tratto da "il giornale" del 18-7-2007
di Luca Doninelli
Etsuro Sotoo, giapponese di Fukuoka, classe 1953,
scultore, è uno dei personaggi più discussi nel mondo dell’arte. Fa
parte, infatti, del gruppo di architetti e artisti che stanno portando a
termine nientemeno che la Sagrada Familia di Barcellona, il capolavoro
incompiuto di uno dei mostri sacri della storia dell’architettura,
Antoni Gaudì.
La sua responsabilità è immensa, data soprattutto
la concezione della Sagrada, dove i confini tra le due arti sono
aboliti completamente, e dove un pensiero potentemente unitario ha
guidato l’opera del grande maestro catalano. La storia di Sotoo,
raccontata nel libro-intervista realizzato con José Miguel Almuzara e
pubblicata da Cantagalli nel volume Dalla pietra al maestro (pagg. 125,
euro 14,50), è una di quelle che sembrano fatte apposta per prendere a
calci i preconcetti estetici (e antropologici) nei quali siamo immersi.
Sotoo è un artista che, tanti anni fa, credette
di passare dalle parti della Sagrada Familia e fermarsi lì per un breve
periodo di lavoro. Invece ci è rimasto per sempre, convertendosi
addirittura al cristianesimo. Ma non è questo l’aspetto che c’interessa
maggiormente, qui. È, piuttosto, il termine principale della vicenda,
ossia la pietra. Sotoo non ha incontrato Gaudì attraverso i libri, ma
mettendo mano alla pietra là dove l’aveva messa il maestro,
immedesimandosi con lui non tanto per via imitativa, ma attraverso
l’amore per la materia. La grande scuola giapponese da cui Sotoo
proviene non è stata rinnegata, anzi: è stata esaltata, poiché il metodo
appreso dai suoi insegnanti si è rivelato esatto.
Noi viviamo nell’epoca più materialista e,
insieme, più nemica della materia che si possa immaginare. Abbiamo
elevato tristi monumenti all’Incomunicabilità, all’Unicità, alla
Non-trasmissibilità dell’esperienza. Nel genio non ci si può
immedesimare, dice la vulgata: lo si può ammirare, se ne può godere (ah,
le emozioni!), ma non lo si può fare nostro. Sotoo smentisce questo
preconcetto, che nasce dalla nostra paura della materia. Sia fatta di
marmo, di terra, di colori o di parole, la materia è sempre la carne
dell’esperienza.