domenica 16 settembre 2012

Nuovo numero della rivista Lex Aurea

Vi segnaliamo l'uscita del nuovo numero dell'interessante rivista Lex Aurea di Filippo Goti. Fra i vari articoli anche uno di Vito Foschi.

Ecco a voi il link dove scaricare il pdf della rivista:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea43.pdf

venerdì 14 settembre 2012

IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST

Friday, March 21, 2003
IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST© Copyright 2003-2013 by the author

Lo sguardo scrutatore del bibliofilo nella produzione narrativa di un autore sottovalutato dalla critica

di Simone Berni

SOMMARIO
The Golden Bottle, un romanzo sconosciuto che nel 1892 ha previsto l'ONU – Il mistero della scomparsa delle Azzorre

THE GOLDEN BOTTLE, UN ROMANZO SCONOSCIUTO CHE NEL 1892 HA PREVISTO L'ONU
ENGLISH ABSTRACT
A farm-boy dreams he is given a liquid that enables him to make gold. He uses his wealth to support a secret organization (Populist-Christian-co- op) and to finance low interest loans. His policies save America, and America saves the masses of the world.

È curioso come alcuni autori, magari popolarissimi nei loro paesi, dove il loro nome ha un “valore editoriale” che si protrae negli anni, a volte ben oltre la loro morte, siano viceversa del tutto ignorati all'estero, talvolta poco conosciuti anche dagli addetti ai lavori.
Ce n'è uno in particolare la cui conoscenza diventa basilare per chi si occupa di Atlantide e di civiltà scomparse, perché a detta di molti è a tutt'oggi l'autore più importante e rivoluzionario nell'ambito di questa materia dopo Platone. Ebbene, di questo autore americano, si trovano pochissime tracce fuori dagli Stati Uniti. Sto riferendomi ad Ignatius Donnelly.
Per molti dizionari biografici Ignatius Donnelly è poco più che qualche breve riferimento. Nato a Philadelphia nel 1831, di origine irlandese. Nel 1857 si trasferì in Minnesota assieme al suo socio John Nininger, anche lui di Philadelphia, dove cominci? il progetto di una città-ideale, Nininger City, nella Contea di Dakota . La città avrebbe dovuto situarsi lungo il fiume Mississippi, circa diciassette miglia a sud di St. Paul ma il progetto fallì.
Fu vice Governatore del Minnesota dal 1859 al 1863. Morì a Minneapolis il primo di gennaio del 1901. È sepolto nel Cimitero Calvary di St. Paul, Minnesota.
Ma se è già difficile trovare ormai citato Ignatius Donnelly nei libri su Atlantide, direi che è quasi impossibile reperire notizie circa la sua attività di romanziere. Donnelly ha infatti scritto sul finire dell'800 tre utopian novels, cioè tre romanzi di utopia. Essi sono Caesar's Column (1890), Doctor Huguet (1891) e The Golden Bottle (1892). Il carattere spiccatamente "americano" di questi scritti e il loro chiaro intento politico, li rende un materiale cristallizzato nell'epoca che li ha partoriti e per questo motivo essi hanno subito un crescente isolamento fino all'oblio vero e proprio, perpetuato anche nella stessa America. Queste storie, che pure hanno conosciuto grande popolarità ai tempi della loro uscita, soprattutto "Caesar's Column" (l'ultima edizione importante in America è del 1949), oggi appaiono misconosciute, forse addirittura incomprensibili nelle sfumature politiche e sociologiche, almeno per chi non conosca nel dettaglio la storia del Minnesota e degli stati del nord-ovest della confederazione ai tempi di Donnelly.
Io personalmente trovo questi romanzi entusiasmanti, pieni di ingenua e focosa passione, meravigliosamente fuori dal nostro tempo e senza ombra di dubbio da riscoprire, ma la mia ha tutte le caratteristiche riconosciute della classica "voce nel deserto". Nessun editore in Italia li ha mai presi sul serio. Sono sempre stati considerati un fenomeno "tipicamente americano", e come tale improponibile alle nostre latitudini. Punto e basta.
Mi sono spesso domandato una cosa. Sarebbe possibile tradurli, riproporli in una forma moderna, ma allo stesso tempo mantenere rigorosamente intatta la loro natura? Ritengo di no, è una cosa quasi impossibile. The Golden Bottle, il romanzo che tra questi prediligo, è come un mosaico nel pavimento di una cattedrale. Il suo posto è quello e non pu? essere rimosso, perché altrove sarebbe senza senso, perderebbe il suo significato originale. Diciamo che, in caso di traduzione in italiano, il libro sarebbe un prodotto per "pochi intimi", accessibile solo previa e adeguata indottrinazione. In una parola: snaturato. Non fedele ai suoi principi.
In America il romanzo The Golden Bottle fu pubblicato da D.D. Merrill Company di New York & St. Paul (Minnesota) nel 1892. Il libro è in formato sedicesimo, con una copertina rigida in tela verde scuro, fregi e titoli in oro al piatto anteriore e al dorso. La mia copia è appartenuta ad Helen A. Kellogg, una persona gentile vissuta tra i due secoli. Era forse un'insegnante, amava molto i bambini e adorava fare lunghe sortite a cavallo lungo il fiume. Non so dirvi perché, ma sento che è così.
Il libro in edizione originale è difficile da trovare, la mia copia l'ho fatta arrivare da Rochester, Minnesota, e per poco non è andata persa durante il lungo viaggio, complice una dogana disattenta e poco incline al dialogo. Salvo poche eccezioni, per me l'arrivo a buon fine di testi pregiati spediti coi servizi postali è sempre stato un problema. Talvolta irrisolvibile, come nel caso dei libri di John A. Keel, di cui ho detto nel saggio “I misteriosi libri di John A. Keel”, pubblicato su Blogger (http://johnkeel.blogspot.com/).
Prima di quest'opera Donnelly aveva già alle spalle libri famosi come "Atlantis: The Antediluvian World", "Ragnarok: The Age of Fire & Gravel" e "The Great Cryptogram", ma con The Golden Bottle si avvale di tutta la sua esperienza e produce un piccolo capolavoro d'evasione. Certo, è innegabile che il romanzo sia anche un pezzo di campagna elettorale rivolto agli interessi degli agricoltori dell'Ovest ma il libro è comunque un'utopia letteraria di fine congettura, e per questo degno di un particolare interesse. Donnelly pubblicò The Golden Bottle, dice lui stesso, «...con l'intenzione di spiegare e difendere, sotto forma di storia, alcuni ideali del Popular Party (...) Ho la speranza che l'interesse per questo libro non si spenga fino a che i propositi in esso narrati non giungano a compimento».
La storia è abbastanza semplice e allo stesso tempo di grande presa per il pubblico. Si tratta delle avventure del ragazzo Ephraim Benezet del Kansas, figlio di contadini, al quale un misterioso vecchio materializzatosi nel mezzo della notte, consegna una bottiglia miracolosa con un liquido capace di trasformare i metalli vili in oro. Discutendo sull'impatto politico e sociale di questo potere - il potere di creare nuovo denaro a piacimento (per decreto, nella realtà) - Donnelly descrisse le condizioni alle quali si erano ridotti gli agricoltori dell'ovest, vessati dalle tasse e oppressi dalla dilagante corruzione del sistema bancario, che gli precludevano la possibilità di estinguere i loro debiti. Sviluppando questo background, Donnelly enfatizzò molte delle paure dell'America rurale di fine Ottocento. Focalizzò le sue attenzioni soprattutto sul fenomeno dello spostamento delle famiglie di agricoltori verso le grandi città e sulle degradanti condizioni di lavoro delle grandi fabbriche. Donnelly denunciò anche la disonestà di una parte preponderante dell'editoria, soprattutto la diffusione di giornali e quotidiani di parte, a esclusiva difesa degli interessi dei grandi industriali.
Benezet si risveglia al mattino con davanti a sé due realtà conflittuali. Da una parte la situazione della sua famiglia, oppressa da mutui inestinguibili con le banche, e della sua dolce fiamma Sophie, anch'essa finita in rovina e costretta a emigrare coi suoi genitori. Dall'altra, la bottiglia dorata, appoggiata ai piedi del letto.
Benezet, avendo il potere di creare denaro, riesce pian piano a migliorare la sua situazione, quella della sua famiglia, degli amici, fino a capovolgere completamente le sorti per tutti gli agricoltori sia dello stato che dell'intera confederazione. Divenuto ricco e famoso, vinte le tentazioni del denaro, riuscirà a farsi eleggere presidente degli Stati Uniti. Compirà molte importanti riforme, come la concessione del voto alle donne, la nazionalizzazione delle ferrovie, l'eliminazione dei ghetti cittadini. Da non dimenticare, infatti, quanto egli vedesse di buon occhio le minoranze, i nativi americani, gli afro-americani (come si dice oggi) e gli ebrei.
Nella parte finale del libro Donnelly si occupa dei rapporti dell'America con il resto del mondo. Fa approdare Benezet in Europa, con la ferma intenzione di estendere le dottrine della Rivoluzione del 1776 a tutte le nazioni. Benezet precipita in un'Europa dilaniata dalla guerra ma ben presto si fa garante della pace, esortando le masse ad opporsi ai governi totalitari e liberando tutta l'Europa occidentale dalle dittature. Tra le altre cose, incoraggerà gli ebrei a stabilire uno stato in Palestina.
Per garantire la pace sia sul vecchio che sul nuovo mondo costituirà un'organizzazione apposita, che egli chiamerà The Universal Republic. La sede di questa organizzazione mondiale sarà nelle Azzorre, cioè sulla "punta di Atlantide", come aveva affermato dieci anni prima nella sua famosa opera Atlantis: The Antediluvian World (New York: Harper & Brothers, 1882). La capitale scelta da Benezet è situata nell'isola di S. Michael, che verrà appositamente acquistata dal "piccolo regno del Portogallo".
Il libro si chiude con il giovane protagonista che si risveglia dal suo sogno. Riprecipita al cospetto della cruda realtà, e si trova costretto a fare i bagagli e abbandonare la sua fattoria, oppresso dalla situazione economica. Dovrà così cominciare a lavorare per il mondo di ideali e d'utopia che ha appena sognato. Senza la bottiglia dorata, però.
Tra le utopistiche visioni di Donnelly quella che colpisce di più è l'aver concepito l'ONU con oltre mezzo secolo d'anticipo, dimostrando come a livello inconscio già a quei tempi si avvertisse la necessità di un organismo sovra-nazionale teso a vigilare le sorti del mondo.
«The Golden Bottle - dice Donnelly - fu scritto di fretta, per la maggior parte sulle mie ginocchia durante i frequenti spostamenti in treno a causa della campagna di governatore del Minnesota». E nelle stanze di albergo che lo ospitavano di volta in volta».
The Golden Bottle usc? sia in versione hard cover, cioè con copertina rigida, che in paper cover (paperback), vale a dire con copertina morbida e in ogni caso non fu ristampato. Ne esiste una sola edizione, quella del 1892. Evidentemente il libro fu visto solo come un'edizione propagandistica, non ebbe un riscontro favorevole e fu presto dimenticato. Nel secondo dopoguerra è stato valorizzato solo a livello universitario. In Canada, Stati Uniti ed Australia ci sono infatti vari studiosi e ricercatori che hanno trattato le opere di Ignatius Donnelly, suddividendo la sua produzione in tre filoni principali: Atlantide, Bacone e Utopia.
Recentemente mi sono procurato un'edizione in lingua svedese, di cui non sospettavo neppure l'esistenza. Il libro in questione è "Den Gyldene Flaskan" (Stockholm: Loostr?m & Komp:s, 1893). Il formato del volume è simile a quello dell'edizione americana, il colore predominante della copertina è anche in questo caso il verde scuro. È la precisa traduzione dell'originale, a cura di Victor Pfeiff. Il libro uscì probabilmente sulla scia del successo di Caesar's Column, che in Svezia ebbe tre edizioni nello spazio di un anno, curiosamente con tre titoli differenti: Caesars kolonn (1891); Varldens undergang (1891); Civilisationens Undergang (1892).
Di Ignatius Donnelly e della sua passione per Bacone (e dell'antipatia per Shakespeare) mi occuperò in un prossimo articolo, quello dedicato alle “Cronache dell'incredibile”.
Anche Doctor Huguet (Chicago: F.J. Schulte & Co.), apparso l'anno prima di The Golden Bottle, è un romanzo utopistico dalle interessanti implicazioni. Lo scambio di personalità fra due protagonisti (in genere tipi opposti) come espediente narrativo diverrà un classico, e sarà ripreso più volte nel secolo successivo sia in letteratura che nel cinema. La critica fu assai sfavorevole e anche se nel 1899 Donnelly si vanterà di essere arrivato alla quinta edizione, alcuni suoi biografi sono dell'idea che il numero fu più basso. E' certo però che le edizioni furono almeno tre.
Donnelly usa la formula dello pseudonimo, Edmund Boisgilbert, lo stesso di Caesar's Column, ma sia nella copertina che nel frontespizio appare il suo nome per esteso, cos? che non ci possano essere dubbi sull'identità dell'autore.
Dei tre romanzi utopistici di Donnelly, solo Caesar's Column ebbe un certo successo editoriale, con 60.000 copie vendute solamente nell'anno di uscita, il 1890, e traduzioni in vari paesi. Donnelly lo scrisse in meno di cinque mesi e lo sottopose subito ad Harper & Brothers di New York, con il quale aveva già pubblicato Atlantis, ma questi lo rifiutò. Così come lo rifiutarono, uno dopo l'altro, Scribner's, Houghton Mifflin, Appleton e A.C. McClurg, che anzi lo videro come un incitamento alla rivoluzione. Donnelly però? conobbe un nuovo editore, appena trasferitosi a Chicago, Francis J. Schulte, che si dimostrò entusiasta del lavoro, ne comprese la portata e lo fece uscire nell'aprile del 1890, suggerendo comunque di usare uno pseudonimo, che poi fu Edmund Boisgilbert, M.D. Le duemila copie della prima tiratura si esaurirono in un lampo e fu subito ristampato. In autunno il libro fece la sua uscita anche in Europa, per conto di Sampson Low, Marston & Co. di Londra.

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DELLE AZZORRE
Mi sia concesso adesso un po' di svago.
Sulla scia della lettura, per me un'autentica scoperta, di The Golden Bottle, ho costruito la trama di un romanzo surreale. Ho immaginato che, dopo essermi addormentato con il libro di Donnelly, al risveglio scopro che le Azzorre sono sparite. Sì, proprio le isole al largo della costa portoghese dove Ephraim Benezet vi aveva collocato The Universal Republic, l’Onu ante litteram. Voi vi chiederete: «in che senso, sparite?» Ve lo dico subito. Cancellate, come non fossero mai esistite. Se io prendevo un atlante o una mappa geografica e cercavo le Azzorre nel punto in cui ci sono le Azzorre, non le trovavo più. Solo tanta acqua. Cos? telefonavo agli amici, uno c'era stato addirittura in viaggio di nozze anni addietro, e gli dicevo: «Ehi, ti ricordi le Azzorre in luna di miele, belle vero?». E lui: «Le che...? Sono stato alle Canarie, scemo!» E io: «Sì, ma delle Azzorre che ne pensi?» E lui, credendo che lo volessi prendere in giro inventandomi un posto che non c'è: «Ah, belle belle e anche le Bluturchine, che isole! Dovresti andarci!»
Ora, tutto questo potrà apparire comico. Ma nella realtà io venivo colto da un terrore crescente. Cominciavo a credere di essere in preda a terribili allucinazioni, visto che tutto lasciava supporre che fossi l'unico a pensare che esistessero queste isole. Gli altri non le avevano mai sentite nominare. Il loro stesso nome era un non senso. In nessun posto, in nessun luogo c'era una traccia, anche solo una, dell'esistenza di queste isole.
Dopo settimane di ricerche, in biblioteca, all'università, nelle agenzie turistiche, avevo dovuto alzare bandiera bianca. Un gruppo di isole al largo del Portogallo chiamato Azzorre non c'era e non c'era mai stato. Era tutto nella mia testa. Anni fa, chissà quando, dovevo aver sognato questa cosa e da allora l'avevo creduta reale, costruendoci sopra un castello di riferimenti sempre più grande e complesso.
Ma nella realtà il crollo di questo castello non aveva prodotto alcun fragore. L'esistenza o meno di queste isole era un fatto puramente formale per me. In fondo, cosa cambiava nella mia vita? Non mi ci sarei mai recato, almeno non di mia spontanea volontà; non conoscevo nessuno che abitasse laggiù; inoltre, nessun progetto della mia vita, vicino o lontano, aveva a che fare, seppure di riflesso, con le Azzorre. In realtà esse non erano mai veramente esistite per me, neanche negli anni durante i quali le ritenevo reali a tutti gli effetti.
Il castello di riferimenti che avevo costruito mentalmente attorno alle Azzorre era però molto vasto. Il libro di Donnelly, per esempio, non solo era scomparso. Non risultava che Ignatius Donnelly lo avesse mai scritto. Tutti i testi riportavano l'informazione che il politico del Minnesota aveva scritto in vita due novelle d'utopia, Caesar's Column e Doctor Huguet. Di questa Golden Bottle non c'era traccia da nessuna parte. «Curioso - mi disse un docente di letteratura americana - lo sai Donnelly avrebbe potuto scrivere davvero una storia come quella che mi ha raccontato! Sarebbe stata proprio nel suo stile. Peccato che non l'abbia fatto, avrebbe avuto un grande successo».
«Non credo, dissi io, la critica l'avrebbe stroncata senza pietà e ne sarebbe uscita una sola edizione. Un fiasco totale, mi creda». Mi lanciò un'occhiata perplessa.
Da allora la mia vita è cambiata. Sì, non solo perché le Azzorre sono sparite dalla mia vita - e da quella di tutti quanti, ma perché è sparita la sicurezza, la certezza di vivere una vita logica e sensata. Sono sempre in attesa di una nuova sparizione e temo che stavolta possa essere di grande portata. Qualcosa di così grande ed eclatante da riuscire a portarmi alla pazzia.
Fu così, dopo questa presa di coscienza, come per incanto, che realizzai come nella vita noi viviamo pensando di conoscere ma che in realtà la nostra conoscenza è frutto della collettività. Noi sappiamo in quanto apprendiamo e condividiamo le informazioni. Tante cose che si danno per scontate, pur non avendole mai viste, potrebbero sparire da un momento all'altro. E con esse parte dei nostri ricordi, parte della nostra vita. Non è terribile tutto questo? Si, lo è, ma non c’è modo di evitarlo. In nessuna maniera.
© Simone Berni 2003

sabato 8 settembre 2012

PER CAPIRE RENÉ GUÉNON

tratto da "Il Sole 24 Ore" del 9 maggio 1999

Metafisico e tradizionalista

di Claudia Gualdana

Nel 1886, a Blois, in Francia, nacque un uomo le cui opere, a quasi cinquant' anni dalla sua morte, dividono ancora il pubblico in lettori appassionati e detrattori. Stiamo parlando di René Guénon, imparziale critico dell' Occidente moderno. Dopo un lungo silenzio, da qualche anno i suoi scritti ricompaiono nei cataloghi di alcune raffinate case editrici. Del pari, sono ricomparsi anche equivoci e confusioni che, paradossalmente, da sempre accompagnano l' opera del più olimpico espositore delle dottrine tradizionali.

Di Guénon, si è detto e scritto di tutto, sovente a sproposito. Tuttavia, è possibile dissipare la nebbia che lo circonda, grazie a un libro uscito in questi giorni da Luni. Si tratta di René Guénon e l' Occidente, curato da Pietro Nutrizio, il maggiore esperto dell' opera del metafisico francese; nel volume, sono raccolti alcuni saggi pubblicati negli ultimi anni nella Rivista di Studi Tradizionali. Seguendo la direzione indicata da Nutrizio e Balestrieri, è possibile afferrare lo scopo dell' opera di Guénon e, in modo particolare, sfuggire gli equivoci.

Guénon non era un filosofo. Egli era un metafisico poiché la filosofia, nell' accezione moderna del termine, è il dominio del razionale distaccato dal principio divino, dunque una forma di pensiero legata all' individualità, alla sfera mentale e sentimentale. Dunque, nulla a che vedere con l' intellettualità pura, alias "ciò che gli Indù designano con la parola jnana (...), identica al greco Gnosis attraverso il suo radicale, il quale del resto è anche quello della parola conoscenza (da co-gnoscere), ed esprime un' idea di "produzione" o di "generazione", perché l' essere "diventa" quel che conosce e realizza se stesso attraverso tale conoscenza".

Diremo che non fu uno scrittore, bensì un tramite, attraverso cui trovano equa collocazione le concezioni metafisiche che riposano alla base di ogni tradizione ortodossa. Aggiungeremo anche che non fu certo un occultista, e che è un' assurdità far risalire le sciocchezze diffuse dalla new age alle concezioni da lui esposte. Lo dimostrano tutte le sue opere, ma in modo particolare Errore dello spiritismo (Luni editrice 1998), in cui Guénon mina le incerte fondamenta delle elucubrazioni di occultisti e spiritisti. Egli non scrisse opere "mistiche": i mistici sono degli irregolari, in quanto non ricollegati tramite iniziazione a tradizioni esoteriche ortodosse.

Guénon, pur essendosi convertito all' Islam, non spinse mai gli europei in tale direzione. Lo chiarisce egli stesso in Oriente e Occidente (Luni 1993): "Si tratta non di imporre all' Occidente una tradizione orientale, con forme che non corrispondono alla sua mentalità, ma di restaurare una tradizione occidentale con l' aiuto dell' Oriente". Concluderemo dicendo che il metafisico, considerato un pensatore di destra, non si occupò mai di politica, essendo la scienza sacra svincolata da implicazioni di tale natura.

Nell' ultimo capitolo di Autorità spirituale e potere temporale (Luni 1995), egli ebbe a scrivere: "Gli insegnamenti di tutte le dottrine tradizionali sono unanimi nell' affermare la supremazia dello spirituale nei confronti del temporale, e nel considerare normale e legittima soltanto l' organizzazione sociale in cui tale supremazia sia riconosciuta". Da questa dichiarazione, possiamo capire in quale senso egli fu antimoderno, così come comprendiamo che non avversò il cristianesimo. Guénon, a differenza dei suoi contemporanei, fornì una prospettiva sovrastorica, metafisica, alla decadenza dell' Occidente.

La sua disinteressata preoccupazione, fu quella di far comprendere che la tradizione non si apprende solo dai libri: lo studio è il primo passo su una strada assai lunga. Di chiarire che la metafisica costituisce il vero esoterismo, il quale non ha nulla a che vedere con quella congerie di stramberie cui alcuni alludono. Con Guénon, comprendiamo che l' uomo non ha in sé la sua ragion sufficiente, e che ogni civiltà "normale" si fonda su "principi intellettuali, o "spirituali", superiori al "divenire" e di origine tradizionale". Chi legge le sue opere, intuisce cos' è la tradizione primordiale. Chi ancora non le ha lette, può per lo meno meditare su una sua dolorosa riflessione: "La Somma teologica di San Tommaso d' Aquino era, al suo tempo, un manuale a uso degli studenti; dove sono oggi gli studenti in grado di approfondirla e di assimilarla?".


Pietro Nutrizio e altri, "René Guénon e l' Occidente", Luni Editrice, Milano-Trento 1999, pagg. 446, L. 42.000.
 

mercoledì 5 settembre 2012

IL LUPO MANNARO COME SIMBOLO DELLA NATURA UMANA

di Vito Foschi

La caratteristica saliente del lupo mannaro è la sua doppia natura umana e bestiale che convivono nello stesso essere. Normalmente prevale la natura umana, ma nelle notti di luna piena prevale la bestia. Quale migliore sintesi per rappresentare la natura umana capace del supremo sacrificio per un altro essere umano, ma anche capace delle peggiori efferatezze?




Il cane è il primo animale ad essere addomesticato. Prima di essere cane era lupo e, come tale un potenziale pericolo per l’uomo. Il cane è il miglior amico dell’uomo, ma dopo millenni di addomesticamento ogni tanto il lupo torna nella sua natura e attacca l’uomo. Il cane conserva questa natura ambivalente, come il lupo mannaro oscilla fra l’uomo e la bestia.
L’uomo primitivo si trovava ad essere in contatto col cane che fisicamente era ancora simile al lupo e il lupo selvaggio. La fusione dei due elementi, era una buona rappresentazione della natura umana. Generalmente buona, ma quando soggetta all’ira, capace delle peggiori azioni contro i suoi simili. Esattamente come il lupo mannaro, normalmente inoffensivo, ma un pericolo nelle notti di luna piena.
Il mito sarà nato dall’abitudine dell’uomo primitivo di indossare pelli d’animali per acquisirne le sue caratteristiche di forza e di agilità. Nel caso della pelle di lupo, poteva rappresentare una maggiore ferocia in battaglia. In qualche caso l’esaltazione dei guerrieri che indossavano simili pelli può aver causato atti di cannibalismo durante la lotta. È la nascita del mito.



Si può esaminare la storia dei Berserker(1), i mitici guerrieri orso del nord, che combattevano indossando pelli di orso e assumendo droghe sotto forma di funghi per non aver paura e pietà dei nemici.
Qualcosa di simile può essere avvenuto per il lupo. In fondo i Berserker erano uomini normali anche se guerrieri, e la loro spietatezza in battaglia era occasionale proprio come la bestia che fuoriesce dall’uomo nelle notti di luna piena.
Il lupo mannaro rappresenta un’ottima sintesi. È da notare che in lingua inglese esiste l’espressione "to go berserk" col significato di infuriarsi, dare fuori di matto, derivante proprio dal nome dei mitici guerrieri del nord.
Il lupo mannaro non rappresenta, però, in un’ottica dualista le opposte forze del bene e del male, perché l’uomo può scegliere fra le due, mentre il lupo no, è maledetto ed è condannato ad una vita doppia senza possibilità di scelta. Per questo non può rappresentare il libero arbitrio che dovrebbe avere l’essere umano per scegliere fra il bene e il male.
Rappresenta invece la collera, la perdita di controllo che trasforma l’uomo per un tempo breve in un altro, in un animale incapace di frenarsi. Dopotutto nella Bibbia c’è scritto:" Guardati dall’ira dei miti", quasi a voler sottolineare l’assunto qui esposto. Una persona normalmente calma, per un motivo scatenante tira fuori la bestia che è in ognuno di noi.
Una rappresentazione visiva che mette in luce il carattere da lupo mannaro dell’uomo è una scena del film "Tutti a casa" con Alberto Sordi, che racconta dell’otto settembre del 1943. In una parte del film il protagonista per tornare a casa si presta a fare da autista per un autocarro pieno di farina da portare al mercato nero. La sfortuna vuole che venga scoperta la natura del carico e un gruppo di uomini resi ciechi dalle privazioni della guerra lo saccheggia in maniera selvaggia. La scena viene resa di una violenza inaudita dalla presenza di una bambina, che sopraffatta dalla follia di uomini grandi e grossi, si mette, piangendo, a raccattare la farina caduta nel fango. È da notare la coincidenza fra il bianco della farina che fa scattare la cieca violenza nel film e il bianco della luna piena che tramuta l’uomo in lupo mannaro. D’altronde questa scena riprende il ben più famoso episodio dell’assalto ai forni ne "I promessi sposi". Anche lì è il bianco della farina in contrasto con il nero del pane misturato a rendere cieca la folla. (Da notare l’assonanza fra folla, folle e follia, quasi ad indicare che un assembramento di persone genera automaticamente una sorta di coscienza collettiva portata a ragionare ed agire in maniera sconsiderata.)
Il bianco della luna piena e il nero delle notti senza luna. Alcune assonanze sono davvero incredibili.
Ripensando anche a questi racconti non si può non pensare che il lupo mannaro sia un ottimo simbolo per rappresentare la natura umana oscillante fra i due opposti di una generale calma e di una violenza incontrollata circoscritta a brevi periodi e scatenata da eventi esterni.




Note
1) Nelle tradizioni vichinghe esistono tre gruppi di guerrieri caratterizzati da nomi di altrettanti animale:
I Berserker che utilizzavano pelli di orso, e combattevano in gruppo. La parola scandinava Bar/Ber indica l’orso;
Gli Ulfedhnar, che vestivano pelli di lupo combattevano soli e soprattutto di notte utilizzando prevalentemente la lancia e l’ascia. La parola Ulf significa lupo ed è simile al wolf inglese e tedesco;
Gli Svinfylking, uomini cinghiali, abili nei travestimenti combattevano con una particolare formazione a cuneo chiamata a "Testa di Cinghiale", col compito di aprire il fronte nemico.

martedì 4 settembre 2012

Il Sé e l'Ego

Un breve consiglio di lettura. Su Scribd è possibile trovare molti documenti e vi consiglio di sbirciarci per trovare scritti molto interessanti. Intanto vi consiglio questo documento di René Guénon in cui spiega la differenza fra il Sé e l'Ego. In questo articolo ci sono alcune considerazioni sintetiche poi sviluppate nel libro Gli Stati molteplici dell'Essere

http://www.scribd.com/doc/102181162/Guenon-Il-Se-e-l-Ego

lunedì 3 settembre 2012

Il martello delle streghe in PDF

Vi segnaliamo il seguente post del blog Sguardo sul Medioevo dove viene indicato una risorsa dove scaricare in formato PDF il famoso Martello delle streghe (Malleus Maleficarum), il manuale degli inquisitori. Sperandi di fare cosa gradita e buona lettura:

http://www.sguardosulmedioevo.org/2012/09/il-martello-delle-streghein-pdf.html



mercoledì 29 agosto 2012

L'archeologia dei simboli della comunicazione umana

tratto da Corriere dell'arte del 7 maggio 2010

di EMILIANO PALADINI

La longevità della forza di un simbolo si misura con lo spesso re delle proprie radici culturali; e se il celebre ippopotamo dello Studio Testa incanta ancora oggi è perchè è stato fatto per durare nel tempo, avendo ancorato il contenuto della sua rappresentazione e il motivo della sua esistenza (testimoniai di una linea di prodotti per bambini) all' immagine della dea mitico-egiziana Taueret, protettrice delle partorienti e dei oro nascituri, raffigurata per il tramite del lapislazzulo e lei suo caratteristico colore azzurro sotto forma di ippopotamo. Ma è questo chiaramente uno solo degli esempi che si possono fare della corrispondenza tra le immagine dell'arte contemporanea e l'archeologia dei simboli grafici, e uno dei tanti se gli esempi li prendiamo dalla stola dell' Antico Egitto, e proabilmente non l'unico se dialoghiamo con Pietro Gallina. Di fatto a Pisa, Palazzo Blu, fino al 25 luglio si svolge la mostra dal titolo: Lungo il Nilo che documenta la nascita dell' egittologia e di conseguenza dello studio delle origini della comunicazione nana oltre la dicotomica affermazione: «tra oralità e scrittura», presentando in un percorso a tappe che ricalca idealmente il tragitto della spedizione di Ippolito Rosellini, le aspettative, le azioni, i ritrovamenti e le conclusioni di un viaggio alla scoperta dell' evoluzione dei simboli grafici primordiali voluto da Leopoldo II Granduca di Toscana e da Carlo X Re di Francia, e realizzato nei sedici mesi intercorsi tra il 1828 e il 1829 dal Professore di Lingue Orientali dell'Università di Pisa (Ippolito Rosellini) in coppia con lo studioso francese che nel 1822 decifrò la stele di Rosetta (Jean-Francoise Champollion). L'esposizione, quindi, curata da Marilina Bertò, egittologa dell'Università di Pisa, mostra i documenti originali, dipinti e manoscritti, che contribuiscono alla creazione di un vero e proprio registro di viaggio della Spedizione; laddove ciascuno di questi documenti è di volta in volta, o la copia grafica dei simboli visitati nei siti archeologici, o la trascrizione letterale dell' emozione della loro scoperta; e in tutti i casi si tratta dei primi documenti del viaggio dell'uomo all'origine delle sue parole.