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sabato 26 ottobre 2019

Sindone, nuovi studi ne mettono in discussione la datazione

tratto da Il Giornale del 22/5/2019

Nuovi studi eseguiti sulla Sindone ne mettono in discussione l’origine medievale, finora generalmente accettata dai ricercatori. I dati pubblicati su Nature nel 1988, dunque, non sarebbero più affidabili

di Francesca Rossi

La Sindone rimane uno dei misteri storici, archeologici e religiosi che ancora non siamo stati in grado di risolvere.


La conclusione dell’analisi radiocarbonica effettuata nel 1988 e pubblicata su Nature faceva risalire l’origine del telo al Medioevo, datandolo a un arco di tempo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Fino a oggi questo risultato, in pratica una confutazione dell’autenticità della Sindone, è stato generalmente ritenuto valido. Nuove analisi, però, potrebbero cambiare definitivamente le nostre (poche) certezze sul telo in cui si ritiene sia stato avvolto il corpo di Gesù dopo la morte. Come riporta il quotidiano La Repubblica, il prossimo 23 maggio si terrà un incontro multidisciplinare tra studiosi della Sindone nell’aula magna del palazzo centrale dell’Università di Catania.

In quest’occasione sindonologi, statistici e data analyst si confronteranno sui risultati di nuovi studi effettuati su dati ufficiali e dati grezzi (ovvero pubblicati su una rivista scientifica per la prima volta) che dimostrerebbero l’inaffidabilità della tesi del 1988. Benedetto Torrisi, statistico dell’Università di Catania, ha affermato: “La nostra analisi prova che non c’è evidenza definitiva che la Sindone sia medievale”. In effetti, nel corso degli anni, molti dubbi avevano incrinato le teorie ufficiali in merito alla datazione del telo.

Dal 1988 fino a oggi gli studiosi hanno continuato a cercare, a studiare, mettendo in discussione più volte ciò che sembrava un risultato assoluto. Come sottolinea La Repubblica, tutta la questione dell’origine della Sindone ruotava attorno all’impossibilità di esaminare i dati grezzi fino a ora secretati. I ricercatori dell’Università di Catania, però, sono riusciti a ottenerli e a studiarli, giungendo a un risultato inaspettato. A proposito di queste nuove analisi Torrisi spiega: “Aver ottenuto i dati grezzi ha permesso di formulare diverse considerazioni: i laboratori hanno prodotto risultati differenti, non riconducibili allo stesso fenomeno. Qualcosa è andato storto durante il processo di datazione, probabilmente poiché i campioni testati non erano omogenei”.

Vatican News riporta anche il passaggio del discorso in cui Torrisi spiega in che modo i dati grezzi potrebbero rivoluzionare le nostre conoscenze sulla Sindone. Lo studioso, infatti, dichiara che da essi “sono emersi riscontri statistici maggiori rispetto a quelli del 1988. Poi, analizzandoli bene, siamo riusciti a raggiungere nuove conclusioni da offrire alla comunità scientifica mondiale”. Nature, infatti, pubblicò quattro risultati campionati ma, come sottolinea Torrisi, “nella realtà di valori di campionatura ne abbiamo trovati più di sedici”. La teoria di cui si discuterà il 23 maggio è stata pubblicata sulla rivista scientifica Archaeometry, edita per conto dell’Oxford Research Laboratory for Archaeology and the History of Art. Dunque il metodo di campionamento del 1988 sarebbe errato e i risultati pubblicati su Nature tutti da rivedere. Siamo davvero di fronte alla più importante reliquia della Cristianità? È presto anche solo per ipotizzarlo, ma da oggi tutte le possibilità sono di nuovo in gioco.

mercoledì 24 luglio 2019

Colombo (figlio) fallì la rotta per la sua biblioteca perfetta

tratto da IL Giornale del 18/01/2019

Fernando crebbe nel culto del padre e tentò di creare la più vasta collezione privata del primo '500

di Matteo Sacchi

Il 12 ottobre 1492, approssimativamente a 24 gradi e 6 primi nord e 74 gradi e 29 primi ovest, la storia dell'umanità cambiava per sempre.

Cristoforo Colombo era giunto all'isola di San Salvador. Non importa davvero discutere se le rotte navali per le Americhe fossero state percorse in precedenza oppure no (probabilmente sì). Da quel momento quelle rotte sarebbero rimaste sempre aperte, collegando il mondo nuovo a quello vecchio.

E il mondo nuovo costringeva gli abitanti di quello vecchio a ripensare tutto. La catalogazione del sapere ne veniva stravolta: nuovi popoli, nuove lingue, nuove piante, nuove rotte, nuovi equilibri di geopolitica tutti da creare. Di questi equilibri e di questa riorganizzazione del sapere Cristoforo Colombo (1451-1506) introiettò ben poco. Anzi si sentì profondamente «tradito» dalla sua stessa scoperta. Rivolte di indigeni e di coloni, ammutinamenti, i contrasti con i monarchi di Castiglia e di Aragona che pure lo avevano finanziato, il suo ben poco sensato rifiuto di ammettere di non essere mai arrivato al Catai. Senza contare che difronte alla enormità del cambiamento, da lui stesso innescato, Colombo, stremato dai viaggi, si appoggiò a idee millenaristiche e a profezie di fine dei tempi che l'ammiraglio scrisse nel suo Liber prophetiarum.

Eppure mentre Cristoforo Colombo si perdeva nelle rotte del sapere che lui stesso aveva tracciato un altro Colombo, Fernando, suo figlio (seppur illegittimo), di questo enorme cambiamento provava a tenere le fila. Le vicende di Fernando sono narrate da Edward Wilson-Lee, storico della letteratura transitato sia da Oxford sia da Cambridge, in un saggio che si legge quasi come un romanzo ed è intitolato Il catalogo dei libri naufragati (Bollati Boringhieri, pagg. 340, euro 30). Di Fernando Colombo (1488-1539) si è sempre parlato come di un estroso personaggio, un bibliofilo maniacale e un matematico di una certa bravura che si applicò al complesso - per l'epoca - calcolo della longitudine. Wilson-Lee, con un'analisi certosina di quel che resta dei quindicimila libri che componevano la Biblioteca Colombina voluta da Fernando - un investimento enorme di denaro che nessuno aveva osato prima - ripercorre le rotte intellettuali di quest'uomo, cresciuto nel culto e nell'adorazione del padre, che a partire dalla sua permanenza alla raffinata corte spagnola e passando per le esplorazioni che condusse col genitore (nel quarto viaggio nelle Americhe) intuì che era necessario un sistema nuovo per catalogare il sapere.

Fernando pensò di superare il canone librario pensato da Tommaso Parentucelli, ovvero Papa Niccolò V. Allargò la sua biblioteca ben oltre lo spazio dei testi classici od ecclesiastici. Divenne a esempio uno dei più grandi collezionisti di stampe. Inventò nuovi sistemi di catalogazione e di disposizione dei libri. Mentre lavorava a questo ambiziosissimo progetto prese contatto con un enorme numero di intellettuali e viaggiatori, dal grande umanista Pietro Martire sino ad Amerigo Vespucci, passando dai più rinomati cartografi che strappò al Portogallo per metterli al servizio della corona spagnola (fu un lavoro a metà tra l'intelligence spionistica, la corruzione e il corteggiamento culturale). Questo senza contare la sua costante corrispondenza con Albrecht Dürer, Erasmo da Rotterdam, Aldo Manuzio. Animato dal sogno rinascimentale, mutuato dalla cabala e condiviso con Pico della Mirandola, che l'uomo controllando le parole potesse diventare padrone dell'universo, si dedicò ai dizionari, allo stendere elenchi di qualunque tipo. Aveva visto il padre sconfitto dal caos del nuovo mondo, lui il caos cercò di governarlo in ogni modo. In pratica, quello che secoli dopo Borges ha sognato nella Biblioteca di Babele Fernando Colombo ha cercato di realizzarlo a Siviglia con la più vasta biblioteca privata della sua epoca. La prima con una vera mappa interna per aiutare gli studiosi. Dopo la sua morte però, nonostante un consistente lascito il progetto, forse davvero troppo avanti per i tempi è lentamente affondato. Oggi sopravvivono solo quattromila volumi e l'ordine originario è naufragato. Ma il sogno, forse addirittura più grande di quello di Colombo padre, resta. Oggi che il sapere è tutto in rete e sempre meno catalogabile ci rendiamo conto di quanto fosse importante il tentativo di Fernando. Ma tra la biblioteca perfetta e Babele, per il momento, ha vinto Babele.


mercoledì 17 luglio 2019

USA E UFO, IL MITO DI ROSWELL COMPIE 70 ANNI

tratto da "L'Opinione" del 3 luglio 2017

di Redazione

Quest’anno c’è anche un festival gastronomico a tema: gli Ufo. Il mito che affonda le sue radici in avvistamenti ed “incontri ravvicinati” trova le sue “prove” nel deserto del New Mexico, a Roswell, diventata capitale mondiale degli Ufo dopo che 70 anni fa un oggetto mai visto prima sulla Terra precipitò in un ranch nei pressi della cittadina. L’episodio resta ad oggi avvolto nel mistero, ma per i numerosi “appassionati” di Ufo non vi sono dubbi: l’oggetto misterioso era un veicolo extra-terrestre e fu il Pentagono che, intervenendo con rapidità, sequestrò il veicolo per evitare che la vicenda diventasse di dominio pubblico.

Così ogni anno migliaia di persone tornano a Roswell per commemorare quegli accadimenti: fatti ai loro occhi che confermano l’esistenza di alieni e le numerose teorie delle loro visite sulla Terra. Si tratta di “festeggiamenti” che proseguono per giorni e con le iniziative più disparate per ripercorrere gli eventi del 1947. Un pellegrinaggio di migliaia di persone rimaste impermeabili alla tesi ufficiale delle autorità Usa, secondo cui il misterioso oggetto caduto sul ranch di Mac Brazel era un pallone aerostatico usato in un esperimento militare segreto per ottenere informazioni sui test nucleari sovietici.

La vicenda ha avuto picchi di interesse a intermittenza nei decenni, ma resta il “caso simbolo” per chi ritiene che gli alieni esistono e fanno visita alla Terra regolarmente. Si può quindi immaginare la delusione quando si è scoperto che ai fatti di Roswell si fa solo cenno nelle oltre 130mila pagine di documenti sugli Ufo che un paio di anni fa sono state rese disponibili online. In compenso chi in questi giorni decide di fare visita a Roswell per commemorare quel momento potrà anche visitare il “Museo Internazionale degli Ufo” sorto nella cittadina negli ultimi anni, mentre il “festival degli Ufo” è diventato un evento anche di intrattenimento, con numerose attività. La sua fama è cresciuta con gli anni incastonando Roswell nell’immaginario collettivo: decine i libri a riguardo, un episodio della serie tv X-Files dedicato agli eventi di Roswell, qualche anno fa è stato persino realizzato un musical sul tema.


mercoledì 10 luglio 2019

NEW YORK POST: “PENTAGONO CONTINUA A INDAGARE SUGLI UFO”

tratto da "L'Opinione" del 24 maggio 2019

di Redazione

“Il Pentagono sta ancora indagando sugli Ufo”. Lo sostiene il New York Post citando direttamente in esclusiva un portavoce del Dipartimento della Difesa, Christopher Sherwood, il quale ha parlato di un’iniziativa governativa segreta denominata Advanced Aerospace Threat Identification Program (Aatip), che “ha condotto ricerche e indagini su fenomeni aerei non identificati”.

Una rivelazione che ha fatto breccia tra vari media, anche stranieri. Finora il Pentagono aveva sempre detto di aver chiuso l’Aatip nel 2012, ma Sherwood ha riconosciuto che il Dipartimento sta ancora indagando su fenomeni aerei non identificati. “La Difesa è sempre preoccupata di identificare tutti gli aeromobili nel nostro ambito operativo, nonché di identificare qualsiasi funzionalità straniera che possa rappresentare una minaccia per la patria”, ha precisato. “E continuerà ad indagare attraverso le normali procedure - ha aggiunto - le segnalazioni di aeromobili non identificati rilevati dall’aviazione militare americana al fine di garantire la difesa della patria e la protezione contro il fattore sorpresa da parte dei nostri avversari”.

A parere di alcuni osservatori però restano margini di ambiguità, in quando la definizione di fenomeni aerei non identificati sarebbe diversa da quella di Ufo (oggetti volanti non identificati). Per Nick Pope, che ha svolto indagini segrete sugli Ufo per il governo britannico negli anni Novanta, i commenti del Pentagono sono invece una “rivelazione bomba”. “Le precedenti dichiarazioni ufficiali erano ambigue e lasciavano aperta la possibilità che l’Aatip si occupasse semplicemente delle minacce aeronautiche di nuova generazione riguardanti aerei, missili e droni - ha sottolineato - Questa ammissione chiarisce che hanno davvero studiato quelli che il pubblico chiama Ufo”. L’esistenza del programma - che non era classificato ma era noto solo ad una ristretta cerchia di persone - è stata ammessa dal Pentagono solo alla fine del 2017.

L’Aatip è stato avviato nel 2007 e inizialmente finanziato con 22 milioni di dollari annui su richiesta di Harry Reid, all’epoca leader della maggioranza democratica al Senato e appassionato di fenomeni spaziali. Gli Ufo, comunque, sono stati per decenni al centro di indagini negli Stati Uniti, anche da parte dell’esercito, e nel 1947 l’aviazione cominciò una serie di studi per far luce su oltre 12 mila presunti oggetti non identificati prima di terminarli nel 1969.

mercoledì 3 luglio 2019

Scienza e magia, nella tesi di Calasso c'era già l'Adelphi

tratto da Il Giornale del 19/12/2018

di Fabrizio Ottaviani


Nel 1840 gli operai che lavoravano in una chiesa di Norwich profanarono inavvertitamente una tomba, rompendo la lastra che la sigillava.

Alcune parole in latino consentivano di risalire al proprietario, un medico morto nel 1682 le cui ceneri, assicurava l'epigrafe, avevano il potere di trasformare la polvere in oro. Il medico era Thomas Browne. Di volta in volta sequestrato dai letterati, dagli storici della filosofia o dagli appassionati di alchimia (era un sodale del figlio di John Dee, famoso mago del Rinascimento), Browne aveva scritto opere celeberrime Religio Medici, Urn Burial per limitarsi a un paio di titoli considerate da Coleridge, de Quincey, Virginia Woolf e Lytton Strachey alla stregua di capolavori.

Al medico di Norwich un giovane Roberto Calasso dedicò la tesi di laurea, ora pubblicata col titolo I geroglifici di Sir Thomas Browne (Adelphi), discussa nel 1965 alla Sapienza di Roma, relatori Mario Praz e Sergio Donadoni, allora forse il massimo esperto di cose egiziane. La scelta non fu casuale: mentre l'Europa perdeva tempo a discutere le trascurabili opinioni di Percy Snow sulle «due culture», la scientifica e l'umanistica, Calasso si immergeva nello studio di un autore che la fa saltare. Tolleranza e Bibbia, poesia e scienza, cattolici e calvinisti, ermetismo rinascimentale e meccanica galileiana nelle pagine di Browne rivelano una conciliabilità che la matrice erasmiana spiega solo in parte. In realtà, Browne era personalità pochissimo polemica e del resto anche il titolo della sua opera più nota, La religione del medico, è un ossimoro pacificato, il medico e il religioso valendo come rappresentanti di due modi antitetici di accostare l'universo. Sul piano filosofico, Calasso è ben informato: sa che nel '600 lo scetticismo era usato per rafforzare la Chiesa, non per minarla; che fra macchine e filosofi scoccarono idilli memorabili... Il Browne di Calasso è deista fino all'osso: il mondo è il ritratto di un Dio che dissemina la natura di leggi per far impazzire gli scienziati e dannare filosofi. La compostezza accademica, obbligatoria in una tesi di laurea, non trattiene il losco movimento di alcuni tentacoli rizomatici in puro stile Adelphi, la casa editrice di cui Calasso sarebbe diventato il direttore: una citazione estravagante da Valéry, l'apparizione in una sola pagina di due dandy, Baudelaire e Beerbohm, un passo di Borges (che adorava Browne)...

mercoledì 19 giugno 2019

“L’ERRORE DEGLI DEI”, INTERVISTA ALLA TASSELLI

tratto da "L'Opinione" del 28 novembre 2013

di Luca Bagatin



Patrizia Tasselli, toscana doc, un passato da operaia di fabbrica, appassionata di viaggi, esoterismo e di culture arcaiche, da diversi anni e collaboratrice della rivista di Studi Esoterici “Officinae”, organo ufficiale della Massoneria italiana della Gran Loggia d’Italia degli Alam. Patrizia ha dato alle stampe, alcuni anni fa, un romanzo che abbiamo recentemente recensito, ovvero “L’errore degli Dei”, edito da Giuseppe Laterza, con prefazione dell’ufologo Roberto Pinotti, che è la storia del viaggio di Cassandra, ricercatrice figlia del comandante Fonelli a guida del sottomarino Trieste, misteriosamente scomparso nelle acque del Mar Nero negli anni precedenti alla fine della Guerra Fredda. Un viaggio da Istanbul sino ai confini dell’Iraq, che condurrà la protagonista alla scoperta dell’esistenza di curiosi buchi neri che hanno la proprietà di far precipitare le persone a ritroso nel tempo. Ed ecco che Cassandra scoprirà che suo padre - e tutto l’equipaggio del Trieste - sono in realtà stati sbalzati indietro, nell’Era prediluviana, assieme ad un manipolo di alieni dediti a ricercare l’enzima Nue attraverso esperimenti sul cervello degli esseri umani, che si dice sia in grado di unificare i due emisferi del cervello e, dunque, essere in grado di creare una razza superiore, ove la razionalità dell'emisfero sinistro possa fondersi con l’emotività dell’emisfero destro del cervello. Un’avventura descritta sotto forma di spy-story che, in realtà, racchiude profondi significati simbolico-esoterici e mitologici, ove la scienza moderna si fonde con il mito mesopotamico di Gilgamesh, Re di Uruk, che è stato spesso oggetto di studio dell’autrice. Oggi abbiamo l’amichevole possibilità di intervistare Patrizia Tasselli, la quale ci racconterà, più in dettaglio, com’è nata l’idea di questo libro ed i suoi arcani e reconditi segreti.

Dunque Patrizia, perché non inizi parlandoci un po’ di te? Come è nato, fra l’altro, il tuo interesse per la mitologia e l’esoterismo?

Credo che l’interesse per la mitologia sia nato in me da bambina, leggendo i tanti libri di novelle che fortunatamente i miei genitori e gli zii mi regalavano. Finito Carosello chiudevo la porta della mia cameretta e lasciavo fuori il mondo di campi e fabbriche, piccoli laboratori artigiani ricavati negli scantinati, botteghe di ferramenta dove si vendeva di tutto, chiodi, segatura, ddt sfuso, saponette e profumi. Spaziavo tra “Piccole donne”, “L’uccello di fuoco”, “Il Barone di Münchhausen” e quello rampante di Calvino, fino all’arrivo degli Anni Sessanta, il boom economico, la borsa di studio e la scuola “in città”. La mattina l’Istituto Tecnico e il pomeriggio il corso di taglio e cucito, perché “non si sa mai”, diceva la mia mamma. All’inizio di quegli anni avvenne il mio folgorante incontro con “Civiltà Sepolte” di Ceram e nacque in me la passione per tutto ciò che è antico, primario, fonte, origine. E naturalmente nascosto, come la “mitica” Troia realmente esistita e alla fine scoperta. Quasi un decennio dopo Peter Kolosimo fece il resto con il suo “Non è terrestre”, suscitando definitivamente in me l’interesse verso la cosiddetta archeologia misteriosa, relegata immeritatamente dall’archeologia ufficiale nel ghetto delle pseudoscienze come fantarcheologia o pseudoarcheologia. Durante gli anni mi sono convinta che gli oggetti misteriosi trovati sparsi su tutta la terra - i cosiddetti OOPArt, Out Of Place ARTifacts, oggetti fuori posto - siano la testimonianza di civiltà perdute nell’abisso del tempo o dello spazio. Il passo successivo è stato la lettura delle leggende, o meglio dei miti, in chiave esoterica, ossia nella consapevolezza che contenessero verità nascoste, comprensibili solo a chi fosse disposto a cercare sotto la cenere il fuoco apparentemente spento.

Com’è nata l’idea di scrivere “L’errore degli Dei”?

L’idea di scrivere “L’errore degli Dei” è nata dalla sintesi di tre diversi progetti: un racconto sui viaggi nel tempo, uno sulla vita dei primi “ominidi umanizzati” e, infine, il più intrigante: la mia personale lettura del Gilgamesh. La storia del sottomarino scomparso mi è stata suggerita in un sogno che ho avuto la prontezza di spirito di annotare appena sveglia. Non so perché.

Il tuo romanzo è frutto unicamente della tua fervida fantasia oppure...?

La trama del romanzo è frutto della mia fantasia e per la stesura mi sono avvalsa della mia esperienza di viaggiatrice. Non sono mai stata sul Mar Nero e la mia conoscenza diretta della Turchia è limitata a Istanbul e alla Cappadocia, ovviamente è nulla per quanto riguarda l’Iraq. So tuttavia per esperienza come funzionano certi viaggi improvvisati e come si comunica a gesti con la gente; a volte la mia ignoranza delle lingue straniere mi ha aiutata nell’arte dell’arrangiarsi e in questo senso alcuni passi del romanzo sono autenticamente autobiografici. Ho costruito il viaggio di Cassandra ed Emin tramite Google Earth, osservando attentamente le foto di Panoramio, caricate da utenti non professionisti e per questo più realistiche. Ho fatto mie le curve delle strade di montagna, le autostrade, gli alberghi, le case, i siti archeologici con le loro meraviglie e i villaggi con le loro miserie.

Credi davvero che entità extraterrestri esistano davvero e siano all’origine degli antichi miti e simboli che pervadono l’Umanità?

Qui il discorso si fa più complicato. Sono convinta che entità extraterrestri abbiano non solo visitato il nostro mondo, ma che siano intervenuti nella creazione dell’uomo. Non voglio entrare in argomenti che riguardano la fede che anima i creazionisti e difendo a spada tratta il buon Darwin fino a che, tornando indietro nel tempo, non si arriva alla separazione dell’uomo dalla scimmia, che non sappiamo quando sia avvenuta. Forse la separazione non c’è mai stata, le scimmie sono rimaste scimmie e gli ominidi si sono tutti estinti meno uno, l’Homo Sapiens, e non si capisce perché, visto che se Dio ha creato l’uomo dal nulla era perfettamente inutile. Una spiegazione logica, allo stato attuale della conoscenza, è quella di diversi interventi alieni sul Dna di alcuni individui di varie specie di scimmie. Esperimenti falliti meno uno riuscito, si fa per dire, quello da cui deriva la razza umana. Da qualche anno seguo con interesse gli studi di Mauro Biglino, esperto di lingua ebraica antica e collaboratore per anni con le Edizioni San Paolo per la traduzione della Bibbia, studi che sembrano confermare la mia teoria. Se così fosse è veramente possibile che gli antichissimi miti e i simboli indecifrabili che si riscontrano su tutto il globo terrestre siano la testimonianza non tanto di esseri alieni, ma di coloro che li hanno conosciuti e di cui sono stati forse allievi, forse vittime.

Cassandra, la protagonista del romanzo, possiamo dire che è un po’ il tuo alter-ego?

Certo, Cassandra un po’ mi somiglia, ma soprattutto credo sia la figlia che avrei voluto avere, una che si pone domande e cerca risposte, ma più determinata di me nelle sue scelte.

Come mai sei così affascinata dal poema che racconta la storia di Gilgamesh, Re di Uruk?

Il mio interesse per Gilgamesh ha un’origine davvero curiosa. Stavo in cima a una scala appoggiata alla libreria e spolveravo i libri quando me ne è caduto uno. Sono scesa per raccoglierlo e mi sono accorta che non l’avevo mai letto. Si trattava di una raccolta di racconti egiziani e mesopotamici, tra cui una sintesi del poema di Gilgamesh, che mi incuriosì. Lessi per primo l’episodio della prostituta sacra Shamkhat, che interpretai come il metodo più antico per tenere buoni gli uomini irrequieti, poi lessi la tavola del diluvio. Fui affascinata soprattutto dallo stile del racconto e corsi in libreria a comprare l’opera completa tradotta da Giovanni Pettinato. Mi resi conto che in quel poema antichissimo era contenuta la sostanza di opere scritte in epoche molto più recenti, come la Bibbia, e che Gilgamesh precedeva di gran lunga i poemi di Omero, di Virgilio e Dante, nonché la storia di Siddharta. Solo dopo un’attenta lettura compresi che dietro il racconto delle gesta eroiche del re di Uruk era nascosto non solo un insegnamento etico e sapienziale, ma un vero e proprio messaggio esoterico. Con questa chiave di lettura le avventure di Gilgamesh appaiono come una serie di passaggi iniziatici verso la scoperta del sé. La stupenda allegoria dell’amicizia tra Gilgamesh e Enkidu, l’uno alter ego dell’altro, complementari a se stessi, o meglio due personalità insite nello stesso individuo, rappresenta la complessità dell’animo umano perennemente in bilico tra il bene e il male. Il bene, simbolicamente incarnato da Enkidu, insegna a Gilgamesh l’Amore dopo di che, terminata la sua missione, non ha più motivo di esistere e muore. La morte di Enkidu, divenuto ormai parte integrante di Gilgamesh, non può che rappresentare la morte iniziatica di Gilgamesh stesso che a partire da quel momento comincerà il suo lungo viaggio alla ricerca del senso della vita. Mi sembra che ci siano validi motivi per restare affascinati da questo mito.

Stai già pensando ad un nuovo romanzo, oppure ad un saggio sull’argomento?

Ti dirò che per ora sto fantasticando su un nuovo romanzo che vorrei ambientare nella mitica Atlantide.

Se volete comprare il libro: L'errore degli Dei

La saga di Gilgamesh di Giovanni Pettinato: La saga di Gilgamesh

Mitologia sumerica di Giovanni Pettinato: Mitologia sumerica

mercoledì 12 giugno 2019

Le saghe nordiche raccontate da Neil Gaiman

tratto da "Il Giornale" del 18-11-2018

di Matteo Sacchi

Un lungo viaggio nello spazio e nel tempo. Per visitare tutti i nove mondi: Asgard, la casa di Odino; Alfheim dove vivono gli elfi della luce; Nidavellir dove i nani creano oggetti magnifici; Midgard, la patria degli uomini; Jotunheim, la terra dei giganti del gelo; Vaheim dove vivono i Vanir dei diversi che hanno dovuto piegarsi a Odino; Niflheim, luogo di oscure foschie; Muspell, terra del fuoco; e infine Hel dove vanno i morti che non sono caduti valorosamente in battaglia.

Ecco cosa regala Neil Gaiman ai suoi lettori in Miti del nord (Mondadori). Gaiman non è uno studioso professionale di mitografia norrena. Al grande pubblico è noto per i romanzi, come American Gods e Coraline, o fumetti, come Sandman, o graphic novel, come Mr Punch. Ma a partire da American Gods, libro in cui gli dei nordici vengono raccontati come se vivessero negli Stati Uniti dei giorni nostri, e passando per la sceneggiatura di La leggenda di Beowulf, Gaiman ha mostrato di conoscere molto bene le saghe scandinave, di coglierne la potenza.

Come spiega nell'introduzione di Miti del nord, lo hanno colpito a partire dalla sua infanzia. All'inizio una infatuazione pop dovuta ad uno dei fumetti più belli del geniale Stan Lee (che ci ha lasciato questa settimana) ovvero Thor. Da lì, Gaiman ha continuato a studiare le avventure di Odino, Loki e tutti gli altri Aesir. In questo saggio-antologia, che però ha la scrittura agile di un romanzo, raccoglie i miti tramandati dall'Edda poetica e dell'Edda di Snorri. Con la bravura da divulgatore che gli è propria, accompagna il lettore attraverso le radici, il tronco e i rami di Yggdrasil, l'albero mondo che collega ogni cosa. Se le divinità dei vichinghi si spostano usando Bifrost, il ponte dell'arcobaleno, per i più giovani il ponte verso la dimora di Thor, gli inganni di Loki e il disastro cosmico del Ragnarök potrebbe essere proprio Gaiman. Racconta di come i nani ricostruirono in fili d'oro la chioma della divina e bellissima Sif, proprio come uno scaldo (l'aedo dei vichinghi) alla corte di Ragnar Lodbrok. Il tutto con - a chiusura - un glossario ben fatto.

venerdì 26 aprile 2019

Il Libro Rosso

Dalla stessa collana "I libri del Mistero" della Fanucci Editore presentiamo "Il Libro Rosso". Come gli altri libri della stessa collana ritroviamo le pagine decorate per ricreare la sensazione dei vecchi grimori manoscritti e il taglio delle pagine colorato questa volta in rosso. Dall'introduzione:
"Nel luglio 1940, presso lo stesso stampatore di Le Livre Vert, era apparso un volume dallo stesso formato e dimessa veste grafica: Le Livre RougeLe Livre Rouge, che ovviamente è da attribuire (con le dovute riserve) al solito Jacques Dourcet-Valmore, è l'esatto opposto de Le Livre Vert, essendo una sorta di manuale d'invocazione delle gerarchie infernali, descritte con abbondanza di particolari ripugnanti; alcuni rituali riportati sono talmente orribili che francamente ci sentiamo quasi d'approvare la distruzione tentata dalle sbirraglie naziste dell'epoca. All'inizio fu scartata l'ipotesi di una traduzione di e Livre Rouge per la sua particolarità (di folli 'demomaniaci' ce ne sono già troppi in circolazione).
[...] Il contenuto: un elenco pressoché completo di tutti gli spiriti infernali - comuni alla grande tradizione occulta delle tre religioni monoteiste..."



Il libro è composto da 192 pagg. con copertina rigida al costo di 12€.



martedì 22 gennaio 2019

Nave fantasma riemerge dalle acque del fiume Po

tratto da "Il Giornale" del 28/08/2018

È il piroscafo San Giorgio, affondato il 12 febbraio del 1944

di Francesca Bernasconi

Era diventanta una leggenda, tanto da essere ormai considerata una nave fantasma, della quale si erano perse le tracce oltre settant'anni fa.
Invece, la nave San Giorgio è riaffiorata dalle acque del fiume Po, che l'avevano inghiottita nel 1944, grazie a Luciano Chiereghin, che ne ha individuato il relitto.

La storia della nave San Giorgio

Piccolo piroscafo, varato nel 1914 e usato a partire dal 1940 dalla Marina Militare Italiana, come naviglio ausiliario dello Stato, è stato impiegato nella guerra con la Jugoslavia e in numerose operazione nelle acque dalmate. Il piroscafo entra nella leggenda già nel 1943, quando viene attaccata da un sommergibile britannico, molto più grande e potente della San Giorgio, e combatte una coraggiosa battaglia, dalla quale esce senza riportare gravi danni: il sommergibile, infatti, ingannato dal denso fumo nero che si leva dalla nave, è convinto di averla affondata e se ne va.

Durante il Reich, la San Giorgio viene requisita e costretta a navigare sotto la bandiera della Kriegsmarine tedesca, per la quale svolge il pattugliamento tra Venezia e Ancona. Il 12 febbraio del 1944, l'equipaggio, composto da 52 uomini, si trova in difficoltà per una tempesta e cerca rifugio all'interno del Po. Poco dopo, il piroscafo incappa in una secca, in prossimità di Punta della Maestra, a Rovigo, e si inclina da un lato, permettendo ai marnai di salvarsi, prima di affondare.
Della San Giorgio affiorava solo il cannone da 76 millimetri posto a prua, che attirò molti pescatori della zona che la depredarono. Poi il lento sprofondamento delle acque del fiume Po la fecero inabissare e se ne perse ogni traccia, come riporta Il Messaggero.

Il ritrovamento

Luciano Chiereghin, uno storico locale, "cacciatore" di reperti della Seconda Guerra Mondiale, insieme a un gruppo di storici e archeologi, ha riportato alla luce il relitto della nave fantasma. Facendo riferimento ad alcuni studi dell'epoca, ha individuato sulla mappa la sagoma e la relativa posizione del relitto. Poi, grazie all'utilizzo di mezzi tecnologici, come gps, magnetrometro e georadar ha identificato l'esatta posizione della nave.
Chiereghin è disposto a mettere a disposizione della Marina tutto il materiale raccolto, in caso di un eventuale recupero, piuttosto improbabile, a causa dei costi che comporterebbe la complessa operazione.

domenica 13 gennaio 2019

Quando la caccia era una lotta alla pari tra l'uomo e gli dèi

tratto da "Il Giornale" del 17/07/2018

Il libro per l'estate. Eccolo. Non è la bordata di un dandy sfregiato dalla calura: d'estate si vendono i «gialli», i libri del Papa in attesa di conversioni meridiane e i romanzetti sociologici e patetici degli scrittori nostrani, sociopatici

di Davide Brullo

Il libro per l'estate. Eccolo. Non è la bordata di un dandy sfregiato dalla calura: d'estate si vendono i «gialli», i libri del Papa in attesa di conversioni meridiane e i romanzetti sociologici e patetici degli scrittori nostrani, sociopatici.

Roba da ronfare sotto l'ombrellone. Qui, invece, c'è tutto l'eccitabile, narrativamente parlando. Spazi incontaminati, come si dice, lotta, sangue, spiriti, fughe nell'oltretomba, mito, pietà e violenza. Qualcosa che sta tra il bagliore omerico e l'epopea cavalleresca. Credete. Se fate un piccolo sforzo di prospettiva romanzesca (ma chi ci crede a uno che ti racconta l'ennesima storia senza avere nulla da dirti, da darti?) I riti di caccia dei popoli siberiani (Adelphi, pagg. 230, euro 30; con un saggio di Claudio Rugafiori) è il libro adatto per non soccombere alla noia vacanziera. Il tomo, evviva, non è il solito romanzo, ma lo studio più famoso di una antropologa francese, Éveline Lot-Falck (1918-74), una con gli attributi (fa la resistenza presso il Musée de l'Homme e assiste all'uccisione di alcuni colleghi, «fucilati dai tedeschi il 23 febbraio 1942») e con la testa (Claude Lévi-Strauss crea per lei la «cattedra di Religioni dell'Eurasia»), riconosciuta come la massima esperta di sciamanesimo siberiano.


Il libro sui Riti di caccia dei popoli siberiani una pietra miliare, uscito in origine nel 1953, così ci tocca sfogliare una bibliografia pressoché inutile, con testi del 1914, del 1924, del 1905, del 1909... una precedente traduzione italiana è del 1961, per il Saggiatore ci porta in luoghi atavici, dove «il cacciatore considera l'animale almeno come un suo pari», anzi, «l'animale è superiore all'uomo sotto uno o più aspetti: per forza fisica, agilità, finezza dell'udito e dell'olfatto», dove la caratteristica del dio supremo «sembra essere la passività, l'indifferenza», ma tutto, al Nord, dove la natura troneggia e l'uomo è un accidente, ha uno spirito di cui occorre conoscere i nomi, la struttura grammaticale, per così dire. Oltre al paesaggio visibile, bisogna conoscere quello invisibile, fatto da «spiriti erranti, spesso pericolosi», oppure da «defunti divinizzati», in una visione labirintica dell'al di là, dove «strette relazioni uniscono i morti e i vivi». La caccia, così, richiede un rito preparatorio molto lungo («È essenziale che il cacciatore, al momento della partenza, si trovi in stato di grazia, che sia stato purificato da ogni macchia, da ogni contatto con ciò che si lascia alle spalle»), costellato da amuleti, invocazioni, per entrare in sintonia con l'animale da uccidere.

Quando si uccide, bisogna guardare in faccia la bestia, sfidarla senza malizia «Se si attacca l'orso nella sua tana, prima di colpirlo bisogna svegliarlo. Lealtà, purché reciproca: l'orso a sua volta non ucciderà il cacciatore nel sonno» e un'attenzione particolare è dedicata alle armi, sempre le stesse («Un forte legame di simpatia unisce l'arma al suo possessore. L'arma assiste l'uomo come un essere vivente, non lo abbandona mai, annuncia a volte ai parenti la morte del loro congiunto»), tramandate, come in una Iliade artica. L'innovazione tecnica, infatti, facilita la caccia ma distrae dal rito, fino a disintegrarlo. «Col passare del tempo, le tradizioni antiche e moderne si trovano fianco a fianco, il giavellotto coesiste col fucile. Poi si produce una rottura dell'equilibrio. L'uomo abbandona le armi primitive per quelle perfezionate offerte dalla cultura moderna. La tecnica si svuota del suo contenuto magico-religioso, l'uomo perde il contatto con l'altro mondo». La tecnica rende ogni cosa equivalente: una bestia è uguale a un'altra, dalla foresta gli spiriti sono in fuga, la preghiera è un vezzo superstizioso, il mondo sta zitto, è da sfruttare, il cielo è uno sbadiglio che inquieta.

Il cuore dell'uomo, ora, è un groviglio di enigmi. Così la Siberia diventa una magione dell'Occidente, una terra senza nomi.

sabato 29 dicembre 2018

I classici del mistero

Di nuovo in libreria le rare e introvabili edizioni dei classici delle pratiche magiche, imperdibili per gli appassionati del genere.
La Chiave di Salomone: magia nera, incantesimi, talismani ed evocazioni diaboliche.
Il Grimorio Nero: la magia dei grandi maestri, magia ermetica e rituali di alta magia.
Il Libro Rosso: magia nera, evocazioni e le gerarchie complete degli spiriti infernali.

La Chiave di Salomone:

Il più celebre trattato di Magia Talismanica ed evocazioni diaboliche che si conosca nell'area mediterranea.
Insegna una serie di incantesimi d'amore, d'odio, di fortuna, di ricchezza, di morte. Fornisce le istruzioni per fabbricare e consacrare pentacoli e sigilli magici dai poteri straordinari. Riporta il testo di rituali, formule, invocazioni. In breve, è il libro più completo sulle pratiche magiche che sia mai stato scritto e divulgato.


Il Grimorio Nero:
Un vero e proprio trattato di Magia Rituale, onnicomprensivo, inteso a insegnare una serie di cerimonie soprannaturali grazie alle quali il praticante fortifica sé stesso e acquisisce poteri speciali.
Il "Libro dei Libri", per quanto riguarda la Magia Bianca e le pratiche benefiche, di lotta al Male e a tutte le sue nefaste conseguenze, una ricca e ragionata raccolta di pentacoli, sigilli, talismani e amuleti, corredata di informazioni teoriche e pratiche.


Il Libro Rosso:
Un elenco pressoché completo di tutti gli spiriti infernali - da quelli notissimi a quelli praticamente sconosciuti - comuni alla grande tradizione occulta delle tre religioni monoteiste (ebraica, cristiana, islamica).
Un testo fondamentale per gli appassionati del genere, appositamente pensato per coloro che camminano sulla Via della realizzazione e sul sentiero dell'Arte Regia.

mercoledì 20 giugno 2018

DRACULA : LA VERITA’ DIETRO IL VAMPIRO

Sabato 30 Giugno 2018 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “Misteri Antichi e Moderni”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi ad un imperdibile appuntamento in compagnia di STEFANO MASELLA che parlerà sul tema:

DRACULA : LA VERITA’ DIETRO IL VAMPIRO



Il 26 maggio 1897 e.v. a Londra uno scrittore piuttosto anonimo pubblica per le edizioni della Constable & Robinson un romanzo dal titolo emblematico di “Dracula”. Questo scrittore era un impresario teatrale e amico intimo di Henry Irving. Era il direttore del Lyceum Theatre di Londra e sin dall’infanzia amava scrivere. Il suo nome era Bram Stoker. Su Dracula è stato detto di tutto. Prima la letteratura e l'arte, poi il cinema e la televisione lo hanno trasformato in un mito che non conosce oblio. E da quando Bram Stoker, riprendendo il vampiro ideato dal medico scrittore John William Polidori, ne ha fatto il protagonista del suo omonimo capolavoro letterario, Dracula continua a esercitare la sua perversa seduzione. Uscito dalla Storia per entrare nella finzione romanzesca, si è trasformato in archetipo delle più grandi paure: l'angoscia umana di fronte alla morte, ma quella ancora più spaventosa di un'immortalità disperata e solitaria. In questa conferenza si cercherà di comprendere la realtà storica alla base di questo romanzo, incontrando il vero alter ego di Dracula, Vlad III voivoda di Valacchia - detto Dracul, cioè Figlio del Drago. Verrà quindi esaminata la leggenda all'origine del terrore evocato dal nome del primo vampiro. Vissuto nella seconda metà del Quattrocento nel principato valacco, regione aspra e inquieta che i re cristiani d'Ungheria contendevano all'espansione ottomana, Vlad è incarnazione delle contraddizioni della sua era: despota e avventuriero, indomito in battaglia e incline all'intrigo di palazzo, strenuo difensore della cristianità e principe sanguinario implacabile con i nemici, acclamato eroe nazionale conosciuto però anche col truce appellativo di Impalatore. La sua fine è, manco a dirlo, avvolta nel mistero.

Naturalmente vi aspettiamo, come sempre, numerosissimi!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando i numeri 346.9451451 - 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.

Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.

domenica 8 aprile 2018

Il mistero delle pietre incise 5mila anni fa

In Danimarca sono state ritrovate 300 pietre incise oltre 5mila anni fa. Gli studiosi le stanno studiando per svelare il loro mistero

tratto da Supereva: https://www.supereva.it/mistero-pietre-incise-5mila-anni-fa-45855?ref=libero

Sta tenendo con il fiato sospeso tutto il mondo il mistero delle pietre incise oltre 5mila anni fa. Tutto è iniziato qualche giorno fa, quando a Bornholm, un’area conosciuta con il nome di “Isola del sole”, sono state ritrovate trecento rocce con strane incisioni che secondo le prime analisi risalgono all’età della pietra.

Il ritrovamento straordinario ha immediatamente dato vita ad un enigma: cosa significano quei disegni, ma soprattutto a cosa servivano le rocce? Le pietre hanno forme diverse: alcune sono circolari, altre invece quadrate. Su quelle tonde sono incisi dei raggi che partono dal centro, mentre sulle altre si trovano dei segni che sembrano rappresentare dei semi oppure delle strane ragnatele. Secondo gli studiosi le pietre potrebbero far parte di un rituale per favorire la fertilità della terra.
Nonostante ciò i reperti restano un enigma per gli studiosi, che in questi giorni si stanno interrogando sull’origine e la funzione delle pietre. Archeologi, studiosi e scienziati danesi hanno creato un team che ha come compito proprio quello di risolvere il mistero che sta appassionando tutta la Danimarca.

“Sarebbe la risposta alla fatidica domanda da un milione di dollari – ha ammesso Lars Larsson, professore dell’università di Lund -. Al momento è impossibile capire e sapere esattamente qual´era la loro funzione”. Le pietre inoltre presentano delle particolarità che non fanno che infittire il mistero: “Molte delle rocce sono estremamente lise, consumate, come se la gente di allora ci avesse spesso camminato sopra” ha svelato Finn Ole Sonne Nielsen, lo studioso che guida il team degli archeologi del museo di Bornholm.

Esperti provenienti da tutto il mondo hanno raggiunto Copenaghen per ammirare da vicino le 300 rocce misteriose e tentare di dare una spiegazione a questo ritrovamento. “L’area di Vasagard dove sono state scoperte già ci aveva dato tracce e indizi dell’esistenza sul posto allora di una struttura sociale dell’età della pietra” hanno raccontato gli esperti.

Già nel 1995 nei pressi di Rispebjerg, una località a otto chilometri da Vasagard, era stata scoperta una roccia di questo tipo. “Da tempo sapevamo dell’esistenza millenni fa di quelle che chiamiamo rocce ”solari”, ma queste pietre scoperte in un campo costituiscono una scoperta totalmente nuova – hanno raccontato gli esperti -, solo ieri ne abbiamo trovate altre quattro, e quelle con ragnatele come decorazione sono per noi archeologi una novità assoluta. Finora non sapevamo che esistessero”.

sabato 24 marzo 2018

Il Kybalion

Il Kybalion – uscito anonimo negli Stati Uniti nel 1908 – è il testo d’occultismo più letto del XX secolo.


Definito come un completamento della Tavola Smeraldina, la più importante opera ermetica mai scritta,  Le sue pagine aprono un’affascinante prospettiva sui meccanismi della realtà oggettiva e generano in chi le medita con mente aperta nuovi livelli di consapevolezza e comprensione.

Per permettere al lettore di inoltrarsi con profitto nello studio, ognuno dei sette grandi principi ermetici – Mentalismo, Corrispondenza, Vibrazione, Polarità, Ritmo, Causalità, Genere – è analizzato e messo in relazione con le verità incarnate dagli altri. Sarà così possibile comprendere quali significati avessero per gli Antichi l’astrologia, l’alchimia e la psicologia mistica e in cosa consistesse la trasmutazione mentale, orientarsi nei testi occulti e, infine, riconciliare le diverse teorie e dottrine che hanno attraversato la storia dell’umanità.

Magia, saperi oscuri e scienza naturale si mescolano in questo libro dagli infiniti livelli di lettura, un compagno indispensabile nella ricerca della verità nascosta.


Tre Iniziati è lo pseudonimo sotto il quale si cela, presumibilmente, William Walker Atkinson (1862-1932), studioso di occultismo e proprietario della Yogi Publication Society di Chicago. Avvocato, scrittore ed editore, Atkinson fu vicino al New Thought, un eterogeneo movimento spirituale nato negli Stati Uniti nella seconda metà del XIX secolo.

venerdì 16 marzo 2018

La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione

Presentazione a cura del Prof. Claudio Cazzola del libro "La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione" di Davide Susanetti (Carocci, 2017). 
La presentazione sarà seguita da una visita al percorso museale particolarmente incentrata sull'argomento del libro, accompagnata da letture e interventi musicali. A cura della Direzione, con la collaborazione del Gruppo Archeologico Ferrarese.

Ore 15.30


sabato 4 febbraio 2017

Santo Sepolcro, gli strani ​episodi "paranormali"

tratto da "Il Giornale" del 21 novembre 2016

Lo scorso 26 ottobre scorso un team di ricercatori dell'Università Nazionale Tecnica di Atene ha ripaerto il Santo Sepolcro: ecco cosa è stato scoperto

di Franco Grilli

Lo scorso 26 ottobre scorso un team di ricercatori dell'Università Nazionale Tecnica di Atene ha ripaerto il Santo Sepolcro. Una mossa per capire se la lastra pogiata sulla tomba sia quella di cui si parla nelle Sacre Scritture. E di questa apertura ne ha parlato il sito Aleteia che parla di alcuni eventi paranormali. Tra questi si sottolinea l'emanazione di un dolce aroma che "ricordava le manifestazioni olfattive associate a certi santi". Inoltre, il sito Aleteia spiega che alcuni strumenti di misurazione usati dai tecnici sarebbero stati alterati da alcune perturbazioni elettromagnetiche. Infatti nel momento in cui gli strumenti venivano posizionati sulla lastra smettevano di funzionare o addirittura funzionavano in modo irregolare. L'archeologo Fredrik Hiebert, della National Geographic Society, ha detto: “Quello che abbiamo riscontrato è sorprendente”. Non esistono però al momento altre prove. Ma questi fenomeni sono stati riscontrati anche nel caso della Sacra Sindone. "La mia preparazione scientifica mi ha permesso di fare delle ipotesi sulla possibilità che l’immagine fosse dovuta ad un’esplosione di energia. E questa ipotesi è stata verificata in laboratorio con l’uso di sorgenti laser molto particolari”, aveva affermato, come ricorda il Fatto, Giuseppe Baldacchini, uno dei più importanti fisici che hanno lavorato sulla Sindone. Insomma il mistero e il paranormale continuerà ad incuriosire i fedeli e il luogo simbolo della morte di Cristo, il Santo Sepolcro, potrebbe "narrare" altri episodi che la scienza diffcilmente potrà spiegare.

sabato 4 giugno 2016

Il mistero del Flogisto

De Igne Luce et fluido electrico
di Stefano Benini, a cura di Vincenzo Rizzo

Da una ricerca genealogica spunta la figura di Stefano Benini, giovane con la passione per le scienze naturali, la fisica e soprattutto la chimica. Teorie e princìpi, così come erano intesi nel Settecento, emergono con l’intento di fare chiarezza nelle conoscenze e fare il punto della situazione. Verità, fantasie, supposizioni ed utopie concorrono a tracciare il cammino della Scienza.
Dedicato prevalentemente alla teoria del Flogisto, il libro incuriosirà gli appassionati di storia della scienza ma anche di alchimia e scienze ermetiche, che potranno visionare la traduzione completa dal latino con testo a fronte. Il volume contiene inoltre un commento critico, un resoconto sullo stato della chimica nel XVIII secolo e le biografie dei principali scienziati dell’epoca.

sabato 19 settembre 2015

MYSTERY IN HISTORY

Sabato 3 ottobre 2015 (ore 10:00) c/o Pacific Hotel Fortino, Strada Del Fortino, 36, Torino (TO), Piemonte, Italia


La Yume Edizioni è lieta di invitarvi a "MYSTERY IN HISTORY R. Primo convegno sui misteri nella storia", che avrà luogo in data 3 ottobre 2015 presso il Pacific Hotel Fortino, Strada del Fortino 34/36 Torino, dalle ore 10 alle ore 18. Il convegno è l'occasione per affrontare da un punto di vista originale vari temi storici, per scoprire come anche in accadimenti passati, lontani da noi nel tempo e in alcuni casi nello spazio, siano ancora presenti dei punti non chiari, delle sfumature di sicuro interesse che coinvolgono la nostra cultura fin negli strati più profondi, e che hanno modificato il nostro stile di vita con gesti e tradizioni di cui magari non conosciamo l'origine. Con il consueto stile rigoroso degli studiosi che da sempre collaborano con noi, affronteremo un viaggio trasversale che dagli etruschi passa per la stregoneria per approdare alla prima guerra mondiale, con un'attenzione ai dettagli, alla documentazione e al controllo delle fonti che evita di cadere in facili sensazionalismi. Perché la storia del nostro mondo riserva più misteri di quelli che pensiamo, senza doverli inventare. La partecipazione al convegno è libera previa adesione e gratuita. Il pranzo in hotel è facoltativo, si terrà dalle 13,00 alle 14,00, e sarà composto di due portate, dolce e caffè a euro 25,00 cadauno. Deve essere necessariamente confermato entro il 15 settembre. In alternativa, nei pressi dell'Hotel ci sono numerosi punti di ristoro. La prenotazione può essere effettuata via mail all'indirizzo info@yumebook.it o, a partire dal 1 settembre, al numero di telefono 0110143030.

mercoledì 22 luglio 2015

LA MELENCOLIA 1 DI DURER

(ossia lo specchio delle disillusioni dell’uomo)

di Marcello Vicchio



Albrecht Dürer - Melencolia I - Google Art Project ( AGDdr3EHmNGyA).jpg
immagine presa da Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Melencolia_I#/media/File:Albrecht_D%C3%BCrer_-_Melencolia_I_-_Google_Art_Project_%28_AGDdr3EHmNGyA%29.jpg)

Albrecht Durer è senza dubbio il più grande pittore tedesco e uno dei principali protagonisti del Rinascimento, sia dal punto di vista artistico che culturale. La sua figura si staglia gigantesca nel panorama dei movimenti intellettuali dei primi decenni del Cinquecento, epoca foriera di profondi rinnovamenti sociali e inquietudini morali e religiose.

Durer è stato il primo a rivoluzionare il ruolo dell’artista: non più un artigiano dotato di particolare abilità ma privo di identità e peso sociale, ma un uomo immerso nei problemi del suo tempo, intellettualmente all’avanguardia, punto di riferimento culturale e morale per i suoi concittadini.

Le monografie dicono che della sua vita si conosce quasi tutto per via della fitta corrispondenza da lui tenuta, dei suoi diari e dei suoi appunti, tuttavia è proprio quel "quasi" a stimolare la nostra curiosità ed è una delle sue incisioni più celebri ad alimentarla ulteriormente : la Melencolia 1. Comprendere bene l’ambito storico nel quale è nata l’enigmatica incisione di Durer contribuisce, probabilmente, a renderla un po’ meno misteriosa e avvicinarla ancor di più alla nostra sensibilità, sottolineando da un lato come alcune opere siano davvero universali e sempre attuali, perché universali e sempre uguali a se stesse sono le azioni dell’uomo, e dall’altro suscitandoci a volte il dubbio che il lavoro di perfezionamento esoterico ( e dunque massonico) sia una specie di chimera sfuggente o un supplizio di Tantalo, perseguito tutta la vita ma che tramonta inevitabilmente quando questa tramonta, lasciando agli altri il carico di un nuovo, forse inutile ciclo.

Il capolavoro è stato realizzato nel 1514, in un momento storico e personale particolarissimo. La madre di Durer era appena morta, gettando il pittore nello sconforto, mentre già numerose nubi si profilavano all’orizzonte. La peste mieteva vittime in tutta Europa, tanto che l’artista era stato costretto a lasciare Norimberga qualche tempo prima. Mancavano meno di tre anni all’inizio della rivoluzione protestante e ovunque serpeggiavano i malumori e le tensioni che avrebbero precipitato gli stati in lotte sanguinosissime. Solo poco tempo prima, nel 1499, Stoeffler e Pfaum avevano pubblicato un Almanacco nel quale i due matematici e astrologi facevano una previsione terrificante: la straordinaria congiunzione di Saturno, Giove e Marte nel segno dei Pesci, avrebbe provocato un raffreddamento generale dell’atmosfera, piogge eccezionali e un nuovo diluvio a flagello del mondo. Il mondo conosciuto, d’altra parte, era improvvisamente diventato molto più vasto a causa dei navigatori che avevano aperto rotte verso paesi fino allora sconosciuti, aprendo orizzonti prima inimmaginabili. Il vecchio mondo cambiava e uno nuovo stava per subentrare e sostituirsi ad esso, anche se pochi se ne rendevano ancora conto. Tra questi pochi vi era Albrecht Durer, spirito acuto e sensibilissimo.

Probabilmente in questo momento a qualcuno saranno venuti in mente paralleli tra la nostra epoca e l’alba di quel 1500: la vecchia Terra non basta più, i nuovi confini sono quelli dello spazio, la minaccia atomica e le guerre batteriologiche, odierni diluvi universali, sono eventi più che mai possibili e i fondamentalismi religiosi si radicano sempre più profondamente nell’animo degli uomini. La religione della ragione non soddisfa più e, d’altra parte, l’irrazionalità porta come dote lo scatenamento delle passioni e la follia.

L’angelo della Melencolia, lo sguardo perso nel vuoto e gli arnesi di mestiere abbandonati ai suoi piedi, ritrae meglio di mille parole la doppia disillusione dell’umanità che aveva e ha lasciato da parte l’Arte. Nell’incisione i lutti e le tragedie sono simboleggiate dalla cometa che si scorge nello sfondo ed è rivolta verso la città che si specchia nel mare. Saturno, oltre che dal carattere melanconico che dà il nome all’opera e che è assimilato astrologicamente col segno di questo pianeta, è riprodotto dalla clessidra che si vede dietro l’angelo e Giove dal quadrato magico appeso al muro. Il quadrato magico di 4, con i numeri da 1 a 16, è infatti il quadrato che corrisponde a Giove. E’ probabile che Durer abbia scelto questi simboli ispirandosi all’Almanacco. La scala appoggiata all’edificio ricorda la scala di Giacobbe, ma l’asse tra uomo e cielo sembra giacere abbandonato, la bilancia penzola inutilizzata e perfino Cupido è ripiegato, pensoso, su se stesso. La parte sinistra dell’incisione è molto suggestiva per la presenza di alcuni simboli messi fortemente in risalto: la curiosissima pietra lavorata, il fornello che brucia dietro di essa, il cane addormentato e la sfera. Soffermiamoci brevemente su di essi, dando solo qualche piccolo spunto di riflessione e lasciando all’intelligenza di ognuno l’ulteriore indagine simbologica.

La pietra lavorata attira immediatamente la nostra attenzione, sia per le dimensioni veramente imponenti che per la forma particolarissima. Si tratta di un octaedro composto da sei pentagoni irregolari e due triangoli equilateri. I significati del triangolo e del pentagono sono ben conosciuti ( il primo è la figura elementare della geometria, alla quale ogni altra figura può essere ricondotta; il pentagono è in rapporto con Pentalfa), ma qui voglio far notare che i pentagoni hanno ciascuno tre angoli retti e due angoli di 135° e dunque : 3x90 = 270 e 135x2 = 270. La riduzione teosofica dà in ogni caso 9, simbolo di rigenerazione e immortalità. Altri rapporti numerici sono possibili, ma già questo mi sembra sufficiente a dimostrare, assieme agli altri simboli, che Durer non era a digiuno di nozioni esoteriche, ma anzi faceva parte a pieno titolo dell’ inesauribile fiume di pensiero che ha la sua sorgente nella filosofia perenne . E, se è vero com’è vero che il fornello è l’atanor dell’alchimista e che l’umor nero rappresentato nella Melencolia è la prima fase del processo alchemico che conduce alla Pietra Filosofale, è del pari vero che questa Pietra è null’altro che la riscoperta dell’immortalità dell’anima umana e della conoscenza.

Il cane addormentato riporta immediatamente alla nostra memoria un altro famosissimo "cane" riformatore dell’umanità: il Veltro di Dante Alighieri. Di passaggio, e senza addentrarmi in un campo che esula da questo studio, faccio notare un particolare molto curioso: un anagramma di Veltro è… Lutero! Ma come e perché lo stato melanconico dovrebbe elevarci alla contemplazione dell’anima e alla riconquista di quell’Uno messo così bene in evidenza dalla sfera ai piedi dell’octaedro? Durer certamente non si discostava dal concetto,caro agli antichi, della conoscenza come facoltà dell’anima. L’anima, prima di incarnarsi nel corpo, conosceva e ricordava tutte le cose. Con il suo precipitare nel corpo queste facoltà si sono oscurate e il processo della riconquista della conoscenza è legato, dunque, alla memoria più che ad ogni altra cosa. Secondo la teoria degli umori, in auge da Aristotele in poi, dei quattro tipi fondamentali di caratteri quello malinconico secco-caldo (ossia di malinconia intellettuale, ispirata), è il temperamento più adatto alla reminiscenza, cioè alla conoscenza. Sull’arte della memoria esiste un ottimo trattato di F. Yates ( L’arte della memoria, Ed. Einaudi) che illustra dettagliatamente quali fossero le tecniche mnemoniche e i risvolti di tale arte nella filosofia antica, rinascimentale e moderna, ma qui mi preme sottolineare come i rapporti tra ermetismo, arte, filosofia, alchimia e religione siano spesso più stretti di quello che non appare a prima vista e riaffiorino, a volte, là dove meno ci si aspetti di trovarli.

Alberto Magno, maestro di san Tommaso d’Aquino, nel suo trattato De memoria et reminiscentia , pone, come già Aristotele, una differenza tra memoria e reminiscenza. La prima, sebbene più legata alle sensazioni, è sempre connaturata alla parte sensitiva dell’anima, mentre la seconda è nella parte intellettiva di questa, sebbene conservi ancora tracce delle forme corporee. Il processo di conoscenza, allora, esige che si oltrepassino le facoltà sensitive e si arrivi al dominio più puro dell’intelletto. Ma Alberto Magno, ed ecco dove il legame al quale facevamo riferimento si manifesta, scrive anche : "… coloro che desiderano rievocare [ da reminisci, ossia fare qualcosa di più spirituale e intellettuale del semplice ricordare] si ritraggono dalla pubblica luce in un’oscura intimità: poiché nella pubblica luce le immagini delle cose sensibili sono sparpagliate e il loro movimento è confuso. Nell’oscurità, invece, sono compatte e si muovono con ordine ". E’, questa, una descrizione dal sapore pre-romantico che si adatta perfettamente allo spirito e al messaggio della Melencolia I ma anche all’Arte alchemica e a quelle filosofie le quali, sebbene non disprezzino i valori dell’esperienza, delle sensazioni e della scienza, dovrebbero infine trascenderli e trasformarli in vera consapevolezza del sapere, e del potere del sapere, a beneficio dell’umanità. L’inquietudine che mosse Durer all’alba del 1500 è la medesima che affligge l’uomo moderno, ma i risvolti esistenziali, oggi più di allora, sono amplificati, stritolati e consumati dall’indifferenza e dalla fretta di dimenticare per passare ad altro, né si vede all’orizzonte un ritorno di ideologie che pure possano dare sapore alla vita. Si ha la sensazione che non resti altro che ripiegarsi su se stessi e ritornare al passato.

Il problema, per quel che riguarda gli Ordini Iniziatici, è capire ora se questi siano solo un ritorno al passato, un orpello, un retaggio culturale bloccato nell’anodino binomio segreto iniziatico –vita civile ( quella che al tempo di Alberto Magno veniva chiamata vita contemplativa e vita attiva), oppure filosofie in grado di offrire qualcosa di sempre nuovo ed efficace. Per intenderci, all’epoca delle monarchie europee un Ordine come la massoneria predicava libertà, uguaglianza , fratellanza e il suo messaggio era rivoluzionario. Oggi che questi concetti sembrano essere accettati, perlomeno in Occidente, lo stesso Ordine, e anche altri, hanno solo il ruolo di memoria storica e di guardiani dottrinali, abdicando al compito di avanguardia ideologica (come sembra stia accadendo), oppure sono in grado di riproporre nuovi modelli di società?

Dove poserebbe oggi lo sguardo la figura alata di Durer?

mercoledì 15 luglio 2015

I tre filosofi di Giorgione

di Marcello Vecchio

Tre filosofi
Immagine tratta da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Tre_filosofi#/media/File:Giorgione_029.jpg)

Il quadro " I tre filosofi" venne dipinto da Giorgione intorno al 1505, su commissione di Taddeo Contarini. Taddeo Contarini, Gerolamo Marcello e Gabriele Vendramin erano tre giovani nobili veneziani che commissionarono a Giorgione alcune tele ispirate all’esoterismo e all’alchimia. Di certo erano loro ad esporre i soggetti, mentre toccava poi al pittore metterli su tela. Sappiamo anche che Taddeo Contarini prendeva in prestito libri di astrologia e filosofia dalla biblioteca del cardinale Bessarione e proprio uno dei tre personaggi mostra un foglio coperto di calcoli astronomici.

Sull’interpretazione del quadro molti si sono sbizzarriti. Marcantonio Michiel, nel 1525, li definisce "li tra phylosophi". In un inventario del 1659 viene definito come "I tre matematici". Mechel, in un inventario del 1783 li definì " I tre Magi che aspettano l’apparizione della stella cometa". Nell’Ottocento e nel Novecento vennero definiti, di volta in volta, come Marco Aurelio insieme ad altri due filosofi; figure allegoriche dell’antico aristotelismo, l’aristotelismo averroistico (l’uomo col turbante) e la Scienza Nuova. Qualcuno ha identificato l’uomo più giovane con Copernico e gli altri come astronomi antichi: Tolomeo e Al Battani.

Prima di addentrarci nello studio del quadro, però, facciamo una premessa: sul finire del Quattrocento l’Arte Reale era diffusissima. Molti suoi cultori sono sconosciuti perché a noi mancano moltissimi documenti. Non dimentichiamo che ci furono persecuzioni tremende da parte della Chiesa contro coloro che, con spirito libero, indagavano i misteri della Natura. E non fu solo la Chiesa a farlo, anche loro occasionali lacché seguirono l’esempio. Valga per tutti la proibizione promulgata in Francia da Francesco I , nel 1537, che divorò moltissime opere alchemiche ed ermetiche.

Da qui, come già era avvenuto in passato (vedi ad esempio la poesia dei Fedeli d’Amore), la necessità di simbologie dietro le quali occultarsi, sempre più personalizzate e spesso ormai per noi incomprensibili. Federico Zeri afferma, secondo me a ragione, che ogni momento storico è irripetibile e irrimediabilmente perduto, giacché non sarà mai possibile per chi viene dopo immedesimarsi completamente in quello che c’era prima. Il passato è passato, morto, e con esso gran parte di ciò che allora viveva nella mente e nel cuore delle persone.

Tuttavia è possibile trovare delle tracce... e tutto in questo capolavoro punta verso l’alchimia.

Focalizziamo l’attenzione sul personaggio che Lensi Orlandi identifica con Basilio Valentino. Forse è stato ispirato in questa identificazione da una figura che ha visto in un libro e che egli stesso descrive così:"L’edizione de Le Dodici Chiavi della Filosofia, pubblicata a Parigi dal

Canseliet nel 1956, riproduce sulla copertina un’antica stampa dove Frére Basile Valentin in abito di benedettino col cappuccio in testa, sorregge una bilancia con le coppe in equilibrio, una piena d’Acqua e l’altra piena di Fuoco e sotto il braccio destro stringe un Libro Chiuso a conferma dell’ermetico significato dell’immagine. Quella bilancia allude ai due giudizi ciclici dell’umanità, il primo realizzato con l’Acqua del Diluvio, il secondo col Fuoco preannunziato dal Battista."

Basilio Valentino richiama subito alla mente l’acrostico VITRIOL, sicché se nel quadro di Giorgione è celato un messaggio alchemico (cosa secondo me indubitabile), non è affatto assurdo che l’ipotesi di Lensi Orlandi sia giusta.

Ciascuno di noi nasconde dentro di sé la propria Pietra Occulta e ogni Artista, nel segreto del proprio laboratorio alchemico, lavora, distilla, rettifica, separa il pesante dal sottile per conquistarla. Molti sono gli strumenti che ci aiutano a percorrere la via, ma il vecchio saggio ha nella mano sinistra un compasso, un utensile i cui bracci possono essere divaricati in infiniti angoli, da 0 a 360 , ad abbracciare il punto e il cerchio, simbolo della padronanza assoluta dei propri mezzi, della propria personalità, della propria mente.

L’altra mano è occupata da una pergamena dove sono visibili il Sole e la Luna. Ritorna subito in mente M.Maier quando scrive: "il Sole è suo padre, la Luna sua madre". Non vi poteva essere un richiamo così forte all’alchimia, escludendo naturalmente ciò che si legge nella veste dell’uomo col turbante.

Eravamo rimasti alla figura che, secondo alcuni, potrebbe essere BasilioValentino. Dico potrebbe perché altre ipotesi sono altrettanto verosimili. Il vecchio che tiene in mano la pergamena (dove alcuni hanno visto un’eclissi di sole, simbolo di congiunzione mistica dell’anima (Luna) con Dio (Sole), lasciando nell’oscurità il corpo (Terra)) ha svelato alcune cosa all’esame con i raggi X. In una prima stesura la figura aveva sul capo un diadema a forma di raggi solari e ciò ha fatto asserire che potesse trattarsi di Mosè (Calvesi - Il mito dell’Egitto nel Rinascimento), ma un copricapo del genere a me richiama subito in mente Zeus. Il fatto che poi Giorgione ci abbia ripensato e sia passato a una figura vestita di un saio, farebbe immaginare un intervento del committente, quel Contarini così versato in ermetismo e alchimia.

Già, alchimia.... è innnegabile che il motivo conduttore del quadro sia proprio l’alchimia, non fosse altro per un piccolo, minuscolo ma enorme particolare, che il pittore ha abilmente celato pur mettendolo in primo piano, sotto i nostri occhi, dando corpo ai numerosissimi richiami dei Saggi che più volte hanno affermato che solo chi ha occhi per vedere può davvero vedere.

L’uomo col turbante, al centro, ha un lungo vestito rosso e grigio. Sul bordo di questo, proprio sopra il piede destro, si legge una scritta sul ricamo: ALCH.

Se vi fosse qualche dubbio sulle intenzioni di Giorgione, credo che questo particolare li abbia fugati definitivamente.

Nel Rinascimento era comunemente accettata una tripartizione della vita del Saggio in attiva, contemplativa, voluttuosa. Dante Alighieri ammetteva soltanto una vita attiva e una contemplativa, ma quasi tre secoli erano passati dalla sua morte e la filosofia del Rinascimento era ormai pregna di Platone, Macrobio e Plutarco. Ficino, in una lettera a Lorenzo de’ Medici, poteva scrivere: "...

Non esistono ragionevoli dubbi che vi sono tre tipi di vita: contemplativa, attiva, voluttuosa...".

La vita attiva ha il suo culmine nell’impegno nelle cose del mondo, la vita contemplativa nella teologia, la vita voluttuosa occupa il mezzo e riguarda l’amore.

I tre filosofi possono anche interpretare questi ruoli.

Si hanno altri esempi famosi in opere letterarie e non di questa tripartizione. Nell’enigmatica Hypnerotomachia di Francesco Colonna, pubblicata nel 1499, i tre tipi di attività sono rappresentate come tre porte scavate nella montagna e fra queste il protagonista, Polifilo, è chiamato a scegliere.

Per tornare ai filosofi, posto che l’ipotesi della rappresentazione delle "vite" sia corretta, identificheremmo il vecchio come rappresentazione della teologia ( contemplativa), il più giovane come vita attiva e il filosofo col turbante, in mezzo, l’alchimia, come la vita voluttuosa, cioè Amore.

Dunque l’alchimia è Amore?

Non so se tratta di una coincidenza singolare , quella che un mio amico chiamerebbe sincronicità (ma io propendo per la non casualità), ma giorni fa qualcuno - al momento non ricordo chi, scusate - ha postato nella sezione "file" del gruppo una foto de "I coniugi Arnolfini" , proprio mentre si parlava di Giorgione.

Il dipinto è stato commentato, tra l’altro, da Federico Zeri in "Dietro l’immagine", ma ero certo di aver letto di questo quadro da un’altra parte, anche se non mi tornava in mente dove.

Oggi me ne sono improvvisamente ricordato. Trascrivo. " ... Lo sviluppo dell’ego ha portato a una nuova sensibilità per la libertà individuale, libertà dai lacci sia religiosi sia politici. I primi a intravedere i germi di questa nuova concezione ancora in nuce furono i poeti e gli artisti, i quali hanno avuto antenne particolarmente sensibili a cogliere i mutamenti spirituali... La lunga e famosa firma apposta da Jan Van Eych sul dipinto I coniugi Arnolfini, ora alla national Gallery di Londra, non rappresenta soltanto il nome dell’autore del quadro, ma ne ricorda il ruolo di testimone di nozze: il pittore dice :"Io c’ero". Ma non sempre i segni dell’ego erano così elaborati e non sempre si trattava di una firma..."

Ricordo che il termine di ego in senso esoterico è diverso da quello psicologico.

Il discorso continua in nota : "...la firma completa del pittore "Johannes de Eyck fuit hic,1434" compare su un documento legale , mentre nello specchio si vede la sua immagine...E forse non è un caso, che è il marchio dell’ego, l’artista compaia riflesso in uno specchio che ha la forma dello zero. La firma che l’autore appone alla sua opera è il segno di un cambiamento di visione: ora egli non dedica più il suo lavoro interamente a Dio, ma a se stesso, all’ego". Queste parole sono tratte da "L’iniziato", di Mark Hedsel.

L’ego, esotericamente inteso, è la scintilla della divinità, della Mens divina che si è immersa nella materia. Finché ha a che fare con il mondo materiale, l’ego deve cercare la strada per guadagnare il divino. La materia, l’uomo, è dotato, secondo le dottrine esoteriche, di tre corpi: fisico, attività cellulare; eterico, sede della memoria; astrale, sede delle emozioni, desideri, ecc...

L’ego, non a caso, è raffigurato nella letteratura ermetica come un cigno o un pellicano dotato stranamente di tre ali.

Orbene, trasferiamo questo discorso ai tre filosofi di Giorgione e probabilmente troveremo qualche altro significato nascosto.

Finora ci siamo occupati soprattutto di Basilio Valentino (o del supposto tale), ma ora dedichiamo uno sguardo anche al personaggio col turbante. La scritta ALCH che si scorge sul ricamo del bordo inferiore del vestito lascia ben pochi dubbi sull’allegoria del personaggio. Lensi Orlandi propone che si tratti di Djabir Ibn Hajjan, meglio conosciuto come Geber, nato a Kufa sull’Eufrate, a sud di Babilonia, intorno all’ottavo secolo.

Potremmo definirlo un "alchimista spirituale" , se questo termine significa veramente qualcosa, giacché conosco persone che contestano vivamente questa denominazione dell’alchimia e affermano che l’alchimia deve essere necessariamente pratica. Torno dopo sull’argomento. Su Geber ci sono certamente indagini e scritti più approfonditi di questo mio, molto sommario.

Tuttavia una frase di questo alchimista mi ha colpito profondamente, una frase riportata proprio da Lensi Orlandi.

Trascrivo. "... Per Geber gli alchimisti avevano la certezza di raggiungere l’immortalità contraria alle intenzioni di Dio, per questo scrisse nel Libro della Misericordia:" Se Dio ha messo nell’uomo elementi contrastanti è perché ha voluto assicurare la fine dell’essere creato. Siccome non volle che ogni essere vivesse per sempre fuori di lui, inflisse all’uomo la differenza delle quattro essenze naturali che lo conduce alla morte con la separazione dell’anima dal corpo"."

L’autore prosegue affermando che se si riuscisse a riequilibrare le essenze naturali dopo averle scomposte, l’uomo non potrà morire e potrà raggiungere uno stato inalterabile. A tanto si arriverebbe non con i libri o il ragionamento ma solo con un salto della mente, con un "impeto dello spirito". Il punto che mi ha dato da pensare è quel "contraria alle intenzioni di Dio". A parte il fatto che è piuttosto difficile per un umano capire le intenzioni di Dio :-), l’alchimia si troverebbe ad essere, così intesa, un’operazione contro natura e contro Dio, situazione che mi sembra esattamente all’opposto dell’idea alchemica. Forse questa è solo un’interpretazione di Lensi Orlandi e non il pensiero originale di Geber.

Più sopra ho accennato all’alchimia pratica.

Confesso che fino a qualche tempo fa ero piuttosto in dubbio sulla reale possibilità di un’alchimia pratica, nonostante avessi letto (molti anni or sono) l’affascinante " Il mattino dei maghi" e fosse rimasta dentro di me una specie di sospensione del giudizio. Volente o nolente io sono figlio dell’idea scientifica tramandata dall’illuminismo e, nel caso specifico, dalla chimica classica.

Oggi come oggi invece dubito delle bellissime teorie che tutto comprendono e tutto spiegano, salvo poi accorgersi, da parte degli scienziati, che la teoria non era proprio esatta al 100%. Prima della scoperta della fusione nucleare gli "scienziati" erano convinti che il sole fosse fatto di carbone incandescente e non riuscivano a capire come potesse bruciare per tanto tempo senza consumarsi. Ne "Il mattino dei maghi" è postulata, se non ricordo male, l’intervento di qualche forma di energia saltuaria e incostante che potrebbe dare la spinta finale al processo e permettere la trasmutazione dei metalli. Il lunghissimo tempo necessario alla trasformazione dei metalli con metodo alchemico (a volte una vita intera), potrebbe essere proprio in rapporto a questo fenomeno incostante.

Detta così la cosa appare poco scientifica.

Però... però... non avevo mai sentito parlare prima di Piccardi. Giorgio Piccardi era professore di chimica-fisica all’università di Firenze ed è morto nel 1972. Fu emarginato dagli scienziati perché "eretico". Qual era il suo problema? Lo scaldabagno. Come eliminare le incrostazioni dal boiler? , questa fu la domanda che gli incasinò la vita. La soluzione che trovò era piuttosto ingegnosa. Si trattava di "attivare" l’acqua in una sfera di neon a bassa pressione, aggiungendo una goccia di... mercurio. La tecnica si dimostrò efficiente, però aveva un difetto: era incostante, ossia a volte funzionava benissimo e altre volte non aveva performance da capogiro. Dopo molte riflessioni Piccardi concluse che l’acqua fosse il prototipo dei "fenomeni fluttuanti" perché questo elemento, trovandosi in uno stato di equilibrio delicato, subisce l’influenza di tali e tanti FATTORI ESTERNI che l’esperimento alla fine non é facilmente PREVEDIBILE né RIPRODUCIBILE in modo costante!

Detto in altre parole Piccardi dette bel colpo alla sperimentazione scientifica che, ricordiamolo, si basa proprio sulla prevedibilità e riproducibilità dei fenomeni.

Ho letto di Piccardi su "Il genio incompreso" di Federico Di Trocchio, un bel libro sulle bufale e sul dogmatismo della scienza. Se si ammette con Piccardi la non costante riproducibilità dei fenomeni allora si può pensare che gli autori de "Il mattino dei maghi" non abbiano detto cose false. Perlomeno esiste la POSSIBILITA’ che abbiano ragione. Per non parlare , poi, di altre forme di energia ancora non ben conosciute (vedi fusione fredda), che ci indicano come siamo ben lontani dall’aver capito tutto.