mercoledì 9 dicembre 2020

Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica

In collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/antico-ordine-dei-cavalieri-della-catena-mistica/


Dai miti arturiani alla Pennsylvania con l’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica

 

Questa mattina leggendo il New York Times, 22 ottobre 1884, mi sono imbattuto in un articolo con questo incipit: “PITTSBURG, Penn., 21 ottobre. – Il Castello Supremo dell’Antico, Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica si è riunito qui nella loro convention annuale questo pomeriggio alle 2 e resterà in sessione fino a giovedì sera. Trenta delegati, in rappresentanza di 25 Stati, sono presenti”.

A questo punto è lecito chiedersi cosa fosse l’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica (Ancient Order of Knights of the Mystic Chain) e di cosa si occupasse.

Nel 1870/71 a Reading, in Pennsylvania un gruppo di Massoni e Cavalieri Pythias unitamente ad altre persone fondarono l’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica inserendolo nella mitologia e tradizione arturiana e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. A questi valori cavallereschi si ispira il loro motto o divisa araldica: “Loyalty, Obedience, and Fidelity” traducibile in: Devozione, Obbedienza, Fedeltà.

L’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica era diviso in tre gradi a cui nel tempo se ne aggiunsero due:


1. Cavaliere

2. Mistero

3. Cavalleria

 

a. In un secondo tempo venne creato il Mark-degree. Avevano accesso a questo grado paramilitare solo quanti erano stati maestri di un Castello.

b. Naomi o Figlie di Ruth, grado creato per le donne.

Il loro luogo di ritrovo era detto Castello, analogo ad una Loggia Massonica e omonimo del luogo di raduno dei Cavalieri Pitici, nel cui centro era posto un altare su cui si trovava una bibbia aperta.


A differenza della Massoneria i rituali, soprattutto di iniziazione, sono meno seri e come molte fraternità tendono allo scherzo o alla Goliardia.

L’iniziazione al grado di Cavaliere viene posto su una lastra di metallo e viene spinto a prendere un oggetto contenuto in un contenitore colmo d’acqua. Mentre il candidato prova a prendere l’oggetto subisce una piccola scossa elettrica. Durante l’iniziazione ad un altro grado il candidato bendato è costretto a chinarsi sino a quando non immerge la testa in una bacinella di acqua fredda. I membri di questa consorteria sono spinti da precise istruzioni rituali a prendere in giro i recipiendari mentre affrontano le prove dell’iniziazione.

L’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica non superò le poche decine di miglia di membri e si estinse nella prima metà del XX secolo.  Ci sono voci che raccontano dell’esistenza odierna dell’ordine.

I rituali e la struttura di questa fraternità sono ispirati alla Massoneria ai Cavalieri Pythias, agli Odd Fellows e ad alcune Fraternità forestali.


Descrizione dell’emblema e sigillo


L’emblema di questa società segreta è un pentagono, che porta su ciascuno dei suoi lati una metà inferiore invertita di un triangolo isoscele. Questo fornisce cinque campi distinti, nel primo dei quali, di colore bianco vi è un libro aperto; nel secondo colorato di blu sono posti uno scudo e una lancia; il terzo è rosso, al suo interno troviamo cranio e ossa incrociate; nel quarto, dello stesso colore del precedente vi sono spade incrociate; nel quinto, di colore nero, abbiamo l’Occhio che tutto vede. Al centro sono incise delle lettere, il cui significato è noto solo ai membri del quarto grado: Mark. Sul rovescio abbiamo nel campo centrale un castello in rilievo, che è il marchio del grado più alto. Gradi più bassi avevano altri segni.


Quali erano gli scopi dell’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica?


Come molte Fraternità e Società di Muto Soccorso l’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica aveva lo scopo di supportare i confratelli in caso di infortunio sul lavoro o malattia; di assistere e prendersi cura delle vedove e degli orfani dei confratelli deceduti; creare amore per la patria e il rispetto per le leggi del Paese in cui vivono i membri dell’ordine; creare un network professionale e aiutare i confratelli senza lavoro a trovarne uno.

Il motto o vessillo è “Fedeltà, Obbedienza e Fedeltà”; e il “marchio” è un pentagono, che porta su ciascuno dei suoi lati una metà inferiore invertita di un triangolo isoscele, il tutto suggerisce una forma di croce maltese di cinque braccia. Questo fornisce cinque campi distinti, nel primo dei quali, bianco, è un libro aperto; nel secondo, blu, uno scudo e una lancia; nel terzo, rosso, cranio e ossa incrociate; nel quarto, rosso, spade incrociate; nel quinto, nero, l’Occhio che tutto vede; e al centro, lettere, il cui significato è noto solo ai membri di grado Mark. Al contrario, nel campo centrale, al centro, un castello in rilievo, che è il marchio del grado più alto. Ci sono lievi cambiamenti per quelli di rango o grado inferiore.

Ti riporto per permetterti di notare le somiglianze con altri riti di altre organizzazioni il rituale di apertura dei lavori del Castello nel grado di Cavaliere, altrove ti riporterò altri rituali:


Cerimonia di apertura dell’assemblea di Cavaliere dell’Antico Ordine dei Cavalieri della Catena Mistica

Comandante: Nobili Cavalieri, sto per aprire un Castello dei Cavalieri della Catena Mistica, e chiedo la vostra collaborazione. Vice-Comandante, gli ufficiali sono alle loro postazioni?

Vice Comandante: Si, Comandante.

Comandante: Maresciallo, lei prenderà la parola d’ordine e verificherà se tutti i presenti sono Nobili Cavalieri.

Maresciallo, dopo aver preso la parola d’ordine: Lo sono, Comandante.

Comandante: Maresciallo, qual è il primo compito dei Nobili Cavalieri riuniti?

Maresciallo: Essere a guardia del Castello, Comandante.

Commendatore: Istruire la Sentinella che un Castello dei Cavalieri della Catena Mistica è in assemblea, e che solo chi è qualificato può entrare qui.

Maresciallo, dopo aver istruito la sentinella: Il Castello è sorvegliato, Comandante.

Il Comandante dà tre colpetti per richiamare la Loggia.

Comandante: Ufficiali e cavalieri, voi vi alzerete e mi darete il contro-segno; la sua risposta è la stessa. Il segno di riconoscimento; la sua risposta. Il Segno dell’afflizione; la sua risposta. Il Verbo dell’ afflizione; la sua risposta. Il Segno dell’Avvertimento; la sua risposta. Il Segno di Voto. Il Segno del grado di Cavaliere; la sua risposta. Affrontatevi l’uno con l’altro e afferrate la mano.

Comandante: Ufficiali e Cavalieri, vi ringrazio per l’attenzione e l’assistenza nella conduzione degli affari di questoCastello. Il nostro Cappellano invocherà l’aiuto divino.

Cappellano, ex tempore o altro:  

Onnipotente Signore, chiediamo il Tuo aiuto,

Per fare il lavoro che ci è stato affidato,

Per guadagnare il salario prima di essere pagati

Per il dovere svolto.

 Chiediamo il Tuo aiuto per allietare il triste,

Proteggere gli indifesi: i nostri amati così cari:

Dalla povertà e dal bisogno e dalla paura,

Per il dovere svolto

Al lavoro fedele i nostri cuori si inclinano,

I nostri diversi poteri e volontà si combinano

In una linea di battaglia fraterna:

Fino alla vittoria.

Comandante: Dichiaro ora … Castello, N° …, dei Cavalieri della Catena Mistica d’America, aperta. Illustri Cavalieri, vi ringrazio per la vostra assistenza nella conservazione dell’ordine e del decoro durante la presente convocazione.

Il Comandante dà un colpetto di maglietto: Cavalieri, sedetevi.

sabato 5 dicembre 2020

IN MARGINE AL “RAGGIO DELLA MORTE” DI GIULIO ULIVI: QUANDO DEI RITAGLI DI GIORNALE SI RIVELANO PIÙ PREZIOSI DI UN LIBRO

In collaborazione con Simone Berni: https://www.cacciatoredilibri.com/in-margine-al-raggio-della-morte-di-giulio-ulivi-quando-dei-ritagli-di-giornale-si-rivelano-piu-preziosi-di-un-libro/


Alle origini del pestifero “raggio della morte”

ià prima della scomparsa di Guglielmo Marconi si erano andate diffondendo voci insistenti circa una sua terribile invenzione: il raggio della morte. Con questo raggio, si diceva, era possibile uccidere il nemico a distanza di chilometri e chilometri, forse addirittura da un continente all’altro. Finché il fisico italiano fu in vita riuscì a tenere a bada simili illazioni, anche se in alcuni frangenti si vide costretto a smentite ufficiali, come nel caso delle notizie pubblicate dal New York Herald, edizione di Parigi, alle quali il fisico italiano rispose in modo lapidario:

“Statement that I have been directing beam at passing cars with object of stopping their motors is entirely and absolutely false (“Indiscrezioni secondo le quali avrei diretto un fascio di raggi contro delle auto in movimento, fermandole, sono da ritenersi del tutto prive di fondamento”)”.

Tuttavia, dopo il 1937 le voci presero il sopravvento e la stampa, certa stampa, se ne impossessò, eccitando la fantasia popolare e creando miti e cliché che perdurano anche ai nostri giorni. Si ebbero così quelle che oggi chiameremmo “leggende metropolitane”. Una di queste, che ci fa sorridere, è raccontata da Carlo Rossi nel suo celebre Dalla rana di Galvani al volo muscolare (Milano, Ulrico Hoepli, 1944). Il libro è un concentrato terrificante di notizie, idee, teorie e gustosi retroscena che spaziano dalle torpedini di Galvani al campo rotante di Galileo Ferraris, a come (non) si realizza il moto perpetuo, all’avvenire dei razzi per vincere l’attrazione terrestre fino all’uomo pipistrello, cioè al cosiddetto “volo muscolare”.

La leggenda metropolitana che riguarda il raggio della morte recita di un pastore siciliano che, trovandosi nel suo campo a badare alle capre, vede due povere bestiole cadere stecchite. Il pastore si guarda attorno, cerca di rendersi conto ma non riesce a capire cosa sia successo. Il veterinario, più tardi, gli dirà che un raggio mortifero ha colpito le bestie partendo dalla costa sarda. Rossi ricorda opportunamente che, perché questo risulti possibile, le capre avrebbero dovuto trovarsi a non meno di 7000 metri di altezza, per via della curvatura terrestre e il raggio doveva possedere un diametro sottilissimo, forse sub-atomico, per aver potuto colpire le capre e risparmiare il mandriano.

Un altro interessante libro dello stesso autore, sempre incentrato sui misteri della tecnologia del presente (e del futuro), è …Et Ultra (Milano, Hoepli, 1933), con una avvincente copertina futurista di Schipani.

Mario La Stella e il suo libro cult

Ma che cos’era, in definitiva, questo raggio della morte? Per rispondere alla domanda bisogna cercare di entrare nella mentalità dell’uomo medio tra le due guerre, a cominciare dal desiderio di sensazione e dal fascino che su di lui esercitavano le notizie relative alle nuove mirabolanti tecnologie.

Mario La Stella fu un valente giornalista e scrittore anche se parte della critica lo considera oggi (come allora) “autore di regime”. Di lui si ricordano inchieste di una certa importanza come la biografia cronologica Marconi mago dell’invisibile dominatore degli spazi (Milano, Edizioni Aurora, 1937), che gli valse un importante premio. Il suo esordio come scrittore era avvenuto già da alcuni anni, con lavori che sono del tutto sconosciuti e irreperibili anche sul mercato dell’usato e del piccolo antiquariato.

Penso, per esempio, a Costruire un uomo (Roma, Studio Editoriale Italiano, circa 1944), a L’alchimia della vita (Napoli, Edizioni “Mondo Occulto”, 1936), rarissimo.

Ma l’opera che ha fatto di Mario La Stella un vero e proprio autore cult – dando corpo a suggestioni e cacce bibliofile che durano tutt’oggi – è Il Raggio della morte: fantasie e realtà sulla guerra di oggi e di domani (Roma, Istituto per l’Enciclopedia De Carlo, 1942). Il libro, nella sua veste grafica, è assai noto. Brossura editoriale color crema con titolazioni in rosso. Sopraccoperta marrone, rossa e gialla riproducente sul davanti il mezzobusto di un soldato con maschera antigas, gladiatore e profeta della guerra di domani, ipotesi non del tutto smentita dagli eventi futuri, anzi!

Sul retro un enorme generatore ad alta tensione con indicata una linea di sicurezza sul pavimento, con la scritta:

“Un uomo che si avvicinasse a questa distanza potrebbe rimanere fulminato [anche] senza toccare gli apparecchi”.

Volumetto in formato sedicesimo difficile da reperire completo della sopraccoperta. Il libro ha qualche difetto non solo per via della carta usata, di scarsa qualità, ma anche perché in alcune copie che mi è capitato di osservare, le prime pagine risultano essere sovra-inchiostrate. Bisogna però capire il momento di difficoltà economica del paese, che si rifletteva su ogni singola attività. Le macchine che si rompevano non potevano essere cambiate ma solo riparate, a volte “alla bell’e meglio”. Ma per la lettura risulta godibile fino in fondo, ben scritto, pieno di spunti che accendono la fantasia e fanno correre la mente. Ricco di citazioni, alcune alquanto misteriose, e di personaggi semi-sconosciuti, ma di grande richiamo.

Giulio Ulivi, chi fu costui?

Uno dei personaggi citati da Mario La Stella all’interno del su libro, l’ingegnere Giulio Ulivi, merita tutta la nostra attenzione. Carlo Bramanti su internet ne produce una buona documentazione tratta per la maggior parte dal quotidiano La Nazione dell’epoca, alla quale mi rifaccio.

Ulivi era fiorentino di nascita (vide i natali a Borgo San Lorenzo nel 1880) e studiò elettrotecnica nel capoluogo toscano, per poi completarsi in Francia e Germania. Proprio in Francia, a Clichy, si era costruito un laboratorio di ricerca dove compiva i suoi esperimenti. Quanto Ulivi fosse famoso oltre frontiera lo si evince da varie fonti.

M. T. Bloom, su un articolo apparso su Lectures pour Tous, e ripreso a sua volta da True Magazine, narra di un episodio avvenuto nell’agosto del 1913, quando Ulivi fece degli esperimenti a Villers-sur-Mer, sembra con risultati altalenanti, di fronte alle autorità francesi.

Altri due ritagli di giornali del tempo (seppure da testate non identificate) ci informano di come la figura di Giulio Ulivi fosse nota in Italia e all’estero.

La stampa italiana cominciò ad interessarsene dal 1914, e si racconta di quando, dal Monte Senario, fece saltare per aria alcune cariche poste semisommerse sull’Arno, a una distanza di oltre sedici chilometri. Aveva quindi usato il suo fatidico “raggio della morte”?

Ulivi aveva pochi amici fidati, e solo a loro era concesso entrare nei suoi laboratori posti in via Fra’ Giovanni Angelico. Tra di essi c’era l’ammiraglio Giulio Fornari, la cui figlia minorenne, Maria Luisa, Giulio Ulivi rapirà nel luglio del 1914, e poi sposerà l’anno seguente, destando un forte scandalo e rischiando ovviamente l’arresto. Fu quello un atto che segnò la sua vita. Da tempo si andavano addensando voci negative sui suoi esperimenti e tra di esse quella autorevole di Augusto Righi. Il rapimento (qualcuno disse “fuga d’amore”) avvenne alla vigilia di un esperimento decisivo, alla presenza di tre industriali milanesi interessati alla sua invenzione, che poi si defilarono in tutta fretta.

Le “imprese” allo Stabilimento Somaini

Tutto andò peggiorando per l’inventore toscano, che appariva e scompariva in varie città dove annunciava “colpi di teatro” con il suo famoso raggio. Riapparve infatti in quel di Lomazzo, un paesino del basso comasco, presso lo stabilimento di impianti elettrici Somaini. È l’anno 1917. Il proprietario dello stabilimento, il colonnello Francesco Somaini in persona e il direttore tecnico di detto stabilimento, Adolfo Hilzinger, coadiuvano Giulio Ulivi in un importante quanto misterioso esperimento.

L’idea è quella di mettere a punto un raggio che, una volta attivato, possa bloccare i motori a distanza. Una simile arma, se realizzata, permetterebbe di far precipitare gli aerei o di bloccare i carri armati, nonché le navi e i sottomarini. Ma un’altra applicazione, non meno importante, è quella di far esplodere granate ed altri esplosivi stipati nei depositi del nemico. Ciò permetterebbe di ridurre o addirittura annientare gli arsenali avversari in guerra. Un esercito in grado di avvalersi di simili armi avrebbe ben pochi problemi nell’aggiudicarsi le battaglie.

Neanche La Stella era probabilmente in possesso di materiale di prima mano. Si riferiva, non scordiamolo, a episodi accaduti venticinque anni prima. In ogni caso la sua ricostruzione dei fatti appare verosimile in parecchi punti. Se non proprio i rapporti ufficiali degli esperimenti – che forse neppure esistevano più – l’autore si procurò le relazioni circa i danni prodotti dagli esperimenti nello Stabilimento Somaini, documenti redatti dal direttore tecnico Hilzinger.

Purtroppo non è facile capire quali potenze elettriche fossero realmente in gioco, in ogni caso bisogna ammettere che qualcosa di anomalo successe. Si racconta di strani incidenti avvenuti nello stabilimento.

Alcuni operai, mentre svolgevano i compiti di routine, sarebbero stati sbalzati a terra da scariche elettriche improvvise e inspiegabili. Scariche elettriche provenienti sia dalle apparecchiature che dalle tubature degli impianti. In un’occasione, tre grandi motori elettrici (uno da 500 cavalli, molto potente per quei tempi) ebbero dei violenti sussulti alle loro basi e si fermarono. Una volta smontati furono rinvenute tracce di scariche elettriche tra la parte motrice e quella statica, con principi di fusione del metallo.

Le emissioni elettromagnetiche dell’Ulivi avevano quindi prodotto dei danni, anche se non tali da giustificare in pieno l’interesse per le sue ricerche. Quello che contava, però, era aver intrapreso la strada buona. Con potenze più alte in gioco egli avrebbe di certo potuto infliggere danni ben più gravi alle apparecchiature elettriche “bombardate”, rendendo così la sua invenzione di importanza strategica. Per tutto il 1917 andranno avanti le prove e gli esperimenti. Da rilevare che l’ingegnere Luigi Negretti, concessionario dell’illuminazione pubblica del paese di Lomazzo e limitrofi:

“(…) Venne a protestare essendo state trovate bruciate indistintamente tutte le lampade del suo esercizio, con altri danni al materiale dei suoi impianti”.

Le vere chimere per il collezionista

Di e su Giulio Ulivi esiste un poker di scritti, ormai non più reperibili, che raccontano in maniera dettagliata i suoi esperimenti.

Si tratta di Alcune considerazioni sulle mie ultime esperienze di radiobalistica eseguite al Campo Sperimentale di Lomazzo nel luglio 1917 (Saronno, Tipografia di Filippo Volontè, 1917). Lo studioso interessato ad approfondire la faccenda ne troverà una copia (quasi sicuramente l’ultima rimasta in vita) nella Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma.

Altrettanto raro, altrettanto “proibito”, il resoconto di Adolfo Hilzinger, dal titolo Rapporto sulle manifestazioni, perturbazioni e danni nello Stabilimento Somaini & C. a Lomazzo durante le esperienze dell’ing. Giulio Ulivi (Saronno, Tipografia di Filippo Volontè, 1917), sempre esistente in unica copia, conservata nella stessa biblioteca del precedente lavoro. Entrambi gli scritti, classificati come “materiale militare”, non sarebbero mai stati diffusi. Da qui la loro quasi totale scomparsa.

Poi è la volta di A proposito delle ricerche ed esperienze di radiobalistica compiute dall’ing. Giulio Ulivi: lettera ed articolo, dell’ingegnere Mario Buffa (Saronno, Tipografia Ditta Volontè Filippo, probabilmente 1917); e di La radiobalistica ottenuta indirettamente per mezzo di due stazioni di Telegrafia senza fili opportunamente regolate: relazione: Milano, 2 dicembre 1915, di Giulio Ulivi (Saronno, Tipografia Ditta Volontè Filippo, circa 1915).

Esaminando questi scritti, potrebbero venire fuori prove sufficienti per ritenere che UIivi avesse avuto la giusta intuizione, ma non bisogna dimenticare che ci si stava muovendo in un campo assolutamente nuovo. Anche Marconi per la telegrafia senza fili o Meucci per il telefono dovettero superare fasi nelle quali le loro sperimentazioni non davano i frutti sperati o li davano in minima parte e non nella direzione voluta. Senza contare il clima di sfiducia e il dileggio che spesso circondava questi primi tentativi da parte anche degli stessi colleghi e scienziati.

Sul raggio della morte, oltre alla sua origine tra storia e leggenda, spiegazione e finalità, nel 2013 ci fu una clamorosa rivelazione su un finanziere italiano, Franco Marconi, che si sarebbe dedicato a questo ardito progetto durante l’ultimo conflitto mondiale. Il lavoro che ha svelato questo nome è stato Il raggio della morte: la storia segreta del militare italiano che avrebbe potuto cambiare il corso della seconda guerra mondiale, di Gerardo Severino, Giancarlo Pavat (Roma, XPublishing, 2013). Tutto è passato molto sotto silenzio.

mercoledì 2 dicembre 2020

Gli Accadi: il primo impero militare

 in collaborazione con il blog Fanta-Teorie: https://fanta-teorie.blogspot.com/2014/08/gli-accadi-il-primo-impero-militare.html

Quello Accadico viene generalmente giudicato dagli esperti come il primo impero della storia.

L'impero Accadico appunto, o Impero di Akkad, detto così per via della capitale Akkad.

Fu un'antica popolazione semita, una delle prime per essere precisi. Ad un certo punto della sua storia guidato da un uomo carismatico, Sargon, divenne la più potente delle popolazione del medio oriente. Tanto da inglobare Sumer che era assai più florida e progredita, ma non dotato di un sufficiente elemento militare per contrastarli. Si ebbe dunque una fusione a ciò che oggi chiamiamo L'impero di Sumer e Akkad, o impero sumero accadico.

Possiamo infatti fare una distinzione tra Sumer e Akkad, ovvero che con Sumer abbiamo una struttura simile a quella della Grecia antica, composta da una serie di città stato indipendenti tra loro, ma accomunate da usi, costumi e lingua.

Akkad invece è il preludio di un'era dove il sovrano si fonde con l'eroe e con la divinità diventandone il signore, riuscendo così a porre sotto di se un corposo territorio molto e popolazioni molto differenti tra loro. L'anticamera dell'impero Persiano.

Geografia e genesi

Si hanno i primi segni di Akkad in Mesopotamia già nel periodo Proto-Dinastico II e III (2750 - 2350 circa).

L'ipotesi degli esperti è che siano migrati secoli prima dal deserto siro-arabico. In questo caso iniziamo a notare come in Mesopotamia ci siano già le premesse per una coabitazione di popoli differenti. Tale coabitazione  nel corso dei secoli sarà sempre più turbolenta fino ad arrivare ad un periodo si stabilità con l'impero Persiano.

L'impero accadico prende il nome dalla propria capitale Akkad (fondata nel 2300 a.c. da Sargon I), posta a sinistra dell'Eufrate. Ancora rimane controversa la questione sulla capitale, ovvero se di co-fondazione al regno voluta da Sargon o già pre-esistente e rinominata dal sovrano stesso. Successivamente comunque Kish diverrà la capitale.

Strutture politiche, sociali e religiose.

Con la fondazione di Akkad da parte di Sargon I si da inizio all'impero accadico. L'intento era quello di creare un regno che unificasse il golfo persico con il mediterraneo. Ma ciò avverrà soltanto con l'impero Persiano prima e Alessandro Magno poi.

Con l'avvento di Sargon I si percepisce un cambiamento nelle strutture politiche della Mesopotamia. Mentre a Sumer l'EN.SI (governatore) lo si era per meriti di competenza, ossia per istruzione e per meriti religiosi, infatti spesso essere sacerdote guida risultava decisivo per guidare la città, con l'impero accadico questo muta, conferendo all'elemento militare motivo di supremazia. Ovvero il più forte comandava. Gli ensi sotto Sargon infatti erano si governati ma sempre vassalli al monarca assoluto. Non vi era nemmeno la presenza di un'assemblea degli anziani, come avveniva a Sumer.

Almeno da ciò che si è scoperto per ora.

Non si può definire con certezza ma ad un certo punto Sargon ebbe (per i canoni di allora) la sfrontatezza di autoproclamarsi "re delle quattro parti", alias, re del mondo conosciuto. Questo mostra un nuovo approccio nella figura del capo e del sovrano. Infatti fino ad allora tale titolo veniva riconosciuto solo alle grandi divinità Anu, Enlil e Shamash.

Per tale aspetto cominciò a diffondersi un culto per il sovrano, che potremmo vedere evolversi nel corso della storia e trovarne l'apice con l'adorazione del Faraone e del Gran Re.

Ormai Sumer era sotto il controllo di Akkad e anche se all'inizio riluttante, si cominciò a notare una chiara tendenza di propaganda del sovrano, ma sempre nei limiti degli Dei.

Con Sargon abbiamo l'affermarsi di un Sovrano-eroe che con carisma, forza e valore riesce a trascinare il popolo e farsi strada.

A Sargon I succedette Rimush che regnò dal 2278 - 2270 a.c.

Morto Sargon i popoli che mal volentieri ne subivano il dominio no tardarono a ribellarsi e il nuovo sovrano dovette subito porre rimedio. Il suo regno fu breve e travagliato. A causa della congiura organizzata, molto probabilmente, dal fratello maggiore bramoso del trono Manishtushu.

Quest'ultimo regnò dal 2269 -2255 a.c.

Anche Manishtushu dovette, appena salito al trono, affrontare numerose ribellioni, che a fatica riuscì a sedare. Una volta posto il suo dominio di destituì del titolo di "Re di Akkad" e di

"Lugal-Kalam-Ma" ossia Re del paese di Sumer per autoproclamarsi Lugal-Kis "Re della Totalità".

Naram-sin succedette al padre Manishtushu. Il suo regno durò dal 2254 -2218 a.c. fu il quarto re di Akkad diretto discendente di Sargon I. Naram-sin riuscì durante il suo regno a raggiungere l'apice dell'impero di Akkad. Dopo aver sedato anch'egli varie ribellioni estese il suo dominio dal golfo persico fino al lambire le coste del mediterraneo, ma senza avere mai un diretto controllo.

Sotto il suo regnò si intensificò la figura del sovrano e il suo culto, autoproclamandosi "Dio della sua terra".

Fu abile a comprendere che tale vastità di territorio andava frazionata ed infatti pose due centri amministrativi, Nagar e Ninive.

Shar-Kalli-Sharri è stato il quinto re dell'impero Akkad, figlio di Naram-sin governò per ben 25 anni, dal 2217 al 2193. L'intera durata del suo regno fu il più duro. All'inizio dovette controllare un periodo di profonda anarchia e crisi dinastica dove oltre a lui si elessero altri quattro re. Nanum, Igigi, Imi ed Elulu. Alla fine della contesa prevalse Dudu che regnò dal 2189 al 2169 a.c.

Shu-Turul fu ultimo re dell'impero di Akkad e regnè dal 2169 - 2154 a.c.

Non riuscì a sostenere con forza le continue ribellioni e questo indebolì parecchio la struttura territoriale e anche la sua posizione. Oltre alle guerre intestine dovette far fronte alle minacce esterne, la cui più terribile fu quelle dei Gutei nel 2162 a.c. che pose un definitivo freno alla potenza accadica. Da li in poi l'impero di sgretolò fino ad esse del tutto inglobato in altri regni.

Conclusione

In definitiva l'impero di Akkad diede un forte impulso monarchico del tipo assolutista, ma durante il suo regno Akkad non favorì solo la guerra, ma anche la fortificazione dell strutture sociali e religiose presenti già a Sumer. Dunque non erano solo rozzi barbari guerrieri, ma anche un popolo che capì ciò che era giusto salvare e migliorare. E così fecero.

Inglobò anche la sfera religiosa di Sumer di cui divinità divennero alche le proprie.

La divinità principale di Akkad era Ishtar (Inanna per i Sumeri) che veniva rappresentata dalla stella del tramonto, dunque il pianeta venere.  Essa era la dea della fertilità, dell'amore, della bellezza e anche della guerra, figlia di Anu e sorella di Enki e Enlil.

Nonostante il tramonto dell'impero la lingua semitica accadica e quella sumera divennero la lingua scritta per le funzioni notarili e liturgiche.

Buona viaggio nella storia...

sabato 28 novembre 2020

CAGLIOSTRO – LE VERITA’ NASCOSTE

Giuseppe Balsamo era veramente il Conte di Cagliostro?

Sfogliando una qualunque enciclopedia o dizionario, e cercando sotto la voce “Cagliostro”, l’unica definizione che ci sarà possibile trovare sarà la seguente: “Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, truffatore di origini Palermitane...”; e se le cose fossero andate diversamente?

Anche se il quesito possa apparire a prima vista tendenzioso, forse anche irriverente nei confronti della storiografia ufficiale, esiste comunque un ragionevole dubbio in merito alle affermazioni comunemente accettate su Cagliostro.

A volte la paura del mistero finisce per diventare la genesi della menzogna, e la menzogna, come ben sappiamo, è stata da sempre lo scenario preferito al fine di occultare, screditare e mettere a tacere le verità scomode e tendenzialmente pericolose.

Roberto La Paglia, sposando quel ragionevole dubbio, frutto di una attenta ricerca e di una certosina analisi e comparazione delle varie fonti disponibili, rilegge da una storia di Cagliostro usando una diversa prospettiva, sforzandosi di anteporre la logica e l’amore per la ricerca alla frettolosa voglia di voler dare a tutti i costi una risposta e giungendo infine ad una verità che forse non sarà mai suffragata da prove visibili e concrete, ma che nella sua ardita fantasia, non sarà poi così dissimile dalla storia che oggi tutti conoscono (o che hanno contribuito a farci conoscere), anche questa senza nessuna vera prova a sostegno se non la cieca incoscienza che a tutto crede purché sia sollevata dalle proprie paure.

Questo libro è un vero e proprio processo indiziario portato avanti su un altro dibattito altrettanto indiziario e frammentario, nel quale i Giudici sono a loro volta testimoni e accusatori, quando non redattori delle prove stesse portate contro Cagliostro; “Nessuno scriverà mai la verità su di me” recitava il Conte e nessuno, in effetti, ha voglia di scriverla, non tanto per la difficoltà oggettiva che quest’operazione comporterebbe, quanto per quella fitta nebbia della quale egli stesso si è ammantato e che i suoi nemici alimentarono prima per poterlo annientare, ora per non scoprire una verità sepolta da tempo, una verità scomoda.

CAGLIOSTRO – LE VERITA’ NASCOSTE
di  ROBERTO LA PAGLIA
Cerchio della Luna Editore
Pagine 262 – ISBN 9788869375712



mercoledì 25 novembre 2020

Lo spirito a lungo penitente

In  collaborazione con Hesperya

tratto da: https://www.hesperya.net/2017/10/19/lo-spirito-a-lungo-penitente/

di Roberta Faliva


La confraternita di Morra (paesino in provincia di Assisi) usava anticamente fare ogni anno varie processioni tra le sue due chiese distanti un paio di chilometri; col tempo una delle due crollò e le processioni così cessarono.

Si racconta che per molti anni si continuarono però a vedere, la notte, lunghe file di lumi andare dal luogo di una chiesa all’altra: molti sostenevano che erano le anime di membri defunti della confraternita che in vita non erano stati abbastanza scrupolosi nell’adempimento di quel loro dovere e dovevano rimediare dopo morti.

Dal 1912 le processioni di lumi non si vedono più, ma gli abitanti del paese raccontano di vedere ancora saltuariamente un lume notturno fare la spola tra le due chiese: è probabilmente un’anima che non ha finito di scontare la sua pena.

sabato 21 novembre 2020

Ghiandola pineale, cos'è e perché viene considerata sacra

tratto da "Il Giornale" del 03/11/2020

Il primo a considerare l'epifisi sede dell'anima fu Cartesio, filosofo francese del diciassettesimo secolo. Ecco che cos'è

di Maria Girardi

Nota anche come epifisi, la ghiandola pineale è una ghiandola endocrina del cervello dei vertebrati. Collegata tramite i cosiddetti peduncoli epifisari, cioè dei fasci nervosi che si diramano simmetricamente alle parti nervose circostante, l'epifisi si trova nell'estremità posteriore del terzo ventricolo.

Le sue cellule, i pinealociti, sono deputate alla produzione della melatonina, un ormone che si produce durante le ore di buio e che regola il ritmo circardiano sonno-veglia. L'influenza su codesto ritmo è stata confermata dall'osservazione della reazione dell'organismo dopo un volo transcontinentale. Il corpo, infatti, necessita di un certo tempo per adeguarsi al nuovo ritmo luce-buio nel corso delle 24 ore e la durata di questo periodo si riduce sensibilmente con l'assunzione di melatonina.

La ghiandola pineale, la cui forma ricorda una pigna, è davvero piccola. Basti pensare che le sue dimensioni sono pari a circa un centimetro di lunghezza per mezzo di larghezza e il suo peso si aggira intorno al mezzo grammo.

Ghiandola pineale come sede dell'anima

La ghiandola pineale è avvolta sin dall'antichità in un'aura di mistero e di sacralità. Il primo a descriverla fu Galeno che si oppose fermamente alla concezione dell'epoca secondo la quale l'epifisi regolava il flusso di spirito, sostanza vaporosa di cui si riteneva fossero pieni i ventricoli cerebrali. Fu poi Cartesio a dare un rilievo "metafisico" alla ghiandola pineale. Da sempre interessato all'anatomia umana, il filosofo francese parlò della stessa nel trattato De homine e nel suo ultimo libro Le passioni dell'anima.

Così scriveva: "Mi sono convinto che l'anima non può avere in tutto il corpo altra localizzazione all'infuori di questa ghiandola, in cui esercita immediatamente le sue funzioni. Perché ho osservato che tutte le altre parti del nostro cervello sono doppie". Come ben si sa, i diversi componenti dell'encefalo hanno una parte destra e una sinistra, a differenza dell'epifisi che è l'unica a non possedere un duplicato. Partendo da questa peculiarità, Cartesio ipotizzò che la ghiandola pineale fosse responsabile della centralizzazione di ogni informazione. Inoltre, in quanto unica zona solida del cervello, sarebbe potuta essere la sede del pensiero e quindi dell'anima.

Ghiandola pineale e terzo occhio, un connubio antico

Sono conosciute dai tempi remoti le potenzialità spirituali della ghiandola pineale e non è un caso, ad esempio, se gli antichi egizi la raffigurassero come un occhio. Se il filoso Georges Bataille definì l'epifisi "occhio pineale" in riferimento a un punto cieco nella razionalità occidentale, una specie di organo di eccesso, alcune tradizioni religiose e mistiche ripresero la metafora oculare.

Il terzo occhio o sesto chakra dunque, come viene chiamata la ghiandola, si trova in mezzo alle sopracciglia. Secondo la tradizione si tratterebbe di una zona quasi mai utilizzata dal cervello, troppo spesso sottovalutata e invece in grado di vedere aspetti dell'esistenza che non vengono colti dagli altri due occhi.

Si tratta di una visione spirituale che si attiva soprattutto durante i sogni e che è metafora di una migliore intuizione della propria essenza e di quella altrui. Dalle credenze popolari alla scienza il passo è breve. L'epifisi produce, infatti, una sostanza psichedelica nota come dimetiltriptamina (DMT) capace di generare effetti particolari sulla percezione delle cose dilatando i concetti spazio-temporali, in particolar modo nella fase REM del sonno.

Attivare la ghiandola pineale

Sonno ristoratore, buon livello di energia, umore stabile, sistema immunitario efficiente. Sono tanti gli aspetti del benessere psicofisico sui cui il corretto funzionamento della ghiandola pineale influisce. Esistono delle piacevoli strategie per renderla attiva, prima fra tutte la pratica regolare dello yoga e della meditazione. Alcune posizioni e alcuni mantra sono pensati appositamente per favorire il risveglio dell'epifisi. Quest'ultimo è favorito, altresì, dal dormire completamente al buio, una condizione questa che induce una maggiore produzione di melatonina.

Dall'oscurità alla luce. Anche l'esposizione al sole è salutare, in quanto i raggi inducono la produzione di vitamina D e della serotonina, l'ormone del buonumore attraverso cui la ghiandola pineale secerne la melatonina. Indispensabile, infine, disintossicare il corpo dai metalli pesanti, soprattutto dal mercurio presente in quantità notevoli nel pesce spada e nel tonno.

mercoledì 18 novembre 2020

CONTROLLO TOTALE

Tecniche di disinformazione e controllo delle masse

Come riconoscerle, come difendersi


Conclusa la lettura di questo libro saranno principalmente tre le reazioni: incredulità, sgomento, totale rifiuto.

Si tratta di sentimenti ampiamente condivisibili, a maggior ragione in questo periodo così particolarmente buio e incerto, ma tutto quello che leggerete è frutto di una lunga osservazione, registrazione e comparazione relativamente a fatti, eventi e incongruenze che sono sotto gli occhi di tutti, basta soltanto osservare mantenendosi al riparo dai preconcetti e dalle influenze operate dal sistema.

Tutto il resto è vita vissuta, il resoconto del confronto giornaliero di un comune cittadino con una realtà artefatta, opportunamente distorta e resa fruibile alla massa al solo scopo di poter gestire il controllo.

Rimane quindi una vostra libera scelta quella di approfondire le tematiche esposte, verificare i fatti, oppure semplicemente riporre questo libro in uno scaffale della vostra libreria accompagnando il gesta con una scrollata di spalle; qualunque sia il futuro che, a fine lettura, vorrete dare a queste pagine, sarà stata una vostra libera scelta e, in ogni caso, almeno per una volta, avrete agito sulla scorta di una vostra decisione e non di altri.

Chi ancora oggi sostiene l’idea di un sistema perfetto, coerente e in linea con i bisogni dei cittadini, porta avanti una clamorosa bugia, oppure non riesce ad accettare quella sensazione, ormai condivisa in larga maggioranza, che ci porta a dubitare sulle reali finalità del sistema stesso.

La disinformazione nasce principalmente, e si accresce in maniera esponenziale, dal singolo atto di “disinformarsi”, di prendere alla leggera tutti quei segnali che provengono dall’esterno, dal volersi a tutti i costi trincerare dietro una barriera di negazionismo per paura di ammettere che forse non tutto si muove per il verso giusto, che probabilmente è ormai troppo tardi per ritornare indietro.

L’autore promuove una ricerca per identificare come, quando e perché sia accaduto tutto questo, offrendo in tal modo una base di partenza per eventuali ulteriori approfondimenti.

Uno stato è veramente libero, democratico e forte quando mette in primo piano i suoi cittadini, le loro esigenze, quando si batte al loro fianco per costruire un quotidiano meno opprimente, una migliore qualità della vita e un futuro promettente.

Uno stato che tace, che volge lo sguardo altrove, che diffonde mezze verità, i cui organi di potere accolgono personaggi completamente lontani dalla vita di tutti i giorni, che non vivono i problemi dei cittadini e che, nella maggior parte dei casi, li ignorano completamente, non può definirsi libero e democratico se non nella mente e nelle intenzioni di chi vuole a tutti i costi che questa idea sia da tutti accettata.

Questa, come le altre che scoprirete leggendo, è una  delle tante tecniche della disinformazione.

ROBERTO LA PAGLIA
Tecniche di disinformazione e controllo delle masse
Come riconoscerle, come difendersi 
Cerchio della Luna Editore 
Pagine 220 ISBN  -  978-8869375200