" Tibi serviat
ultima Thyle". Con questo verso il poeta latino Virgilio nelle
Georgiche immortalava nella storia non solo le grandezze del principato di
Augusto ma anche la storia di Thule, la mitica isola descritta dal navigatore
greco Pitea di Marsiglia mentre compiva un viaggio nel nord Europa, fino ai
limiti del mondo allora conosciuto, ovvero l’isola di Tule. Thule e Paganesimo
Artico hanno legami con lo Sciamanesimo?
La tradizione sciamanica è ovviamente fortemente presente in
tutta l’area nord del globo, dalle popolazioni Inuit e Inupiat
dell’Alaska e dei territori nord americani e canadesi, alle tradizioni dei
Kalaalit della Groerlandia ed Islanda, fino alle terre siberiane artiche
abitate dai Sami, dai Nganasan, dagli Jacuti e dai Ciukci, solo per citare
alcune delle più importanti etnie.
Una prima interessante tradizione sciamanica è quella degli angakkut, diffusa in tutta l’area della
Groerlandia. Il termine deriverebbe dalla parola agakkiq, ovvero “visionario” o
“sognatore”. Per molti questa tradizione magico-spirituale, come quella diffusa
nell’area islandese, sarebbe quello che rimane degli antichi culti della Thule
la mistica e mitica isola dove il sole non tramonta. Discendenti diretti delle
popolazioni della Thule sono gli Kalaalit,
abitanti delle regioni costiere artiche, spesso identificati con il
dispregiativo termine “eschimese”, ovvero “mangiatori di carne cruda”. Essi credono tutt’oggi in una energia o inua,
che pervade tutte le cose.
Un famoso detto Kalaalit recitava che “Il grande pericolo della nostra esistenza risiede nel fatto che la
nostra dieta è costituita interamente da anime”. Credono infatti che tutte
le cose, animali compresi, sono dimore di Spiriti. In questa comunità, gli
Angakkut, sia uomini che donne, diventano gli eroi della comunità, coloro che
potevano dialogare con gli Spiriti, il ponte tra i due mondi. Viaggiavano negli
altri mondi alla ricerca dei pezzi perduti dell’anima dei loro “clienti” rubate
dai ilisiitsoq, stregoni malvagi, o
persa per motivi naturali. La prime descrizioni di tali rituali le abbiamo
verso la fine del ‘800 quando iniziano ad arrivare nell’area i missionari
danesi. Il più noto di questi, Hans Egede, inviato dal re di Danimarca in
persona, descrive una delle tante cerimonie sciamaniche
“…A number of spectators assemble in the evening at one of their houses,
where, after it is grown dark, every one being seated, the angekkok causes
himself to be tied, his head between his legs and his hands behind his back,
and a drum is laid at his side; thereupon, after the windows are shut and the
light put out, the assembly sings a ditty, which, they say, is the composition
of their ancestors; when they have done singing the angekkok begins with
conjuring, muttering, and brawling; invokes Torngarsuk [a major spirit], who
converses with the angekkok…In the meanwhile he works himself loose, and as
they believe, mounts up into Heaven through the roof of the house, and passes
through the air till he arrives into the highest heavens, where the souls of
angekkut poglit, that is, the chief angekkuts, reside, by whom he gets
information of all he wants to know. All this is done in the twinkling of an
eye…”
Conosciamo così i principali elementi del rito angakkoq: Lo
sciamano, attraverso il suono del mistico tamburo, canti e danze, inizia il suo
viaggio nel mondo degli Spiriti, in uno stato alterato di coscienza, da dove
cerca e trae le informazioni richiesta dai membri della propria comunità.
Tra i più comuni viaggi vi era quello per propiziare la
pesca. Era l’incontro con la temibile Madre del Mare, Sedna, per avvicinarsi alla quale lo sciamano aveva bisogno del
potere e della protezione di tutti i suoi animali guida, o Tartok. Il viaggio
era necessario per placare questo spirito perché ella veniva “insudiciata”
dalle trasgressioni umane e dalle loro cattiverie svolte durante la pesca, e
quindi compito del angakkoq era di pulirla.
Solo in questo modo si sarebbe assicurato nuovo cibo alla comunità. Lo
sciamano, dopo aver combattuto per penetrare nella sua casa e vinto la sua
resistenza, le doveva lavare il viso e pettinare i capelli. Solo dopo tali
operazioni gli animali marini sarebbero stati resi liberi di cadere nelle reti
degli Kalaalit.
Tutto questo avveniva all’incessante suono del tamburo,
realizzato rigorosamente in pelle di orso mentre lo sciamano, seminudo, danzava
scuotendo di tanto in tanto il sonaglio, avvisando dell’arrivo di uno spirito.
Altro pericoloso compito dello sciamano era la sua lotta con
il Tupilak una creatura creata da
sciamani neri dediti alla stregoneria con parti di animali o cadaveri quali
ossa o capelli, muschio, pelle, alghe, manicotti di kayak, a cui era stata
donata la vita attraverso antichi rituali magici che contemplavano l’utilizzo
di acqua marina e il cui scopo era risucchiare l’energia vitale della sua
povera ed inconsapevole preda. Il compito del Angakkoq era quello di scovarlo e
distruggerlo in una tremenda battaglia.
“…Immediately the spirits were invoked with the cries: “Goi! goi goi
goi”—now one voice, now more, sometimes from one end of the house sometimes from
another. During this the Angakok grunted, puffed and sighed loudly. Suddenly, the skin at the door started to
rustle as if it was moved by a strong wind. The drum began to beat first slowly
then gradually more rapidly. . . . During the most terrible noise the platform
and the window-sill were sometimes shaken. Now the Angakok was heard lying
under a heavy superior force, groaning, wailing, screaming, whining,
whispering, now the spirits were heard some of whom had coarse, others tiny,
others lisping or whistling, voices. Often a demonical, screeching, mocking
laughter was heard. The voices sometimes came from above, sometimes from under
the ground, now from one end of the house, now from the other, now outside the
house or in the entrance passage. Cries of: “hoi! hoi! hoi!” faded away as if
into the remotest abyss. With immense skill the drum was beaten, often moving
round in the house, and especially hovering above my head. The drum often
accompanied singing, which at times was subdued as if coming from the
Underworld. Beautiful singing by women sometimes came from the background…”
(Holm 1888,
in Jakobsen 1999, 124–126)
Lo Sciamanesimo inuit presenta molte similitudini con quello
appena descritto. Chiamato Angakunig,
era diffusissimo in tutte le aree artiche fino al 1936 data dell’arrivo dei
primi missionari cristiani. Costante anche in questa area è la presenza di
Sedna, ma molteplici sono gli altri Spiriti naturali che circondano l’uomo.
Ancora importante funzione hanno i tarniit,
le anime degli uomini o animali defunti, ijirait
lo spirito delle montagne e molti altri.
Chiunque poteva divenire uno sciamano, uomo o donna, era però
indispensabile avere il dono della visione, Spiriti Guida, o tuurngait, in questa tradizione tra i
sei e i dieci, ognuno dei quali aveva le sue qualità specifiche. Strumento
essenziale per lo sciamano era l’angaluk, una cintura sciamanica, fatta della
pelliccia bianca della la pancia di un caribù, nonché numerosi coltelli che
sarebbero serviti nella lotto contro il tupilak. Funzione importante avevano
anche i cristalli, utilizzati anche nelle pratiche di guarigione secondo
istruzioni date in viaggio direttamente allo sciamano. In Alaska e nell’area
più orientale della Siberia, la maggioranza etnica è invece detenuta dagli
Yupik e dai Chukchi. Gli Yupik sono anch’essi fortemente animisti, ogni
fenomeno naturale, la pioggia, il tuono, il lampo, l’aurora boreale, ma anche i
corpi celesti e le formazioni terrestri, sono espressione dello spirito.
In particolare il lupo, la balena e il corvo imperiale sono
tra gli animali più sacri e non possono essere uccisi, le orche sono
considerate come protettori dei cacciatori, mentre speciali cerimonie si
svolgono per placare gli Spiriti degli animali prima della caccia o della
pesca.
Ancora una volta, dunque, ruolo predominante aveva lo
sciamano, detto angalkuq, colui che poteva dialogare con le potenze dei mondi.
Non esisteva una vera e propria iniziazione, se non quella
“donata” dagli Spiriti, che però doveva essere sigillata con un patto. Tra gli
strumenti più utilizzati, oltre all’indispensabile tamburo, troviamo molteplici
amuleti, ad esempio la testa di corvo appeso all'ingresso della casa serviva da
protezione, statue con la forma della testa di tricheco o di testa di cane
erano invece utilizzati come amuleti individuali. Estremamente importante era
poi la funzione della maschera, dalle sembianze umane, di animale o di spirito
marino.
Molto interessante è poi la tradizione sciamanica Sami che io
stesso ho avuto la fortuna di studiare durante uno dei miei viaggi.
L’antica religione Sami si basava su una percezione
animistica e una forma di culto di stampo sciamanico nel quale battere il
tamburo ed eseguire lo joink rivestivano un ruolo fondamentale. Il tamburo era
per i sami l’equivalente dell’Altare di una chiesa, su di esso venivano svolte
le cerimonie e grazie ad esso lo sciamano poteva viaggiare. Era battuto
attraverso un martelletto o Allem, a forma di “T” o “Y”, ricavato dalla larga
punta di un corno di renna non castrata.
Lo sciamano, chiamato Noaidi, batteva il tamburo fino a che
non cadeva in trance per intraprendere così il viaggio verso gli Altri mondi.
Inoltre, poggiando l’orecchio sul tamburo e “ascoltando” le sue parole era in
grado inoltre di predire il futuro.
Le prime descrizioni del tamburo magico e delle sedute dello
sciamano si devono all’Historia Norvegiae della fine del XII secolo nel
capitolo intitolato De Finnis (gli abitanti del Finnmark): “…Ora il mago prende un tappeto e lo srotola e su di esso si prepara ad
eseguire i suoi riti. Poi prende un oggetto, che ricorda un sole, e lo solleva
in alto tenendolo con entrambe le mani. L'oggetto è adornato con piccole figure
di balene e renne, con redini e piccoli sci, e anche una piccola barca a remi.
Questi strumenti serviranno allo spirito assistente del mago per passare nella
neve alta, scalare montagne ripide e attraversare acque profonde. Dopo aver
danzato a lungo con questi oggetti, il mago si accascia a terra, nero in volto
da sembrare un negro, con la bava alla bocca, come far intendere che portasse
un morso (la briglia). Infine, mentre sembra che stia per spezzarsi in due
all'altezza dello stomaco, l’uomo finalmente muore emettendo un urlo terribile.
A quel punto, viene domandato ad un altro uomo, che si intende di magia, cosa
fosse accaduto ai due. L’uomo si accinge, a sua volta, a compiere lo stesso
rituale, ma con un risultato diverso. Riesce a riportare lo spirito in vita e
racconta loro il motivo della morte del mago…”.
Al culto dei “Mondi” era associato quello delle divinità
naturali, Haragallis, il dio delle Tempeste, portatore di pioggia ed
abbondanza, Beaivi, il dio Solare, Bieggolmmai, il dio del Vento, Varaldenolmmai,
la dea della Fertilità. Importantissimo era poi il culto degli Antenati legati
alla Montagna Ancestrale Saivù, il luogo dove i defunti vivevano una vita
beata. Le montagne erano infatti per i Sami sacre presentando dimensioni tali
da non poter essere paragonate ad alcun altro luogo. Non tutte però sono
ritenuta sacre, solo quelle poste in posizione isolata e che terminano con cime
a punta o creste che si stagliano nel cielo blu o tra le nuvole. Un esempio è
Haldi è il nome di una montagna sacra che si trova ad Alta e che appartiene ad
un imponente massiccio montuoso. Qui si trova la roccia sulla quale venivano
sacrificate le renne o grasso di pesce.
Insomma, i culti nordici sono fortemente permeati di
sciamanesimo e pratiche proto-sciamaniche. L’indagine continua….
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