mercoledì 10 gennaio 2024

"Le esperienze di pre-morte sono reali e non sono sogni. Ecco perché"

tratto da "Il Giornale" del 30 marzo 2023

Il professor Enrico Facco, in una intervista rilasciata a ilGiornale.it, ha spiegato che le Nde sono esperienze soggettive intense e profonde di aspetto trascendente

di Gabriele Laganà

La morte è la fine di tutto oppure esiste una vita oltre la vita? Uomini di ogni epoca si sono posti questa domanda almeno una volta nel corso della propria esistenza. Una risposta definitiva ancora non c’è. E probabilmente non ci sarà mai. La scienza non ha certezze su cosa accade quando il nostro cuore smette di battere. Negli ultimi decenni, però, alcuni ricercatori hanno iniziato a studiare un fenomeno che si verifica quando si è in prossimità della morte: le Nde (Near death experience), o esperienze di pre-morte.

Si tratta di fenomeni descritti da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo un periodo di coma o dopo essere state dichiarate clinicamente morte. Prezioso il lavoro, nel recente passato, del medico e scrittore americano Raymond Moody che, nel libro “La vita oltre la vita” pubblicato nel 1975, raccolse testimonianze su tali esperienze.

Da quel momento numerosi altri medici hanno dedicato parte del loro tempo allo studio delle Nde, fornendo contributi interessanti. Tra le figure più celebri in questo campo, solo per citarne alcune, spiccano Pim van Lommel, Sam Parnia (che guida il progetto Aware, la più estesa ricerca mai condotta che coinvolge 25 ospedali nel mondo), Bruce Greyson e l’italiano Enrico Facco (con il quale abbiamo parlato).

Fasi della Nde

I soggetti che hanno vissuto una Nde, una volta riprese le funzioni vitali, raccontano di aver provato una esperienza reale, intensa, rassicurante e bellissima. Vi è un elemento che colpisce: le narrazioni sono lineari e presentano elementi comuni tra loro. E questo nonostante le persone abbiano culture e sentimenti religiosi differenti.

Diversi sono i passaggi che caratterizzano le esperienze di pre-morte. Tutto ha inizio quando una persona giunge all’apice della sofferenza fisica. Il soggetto ha la percezione di elevarsi al di sopra del proprio corpo e di assistere a tutto quello che accade intorno.

A quel punto il morente entra in un tunnel buio in fondo al quale intravede un puntino bianco. Puntino che diventa via via sempre più grande e incredibilmente luminoso. Questa luce, però, non dà in alcun modo fastidio alla vista. Ma è sbagliato parlare di luce. Perché tutti affermano che si tratta di una entità viva con la quale inizia una sorta di dialogo. La stessa emana amore puro e illimitato, compassione infinita, pace sconfinata e un senso di benessere impossibile da descrivere.

Avviene, poi, la "rivisitazione" della propria vita attraverso la visione di immagini che scorrono veloci e che comprendono anche episodi dimenticati e apparentemente irrilevanti. Il morente prova dolore e vergogna se osserva errori compiuti durante la vita. Eppure dalla luce non arriva mai una condanna. Anzi, l’entità continua ad ammantare il morente con un amore, una compassione e una accettazione che non hanno limiti.

Altro elemento che contraddistingue quasi tutte le esperienze di pre-morte è l’incontro con familiari, parenti o amici già defunti. Questi accolgono il morente e lo rassicurano. Nella maggior parte dei casi sono proprio queste entità che spiegano al morente che non è ancora giunto il loro tempo e per questo devono tornare indietro. Infine vi è il risveglio.

C’è chi di questi fenomeni dà una spiegazione scientifica mettendo in relazione l’esperienza con specifiche alterazioni transitorie di tipo chimico, neurologico e biologico che divampano in un corpo in punto di morte.

Ci si domanda se un’esperienza così intensa, capace di modificare la concezione della vita di un soggetto, possa essere davvero solo il frutto di una particolare attività cerebrale di un corpo che si avvicina alla fine. Allora, come si può spiegare una Nde?

Le parole del professor Enrico Facco

Per cercare di fare luce sulle esperienze di pre-morte abbiamo intervistato il professore Enrico Facco, specialista in Anestesiologia e Rianimazione, Specialista in Neurologia, Studioso senior, Studium Patavinum - Dip. di Neuroscienze Università di Padova, il quale fa una importante premessa: "Le Nde hanno un elevato potere trasformativo, che comprende il superamento della paura della morte e una evoluzione personale positiva comprendente un aumento della spiritualità di chi le ha vissute. La coscienza è spesso riportata come più lucida di quella ordinaria; ci sono inoltre singoli casi ben documentati di pazienti che sono stati in grado di testimoniare cosa è successo nella sala di rianimazione mentre erano in arresto cardiaco, che hanno visto dall’alto in una esperienza di uscita dal corpo. Alcuni altri rari casi riportati in letteratura durante l’esperienza hanno avuto informazioni di cui non avevano conoscenza prima dell’arresto cardiaco”.

Le esperienze di pre-morte sono fenomeni sporadici o eventi frequenti?

Le Nde sono eventi relativamente frequenti che avvengono in condizioni critiche con perdita di coscienza.

Può dire la percentuale?

Nelle diverse casistiche l’incidenza oscilla tra il 5 e il 18% nei pazienti in arresto cardiaco.

Come si possono inquadrare le Nde?

Sono esperienze soggettive intense e profonde di aspetto trascendente che si verificano in condizioni critiche associate a perdita di coscienza (quali arresto cardiaco, traumi cranici e politraumi, stati di shock) e caratterizzate dalla netta percezione di essere in una dimensione diversa da quella ordinaria della vita terrena, di avere abbandonato il corpo fisico ed oltrepassato i limiti del proprio io e della dimensione spazio-temporale del mondo fisico ordinario.

Le esperienze di pre-morte possono essere forme di delirium, di alterazione organica transitoria del cervello o ancora all’anossia?

Le interpretazioni scientifiche finora proposte sono di natura meccanicista-riduzionista e hanno ipotizzato che esse origino dal disordine cerebrale prodotto dall’insulto; tuttavia rimangono solo ipotesi senza alcuna conferma mentre alcune di esse possono essere smentite sulla base di altri fatti noti che le rendono non verosimili.

La linearità dell’esperienza come può essere considerata?

Sono esperienze coerenti e ben ricordate anche a distanza di oltre 20 anni; alcuni studi elettroencefalografici sul ricordo delle Nde hanno dimostrato una connessione con la memoria episodica e non con ricordi di eventi immaginati.

Nelle Nde si riscontrano solo elementi comuni o anche altri soggettivi?

Le Nde sono piuttosto complesse e comprendono sia elementi individuali sia elementi comuni; gli aspetti fondamentali delle esperienze sono universali e sono riscontrabili in tutte le culture e se ne trovano indizi anche nella letteratura di tutti i tempi, da Omero a Platone, a Dickens, al Libro Tibetano dei Morti.

Rispetto al sogno, come sono le esperienze di pre-morte?

Il sogno ha un linguaggio molto diverso, caratterizzato dalla sovrapposizione di molti elementi diversi che ne rendono difficile o impossibile l’immediata comprensione; quest’ultima è stata oggetto di un lungo lavoro interpretativo da parte di Freud.

Perché non tutti raccontano di aver vissuto una Nde?

Per due essenziali ragioni: a) non tutti le fanno; b) essendo esperienze di aspetto trascendente e di tonalità mistica, si collocano al di fuori di quanto convenzionalmente accettato dalla Weltanschauung (visione del mondo) dominante oggi e c’è quindi un elevato rischio che vengano fraintese e chi le ha vissute sia considerato un visionario o affetto da una disfunzione conseguente all’insulto cerebrale.

Gli scettici sostengono, ad esempio, che la visione della luce vista in una Nde sia in realtà quella presente nella stanza d'ospedale. È possibile?

È solo un’ipotesi senza alcuna conferma. La luce percepita nelle Nde ha caratteristiche molto diverse da quelle della luce artificiale ed è solo un singolo elemento di un’esperienza molto più ricca e complessa. Nel migliore dei casi potrebbe essere una sorta di trigger dell’esperienza, la quale ha natura e implicazioni molto più ampie.

Le Nde sono solo positive o ci sono racconti di esperienze negative?

Ci sono esperienze negative anche se in una percentuale minore di casi. A volte la parte negativa è un elemento di esperienze che comprendono sia elementi negativi sia positivi. In altri casi ciò che viene sperimentato è lo scenario positivo delle Nde, ma vissuto in modo negativo, o una situazione di per sé neutra (ad es. essere in una condizione di vuoto o di buio) ma vissuta come stressante. Molto più raramente vengono riportate esperienze di scenari angoscianti (si potrebbero definire “infernali”).

Chi prova le esperienze pre-morte negative?

Non è ancora chiaro se e quali possano essere gli elementi in grado di favorire esperienze negative.


Editore ‏ : ‎ Altravista (1 gennaio 2010)
Lingua ‏ : ‎ Italiano
Copertina flessibile ‏ : ‎ 424 pagine
ISBN-10 ‏ : ‎ 8895458354
ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8895458359
Peso articolo ‏ : ‎ 762 g
Dimensioni ‏ : ‎ 20 x 20 x 20 cm

mercoledì 3 gennaio 2024

2° Convegno Uap- Aerospazio 14 gennaio 2024 Sala Congressi Simon Hotel

Il 14 gennaio 2024 la Lux-Co Edizioni della dottoressa Francesca Bittarello nota ricercatrice del fenomeno UAP e storica dell' Aeronautica inizia il nuovo anno 2024 con un Evento di prestigio che è la nuova generazione dei Convegni sugli unidentified anomalous phenomena/Aerospace nella tecnologica Sala Congressi del Simon Hotel di Pomezia con tutti i vomfort per i partecipanti. La nuova era dei Convegni scientifici legato al fenomeno UAP, gli unici convegni in Italia ad alto tasso di scientificità su un fenomeno molto discusso da anni.

I ricercatori che partecipano sono in gran parte ricercatori del CENTRO STUDI UAP WORLD un innovativo centro studi con sede a Pomezia  sul fenomeno dove si accede per competenze acclarate e dove la dottoresssa Francesca Bittarello ne è il Presidente.

Tra i Conferenzieri oltre la dottoressa Francesca Bittarello (autrice di 2 best-seller UFO GLI ARCHIVI INEDITI e UFO A ROMA ) il già Sottosegretario di Stato alla Difesa Gen. Domenico Rossi, il Vaticanista Riccardo Narducci con un prossimo libro in uscita con la LUX-CO EDIZIONI sui segreti del Vaticano inerenti al tema del Convegno, presente per la prima volta agli eventi della Bittarello anche l' Astrofisico Fabrizio Albani, a seguire il professore Mariotti con il libro appena pubblicato dalla LUX-CO EDIZIONI che sta puntando a divenire best seller "Gli aerei segreti del terzo reich" e il presidente dell' associazione missilistica europea Stefano Innocenti, il poliziotto cantautore Antonio Riggi con l'ipotesi Frequenze e progetti militari e infine il sumerologo Victor Nunzi. Si inizia alle 10 e alle 13-14 l'immancabile pausa pranzo con il panino alieno il must gastronomico  dei Convegni al Simon Hotel organizzati dalla Bittarello dal 2015. Per info: https://www.convegnouapworld.com/





martedì 19 dicembre 2023

“I POTERI DELLE TENEBRE”: E VOI LO AVETE LETTO IL NUOVO DRACULA DI BRAM STOKER?

Tratto https://www.cacciatoredilibri.com/i-poteri-delle-tenebre-il-nuovo-dracula-di-bram-stoker/

Di Simone Berni

La strana edizione islandese di Dracula

Malauguratamente, per gran parte degli studiosi e dei librai l’edizione islandese del 1901 è ancora unanimemente riconosciuta come la prima traduzione del Dracula di Bram Stoker, sebbene la traduzione ungherese, e relativa coeva edizione in volume, andrebbero considerate le prime in ordine cronologico. L’unico dubbio che la traduzione islandese possa aver preceduto quella ungherese è legato alla data apposta in calce alla prefazione dell’edizione di Reykjavik, ossia agosto 1898. Ad ogni modo, l’edizione ungherese in volume precede di tre anni quella analoga islandese.

Datazione a parte, Dracula di Bram Stoker fu tradotto per i lettori islandesi da Valdimar Ásmundsson, giornalista e scrittore; inizialmente apparve a puntate nel periodico «Fjallkonan» di Reykjavik, e questo a partire dal 13 gennaio 1900. Il traduttore era il marito dell’editor Bríet Bjarnhéðinsdóttir.

Sia l’edizione a puntate che quella in tomo portano il titolo di Makt Myrkranna (ossia: “Forze delle tenebre”, o “Potenze delle Tenebre“), che fu ideato dallo stesso Ásmundsson. Dal colophon lo stampatore risulta essere Nokkrir Prentarar di Reykjavik. In realtà Nokkrir Prentarar significa “stampatori vari” in lingua islandese. Il libraio Agúst Eirikur della Libreria Bokin di Reykjavik ci spiega amabilmente che non è noto dove e quali fossero realmente in città questi stampatori. Félagsprentsmiðjan risulta essere il nome della casa editrice.

Ma è veramente “Dracula”?

Solo in anni più recenti ci si è resi conto, analizzando il testo del romanzo, che Makt Myrkranna non era affatto un’edizione integrale e fedele del romanzo di Stoker. La trama è risultata diversa e c’erano delle aggiunte piuttosto interessanti, al punto da poter parlare quasi di un nuovo romanzo. Il testo risulta essere più breve dell’originale, con una suspense più concentrata e un arricchimento del lato sensuale ed erotico della trama. Dice uno dei primi italiani ad essersi accorto della stranezza, ossia, Francesco Brandoli:

“È evidente come la trama di Powers of Darkness, nella seconda parte del romanzo, si discosti in maniera massiccia dal testo originale, aprendo molti spunti a possibili sviluppi e intrecci della trama.

È ipotizzabile che, avendo Stoker ceduto i diritti di pubblicazione all’editore per Inghilterra e Stati Uniti, lo stesso abbia poi trattato direttamente la cessione in Islanda, per lucrare maggiormente, forse cedendo una delle prime stesure del romanzo (all’epoca non era facile né rapido inviare copie, non certo via mail, e questo potrebbe aver favorito – ipotizzo – l’invio di un manoscritto di bozza già pronto).”

Il romanzo, quindi, è uscito anche in italiano, con il titolo de I Poteri delle Tenebre: Dracula, il manoscritto ritrovato, di Bram Stoker e Valdimar Ásmundsson (Milano, Carbonio Editore, 2019).

Per la cronaca, il romanzo Powers of Darkness, per la prima volta in lingua inglese, curato da Hans Corneel de Ross, uno dei massimi studiosi di Dracula, è uscito nel 2017 per Overlook Duckworth.

martedì 12 dicembre 2023

L’India e il cristianesimo: una storia antica e profonda

Tratto da InsideOver del 9 DICEMBRE 2021

di Andrea Muratore


 “Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo. Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“

La storia del cristianesimo in India è antica quasi quanto quella del cristianesimo stesso. Nella valle dell’Indo, da millenni, tutte le principali religioni dell’Eurasia hanno avuto modo di diffondersi, svilupparsi e influenzarsi reciprocamente, e la presenza cristiana risale ai tempi della predicazione dei primi discepoli di Gesù.

Come in altri casi di predicazione la tradizione cristiana assegna un ruolo da apripista del cristianesimo in India a San Bartolomeo, che negli anni successivi all’Ascensione di Cristo avrebbe portato la parola di Gesù fino al subcontinente, e secondo Eusebio di Cesarea avrebbe lasciato in India copie del Vangelo di Matteo. Così come in altre tradizioni che indicano in Bartolomeo il primo predicatore cristiano in altre terre (Armenia, Etiopia, Mesopotamia), anche in questo caso la tradizione si mescola a fatti storicamente accertati. Nell’anno 52 dopo Cristo, meno di trent’anni dopo la morte di Gesù, uno degli apostoli, San Tommaso, avrebbe messo piede in India sbarcando a Kodungallur, dando vita a una predicazione che lo avrebbe portato al martirio presso l’attuale Chennai. Dunque, il cristianesimo si è stabilito in India persino prima che alcune nazioni europee divenissero cristiane.

Diverse città della costa occidentale dell’India, principalmente nell’attuale Kerala, divennero sede episcopale. Kodugallore, Palayoor, Kottacave, Kokamangalam, Niranam, Chayal, Kollam furono solo alcune delle città in cui in India prese piede una versione particolare del cristianesimo siriaco. Essa si sviluppò in forma pressoché autonoma rispetto alle comunità che prendevano piede in Europa dall’età romana in avanti, pur aprendosi la strada sulla scia delle antiche rotte commerciali tra l’Impero Romano e l’India.

Come racconta Peter Frankopan nel saggio Le vie della seta, l’India fu una delle terre, assieme all’Asia centrale, in cui per secoli si strutturò una forma di cristianesimo totalmente ignorato nel Vecchio Continente, con comunità basate su diocesi, agapi e riti autonomi, il cui richiamo lontano portato da mercanti e viaggiatori alimentò in Europa leggende come quella del Prete Gianni, il misterioso sovrano cristiano d’Oriente associato a diversi regnanti nell’era medievale. L’unica certezza era che la tomba dell’apostolo Tommaso si trovasse in India, tanto che nell’883 Alfredo il Grande re del Sussex inviò doni e omaggi per commemorarlo.

Quando i portoghesi, in seguito all’impresa di Vasco da Gama, iniziarono a raggiungere l’India a fine XV secolo furono sorpresi di trovare sulle sue terre una comunità cristiana minoritaria a livello collettivo ma influente nelle comunità locali. Dopo aver subito persecuzioni ai tempi dell’invasione di Tamerlano e pur trovandosi in una posizione precaria sotto l’arbitrio dei raja di Calcutta e delle altre città i “cristiani di San Tommaso” risultavano influenti nello strategico commercio delle spezie che interessava fortemente i mercanti e gli esploratori al servizio di Lisbona.

Nei secoli, l’arrivo degli europei sedimentò una serie di evangelizzazioni profonde: dapprima i cattolici, con i Gesuiti di Francesco Saverio in prima linea nel XVI secolo assieme a Francescani e Domenicani, a cui dal Settecento fecero seguito i protestanti e, con l’arrivo degli inglesi, gli anglicani. A inizio Novecento anche diverse confessioni di orientamento statunitense, dai metodisti agli evangelici, inviarono missionari.

Senza aver mai dato i propri crismi a nessuna delle dinastie o degli Stati che hanno dominato il subcontinente, il cristianesimo in India è da tempo la terza religione maggiormente professata dopo l’induismo e l’Islam. Il 2,30% della popolazione indiana, oltre 27 milioni di persone, nel 2011 si è dichiarato cristiano nel censimento nazionale, e i cristiani erano la maggioranza in tre Stati: Meghalaya (87.93%), Mizoram (87.16%) e Nagaland (74.59%), risultando inoltre il 20% in Kerala, lo Stato indiano coi più alti indici di sviluppo. Significativo il caso del Meghalaya, lo “Stato tra le nuvole” confinante con il Bangladesh nel quale, come ha scritto La Voce di New York, “da quando i missionari protestanti e cattolici hanno cominciato ad arrivare, spesso a rischio per la propria vita, il cristianesimo ha spesso preso il posto dell’antica religione monoteistica che privilegiava lo stretto rapporto tra la divinità e la natura, la lingua, da orale, è diventata scritta grazie all’aiuto del missionario gallese Thomas Jones”. Ma al contempo, la proliferazione del cristianesimo è stata fonte di valorizzazione delle culture locali: ” Nel 2000, ad esempio, l’ordine dei Salesiani ha aperto a Shillong il Museo Don Bosco della cultura indigena, che ha una splendida collezione di artefatti, strumenti originali e costumi delle varie tribù”.

L’India è una nazione con una storia profonda, complessa, millenaria. Una storia che affonda le sue radici nel mito e nella tradizione. Una storia, in ogni caso, plurale e articolata, in cui anche i cristiani hanno sempre potuto giocare un ruolo fondamentale. Il ruolo di pontieri, di edificatori di comunità plurali, di antidoto contro ogni fanatismo. Un ruolo pluralista, dunque, come plurale è la natura delle confessioni, che dalle formazioni di stampo europeo si allarga a una versione nazionale e antica della fede cristiana, che getta le sue radici nella storia stessa dei seguaci di Gesù. Tale insieme di tradizioni è innervato nella storia stessa dell’India e va preservato ad ogni costo. Per permettere all’India di mantenere intatta un’identità nel cui cuore profondo c’è spazio importante per il cristianesimo.

mercoledì 6 dicembre 2023

Paranormale e armi psichiche: il piano (fallito) della Cia contro l’Urss

tratto da InsideOver (https://it.insideover.com/storia/paranormale-e-armi-psichiche-il-piano-fallito-della-cia-contro-lurss.html)

del 22 AGOSTO 2023

di Emanuel Pietrobon


Nel corso della Guerra fredda, l’epico scontro per il dominio globale del Novecento, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica investirono cifre a nove zeri in attività di ricerca e sviluppo su super-armi non convenzionali, dalle bombe radiologiche alle sostanze stupefacenti, caratterizzate da un comune denominatore: il cervello.

Usa e Urss, nel contesto della psichedelica corsa al cervello, portarono avanti esperimenti illegali su esseri umani, reclutarono fumettistici scienziati pazzi e diedero fiducia a persone presumibilmente dotate di percezioni extrasensoriali con l’obiettivo di costruire l’arma perfetta grazie ai segreti della mente.

Uno dei programmi più estremi dell’epoca della corsa al cervello, più dentro che fuori il campo della fantascienza, fu sicuramente il progetto Stargate. Un progetto della Dia, la sorella militare della Cia, incentrato sull’investigazione dei fenomeni psichici.


Le origini di Stargate

I ricercatori militari e gli scienziati sociali della Germania nazista erano ossessionati dall’archeologia misteriosa, dalla criptozoologia e dalle pseudoscienze. Avevano indagato la teoria della Terra cava, si erano messi sulle tracce del martello di Thor e del Santo Graal, avevano allestito delle unità all’interno dei lager in cui condurre esperimenti sulla manipolazione della mente, i loro compagni di lavoro erano cartomanti, chiaroveggenti e sensitivi.

Stati Uniti e Unione Sovietica vennero a conoscenza dell’ossessione del Terzo Reich per il soprannaturale con la presa di Berlino. Non ritenendola affatto un’assurdità. E mettendo in piedi, rispettivamente, le operazioni Paperclip e Osoaviakhim con l’obiettivo di reclutare il maggior numero possibile di cervelli implicati nei programmi militari segreti nazisti.

La storia avrebbe dato ragione alla lungimiranza di Washington e Mosca: la passeggiata spaziale di Jurij Gagarin e l’allunaggio dell’Apollo 11 sarebbero stati impensabili senza il supporto degli ex nazisti. E ugualmente impensabili sarebbero stati i programmi di ricerca sul controllo mentale e sulle facoltà paranormali, anch’essi sviluppati a partire dalle precedenti ricerche del Terzo Reich sui due temi, dei quali Stargate è stato sicuramente il più audace.


I sensitivi sconfiggeranno l’Unione Sovietica

Stati Uniti, 1970. Il programma MKULTRA sta iniziando a dare i primi frutti, dato che gli psichedelici stanno effettivamente trasformando la grande contestazione antisistema in un movimento culturale fondato sul consumo di droga e sul sesso libero, quando le antenne dell’intelligence a stelle e strisce captano un nuovo segnale di minaccia proveniente dalle terre a est della cortina di ferro: guerra psichica.

La Casa Bianca viene informata da fonti in loco, che alcuni reputano però inaffidabili, che l’Unione Sovietica starebbe spendendo all’incirca 60 milioni di rubli l’anno in ricerca e sviluppo di armi psichiche, o psicotroniche, con l’aiuto di persone dotate di facoltà paranormali. Forse è disinformazione per spingere gli Stati Uniti a investire tempo e risorse in programmi inutili. O forse le armi mentali sono il futuro della guerra. Nel dubbio, Dia e Cia ricevono un ordine dall’alto: indagare sulle indiscrezioni e, se necessario, avviare dei programmi nazionali dello stesso tipo.

Nel 1972, poco dopo l’inaugurazione del programma Scanate da parte della Cia, la Dia riunisce civili e militari, da fisici a sensitivi, all’interno di quello che più in là diverrà il progetto Stargate. Gli operatori hanno materiale da cui partire, in particolare gli studi sulla cosiddetta visione remota condotti dai parapsicologi Russell Targ e Harold Puthoff presso lo Stanford Research Institute, e devono capire se i cinque sensi della mente siano una truffa o se, invece, siano una potenziale arma.

Il caos avrebbe regnato sovrano sul progetto Stargate, dalla sua nascita alla sua morte, rendendolo uno dei più celebri buchi nell’acqua della storia del Pentagono. Caos perché il personale è diviso in due fazioni, credenti e scettici, le cui convinzioni influiscono sui loro rapporti di valutazione. La soglia tra verità e suggestionabilità sembra essere sottilissima, quasi impercettibile, inficiando il lavoro d’indagine.

I truffatori che si presentano all’uscio di Stargate sono tanti, tra i quali un giovane Uri Geller, eppure i risultati di alcuni esperimenti lasciano a bocca aperta anche i più increduli. Come quando, nel 1976, una sensitiva sarebbe riuscita a risalire alla posizione di un velivolo spia sovietico, fuggito al monitoraggio dei radar americani, per mezzo della visione remota.

All’acme del progetto i sensitivi arruolati dalla Dia saranno più di venti: chiaroudenti per ascoltare conversazioni in altre stanze, chiaroveggenti per prevedere il futuro, telecineti per spostare oggetti con la mente, telepati per leggere i pensieri altrui, visualizzatori remoti per localizzare oggetti/persone a grandi distanze e viaggiatori astrali per testare le esperienze extracorporee. La Dia era interessata all’indagine di ogni percezione extrasensoriale.


Una fine inconcludente?

Svelato al pubblico per la prima volta nel 1984, e schernito dalla comunità scientifica sin da allora, il programma di ricerca sulle armi psichiche è successivamente entrato in una fase discendente a base di definanziamenti, riassegnazioni e ridenominazioni.

Dopo l’uscita del Pentagono dalle ricerche, avvenuta nel 1985, il progetto è stato passato dalla Dia prima a strutture private, come la Science Applications International Corporation, e dopo, nel 1995, alla Cia. Quest’ultima commissionò un rapporto di valutazione all’American Institutes for Research (Air) per capire se le indagini sul paranormale valessero ulteriori investimenti oppure no, decidendo di chiudere il programma a seguito del parere negativo ricevuto.

La relazione dell’Air non aveva lasciato alla Cia altra scelta se non la cancellazione di Stargate. Per gli esaminatori, infatti, gli esperimenti fallimentari superavano di gran lunga i casi di successo e questi ultimi, in diversi casi, erano più che contestabili: sospetti di manipolazione, vaghezza dei contenuti, ambiguità della metodologia di studio utilizzata, nessuna facoltà paranormale rivelatasi in grado di contribuire in maniera incisiva a un’operazione di intelligence.

La Cia chiuse il progetto, costato un totale di 20 milioni di dollari ai predecessori, bollandolo come un flop. Punto. Fine. No. In realtà il rapporto dell’Air, che oggi è di pubblico dominio insieme agli atti di Stargate, non aveva emesso una sentenza così severa sui risultati ottenuti dalla Dia. Gli psicologi, anzi, constatarono che “nei laboratori è stato osservato un effetto statisticamente significativo, sebbene non è chiaro se l’esistenza di un fenomeno paranormale, la visione remota, sia stata dimostrata”.

I veri problemi, per l’Air, erano legati alla metodologia – eterodossa e antiscientifica – e all’applicabilità militare della presunta facoltà psichica – ritenuta limitata. Il rapporto dell’Air, in sintesi, non aveva escluso a priori l’esistenza di facoltà paranormali, ma, dinanzi all’impossibilità di verificare le condizioni in cui erano stati effettuati gli esperimenti, non poteva confermare l’esistenza e la validità a fini militari e di intelligence.

Secondo l’ufficiale Joseph McMoneagle, tra i principali responsabili di Stargate e remote viewer numero 1, il progetto sarebbe stato un successo se l’Esercito avesse avuto un’attitudine maggiormente aperta nei confronti del paranormale. Perciò all’indomani della chiusura del progetto ha iniziato a sensibilizzare i colleghi e il grande pubblico sui poteri psichici, dando alla stampa quattro libri sulle sue esperienze, e ha ispirato la penna del giornalista Jon Ronson, dal cui libro sugli esperimenti psichici condotti dagli Stati Uniti durante la Guerra fredda è stato tratto il celebre film L’uomo che fissa le capre.

mercoledì 29 novembre 2023

Oggetti non identificati negli abissi: ecco i nuovi Ufo

tratto da "Il Giornale" del 22 Ottobre 2019 

Un ex pilota di caccia della Marina degli Stati Uniti ha raccontato la storia da brivido di un incontro con un oggetto sottomarino non identificato. Nel 2004 fu già protagonista di un video divulgato dal Pentagono riguardo la serie di incontri con teorici "Ufo"

Davide Bartoccini


Negli ultimi mesi la Marina degli Stati Uniti si è trovata costretta ad ammettere l'evidenza riguardo quelli che vengono definiti incontri ravvicinati del "primo tipo" con degli Ufo - Unidentified Flying Object. I video, pubblicati dal New York Times che intervistò i piloti dei caccia F/A-18 che tentarono di intercettarli, sono stati condivisi dai giornali di tutto il mondo; ma ora uno dei piloti, divenuto noto per aver "avvistato" un velivolo a forma di "Tic-Tac" gigante poi scomparso dopo un'accellerazione a velocità insostenibile per l'uomo, ha rivelato i dettagli di un altro inquietante incontro ravvicinato. E questa volta l'oggetto non identificato proverrebbe dalle profondità degli abissi.

Il veterano dell'Us Navy ad aver raccontato questa storia spettrale è David Fravor, pilota di marina ritiratosi con il grado di comandante dello Strike Fighter Squadron 41 imbarcato sulla portaerei USS Nimitz e protagonista dell'incidente del novembre 2004. Fravor, ha riportato durante una nota trasmissione radiofonica l'esperienza di un pilota di elicotteri della base navale di Roosevelt Roads, che impegnato nel recupero di bersagli e siluri per il rilevamento di dati telemetrici con il suo Mh-53 Sea Dragon, s'imbattè in una "grande massa nera" che sembrava emergere dalla acqua sotto i suoi piedi (l'Mh-53 ha una conformazione dell'abitacolo che permette di vedere "sotto") per poi sparire improvvisamente. Proprio quello che gli ufologi ribattezzerebbero come un Unidentified Underwater Object (Oggetto sommerso non identificato, ndr).

Nel primo dei due avvistamenti, uno dei membri a bordo dell'elicottero che era impegnato a recupera un Bmq - un finto bersaglio aereo che viene lanciato durante le missioni di addestramento e ha una forma simile a quella di un missile con le ali - avvertì il resto dell'equipaggio che non erano "soli" , quando durante la fase di recupero del bersaglio e del sub che si era tuffato in mare per agganciarlo il cavo del verricello, la "grande massa nera" iniziò a sollevarsi sotto l'elicottero che volava approssimativamente a 15 metri dal livello dell'acqua al largo della costa orientale degli Stati Uniti. Era la metà degli anni '90. Il pilota avrebbe ammesso di aver visto proprio "una massa scura che risaliva dalle profondità ” - gridando :" Che diavolo è quello?", ma subito dopo la massa si sarebbe inabissata. Qualcuno pensò immediatamente a un sottomarino - anche un sottomarino russo al limite - ma il pilota negò questa possibilità: "Non era un sottomarino “, affermò, "Ho già visto sottomarini. Una volta che hai visto un sottomarino non puoi confonderlo con qualcos'altro".

Durante il secondo incontro, lo stesso pilota stava recuperando un siluro per rilevamenti telemetrici quando un grande oggetto sommerso simile a quello avvistato la volta precedente, dalla forma "un po' circolare", risalì per prendere il siluro che venne (letteralmente) "risucchiato" per non essere mai più rivisto. Secondo la testimonianza di Fravor, che non ha rivelato l'identità del protagonista della storia, questo pilota della Marina si rivolse al Times per esporre i fatti nella speranza che venissero riportati, ma il giornale al tempo si rifiutò di pubblicare la storia. Tuttavia, c'è di più.

Gli altri "incontri ravvicinati"

Dopo la sua rivelazione pubblica, Fravor afferma che una donna di 79 anni lo avrebbe contattato per riportagli la testimonianza di suo padre, un ufficiale della Marina di stanza alla base navale di San Francisco negli anni '50. Da bambina le venne mostrato un documento dove si faceva riferimento a "Oggetti non identificati" che erano stati visti "entrare e uscire dall'acqua" a delle particolari coordinate di latitudine e longitudine. Secondo il racconto della donna, suo padre sosteneva che gli oggetti apparissero: "Sempre nella stessa area". Un'altra testimonianza, sempre legata alla Marina statunitense, sarebbe quella di un operatore della Uss Wasp e del suo gruppo di scorta. Nel 1963, sempre al largo delle coste orientali, velivoli per la guerra antisommergibile e cacciatorpedinieri, tracciarono un oggetto sommerso sconosciuto che si muoveva ad alta velocità e che avrebbe dato "segnale" per quattro giorni a alla proibitiva profondità di 8mila metri.

Le testimonianze di oggetti non identificati sommersi sono numerose, quasi quanto quelle degli oggetti volanti non identificati; secondo la versione dell'ex pilota della Marina David Fravor, l'unica ragione per cui lui stesso è stato protagonista del primo e più famoso avvistamento "confermato" dalla Difesa americana, quello dell'Ufo "Tic-Tac" (noto come avvistamento"Flir1"), è proprio perché si trovava a sorvolare quello che definisce un "misterioso oggetto più grande" che era "stato avvistato sott'acqua", dove la superficie appariva "bollente" o "schiumosa". Secondo questo veterano a cui gli Stati Uniti hanno affidato il comando di uno squadrone di cacciabombardieri del valore di milione di dollari per molti anni, e per tutti coloro che gli stanno dando credito, qualcosa si nasconderebbe nelle profondità degli abissi. Proprio come ci mostrò la fantasia di James Cameron nel suo film cult degli anni '80: The Abyss.

domenica 26 novembre 2023

La solitudine siderale di Julius Evola che sfida i secoli

tratto da "Il Giornale" del 31 Marzo 2014

Il lungo cammino attraverso Dada, esoterismo, Tradizione di un filosofo incompreso e rifiutato. Oggi come allora

Marcello Veneziani


«Ho dovuto aprirmi da solo la via... Quasi come un disperso ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose». Così Julius Evola (1898-1974), descrive nella sua autobiografia la solitudine siderale del suo cammino. Mezzo secolo fa Evola scese dal cavallo altero dell'impersonalità e si raccontò in un'autobiografia intellettuale che intitolò con spirito alchemico Il cammino del cinabro. Ora, a quarant'anni dalla sua morte, il testo rivede la luce nelle Opere di Evola (Mediterranee, pagg. 438, euro 32,50), curate da Gianfranco de Turris, aiutato da Giovanni Sessa e Andrea Scarabelli, arricchito di note, notizie e altri scritti. La prefazione è di Geminello Alvi. Curioso l'inserto fotografico con immagini di Evola mai viste, per esempio da bambino coi suoi genitori.

Evola racconta la sua vita attraverso le sue opere e i suoi snodi fondamentali: l'esperienza della Grande Guerra, poi il periodo di pittore Dada, quindi la fase filosofica, poi il suo percorso esoterico, infine il suo cammino nella Tradizione. E sullo sfondo, i suoi rapporti con gli artisti e gli iniziati, gli scrittori e i filosofi del suo tempo, le trasgressioni, il controverso rapporto col fascismo tra sostegno e dissenso, superfascismo e antifascismo, e poi con i giovani della destra postbellica. C'è anche il capitolo scabroso del razzismo. Evola fu teorico di un razzismo spirituale che non piacque ai razzisti doc e ai nazisti ma gli restò addosso come il suo peccato originale. Non c'è in lui odio antisemita né alcun fanatismo, c'è perfino una dignitosa coerenza, riconobbe Renzo De Felice. Ma Evola prescinde totalmente dai fatti e dalla tragedia dello sterminio e si attesta solo sui principi; ciò infonde un tono astratto alle farneticazioni della razza, qui ridotte peraltro da lui a «una parentesi» nella sua vita e nella sua opera. Evola confessa di aver rasentato da giovane «l'area delle allucinazioni visionarie e fors'anche della pazzia» e «una specie di cupio dissolvi, un impulso a disperdersi e a perdersi».

Nelle pagine del Cinabro, a fianco del pensiero e delle opere, scorre la vita, la storia - arricchita dalle note dei curatori - gli ambienti a lui vicini e a lui avversi, le note ostili della questura ai tempi del fascismo, perfino la vicenda di un duello rifiutato da Evola per non abbassarsi al rango dello sfidante che però gli costò la rimozione del grado di ufficiale e gli impedì di partire volontario nella seconda guerra mondiale. Ci sono gli scontri con alcuni fascisti, c'è la sua fama di mago e c'è perfino l'accenno di Evola al Mussolini superstizioso: «Aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava che si pronunciasse il nome in suo cospetto». C'è la storia assurda del processo nel dopoguerra a un gruppo di giovani neofascisti in cui fu coinvolto un Evola del tutto ignaro e ormai paralizzato, vittima di un bombardamento a Vienna. C'è la cronaca della sua morte, l'11 giugno di 40 anni fa, quando si fece portare davanti alla finestra e morì in piedi, guardando al Gianicolo; e poi i funerali con la sua bara senza croce e senza corteo funebre, secondo le sue volontà, e le sue ceneri disperse tra le cime delle Alpi, che aveva amato e scalato.

Evola fu un mito già da vivente, avvolto in un alone di magia. In queste pagine aleggia un paradosso: un pensatore isolato e in disparte che incrocia nella sua vita e nella sua opera, gli autori, le correnti, gli eventi più salienti del Novecento. A questo paradosso ne corrisponde uno inverso sul piano del pensiero: Evola, fautore della Tradizione e del Sacro, fonda la sua opera su un Individualismo Trascendentale, non solo teorico e psichico ma pratico e magico. Per Evola la verità è solo «un riflesso della potenza: la verità è un errore potente, l'errore è una verità debole». Un relativismo imperniato sulla potenza, che ne decide il rango e il valore. «Essere, verità, certezza non stanno dietro ma avanti, sono dei compiti», non dei fondamenti. Grandiosi piani metastorici in nome della Tradizione, templi sacri, civiltà millenarie dell'Essere ma in piedi resta solo la solitudine stellare dell'Io. Solipsismo eroico. «Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue - scrive Evola, sottolineando la sua estraneità alla tradizione cristiana, famigliare e patriottica - il mio impulso alla trascendenza è centrato sull'affermazione libera dell'Io». Anzi, avverte Evola, «non vi è avvenimento rilevante dell'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale». Siamo quasi all'autocreazione, al self made man metafisico. Resta sospesa nei cieli la domanda che qui si pone Evola: «Che cosa può venire dopo il nichilismo europeo?... Dove si può trovare un appoggio, un senso dell'esistenza, senza tornare indietro?». Evola rispose che l'unica soluzione era «essere se stessi, seguire solo la propria legge, facendone un assoluto». Ma non è proprio questa incondizionata libertà la punta più avanzata del nichilismo europeo, non è di questo individualismo assoluto che sta morendo la nostra civiltà? E se fosse l'Individuo Assoluto l'ostacolo estremo alla rivelazione dell'Essere?

Un titanico e aristocratico disdegno del mondo accompagna il racconto biografico di Evola. Ma ogni tanto si apre uno squarcio nel suo severo stile impersonale. Ad esempio quando riporta in queste pagine i giudizi lusinghieri sulle sue opere. Fa tenerezza notare che per lenire il suo isolamento Evola citi queste sporadiche e spesso modeste attenzioni alla sua opera. O quando sfugge al suo stoicismo imperturbabile qualche umana amarezza per il mancato riconoscimento del suo pensiero: «La grande stampa e la cultura ufficiale rimasero, e anche in seguito dovevano rimanere, sorde». Lo stesso Cammino del Cinabro, confessa nella nota d'esordio, fu scritto «nell'eventualità che un giorno l'opera da me svolta in otto lustri sia fatta oggetto di un'attenzione diversa da quella che finora le è stata concessa». Altri otto lustri sono passati dalla sua morte ma non sembrano bastati. La solitudine di Evola sfida i secoli.