bassa voce, perché la rivelazione non è per tutti, degli «antichi astronauti». La domanda, alla quale non si può opporre un Sì, ma neanche un No, è: esiste la possibilità che nei millenni passati entità extraterrestri abbiano raggiunto il nostro pianeta consegnando agli uomini conoscenze tecnologiche segrete, lasciando traccie nascoste del loro passaggio? Risposte: il mito di Atlantide, la Stele di Palenque, la Pila di Baghdad, i geroglifici dell'Altipiano di Nazca, la Carta di Piri Re'is, i manufatti Maya, le conoscenze astronomiche dei Dogon, gli Ufo, il triangolo delle Bermude, la Grande Piramide... E poi, come si spiega quel teschio di bisonte, conservato al Museo di Paleontologia di Mosca, risalente a un periodo compreso fra i 30 e i 70mila anni fa, con un foro rotondo come quello di un proiettile? Chi poteva a quel tempo sparare a un animale se non qualcuno proveniente da un altro mondo?

Ecco. Peter Kolosimo su quel mondo «altro» aprì una finestra, trent'anni prima di Stargate, quando, nell'anno 8000 a.C. un'astronave piramidale atterrò nelle vicinanze di accampamento di cavernicoli... Un raggio luminoso sull'alba dell'uomo. Storie di antichi astronauti, di continenti scomparsi e di futuri passati.

Peter Kolosimo, nato per sbaglio a Modena da un ufficiale dei carabinieri calabrese e una madre statunitense, una giovinezza passata a Bolzano, tre lingue (italiano, tedesco, inglese) e una laurea in Filologia germanica all'Università di Lipsia (di cui però non abbiamo alcuna documentazione...), si arruolò durante la Seconda guerra mondiale, in quanto altoatesino, nella Wehrmacht ma già qui la biografia stinge nella leggenda e nella re-interpretazione della Verità... - da cui però disertò divenendo partigiano in Boemia, per poi aderire al comunismo di stampo marxista-leninista... E poi il giornalismo, e poi la direzione della stazione di Radio Capodistria, e poi centinaia di articoli con decine di pseudonimi, e la seconda vita nella Torino magica ed esoterica degli anni Sessanta e Settanta, e poi libri di straordinario successo, la fondazione nel 1972 del mensile Pi Kappa, che sono le iniziali di Peter e Kolosimo... La vita come un fantaromanzo. Qualcuno ha fatto notare che la sua biografia non è meno misteriosa dei tanti ambiti di ricerca da lui indagati.

Dosando sapientemente dati veri, dubbi o falsi, tra saggio, affabulazione e letteratura fantastica, grazie a una scrittura ammaliante e una potente capacità di immaginare e di narrare, Peter Kolosimo tanto infastidito da note bibliografie quanto ipnotizzato da teorie eretiche ha saputo costruire, con la perfezione degli antichi architetti, un nuovo immaginario che collega le incisioni rupestri sul Monte Musinè al continente perduto di Mu, la parapsicologia all'esobiologia, le iscrizioni etrusche alle statue dell'Isola di Pasqua, le sfere di pietra della Costa Rica ai monili precolombiani, i misteriosi «jet d'oro» a forma di aerei a reazione, esempio perfetto di «oggetti fuori dal tempo», come il meccanismo di Antikythera, la prova (provata?) dell'esistenza degli antichi viaggiatori interspaziali. E se i carri di fuoco del mito e della Bibbia fossero state astronavi?

Del resto, quelli erano anni dell'immaginazione al potere... Erano gli anni in cui Peter Kolosimo scriveva libri dai titoli immaginifici soprattutto per la mai abbastanza ringraziata casa editrice Sugar come Terra senza tempo, Ombre sulle stelle, Astronavi sulla preistoria, Fratelli dell'infinito, Italia mistero cosmico... Erano gli anni in cui, accadde nel 1969, Kolosimo vinse addirittura il Premio Bancarella con il super bestseller Non è terrestre, anni in cui le sue opere erano tradotte in 60 Paesi (!), dalla Russia alla Cina, ed era uno degli scrittori italiani più conosciuti al mondo.

Poi tutto ciò tramontò. Morto nel 1984 a Milano, pur sopravvivendo, svenduto a poche lire, tra Remainders e bouquiniste, Peter Kolosino è scomparso dall'editoria, dai giornali, dalle trasmissioni tv. Polvere fra le stelle.

Ma a volte, e non solo gli antichi visitatori, ritornano. E così nel centenario della nascita, Pier Domenico in arte Kolosimo è di nuovo fra noi. I Wu Ming, affascinati da un marxista leninista con la passione per l'archeologia misteriosa e le civiltà extraterrestri, ne fanno uno dei personaggi del nuovo romanzo UFO 78 (Einaudi); Bolzano gli dedica un convegno di studi all'Eurac convention center proprio nel giorno della nascita, il 15 dicembre (partecipano anche la moglie, Caterina Kolosimo, giornalista e scrittrice, e la figlia Alessandra, studiosa e ricercatrice); mentre un gruppo di accademici, coordinati da Fabio Camilletti, lo omaggia con un Almanacco della fantarcheologia (Odoya) che prova a mettere ordine nella sua biografia, indaga l'originalità della sua saggistica confrontandola con quella dei suoi maestri ed epigoni, da Von Däniken a Jacques Bergier e riflette, senza nostalgia, sull'eterna fascinazione per le meraviglie del possibile e i mondi «altri» che Peter Kolosimo seppe raccontarci meglio di chiunque. Anche se forse, ma proprio per questo, non sono mai esistiti.


domenica 26 febbraio 2023

Gli Ufo e la fine di un'epoca

 tratto da: https://it.insideover.com/societa/gli-ufo-e-la-fine-di-unepoca.html

del 20 SETTEMBRE 2021

di Luca Gallesi

Più o meno ogni vent’anni, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, appaiono sulla grande stampa di tutto il mondo notizie di avvistamenti di “oggetti volanti non identificati” (in inglese Ufo, Unidentified Flying Objects, oppure Uap, Unidentified Aerial Phenomenon), che suscitano nella gente curiosità e meraviglia mischiate a paura e inquietudine. L’ultima, rilevante ondata di segnalazioni risale proprio ai mesi scorsi, quando, oltre ai numerosi avvistamenti in varie parti del globo, alcuni Ufo sono stati immortalati addirittura dalla Nasa, che avrebbe ripreso in diretta dalla Stazione spaziale internazionale “una navicella con quattro luci disposte in forma triangolare” di provenienza sconosciuta.

A creare ulteriori aspettative sulla possibile esistenza di vita extraterrestre si è aggiunta la divulgazione del rapporto del Pentagono sugli avvistamenti di Uap effettuati dalle Forze armate statunitensi, il cui annuncio aveva creato tra gli appassionati di ufologia molte aspettative, per lo più andate deluse. La task force ufficialmente incaricata di indagare sugli Ufo, denominata Uaptf, ha trasmesso, lo scorso giugno, al Senato Usa una relazione dove sono elencati ben 144 casi di misteriosi avvistamenti segnalati, negli ultimi 15 anni, dai piloti o dalle strumentazioni militari.

Ovviamente, non c’è nessuna prova definitiva che tali fenomeni abbiano origine extra-terrestre, ma nemmeno si può altrettanto sicuramente negarne la possibilità, lasciando, ancora una volta, in dubbio l’esistenza di forme di vita aliena, argomento diventato popolare soprattutto a partire dal secondo dopoguerra.

Era il 1947, infatti, quando due fatti straordinari suscitarono l’interesse dell’opinione pubblica mondiale verso quelli che, da allora, furono popolarmente chiamati “dischi volanti”: il pilota Kenneth Arnold, in volo il 24 giugno con il suo aereo personale vicino al Monte Rainier, nello stato di Washington, dichiarò di aver incontrato nove oggetti sconosciuti, simili a piatti o dischi (flying saucers). Interrogato a lungo dall’Aviazione militare, risultò essere assolutamente sincero, come confermano le conclusioni del rapporto ufficiale, stilato il 12 luglio dal Tenente F. Brown e dal Capitano W. Davidson: “È opinione dell’interrogatore che Kenneth Arnold ha realmente visto ciò che sostiene di aver visto. È difficile credere che un uomo con (il suo) carattere e l’evidente integrità possa affermare di vedere delle cose e di scrivere il rapporto che ha scritto, se non li avesse visti”.

Un paio di giorni dopo, invece, ci fu il celebre, o famigerato, secondo i punti di vista, episodio di Roswell, nel New Mexico, dove si disse che era precipitato un disco volante, addirittura con due alieni a bordo. Il fatto era avvenuto vicino alla più grande base militare dell’Usaf, una zona top secret anche per via del poligono nucleare molto attivo in quegli anni. Il relitto caduto venne sequestrato dai militari, e cominciarono a trapelare le più strane versioni dei fatti, fino a dichiarare che si trattava di un pallone sonda.

Non è il caso, qui, di ricostruire tutti gli strascichi di quella strana e contorta vicenda, con l’annesso filmato – visionabile in Rete – della presunta autopsia degli improbabili “extraterrestri”, e l’inchiesta ufficiale che, soltanto nel 1980, svelò tutte le contraddizioni e falsità della versione autorizzata. Basti ricordare che, dopo quell’anno, ci fu un moltiplicarsi di avvistamenti fino alla metà degli anni Cinquanta, tanto che, delle “cose volanti che si vedono in cielo”, si occupò anche, in una delle sue ultime opere, Carl Gustav Jung (1875-1961).

Era il 1958 quando uscì il saggio Un mito moderno. Le cose che di vedono in cielo, dove il padre della psicologia analitica analizzò i dischi volanti con una motivazione che suona sconcertante: afferma, infatti, nell’introduzione, che l’impulso che lo aveva spinto a scrivere scaturiva “dalla mia coscienza di medico, che mi consiglia di compiere il mio dovere, preavvisando quei pochi dai quali mi posso far intendere che l’umanità si trova alla soglia di avvenimenti che corrispondono alla fine di un eone”. E, per lanciare quello che lui stesso riteneva “un grido di allarme”, è disposto a muoversi nel “territorio infido assai prossimo alle nebulose fantasie che oscurano la mente di astrologi e riformatori dell’universo” e così “mettere in gioco la mia reputazione, faticosamente conquistata, di uomo veritiero, degno di fede e capace di giudicare in modo rigorosamente scientifico”. Curioso, come lo era stato tutta la vita, di qualsiasi cosa sembrasse strana o meravigliosa, Jung si era interessato agli Ufo dagli anni Quaranta, quando aveva cominciato a leggere e raccogliere tutto quello che trovava sull’argomento, giungendo alla conclusione che, per quanto sia impossibile sapere cosa siano i dischi volanti, non possiamo negarne l’esistenza. Per questo motivo, lo studioso del profondo cercò di interpretare quello che riteneva un importantissimo simbolo, utile a diagnosticare una grave frammentazione nell’animo dell’umanità. Gli Ufo sarebbero, dunque, una oggettivazione delle paure e delle speranze che animano l’inconscio dell’uomo, che, secondo lo psichiatra svizzero, cerca inconsciamente, in ogni luogo e in tutte le epoche, un equilibrio tra la dimensione fisica e la sfera psichica, tentativo di riconciliazione che si riflette nell’universo, che ci invia i segnali utili a ristabilire l’ordine infranto.

Il problema, quindi, non è sapere se gli oggetti volanti non identificati siano o meno l’annuncio del prossimo arrivo di esseri extraterrestri, bensì rendersi conto che essi sono un segnale di allarme per l’umanità, che si trova sull’orlo di una crisi gravissima, causata, sempre secondo Jung, dal contrasto insanabile tra le mirabolanti scoperte della tecnica e il concomitante inaridimento dell’animo umano.



mercoledì 22 febbraio 2023

La civiltà è sulle spalle dei Giganti di Mont'e Prama

tratto da "Il Giornale" del 31 luglio 2022

Dal sito "sacro" continuano a emergere statue. E a Cabras è pronto il museo che le accoglierà tutte

Luigi Mascheroni


Cabras (Oristano). La storia che raccontano i Giganti di Mont'e Prama è lunga tremila anni, dal IX secolo a.C., quando furono scolpiti ed eretti lungo la strada che corre verso lo Stagno di Cabras, fino a oggi, orgoglio della Sardegna, custodi di pietra di un passato ancestrale, eroico, misterioso. Furono scoperti, nella primavera del 1974, da due contadini, quando il loro aratro incocciò una pietra levigata che sembrava un volto. Poi ne trovarono un'altra, e un'altra ancora... Ci vollero anni per capire cosa fossero quei frammenti, di chi erano quei volti. Ma si intuì subito che si trattava della più grande scoperta archeologica d'epoca recente nell'area del Mediterraneo.

Penisola del Sinis, Sardegna centro-occidentale, attorno al grande stagno di Cabras. Oggi la terra è cotta dal sole, il caldo dell'estate è torrido, i centri abitati rari, isolati. Nel I millennio a.C. era una terra pianeggiate, fertile e per quei tempi ricca: per la caccia, la pesca, le insenature, il golfo, l'acqua dolce, la posizione felice per i commerci, le risorse minerarie. Il Sinis, a nord, è chiuso dai Montiferru. È qui, dove la presenza di uomini civilizzati è attestata da almeno settemila anni, che ai piedi della bassa collina - poco più di 50 metri sul livello del mare nel corso del IX secolo a.C. alcune comunità tardo nuragiche cominciano a seppellire i loro morti in tombe a pozzetto, coperte da cumuli di pietra, e poi, col passare del tempo, crescendo la potenza e la ricchezza di una società sorprendentemente avanzata e complessa, decidono di scolpire grandi statue nell'arenaria, in blocchi estratti da cave distanti qualche chilometro da qui, per arricchire la parte più nobile della necropoli, probabilmente riservata all'élite guerriera e sacerdotale. Eccoli, i Giganti di Mont'e Prama. Non si sa chi siano esattamente (antenati? eroi mitici delle leggende nuragiche?) ma di certo il loro compito era sorvegliare, silenziosi e imponenti, le tombe disposte sulla via sacra che scendeva verso lo stagno. Finora, dal '74 a oggi (due nuovi ritrovamenti sono stati fatti a maggio, due mesi fa) dal terreno, a trenta centimetri circa di profondità, sono emersi 5.178 frammenti che hanno permesso di ricostruire, parzialmente, 32 grandi statue, alte fra il metro e 85 e i due metri e 15 centimetri, collocate su basamenti di pietra e che avevano, in origine, anche elmi con corna animali molto lunghe, quindi di molto superiori all'altezza media degli uomini dell'epoca, e raffiguranti almeno tre diversi «tipi» di uomini: i guerrieri, i pugilatori e gli arcieri. Le statue, che non hanno altri paragoni con la storia dell'arte occidentale, sono bianche e lisce, ma non è escluso che in origine avessero uno strato di colore, e di certo portavano, in pugno e sulla schiena, lance e spade di ferro. Se oggi gli studiosi sono concordi nel ritenere che la funzione dei Giganti fosse quella di segnare dal punto di vista monumentale un luogo sacro, resta da capire quali popolazioni, in quale epoca - forse prima dell'arrivo dei punici - e per quale ragione abbatterono le statue, distruggendole. La caduta dei Giganti fu provocata da una «guerra civile»? O da invasori? O da cause naturali (che però non spiegherebbero la frammentazione)?

«Sos gigantes de Monti Prama», si dice in sardo. A oggi le statue ricostruite sono 28, più altre quattro da ricomporre, ma chissà quante altre giacciono nascoste sottoterra: la campagna di scavi continua e sarà ancora lunga. Venti sono al Museo archeologico di Cagliari, una è itinerante per una mostra, una in restauro e sei sono qui, al Museo di Cabras, centro nevralgico del Sinis, a pochi chilometri in linea d'aria, al di là dello stagno, dall'area dei ritrovamenti, destinata a breve a diventare Parco archeologico protetto. Eccoli qui i sei giganti di Cabras, allineati uno accanto all'altro nell'ultima sala del percorso di visita: l'allestimento è semplice, per nulla scenografico, ma l'effetto è potente. Vederli a pochi centimetri, accorgersi delle lunghe trecce che scendono sul busto, distinguere le decorazioni dei gambali, fissare i grandi occhi rotondi a doppio cerchiello che ricordano il robot di Guerre stellari C-3PO, notare i dettagli delle stole... - ci indica tutto l'archeologa Nicoletta Camedda che ci accompagna nella visita - è qualcosa di incomparabile, e di magico. Qui, nei depositi del museo, ci sono anche le due statue disseppellite da poco.

Ma presto tutti i Giganti - questi di Cabras, quelli di Cagliari e quelli in restauro - saranno radunati in un unico luogo, nella nuova ala del museo, qui accanto. È un lungo parallelepipedo orizzontale affacciato sullo stagno: sugli ampi pannelli esterni si vedono già delle meravigliose decorazioni che citano le sculture di sabbia del grande artista sardo Costantino Nivola, e all'interno è suddiviso in due grandi sale in cui sarà ricostruita la necropoli di Mont'e Prama. «L'ala del museo sarà terminata entro l'anno e l'apertura con il nuovo allestimento è prevista per la primavera 2023, e a quel punto, una volta trasformato il sito degli scavi in Parco archeologico, invece di arrivarci con i pullman o in auto - ora ci vuole un quarto d'ora circa - si potrà raggiungerlo direttamente dal museo attraverso lo stagno con un battello elettrico», spiega Anthony Muroni, nato in Australia ma sardo di origine, presidente della Fondazione Mont'e Prama costituita dal ministero per i Beni culturali un anno fa per valorizzare l'immenso patrimonio del sito archeologico. «Stiamo organizzando un tour europeo dei Giganti a Parigi, Barcellona e Londra; e poi negli Stati Uniti nel 2023-24, sulle due coste, a New York e San Francisco. E poi nel 2025 l'obiettivo è il gemellaggio tra i Giganti di Mont'e Prama e i guerrieri di Xi'an, in Cina, con due grandi esposizioni parallele. C'è un filo rosso che lega le grandi statue del Sinis all'Esercito di terracotta cinese: sono entrambi testimoni di due straordinarie civiltà del passato e sono stati scoperti nello stesso anno, il 1974». Da allora sono passati quasi cinquant'anni. Per molto tempo di loro non si sapeva nulla. Oggi i Giganti, pronti a entrare in una nuova casa, sono diventati quasi gente di famiglia, per i sardi. 

giovedì 12 gennaio 2023

Un uomo provò a "sfidare" Dio: ecco cosa sappiamo su Babele

tratto da "Il Giornale" del 21 Marzo 2021 

Quello della torre di Babele e del sovrano della città punita da Dio, Nimrod, è un mito senza tempo. Che grazie alla casa editrice "L'Ippocampo" rivive in forma di graphic novel

Andrea Muratore

Un sovrano, la sua città, un monumento all’ambizione umana, una punizione divina. Il topos che unisce questi elementi è comune a molti miti e leggende dell’antichità, che hanno nella storia biblica della Torre di Babele il loro esempio classico.

Babele, che nella Bibbia non è altro che la mitica Babilonia, è al centro di un racconto narrato nell’undicesimo libro della Genesi: “Tutta la terra”, narrano le Scritture, aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Contravvenendo così all’imperativo ordine di Dio, che cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre aveva imposto a loro e ai successori di disperdersi per il mondo.

Nella città, Babele, gli uomini tentarono di ergersi al livello di Dio, con un vero e proprio “assalto al Cielo” la cui materializzazione fu l’edificazione della mitica Torre di Babele, che provocò la risposta diretta del creatore: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”. Dio divise i popoli, le lingue, le culture per punire la hybris, la tracotanza di una stirpe che aveva osato sfidare i suoi imperativi. La Genesi non fa riferimenti diretti al nome dell’uomo che guidò l’impresa, ma nel Talmud babilonese, il nome di uno dei figli di Cam, e dunque membro della stirpe di Noè, chiamato Nimrod è così commentato: "Perché, allora, fu chiamato Nimrod? Perché istigò il mondo intero a ribellarsi (himrid) alla Sua sovranità [di Dio]".

La Genesi, nel capitolo 10, cita Babele tra le città interne al regno di Nimrod. E per questo la tradizione ha associato la sua figura a quella della mitica città che osò sfidare Dio. Un racconto vivo nella memoria collettiva della civiltà plasmata dalla cultura ebraica e cristiana che, recentemente, è stato riproposto anche in forma grafica: Re e Regine di Babele è il titolo di un recente album illustrato realizzato da François Place per la casa editrice “L’Ippocampo” che si apre proprio col riferimento alla figura di Nimrod.

Nimrod, scrive Place, nella storia a tavole guida i suoi seguaci in un bosco all’inseguimento di un cervo bianco e, giunto su una scogliera a picco sul mare, la usa come bastione attorno a cui edificare una torre e, incardinata sulle sue rocce, una città. Quella torre e quella città altro non sono che la mitica Babele, e il racconto prosegue con le nozze di Nimrod con una principessa, Zelia, e la nascita di una dinastia di sovrani che avrebbero governato a lungo la città. Immersi in un’atmosfera fuori dal tempo, con guerrieri, stendardi e cinte murarie che richiamano la foggia medievale sulla scia del racconto di stampo biblico. Profonda fascinazione del mitico “C’era una volta” che proietta fuori dal tempo e dallo spazio le storie, creando il mito. Un mito che, quando si parla di Babele, inevitabilmente attrae. Forse perché nato alle sorgenti della civiltà, da cui sono iniziati a scorrere fiumi giunti, carsicamente, fino ai giorni nostri, attraverso la creazione di una comune costellazione di riferimenti culturali, valoriali, religiosi, un’accumulazione di archetipi e punti di riferimento. Forse perché prova a dare una risposta al mistero profondo della diversità tra popoli e stirpi.


giovedì 29 dicembre 2022

I libri più belli? Naturalmente quelli che non esistono

tratto da "Il Giornale" del 16 Marzo 2021

Gli pseudobiblia hanno una qualità unica. Essendo libri citati come veri in altre opere letterarie, o cataloghi o Indici, ma del tutto immaginari, sono facilissimi da leggere

di Luigi Mascheroni

Gli pseudobiblia hanno una qualità unica. Essendo libri citati come veri in altre opere letterarie, o cataloghi o Indici, ma del tutto immaginari, sono facilissimi da leggere. Non esistendo.

Strano. Gli pseudolibri sono libri mai scritti, che esistono solo come titolo, magari con degli estratti, di cui si parla in qualche romanzo, soprattutto di fantascienza o dell'orrore. Eppure su di loro si conta ormai una lunga letteratura, la cui consistenza è inversamente proporzionale alla sostanza dei titoli in oggetto. Che non hanno pagine. Libri fantasma. Esempio colto: gli immaginifici pseudobiblion recensiti in Finzioni di Jorge Luis Borges. Esempio popolare: nel primo film della saga di Fantozzi, il protagonista corre alla stazione per riportare un giallo alla figlia di un azionista dell'Azienda dal titolo Hanno ucciso un caro ometto, volume che ovviamente nessuno ha mai scritto.

Il primo a parlarne scientificamente fu Lyon Sprague de Camp in un articolo ormai leggendario, e che forse neppure esiste: The Unwritten Classics (ovvero I classici mai scritti), uscito su The Saturday Review of Literature nel 1947. Poi la materia è stata ripresa, approfondita, ampliata, e così gli pseudolibri di per sé libri che esistono solo in altri libri - alla fine si sono imparentati con altre categorie di libri: quelli esistiti e andati distrutti; libri apocrifi; libri che esistono ma è come se non esistessero perché rarissimi o irreperibili ma diventati di culto. La lista è lunga, e va dal manoscritto anonimo che secondo Alessandro Manzoni raccontò per primo la storia di Renzo e Lucia al manoscritto di cui Il nome della rosa è un'Eco, fino alla raccolta di racconti Three Early Stories di J. D. Salinger, pubblicata postuma nel 2014: tradotto in Italia l'anno dopo dal Saggiatore come I giovani, il libro fu contestato dagli eredi di Salinger, ritirato dalla vendita, mandato al macero e poi resuscitato da Simone Berni che si è autopubblicato una serie di parodie libri fisici con pagine bianche, sigla il Sabbiatore, autore lo stesso Salinger - tipo I bambini, Gli adolescenti, Gli adulti...

Colti giochi letterari, pastiche, divertissement bibliofili... Sull'argomento un ottimo manuale di partenza (a proposito: il Manuale delle Giovani Marmotte è uno pseudolibro dell'universo immaginario della Disney, ideato nel 1954 da Carl Barks, ma che nel '69 la Mondadori pubblicò per davvero) è il libricino dei superesperti Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco Pseudobiblia (appena uscito da Bietti) che riprende un vecchio saggio apparso in appendice ai I libri maledetti di Jacques Bergier (Mediterranee, 1972). Bene. Qui dentro troverete tutto quello che c'è sui libri che non ci sono, dal troppo celebre Necronomicon di H.P. Lovecraft al maledetto Libro di Thoth, dalle Stanze di Dzyan al terribile Il Re Giallo di cui ha osato parlare apertamente R. W. Chambers nel 1895, ma la cui lettura - ammesso che si possa leggere un libro inesistente - dicono renda pazzi.

mercoledì 21 dicembre 2022

Alla scoperta di Stonehenge: quando andare e cosa vedere

tratto da "Il Giornale" del 16 Settembre 2021

Stonehenge è un complesso megalitico dal grande fascino, visitato soprattutto durante equinozi e solstizi: tutti i consigli su quando andare e cosa vedere

di Angela Leucci


Stonehenge è forse il complesso megalitico più affascinante al mondo. Tale fascino deriva sia dal fatto che costituisce una testimonianza preistorica antichissima, sia dal mistero che avvolge quest’opera dell’uomo, tutt'oggi ammantata di leggende.

Si ritiene infatti che il suo scopo fosse quello di costituire un osservatorio astronomico. Tuttavia, nel tempo, alcune pietre sono cadute e state ricollocate: pochi monoliti sono quindi nella collocazione originaria, sebbene siano stati spesi impegni ed energia per decenni a cavallo tra ‘800 e ‘900, al fine di restituire una verità storica, artistica e scientifica al luogo. Ma molti interrogativi restano aperti ancora oggi.

Il luogo in ogni caso è una delle mete preferite degli over 60: Stonehenge viene vista e studiata a scuola, visitata attraverso i tour virtuali, ma è tutto un altro paio di maniche essere lì, soprattutto in determinati periodi dell’anno. Come in occasione dell'equinozio d'autunno o, ancora, del solstizio d'estate.

Cos’è il complesso di Stonehenge

Stonehenge è definito un cromlech, ossia un complesso costituito da menhir e triliti disposti in circolo. È stato menzionato per la prima volta dallo scrittore Diodoro Siculo nel I secolo a.C. ed è ritenuto opera dei druidi - anche se leggenda vuole che sia stato Re Artù a ordinare ai giganti di portare il complesso litico nel luogo attuale. Le ipotesi più accreditate dagli studiosi indicano che il complesso risale all’età del bronzo e fosse utilizzato per rituali pagani.

Cosa vedere a Stonehenge

Naturalmente la ragione principale che porta i visitatori a Stonehenge è il cromlech. Va però sottolineato come il complesso megalitico sia recintato, quindi durante le visite guidate il punto più vicino alle pietre che si può raggiungere è situato a 10 metri dalla struttura. Sono ammesse però delle visite speciali, al di fuori dell’orario delle visite guidate e quindi all’alba e al tramonto: si può restare sul luogo, camminando tra le pietre per un’ora, in gruppi di 26 persone per volta.

Nei dintorni del cromlech sono presenti delle case neolitiche, che sono per la verità delle ricostruzioni delle abitazioni un tempo occupate da chi costruì di fatto il cerchio di monoliti.

Inoltre nei pressi c’è un piccolo museo. Questa mini-esposizione contiene oltre 250 resti archeologici, come ceramiche, gioielli, strumenti da lavoro e resti umani. Visitando il museo si possono approfondire le varie teorie su Stonehenge, sulle persone che anticamente utilizzavano questo luogo e sul perché sia stato costruito.

Quando recarsi a Stonehenge

È meglio visitare il cromlech durante i mesi più caldi, quindi tra maggio e ottobre, perché la zona non gode sempre di bel tempo e quindi si rischia di rovinarsi la gita. Tuttavia, a ridosso di solstizi ed equinozi, si generano particolari giochi di luce durante le albe o i tramonti. Di conseguenza, partire a ridosso di questi fenomeni astonomici è sicuramente un'idea suggestiva per poter apprezzare al meglio il sito archeologico.

La data non è sempre la stessa ogni anno, sia perché il complesso megalitico ha subito delle modifiche, sia perché le date di solstizi ed equinozi cambiano ogni anno, dato che il calendario solare è una convenzione che non tiene conto dei tempi residui in termini di ore e minuti relativi ai movimenti dei pianeti intorno al Sole.

Consigli per visitare Stonehenge

Il cromlech si trova a 145 chilometri a ovest di Londra, nella contea del Wiltshire, nella pianura di Salisbury. La città più vicina è Amesbury e i collegamenti sono capillari, dato che si tratta di una meta davvero molto ambita.

Il luogo è esposto ai venti e alle intemperie, per cui si consiglia di vestirsi adeguatamente e portare ombrelli e impermeabili - previo controllo delle previsioni del tempo.


sabato 19 novembre 2022

Ufo, la Cia svela migliaia di dossier governativi

tratto da "Il Giornale" del 15 Gennaio 2021

Migliaia di file della Cia che documentano avvistamenti di Ufo, gli oggetti volanti non identificati, sono stati pubblicati questa settimana sul sito Black Vault

Di Roberto Vivaldelli


Migliaia di documenti declassificati della Cia sui cosiddetti Ufo - oggetti volanti non identificati - sono stati resi pubblici questa settimana e pubblicati nell'archivo online Black Vault, entrato in possesso del cd-rom degli 007 americani. Secondo la Cia, conterrebbe tutti i report di avvistamenti nel mondo dagli anni '50 fino agli anni duemila. Spulciando nei dossier governativi pubblicati su Black Vault, archivio online fondato da John Greenewald Jr, scrive il Guardian, si leggono di misteriose esplosioni in una città russa e reportage di prima mano di uno strano avvistamento di un oggetto volante vicino a Baku, la capitale dell'Azerbaigian, oltre ad avvistamenti di "dischi volanti" in Sudamerica negli anni '60 e in Corea del Sud. Greenewald ha spiegato a Motherboard che l'agenzia di intelligence ha messo insieme i documenti in un formato "obsoleto" che rende difficile analizzare la raccolta.

La pubblicazione dei documenti declassificati arriva proprio quando gli Ufo sembrano aver catturato l'attenzione dei legislatori del Congresso. Come ricorda l'Agi, a Washington sembrano aver preso molto sul serio la questione Ufo negli ultimi tempi, visto che a fine dicembre nel decreto "stimulus" è stato inserito anche un capitolo con cui la commissione Intelligence del Senato ha chiesto a Pentagono e dipartimento della Difesa di stilare un rapporto sugli avvistamenti di Ufo. Il documento andrà redatto entro sei mesi. Nell'agosto dello scorso anno, il dipartimento della difesa ha creato una task force sugli oggetti volanti misteriosi per "rilevare, analizzare e catalogare gli Uap - fenomeni aerei non identificati - che potrebbero potenzialmente rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti" dopo che i legislatori hanno fatto pressioni sul dipartimento per fare indagini più serie sugli avvistamenti.

Avevano destato scalpore, infatti, i video pubblicati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nell'aprile dello scorso anno che mostravano alcuni oggetti non identificati nello spazio aereo americano: immagini catturate durante i voli di addestramento dei piloti. L'ex senatore degli Stati Uniti Harry Reid, che indagava come deputato sugli Ufo e sugli Uap, ha ritwittato il video scrivendo: “Gli Stati Uniti devono dare uno sguardo serio e scientifico a questo e alle potenziali implicazioni per la sicurezza nazionale. Il popolo americano merita di essere informato". Sempre in tema Ufo, lo scorso dicembre, in un'intervista al quotidiano Yediot Aharonot, il generale in pensione Haim Eshed, capo del programma di sicurezza spaziale dello Stato ebraico dal 1981 al 2010, ha rivelato che il suo Paese sarebbe in contatto con gli alieni. Il professore, 87 anni, ha spiegato che "gli oggetti volanti non identificati hanno chiesto di non pubblicare che sono qui, l'umanità non è ancora pronta". L'ex funzionario ha anche affermato che gli alieni esistono, e Trump ne sarebbe a conoscenza.

sabato 29 ottobre 2022

Il lato oscuro del sapere classico

tratto da "il Giornale" del  29 settembre 2022

Premonizioni, interpretazione dei sogni e fantasmi al servizio degli dei

di Barbara Castiglioni

Nel sesto secolo a.C., il re della Lidia, Creso, aveva inviato dei messaggeri a sette oracoli, perché facessero nello stesso giorno e ad ognuno di loro l'identica domanda: «Cosa sta facendo oggi il re della Lidia?». Neanche i messaggeri conoscevano la risposta. Cinque degli oracoli fallirono la prova; il sesto sbagliò di poco, e fu molto apprezzato. Solo Delfi diede la risposta giusta: il re della Lidia stava cucinando; per l'esattezza, stava facendo bollire un agnello e una tartaruga in una pentola di rame. Questo è solo uno dei moltissimi aneddoti raccontati ed esaminati in Parapsicologia nel mondo antico da Eric Dodds, regius professor ad Oxford, studioso di Euripide e Platone e già autore de I Greci e l'irrazionale, il quale nel 1971 decide di pubblicare un fascinoso saggio sui fenomeni paranormali nell'antichità (Parapsicologia nel mondo antico, Mimesis, pagg. 200, euro 12, traduzione di Elio lo Cascio).

Dodds, che si definiva un «razionalista incurabile», riteneva Edgar Allan Poe il «responsabile» dei suoi interessi parapsicologici e sapeva bene che l'uomo è un bruto a cui la sofistica ha solo insegnato a giustificare, di fronte a sé stesso, la propria brutalità, e affiancava allo studio delle tematiche paranormali anche un'esperienza diretta: come esperimenti di ipnotismo e telapatia e sedute con dei medium, tra cui i celebri fratelli Schneider di Monaco. Nel saggio, Dodds racconta il lato oscuro del mondo antico: come alcuni episodi di trance della discussa e temuta Pizia che, secondo Plutarco, una volta cominciò a parlare con la voce roca e a gettarsi da una parte e dall'altra come posseduta da uno spirito maligno, per poi precipitarsi fuori dal santuario urlando, e morire pochi giorni dopo.

Una sezione di speciale importanza è occupata, naturalmente, dai sogni, che Democrito spiegava come «effetto della penetrazione, attraverso i pori del sognatore, delle immagini emesse da ogni sorta di oggetti e specialmente dalle persone viventi». I sogni, dice Plutarco, sono «gli oracoli più antichi»: e non a caso gli onirocriti, cioè gli interpreti di sogni per professione, facevano parte dell'establishment egiziano ed erano ritenuti così importanti che il re assiro Esarhaddon, nel VII secolo a.C., ne fece rapire alcuni per deportarli in Assiria; un po' come i Russi che, ricorda Dodds, nel 1945 rapirono gli scienziati tedeschi. Gli onirocriti esistevano anche Grecia, sia nel mondo omerico che nel quinto secolo. E gli Ateniesi tentavano di «stornare» con la preghiera o il sacrificio un sogno, nel caso fosse negativo: Teofrasto, nei Caratteri, ricorda che l'Uomo Superstizioso, ogni volta che sogna, corre dagli onirocriti per chiedere a quale dio sacrificare.

Ai sogni si affiancano però vari altri fenomeni: come lo scrying o «cristallomanzia», come la definivano i libri bizantini di magia, che consiste nel «guardare a lungo qualcosa di traslucido o rilucente per vedere immagini allucinatorie in movimento dentro l'oggetto stesso». Un metodo simile è quello di utilizzare come specchio un recipiente pieno d'acqua: come un ragazzo che, racconta Varrone, pare fosse riuscito a prevedere e descrivere in un poema di 160 versi il corso della futura guerra Mitridatica guardando nell'acqua un'immagine - o un fantasma - di Mercurio. O come la levitazione, che nell'antichità era attribuita ai saggi indiani, a Giamblico e persino a Gesù, ma poteva avere anche dei risvolti molto rischiosi: l'eretico montanista Teodoto, ad esempio, cadde per terra e morì; Simon Mago, invece, se la cavò con una gamba rotta.



martedì 4 ottobre 2022

Il viaggio di Gilgamesh è una fuga impossibile (e senza ritorno) dalla morte immortale

tratto da "Il Giornale" del 14 Ottobre 2021

Il mitico re di Uruk è stato il prototipo di Ulisse. Ma è un eroe più tormentato

di Davide Brullo

Infine, siamo canne al vento. Questa è la verità. «La sorte ci stronca così, come canne... siamo proprio come le canne al vento... Siamo canne, e la sorte è il vento». Le parole che sigillano il romanzo di Grazia Deledda, Canne al vento (libro di cupa e biblica bellezza, che deve risalire la cruna del nostro canone), ricalcano quelle del sapiente sumero che qualche millennio fa ha cantato l'Epopea di Gilgamesh: «L'umanità è recisa come canne in un canneto. Sia il giovane nobile, come la giovane nobile sono preda della morte. (...) La morte malefica recide l'umanità». Questo è il nodo ultimo, inestricabile, della ricerca di «Colui che vide il Profondo... saggio in tutte le cose», Gilgamesh, prototipo di Ulisse, «un grand'uomo, straordinario giramondo» (così la versione di Emilio Villa, eresiarca in linguaggi), «l'eroe del lungo viaggio» che «vide molti paesi, conobbe molti uomini, soffrì molti dolori» (così Maria Grazia Ciani nella sua Odissea). La distanza tra i due eroi, tuttavia, è radicale: Ulisse conosce l'odore acre e inebriante della morte, è scaltro, distrugge metropoli e viaggia per fare ritorno a casa, arso dal desiderio di conoscere. Gilgamesh è un fondatore di città, tormentato da un solo, inquietante, tarlo: la morte. Perché si muore? E dunque: perché vivere se l'esito è il morire? Quando Enkidu, «progenie del silenzio... ricoperto di peli come il dio degli animali», unico amico di Gilgamesh, «l'alto, il magnifico, il terribile», muore, il sommo re è squassato. «L'angoscia è penetrata nel mio cuore! Ho paura della morte», ammette l'eroe, nel cuore dell'epos. Così Gilgamesh, l'eroe che sa aggiogare gli dèi e che rifiuta di sposare «Dama Ishtar», ingolosita dalla sua magnificenza, vaga per scoprire il segreto dell'immortalità, per vincere la morte, per dare a ogni atto un estro eterno. Le parole di Utnapishtim, l'uomo sopravvissuto al Diluvio - e che per questo è diventato immortale -, sono perentorie: l'uomo muore, questa è la sua dannazione, la benedizione.

Nel dicembre del 1916 un esagitato Rainer Maria Rilke scrive a Katharina Kippenberg - mecenate, audace, aiutava il marito, Anton, nella direzione della Insel Verlag -: «Gilgamesh è gigantesco!». Lo ispirava, quel poema babilonese, «l'epos della paura della morte»: l'aveva letto nella versione di Anton Ungnad, assirologo di stanza a Jena poi in Pennsylvania, del 1911. Vi trovava, è probabile, affinità agghiaccianti; nelle Neue Gedichte aveva scritto una poesia, Esperienza della morte, che attacca così: «Nulla sappiamo di questo svanire...». Tentava, di fronte a quella antichità senza fondo, la parola fondamentale, la rivelazione.

Proprio perché Gilgamesh è il poema della morte, narra l'amare, sfrenato. Enkidu, la creatura mostruosa, dei boschi, diventa civile quando è edotto all'amore da una prostituta: «Mentre i due insieme facevano l'amore,/ egli dimenticò la steppa in cui era nato». Dall'arte di amare nasce il desiderio della gloria, la necessità della lotta, l'agone per il sacro, l'agonia della mancanza. Gilgamesh ed Enkidu stringono un'alleanza dopo essersi sfidati: insieme sfidano le potenze supreme, irrompono nella Foresta dei Cedri, «la dimora segreta degli dèi», uccidono il guardiano, Humbaba, squarciano il Toro celeste, «e mentre percorrevano le strade di Uruk la gente si radunava per ammirarli». Ma il canto di gloria si svolge in nube di lacrime. L'eroe sovrano, «il migliore degli uomini», è piagato dal pianto, «piangeva amaramente vagando per la steppa», perché l'amico è morto, perché esiste la morte e la morte riduce la gloria a un refolo, inaridisce il potere in sfoggio inutile.

Comunque la raccontiamo, Gilgamesh (Adelphi, pagg. 310, euro 24) è il testo essenziale, il racconto dei racconti, che ci incunea nelle domande prime, ineluttabili, inesauribili: cos'è la morte, e dunque, cos'è la vita? Il poema rimane immenso, indomato, perché incenerisce l'etica - per quello basta il libro biblico dei Proverbi, per altro affascinante - in favore della lirica: le immagini sono plastiche, possenti, animali («Perfino gli dèi ebbero paura del Diluvio,/ si ritirarono e ascesero al cielo di Anu,/ accucciandosi come cani rannicchiati all'aperto./ Le dee gridavano come una donna durante il parto»). Alcune lasse poetiche - la ricorrenza dei sogni, che orientano i destini; il funerale di Enkidu («Ti piangano il cipresso e il cedro... ti piangano l'orso, la iena, la pantera, il ghepardo, il cervo e lo sciacallo»); il confronto dell'eroe con «l'uomo-scorpione» - ci cristallizzano nello stupore.

Adelphi aveva già in catalogo una versione dell'Epopea di Gilgame: quella, resa in prosa, nel 1960, da Nancy Sandars. Traduzione da traduzione di una riduzione non indimenticabile. Con questo volume poco cambia: Adelphi traduce la traduzione curata da Andrew George nel 1999. La resa è più efficace, anche per il puro curioso, eppure il lavoro di Giovanni Pettinato, grande assirologo, pubblicato nel 1992 da Rusconi e nel 2004 da Mondadori, resta più efficace, più rude, rovinosamente bello.

A differenza di Ulisse, Gilgamesh non ha una donna a cui tornare, né una patria autentica. Certo che il suo destino è morire, al termine del viaggio mostra a Urshanabi «il barcaiolo» le mura imponenti di «Uruk-l'Ovile». «Per chi faticarono le mie braccia, per chi si prosciugò il sangue del mio cuore?», domanda l'eroe, ammirando la sua città. Il cielo leviga l'interrogativo, lo inghiotte. Forse Gilgamesh ha una rivelazione, miliare, micidiale. Se tutto muore, tutto è indimenticabile. Proprio perché tutto muore, tutto è immortale.


sabato 3 settembre 2022

La storia dietro al legame tra l’esoterismo e le SS

tratto da: https://it.insideover.com/storia/la-storia-dietro-al-legame-tra-lesoterismo-e-le-ss.html

Luca Gallesi

20 GIUGNO 2021

Nel secondo volume della sua trilogia dedicata al “nazismo magico”, Hitler e la cultura occulta (Rizzoli 2013), Giorgio Galli affronta il tema dell’esoterismo delle SS, argomento tra i più gettonati dai ciarlatani dell’occulto per l’indubbio fascino esercitato sugli amanti del macabro e dei misteri prêt-à-porter. Chincaglierie nazi-occultiste a parte, restano dei fatti e delle persone che, oggettivamente, hanno creato i filoni di pensiero che costituiscono l’epopea razzista del corpo d’élite hitleriano. 

La più famosa missione “esoterica” delle SS, accanto alle già menzionate –in un precedente articolo– spedizioni in Tibet, resta quella di Otto Rahn, studioso dei trovatori provenzali e membro delle SS, che ritenne di identificare il mito del Graal con la tragica storia dei Catari, la cui avventura finì stroncata nel sangue nel Castello di Montségur. La fortezza, che si trova nella regione dei Midi-Pirenei, nel 1243 fu cinta d’assedio per quasi un anno dalle forze crociate che volevano estirpare una volta per tutte l’eresia degli albigesi, così come chiesto da papa Innocenzo III. Secondo Otto Rahn, che pubblicò il resoconto del suo viaggio e i risultati delle sue ricerche in due libri disponibili anche in italiano (Crociata contro il Graal  e La corte di Lucifero, Società Editrice Barbarossa/AGA), gli eretici erano stati gli ultimi custodi del Sacro Graal, il misterioso oggetto che, forse, fu la coppa dove, secondo la leggenda, era stato raccolto il sangue di Gesù oppure, secondo altre versioni, lo smeraldo incastonato sulla corona di Lucifero, prima che l’angelo più bello si ribellasse al suo Creatore.

Nel suo libro, Rahn racconta così le origini del mito del Graal secondo la versione degli eretici: “Al tempo in cui le mura di Montsegur erano ancora in piedi, i Catari tennero qui il Sacro Graal. Montsegur era in pericolo. Le armate di Lucifero lo accerchiavano. Volevano il Graal, per rimetterlo sul diadema del loro Principe dal quale si staccò durante la caduta dei suoi angeli sulla Terra. Allora, nel momento più critico, discese dal cielo una colomba bianca, la quale spaccò col suo becco il Tabor (Montsegur) in due. Esclarmonda, che era la custode del Graal, gettò il gioiello sacro nelle profondità della montagna, che si rinchiuse su sé stessa, ed in questa maniera il Graal fu salvato”. 

Il Graal non fu trovato, ma le ricerche di Otto Rahn continuarono, anche se non si sa nulla delle nuove scoperte, da lui annunciate ma mai svelate, anche perché, enigma su enigma, nel 1939 morì misteriosamente sulle Alpi. Il 18 maggio 1939, sul quotidiano nazionalsocialista “Völkischer Beobachter” pubblicava l’annuncio della sua scomparsa: “Durante  una tempesta di neve in montagna, nello scorso marzo, ha perduto tragicamente la vita l’Obersturmführer delle SS Otto Rahn. Ricordando questo defunto camerata, ci dogliamo della perdita di un onesto ufficiale delle SS nonché autore di eccellenti opere storiche.” 

La misteriosa morte di Otto Rahn non segna, però, le fine dell’interesse delle SS per l’eresia catara. Come ricorda Giorgio Galli, sono molte le opere che tracciano un collegamento tra i Catari e il nazionalsocialismo, e ci sono indizi che confermerebbero la prosecuzione di ricerche e addirittura la celebrazione di riti a Montsegur ancora nel 1943-1944, grazie all’interessamento, se non addirittura alla partecipazione, di Himmler e Rosenberg,  che si intrecciano, continua Galli, con “la magia delle rune indagata da von List, e l’esistenza di una storia umana dimenticata, con le tracce delle sue civiltà scomparse, con echi di Steiner e di Helena Petrovna Blavatsky”.

Il tutto, sapientemente miscelato con le più suggestive tradizioni cavalleresche germaniche, che furono da Himmler abilmente riprese e coniugate in una nuova versione nazionalsocialista, che pretendeva di innestarsi, anche figurativamente, sulle antiche saghe tedesche. Racconta bene un ricercatore indipendente, Gianfranco Drioli, autore di un saggio, Ahnenerbe. Appunti su scienza e magia del Nazionalsocialismo (Ritter), che i candidati a entrare nelle SS seguivano le regole di un Ordine religioso o militare: “Come nel Medioevo i cavalieri ricevevano la spada nel momento dell’investitura, così gli SS ricevevano la loro daga, sulla cui lama era inciso il motto delle SS: Meine Ehre heisst Treue (Il mio onore si chiama fedeltà).

Nella cerchia più vicina a Himmler c’erano dodici gerarchi, i più alti ufficiali delle SS, che si riunivano nel castello di Wewelsburg, il centro dell’universo del nuovo ordine (nero) mondiale, sia sotto il profilo militare sia sotto quello esoterico-religioso”. Wewelsburg, infatti, presentava innanzitutto una curiosità architettonica: era costruito, a forma di freccia, secondo l’asse Nord-Sud, invece del più consueto Est-Ovest, e nella torre nord furono costruite ad hoc delle stanze ricche di motivi mistico – esoterici, tra cui una sala per i suddetti dodici ufficiali SS e una cripta dove sarebbero state riposte le loro ceneri dopo la morte. 

I piani di ristrutturazione del maniero furono interrotti dall’avanzate delle truppe americane. Prima, però, che i fanti della 3° Divisione U.S.A. raggiungessero Wewelsburg, Himmler ordinò ai difensori, che si erano trincerati dietro le ampie mura, di bruciare il castello perché non cadesse nelle mani del nemico. I pochi soldati che si arresero agli americano furono fatti prigionieri e sbrigativamente passati per le armi. Finita la tragedia, cala la quiete sull’antico maniero.

Ironia della sorte, oggi, la sede dell’élite dell’Ordine nero ospita un ostello della gioventù internazionale, e, al posto degli archivi dell’Ahnenerbe, è sorto un museo dedicato ai crimini di guerra compiuti dai tedeschi.


venerdì 26 agosto 2022

Caccia alle Colonne d'Ercole: scoperto il "confine del mondo"?

tratto da "Il Giornale" dell'8 Gennaio 2022

Un team di ricercatori spagnoli afferma che potrebbe aver trovato il tempio di Ercole Gaditano, un luogo che per molti rappresenterebbe la sede delle mitiche Colonne d'Ercole

di Lorenzo Vita

Le Colonne d'Ercole hanno rappresentato per secoli un luogo mitico non solo della geografia ma soprattutto dell'anima. Quel "nec plus ultra" (memoria del greco "οὐκέτι πρόσω") scolpito dal semidio greco sui monti Calpe e Abila, uno in Spagna e uno in Africa, non era solo un avvertimento ai marinai di non addentrarsi in quell'oceano selvaggio e sconosciuto, ma anche un modo per dire a tutti gli esseri umani che c'era un limite invalicabile. Oltrepassarlo era peccare di tracotanza e la condanna sarebbe stata l'ira degli dei.

Un confine che però diventava anche una porta: chiunque poteva sfidare gli dei e scegliere di passare al di là di quelle colonne. Ma solo pochi osavano farlo. E chi realizzava questo sogno sapeva che prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze: come avrebbe ricordato secoli dopo anche Dante, immaginandosi l'ultimo viaggio di Ulisse.

Dov'erano davvero?

La tradizione vuole che quelle mitiche colonne create da Ercole fossero lo stretto di Gibilterra. Due monti, che si guardano l'un l'altra dalle due rive opposte del Mediterraneo: la Rocca di Gibilterra, appunto e Jebel Musa, oppure il Monte Hacho: lì dove il Mare Nostrum incontra l'Atlantico e dove le correnti si scontrano creando uno dei luoghi più temuti e ambiti da navigatori. Molti studiosi hanno ritenuto che in realtà Gibilterra non sia mai stata davvero la sede delle colonne d'Ercole, spostandole a volte nel Canale di Sicilia o in Sardegna e prima ancora anche nel Mediterraneo orientale, dove i primi greci avevano il loro piccolo mondo. Altri credono che le Colonne si siano spostate semplicemente con l'avanzare della civiltà ellenica, per cui quello che doveva essere un luogo fisico, era in realtà un confine culturale, la porta verso l'ignoto e il barbaro.

La ricerca spagnola

Ma nel mezzo delle numerose ipotesi su dove i greci ritenevano che sorgessero le colonne d'Ercole, in questi giorni c'è qualcuno che sta provando a trovare indizi più concreti. Fino a dire che forse, il mistero è svelato, e che i resti del "confine del mondo" e del tempio di Ercole Gaditano si troverebbero in Spagna, e precisamente sulla costa atlantica di Cadice, a San Fernando.

Il Dipartimento di Preistoria e Archeologia dell'Università di Siviglia, studiando alcune antiche strutture nei fondali marini e lungo la costa andalusa ritiene che il tempio dedicato ad Ercole sarebbe stato in una grande area portuale attiva fino a pochi anni prima della nascita di Cristo: un sito che corrisponderebbe nei fatti a un preesistente tempio fenicio di Melqart.

L'ipotesi di studio, annunciata a dicembre dal team di ricercatori, ha accesso l'attenzione dei media e sollevato anche delle polemiche. Francisco José García, professore di archeologia dell'Università di Siviglia, ha annunciato che il team ha individuato "indicazioni molto ragionevoli, reperti per lo più subacquei che ci portano a credere che ci fossero grandi strutture, tra cui edifici, frangiflutti e possibili moli, tra Sancti Petri e Camposoto". Il professore ha detto che servirà molto lavoro per cercare di fornire prove certe alle ipotesi che per ora sono corroborate solo da questi indizi. Tuttavia il team si sente abbastanza sicuro delle sue scoperte e le tecnologie utilizzate per questa campagna di ricerca potrebbero essere decisive per evitare errori in una "caccia" che fa già storcere il naso a molti studiosi.

"I risultati che abbiamo ottenuto sono in linea con la tradizione, con tutte le fonti classiche, con la bibliografia esistente. Quello che è stato trovato, quello che dice il terreno millenario e l'ultimo programma informatico si adattano perfettamente a quello che hanno scritto Strabone, Silius Italicus e Filostrato. Parlavano di enormi maree che lasciavano le navi senz'acqua, di colonne che erano da una parte e dall'altra, tra Spagna e Africa; di marinai che aspettavano il ritorno dell'acqua per sollevare le loro navi, di un tempio superbo a cui si prendevano continuamente le misure. In breve, la scienza sta dando ragione alla leggenda. I dati, le scoperte, rafforzano i miti" dice l'archeologo. E per adesso quegli studi, fatti attraverso grafiche digitali, studi delle maree, analisi su come potevano essere quella costa e le paludi nei millenni precedenti, sembrano dare delle prime conferme. Immagini che insieme ai ritrovamenti fatti nel corso degli ultimi secoli farebbero pensare a un sito particolarmente importante.

I dubbi sulle "colonne d'Ercole"

Certo, i dubbi rimangono. Alcuni accademici per esempio ritengono che sia improbabile che quell'area fosse davvero quella del tempio di Ercole Gaditano, spostandola di alcuni chilometri. Altri invece sembrano in generale guardare con sospetto a questa ricerca delle "colonne d'Ercole" in quanto troppo "spettacolarizzata", o addirittura definendola "ipotesi da fanta-archeologia", come riporta AdnKronos. Sarebbe come cercare Atlantide o altri luoghi resi immortali dalla letteratura.

Difficile prendere parte a una disfida scientifica: più semplice, e più affascinante, pensare invece a come l'uomo potesse immaginare più di due millenni fa quella parte di mondo dove il Mediterraneo incontrava l'oceano. Dove i padri raccontavano ai figli che un semi-dio aveva diviso le montagne o costruito delle colonne, e da cui osservava il passaggio delle navi che decidevano di superare quel limite verso l'ignoto.

"Nec plus ultra", dicevano i latini. E forse anche in questo antico mito - che per l'uomo curioso è più un invito a sfondare quella barriera mentale posta dalla divinità - si nasconde una qualche verità, sepolta dalla maree, dalla sabbia e dallo scorrere inesorabile del tempo.

mercoledì 6 luglio 2022

Fenomenologia dello Spirito magico Ecco l'altro Hegel

tratto da "Il Giormale" del 2 Dicembre 2013

di Marcello Veneziani

Hegel era il nome dell'ultimo album di Lucio Battisti, uscito nel 1994. Ed è forse l'ultima traccia fuori dalla cerchia degli studiosi del grande filosofo tedesco che fu croce e delizia del Novecento. A Hegel, infatti, si risale quando si cerca il Padre spirituale degli Stati totalitari e dello Stato come Dio in terra, che fu il sogno in rosso e in nero del Novecento. O riportandolo al suo tempo, parte con lui la genealogia dello Stato potente che poi diventerà onnipotente.

Hegel diventa a torto o a ragione il filosofo di Napoleone, perché lo ritrae a Jena come lo Spirito del Mondo a cavallo. L'Eroe, il Grande, l'Io Trascendentale che realizza il primo grande Stato centralista moderno. Poi la lezione di Hegel discende dal pensiero all'ideologia e dalla filosofia alla storia. E dal versante sinistro sorge Marx, dal versante destro l'hegelismo fiorisce in Italia: Spaventa e poi Gentile. Non va certo dimenticata la lezione di Fichte, ma è a Hegel che comunemente si attribuisce l'identificazione dello Stato con Dio in terra. Qualcuno, ancora più radicale, fa risalire - è il caso di Popper - la pulsione totalitaria a Platone, visto come una specie di Hegel dell'antichità. Dimenticando che la follia totalitaria è proprio nel tradire Platone e costringere il cielo in terra: le idee platoniche risolte nella storia generano «paradisi infernali». Ma la matrice degli Stati totalitari è nello spirito giacobino della Rivoluzione francese più che nelle lezioni hegeliane. C'è più Rousseau che Hegel, pur da giovane entusiasta della Rivoluzione e poi maturo difensore dello status quo. L'ultimo Hegel apparso nel '900 aveva gli occhi a mandorla del nippo-americano Francis Fukuyama, che riprendendo l'Hegel di Kojève, decretava nel 1989 la fine della Storia. Caduto il Muro di Berlino e ogni antagonista globale all'Impero Usa, si realizzava la profezia hegeliana e moriva al tempo stesso la teofania storica dell'hegelismo. La Storia come divinità è finita ed Hegel muore con lei.

Ma dalle ceneri della storia rinasce un nuovo, inedito, sorprendente Hegel. Non più legato all'idea di Stato, al Dio che si fa Storia, ma alla tradizione ermetica, fino a scorgere le radici magiche e occulte dell'idealismo moderno. Non è l'Hegel redivivo di Slavoj Zizek, che a suo parere «ci salverà» e che resta dialettico ispiratore del materialismo. Ma l'opera in questione è di uno studioso americano di filosofia, Glenn Alexander Magee, e arriva ora in edizione italiana nel ponderoso volume Hegel e la tradizione ermetica (Edizioni Mediterranee pagg. 327, euro 24,50) a cura di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, con un'introduzione di Massimo Donà in sostanziale sintonia con la tesi di fondo del libro. Il titolo è originale, non è tradotto ad hoc per i lettori di Julius Evola che nelle stesse edizioni trovano la sua opera completa. L'Hegel Mago che ne esce, in effetti, ha qualche somiglianza con Evola. Magee allinea nella sua ampia ricerca molti elementi per sostenere che Hegel è un pensatore ermetico: egli avrebbe sostituito il filosofo col sapiente e la filosofia con la teosofia, facendo tesoro della Kabala, dell'Alchimia, dei Rosacroce, della Gnosi e del filone ermetico, da Ermete Trismegisto in poi, in una linea ampia che va da Meister Eckhart a Böhme, da Agrippa a Lullo e a Paracelso, da Pico della Mirandola a Giordano Bruno, fino all'occultismo e allo spiritismo, all'astrologia e all'esoterismo della Massoneria. Hegel si riferisce a una Chiesa Invisibile nei suoi carteggi con Schelling e con Hölderlin. Non dimentichiamo che l'epoca di Hegel è romantica, l'età di Novalis ma anche di Mesmer; filosofia e magia s'intrecciano. E la sua opera centrale, in questo senso, è la Fenomenologia dello Spirito.

La tesi, pur suggestiva, e non priva di riferimenti fondati, è però forzata. Hegel è più figlio del romanticismo che dell'illuminismo ma da qui a considerarlo un pensatore che si fonda sull'occulto, sull'idealismo magico o sulla tradizione ermetica, ce ne corre. In realtà Hegel si concepisce, prima che come filosofo, come riformatore religioso nella convinzione - che accomunerà larga parte dell'idealismo, fino a Gentile - che la religione sia una specie di stadio infantile, immaturo, di una Filosofia dello Spirito. Da riformatore religioso Hegel concepisce la filosofia come la continuazione della religione cristiana con altri mezzi storicamente e razionalmente più fondati e più maturi. Anche lo Stato e la politica si realizzano alla luce della Riforma religiosa della filosofia. Se vogliamo, il riferimento più pertinente è a Gioacchino da Fiore e alla sua teoria delle Tre Età, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Alla logica trinitaria è improntata tutta la filosofia hegeliana e all'avvento dell'età dello Spirito Santo è rivolta la tensione escatologica del suo storicismo.

Nel suo itinerario verso l'Età dello Spirito, Hegel convoglia saperi vari e tradizioni diverse. La tradizione cristiana innanzitutto, poi la tradizione ellenica coi misteri di Eleusi e la sapienza platonica e presocratica, quindi i filoni sommersi della tradizione ermetica e del pensiero magico. E magari negli anni giovanili l'influenza dell'esoterismo massonico. Ma è forte in lui l'impronta del pietismo svevo, di matrice cristiana, incessante è il confronto con Gesù a cui dedica da giovane una biografia, permane l'impianto storico-temporale lineare, che deriva dall'escatologia cristiana. Qualcuno troverà inquietante l'assonanza tra il Terzo Regno dello Spirito e il Terzo Reich (Regno, appunto). Ma l'idea di un Dio che si fa nella storia sorge dalla visione provvidenziale della teologia cristiana fino a configurarsi come sua eresia. L'Astuzia della Ragione è la versione hegeliana della Divina Provvidenza. Egli traduce il dogma della Trinità in Teoria dello Spirito. (Alla Trinità e alla sua traduzione hegeliana in filosofia, lo stesso Donà dedica un dialogo con Piero Coda, Pensare la Trinità, ed. Bompiani). Il compito che Hegel si assegna è riunire la filosofia e il sentire comune in una nuova religione fondata sulla storicizzazione e l'umanizzazione del Divino. L'eresia di Hegel secolarizza il Cristianesimo. Ma Hegel resta cristiano e professore, non mago o esoterista. S'ispira più a Lutero che a Paracelso.

E tuttavia il testo di Magee ha il merito di riaprire nuove frontiere nella comprensione di Hegel. Hegel è un pensatore grande, polivalente, non lo si può imbottigliare nel '900 e negli Stati totalitari. Come scrive in alcuni versi leopardiani e ungarettiani, il giovane Hegel: «Ed io mi abbandono all'immenso; sono in lui, sono tutto, sono solo lui». Un romantico a caccia di assoluti.

domenica 3 luglio 2022

Guerre e società segrete: quel fondamento esoterico dietro al nazionalsocialismo

tratto da InsideOver dell'8 GIUGNO 2021: https://it.insideover.com/storia-2/guerre-mondiali-e-societa-segrete-nazismo.html

di Luca Gallesi
 
Era il 1960 quando in Francia, presso l’autorevole editore Gallimard, uscì un libro dal titolo curioso: Le matin des magicien, scritto a quattro mani da Louis Pauwels, un ex-discepolo di G.I. Gurdjeff dalle idee reazionarie, e uno scienziato e scrittore comunista, Jacques Bergier. Il saggio, che divenne rapidamente un best-seller, tradotto in italiano nel 1963 da Mondadori col titolo Il mattino dei maghi, miscelava sapientemente dati oggettivi e suggestioni fantastiche, ipotizzando una convergenza delle nuove scoperte scientifiche con le antiche sapienze occulte. Sergio Solmi, nella prefazione all’edizione italiana, elogiava il libro che offriva, “attraverso un’esposizione lucida, varia e appassionata, il materiale più affascinante che possano tenere per noi in serbo questi anni di ardua e preoccupante trasformazione tecnica e sociale”.

In un’epoca, l’inizio degli anni Sessanta, in cui cominciava a delinearsi il sostanziale dominio di una concezione materialistica della società e la visione deterministica della Storia, Il mattino dei maghi rimetteva in gioco l’idea che le forze operanti nello sviluppo dell’umanità non fossero quelle dei rapporti di produzione o dello scontro dialettico tra classi sociali, bensì quelle più sottili, i poteri che agiscono dietro le quinte, espressione di principi non visibili ma assolutamente reali; per intenderci, l’occultismo e la magia che, secondo le parole di Solmi, “non sarebbero ormai più soltanto segreti perduti, ma i preannunci che le età remote mandano fino a noi delle palingenesi future”. Parole problematiche, che rimandano a un libro facilissimo da leggere, difficile da capire e decisamente arduo da condividere in toto. In mezzo alle vite e opere di moderni alchimisti e arcani mistagoghi, passando con nonchalance dalle civiltà scomparse dell’antichità agli scrittori contemporanei di fantascienza, Pauwels e Bergier accompagnano – a volte trascinandolo- il lettore in un turbinio di universi lontani passati e futuri, tra mondi paralleli e dimensioni fantastiche che, a più di mezzo secolo, mantengono intatto il fascino della lettura, anche quando i contenuti sono diventati irrimediabilmente superati, quando non definitivamente screditati.

La realtà virtuale che domina l’inizio del terzo millennio ha rapidamente fatto piazza pulita del ciarpame spiritista e occultista che, ancora a metà del Novecento, poteva mantenere una sembianza di credibilità, ormai definitivamente declinata tranne che per un singolo argomento, che dilaga anche, e soprattutto, nella Rete: il “nazismo magico”. Parliamo quindi dei legami, indiscutibili anche se spesso enfatizzati, tra il nazionalsocialismo e le scienze occulte, argomento centrale del Mattino dei Maghi, come scrisse il politologo Giorgio Galli, che proprio grazie a questo libro cominciò a studiare quello che sarebbe diventato il prolifico filone dell’esoterismo nazionalsocialista, a cui l’illustre politologo dedicò parecchi libri. Galli cominciò allora, proprio grazie a Pauwels e Bergier, a realizzare che la sapienza occulta poteva aiutarlo a capire la Storia, perché l’esoterismo, “dimora dentro la Storia e non fuori, arrivando sovente ad esercitare un’influenza non secondaria su di essa”. Centrale, nell’indagine di Galli nella dimensione nascosta della storia, il riferimento all’esistenza di una cultura esoterica (letteralmente: riservata a pochi) che, dalle profondità della storia dell’Occidente, riemergeva, in Europa e soprattutto in Germania, nel pieno rigoglio scientifico del XX secolo. Una presenza che permette di spiegare il percorso seguito da Hitler e da una parte dell’élite nazionalsocialista lungo tutta la “seconda Guerra dei trent’anni”, come Galli chiama il periodo della storia europea che va dal 1914 al 1945.

Dietro i tragici avvenimenti che insanguinarono il Vecchio continente nella prima metà del Novecento, come romanzato prima da Pauwels e Bergier e poi studiato scientificamente da storici come René Alleau e Nicholas Goodrich Clarke, ci sono, anche, gli influssi esercitati dalle molteplici e attivissime società segrete, operanti in tutta Europa, a cui erano affiliati numerosi membri del governo tedesco e del gabinetto reale britannico. Sul suolo tedesco la realtà dominante era la Società Thule (Thule-Gesellschaft), mentre nel Regno Unito era attivissima la Golden Dawn (Hermetic Order of The Golden Dawn).

La Golden Dawn era stata fondata nel 1887 da Mc Gregor Mathers, Woodman e Wynn Westcott, e si proponeva di approfondire la magia cerimoniale per raggiungere, tramite le conoscenze iniziatiche, lo sviluppo di poteri sovrannaturali. Tra i soci più famosi, tanto per dare un’idea dell’importanza del sodalizio, troviamo W.B. Yeats, Arthur Machen, Aleister Crowley, probabilmente Bram Stoker, e molti altri intellettuali e scienziati di punta dell’intellighenzia britannica. Della Società Thule, invece, furono membri attivi più uomini politici che gli intellettuali, o meglio, dei politici con interessi intellettuali, come il “Vicario” di Hitler, Rudolf Hess, il governatore nazionalsocialista della Polonia Hans Frank, il teorico della geopolitica, prof. Karl Haushofer e il principale teorico del nazionalsocialismo Alfred Rosenberg, tutte persone che appartenevano alla ristretta cerchia del futuro Führer, personaggio certamente non alieno da simpatie e interessi “occulti”, che spesso influenzarono la sua azione politica.

Qui, complice una produzione libraria sconfinata e spesso inattendibile, diventa labile il confine tra storia e fantasia, ma, come scrive Giorgio Galli, possiamo affermare senza tema di smentita che “Hitler è il portavoce di un gruppo di intellettuali formatosi nella dimestichezza con la cultura occulta”. Come e quanto questa “sapienza segreta” abbia effettivamente agito nelle scelte del Cancelliere tedesco è arduo da definire esattamente. Si può, comunque, supporre che molte delle scelte fatte durante il periodo 1939-1945 non siano riconducibili a delle motivazioni razionali: dall’inspiegabile “tregua” concessa agli inglesi a Dunkerque, alla scelta suicida della guerra sui due fronti a oriente e occidente, fino alla spasmodica attesa di misteriose armi finali che avrebbero capovolto l’inevitabile drammatica fine della Germania, siamo nel campo delle decisioni irrevocabili e irrazionali, che hanno avuto spaventose e sanguinose conseguenze così che, nel corso di due guerre mondiali e con un immane sacrificio di vite umane, siamo passati dal “Mattino dei maghi” al “Tramonto dell’Occidente”.

venerdì 6 maggio 2022

Capodanno l'abbiamo inventato noi

tratto da "Il Giornale" del 29 Dicembre 2020

Il calendario più grandioso mai realizzato è nella contea inglese dello Wiltshire, in una località ormai nota come Stonehenge

di Angelo Allegri


Il calendario più grandioso mai realizzato è nella contea inglese dello Wiltshire, in una località ormai nota come Stonehenge. Nel giorno del solstizio d'estate, dal centro del monumentale recinto di megaliti costruito più di 3mila anni fa, il sole sorge all'orizzonte esattamente al vertice superiore di un enorme pietra che tutti chiamano Heel Stone. Secondo molti studiosi tutto il complesso monumentale sarebbe stato costruito proprio con questo scopo: segnare con dati precisi e riscontrabili il susseguirsi delle stagioni; dare una scansione oggettiva al fluire dei giorni, in modo da celebrare con degna periodicità i riti religiosi.

L'impresa non è facile come sembra. Il giorno, col suo alternarsi di luce e buio, è incardinato (almeno alle nostre latitudini) nei ritmi biologici degli esseri viventi. Le cose sono meno evidenti se si guarda a periodi di tempo più lunghi, come l'anno. Nonostante le difficoltà l'uomo cerca da millenni di dare ordine al tempo e il risultato di questo tentativo è un'invenzione, che spesso non viene nemmeno riconosciuta come tale: il calendario. Quelli noti ancora oggi, dalla complessa suddivisione delle stagioni utilizzata dai Maya, fino alla scansione temporale scelta dai buddisti, sono almeno una quarantina. Uno solo, però, ha assunto valenza universale. È il calendario gregoriano, che ha anche una particolarità: la sua storia si è svolta praticamente tutta all'interno dei confini italiani.

RE DI ROMA

Per seguire i diversi capitoli della vicenda bisogna risalire addirittura a Numa Pompilio o secondo alcuni storici a Tarquinio il Superbo. Chiunque sia, uno dei re di Roma introduce il cosiddetto Calendario romano repubblicano. Come tutte le più antiche scansioni del tempo è lunare, è basato cioè sulle fasi della luna, il fenomeno astronomico più facilmente percepibile anche senza particolari strumenti di osservazione. L'intervallo tra due ritorni del nostro satellite nella stessa posizione rispetto alla terra è più o meno di 29 giorni e l'insieme di 12 lunazioni, che costituiscono un anno, è dunque di circa 354. L'andamento delle stagioni è legato però all'anno solare, che è il periodo di rivoluzione della terra intorno al sole. E l'anno solare di giorni ne ha 365,24. Ce ne sono 11 di differenza, e la conseguenza è che le date stabilite con l'aiuto della luna slittano di quasi due settimane all'anno rispetto ai fenomeni atmosferici: una festa inizialmente prevista in gennaio con il trascorrere dei decenni o dei secoli si sposta in estate o in autunno. È lo stesso problema che hanno ancora oggi i musulmani, che utilizzano un calendario lunare: il Ramadan cambia via via posizione nell'anno (vedi anche l'altro articolo in pagina). Numa Pompilio (o Tarquinio il Superbo) per ovviare all'inconveniente stabilisce che ogni due anni ci sia un mese in più, di 27 o 28 giorni, Mercedonius, che inizia il 23 febbraio, cancellando i giorni dal 23 al 28. I conti però non tornano lo stesso.

Per questo, quando Giulio Cesare assume il potere (compreso quello di Pontifex maximus, responsabile dei riti religiosi) va a discuterne in Egitto con i massimi sapienti dell'epoca, tutti concentrati ad Alessandria, la Silicon Valley del periodo ellenistico. Alla fine a convincerlo è un matematico e astronomo, Sosigene. Cesare torna a Roma è da lì decide di cambiare tutto e adottare un calendario basato sul movimento della terra intorno al sole: 365 giorni e un anno bisestile ogni quattro, quando si ripete per due volte il 23 febbraio (un tempo ultimo giorno del calendario repubblicano). Si parte il primo gennaio del 46 avanti Cristo. Per riallineare il calendario con le stagioni, l'anno 45 viene allungato di tre mesi, che si aggiungono ai 355 giorni già in programma: con un totale di 445 sarà l'anno più lungo della storia.

ARRIVA LA RIFORMA

La creatura di Giulio Cesare è un grande successo. Il calendario giuliano, come verrà chiamato, è destinato a durare per 1600 anni. Però è tutt'altro che perfetto. Col suo anno bisestile ogni quattro, dura in media 365,25 giorni. L'anno solare è appena più corto: 365,24. Per la precisione è più breve di 11 minuti e 14 secondi. Sembrano pochi ma quando ci sono di mezzo i secoli sono più che sufficienti per creare problemi: il ritardo è di un giorno ogni 130 anni. Così alla metà del XVI secolo il Concilio di Trento ha tra i tanti temi da discutere anche quello della Pasqua. Un altro concilio, quello di Nicea del 325, ha stabilito che cada la domenica successiva alla prima luna piena dopo l'equinozio di primavera. Ma la sfasatura dei due calendari (solare e giuliano) ha fatto sì che l'equinozio sia sempre più lontano e ai padri della Chiesa la cosa risulta insopportabile. Papa Gregorio XII, al secolo Ugo Boncompagni, salito al soglio pontificio nel 1572, riceve il mandato di risolvere l'inconveniente.

A occuparsi della questione è una commissione in cui gioca un ruolo di primo piano Ignazio Danti, frate domenicano, nonché astronomo e matematico. A Danti piacciono le idee di un altro astronomo, Luigi Lilio, calabrese di Cirò, studi a Napoli e poi a Perugia. E alla fine è Lilio a spuntarla. Entra in vigore un nuovo calendario che prenderà il nome del papa, gregoriano, appunto. A dir la verità non si discosta poi molto da quello di Giulio Cesare, ma c'è una regola per evitare sfasature: gli anni divisibili per quattro sono bisestili, salvo gli anni centenari non divisibili per 400 (per esempio il 1700 e il 1900 no, il 1600 e il 2000 sì). In più l'inizio dell'anno nuovo viene definitivamente fissato al primo gennaio, e il giorno supplementare dei bisestili il 28 febbraio.

Per riportare in sincrono il calendario ufficiale e quello astronomico si prende una decisione radicale: si aboliscono con un tratto di penna 10 giorni. Il sole tramonta la sera del 4 ottobre 1582, l'alba del mattino dopo è quella del 15.

L'EUROPA SI ADEGUA

Il riallineamento è un problema che si riproporrà per tutti i Paesi che decideranno di adottare il nuovo calendario. Non sarà un processo immediato e, anzi, ci vorranno secoli. A decidere la nuova misura del tempo è un Papa e quindi tutti i Regni cattolici seguono immediatamente le indicazioni che arrivano da Roma. Per l'identico motivo i Paesi protestanti le rifiutano. In un primo momento la regina Elisabetta I d'Inghilterra sembra la più disponibile (tra i regnanti non cattolici) ad accettare, per semplici motivi pratici, la riforma. Ma i vescovi anglicani la considerano un espediente per favorire il ritorno del diabolico papismo nelle isole britanniche e fino al 1752 il Regno d'Inghilterra conserverà gli antichi metodi di misurazione del tempo. Per decenni in Irlanda la Pasqua diventa motivo di scontri sanguinosi tra comunità religiose: i ribelli cattolici la festeggiano in base alle regole di Gregorio XIII, gli occupanti inglesi pretendono il rispetto del «Vecchio stile», come viene definito.

Il primo Stato protestante ad adeguarsi alle regole di Gregorio è il ducato di Prussia, che fino al 1657 rimane un feudo della cattolica Polonia. Poi, spinti in buona misura da motivi commerciali, seguono, negli anni tra il 1699 e il 1701, Danimarca, Olanda e Germania e via via anche gli altri Paesi del Nord.

Le resistenze più forti arrivano, però, dall'Europa orientale e in particolare dalla Chiesa Ortodossa. In Russia devono salire al potere i comunisti per vincere le opposizioni alla nuova (ormai neppure più tanto) suddivisione del tempo. Il 24 gennaio del 1918 il Consiglio dei Commissari del popolo decide con un decreto che il 31 gennaio sarà seguito dal 14 febbraio e di applicare da quel momento in poi le regole dettate da Roma. La stessa Rivoluzione d'ottobre, a poche settimane dagli eventi, viene «trasferita» dalla riforma al 7 novembre. L'ultimo Paese europeo a capitolare è, però, la Grecia: nel febbraio del 1923 il governo militare al potere dopo la guerra persa contro la Turchia decide di abolire le ultime due settimane del mese e di adeguarsi al resto del continente.