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sabato 23 maggio 2020

I LUOGHI LEGGENDARI RACCONTATI DA ECO

tratto da L'opinione del 31 ottobre 2015

di Giuseppe Talarico

Esistono libri singolari che riescono a suscitare nell’animo del lettore sensazioni di stupore e meraviglia. Appartiene a questa categoria di opere letterarie, l’ultimo saggio di Umberto Eco, pubblicato dall’editore Bompiani con il titolo “Storia delle terre e dei luoghi immaginari”. Il volume è impreziosito da una vasta raccolta antologica, che conclude ognuno dei quindici capitoli da cui è composto, e da illustrazioni raffinate che riproducono i quadri e le immagini che sono stati ispirati dalle credenze e dalle illusioni sorte intorno ai luoghi immaginari e leggendari. Nella prima parte del libro, di gradevole lettura per la chiarezza della scrittura con cui il maestro Umberto Eco ha scritto i saggi in esso contenuti, viene riassunta e raccontata la leggenda legata alla esistenza del regno degli Antipodi.

Infatti secondo questa leggenda, poiché la terra era considerata piatta, si credeva che dall’altra parte del pianeta vi fosse un altro regno, in cui le persone vivevano in posizione capovolta. Eco, a questo proposito, osserva che già nel mondo antico, come risulta dai testi dei presocratici Parmenide e Pitagora, si conosceva la forma sferica della terra. In ogni caso del regno degli antipodi ne hanno parlato Virgilio nelle Giorgiche, Lucano nella Pharsalia, Plinio nella Storia Naturale. A differenza di quello che si crede, già nel medioevo, malgrado fosse prevalente la concezione tolemaica, si sapeva della forma sferica della terra. Nelle prima parte, citando le origini del popolo ebraico e le famose dodici tribù e quella di Giuda, a cui si deve la fondazione di Gerusalemme, Eco ricorda come lungo i secoli si è cercato di capire e conoscere quale forma architettonica avesse il primo tempio di Gerusalemme, famoso per il suo splendore e la sua bellezza, distrutto da Nabuconodosaor nel 586 A.C. Intorno al regno di Salomone, famoso per essere un luogo ricco e piacevole quanti altri mai, è sorta una leggenda. Giunta in questo luogo, la regina di Saba pare che non lo abbia più abbandonato e si sia convertita all’Ebraismo.

Ma da dove proveniva la regina di Saba? Su questo punto, seguendo le sue ricerche di grande erudito, Eco fornisce molte notizie ed interpretazioni. Si suppone che la Regina di Saba provenisse dall’Etiopia, in Africa, terra che in questo periodo storico pare fosse un Paese nel quale regnassero il benessere e la ricchezza. Molto belle ed indimenticabili sono le pagine nelle quali Eco ripercorre i luoghi descritti da Omero nella Odissea. Ricorda lo studioso come lungo i secoli si sia tentato di stabilire dove si trovassero l’isola di Ogigia e quella dei Feaci, nelle quali Ulisse visse parte della sua lunga avventura umana. Per alcuni studiosi questi luoghi descritti da Omero erano nel mediterraneo, per altri come Felice Vinci in realtà Ulisse avrebbe compiuto il suo lungo viaggio nel nord dell’Europa, precisamente nel Baltico. Per evocare le leggende sorte intorno al mondo Orientale, Eco richiama ampi brani del Romanzo di Alessandro, nel quale vi è una precisa descrizione delle creature mostruose e dei luoghi ignoti e selvaggi e mirabolanti scoperti dal grande conquistatore macedone, durante le sue imprese belliche.

Nel libro della Bibbia Genesi vi è il racconto del paradiso terrestre, da cui furono esiliati Adamo ed Eva. Ora anche nella cultura greca, come risulta dall’opera letteraria di Esiodo le Opere ed I Giorni, esisteva la credenza che vi fossero i regni felici di Crono e Saturno, nei quali era assente la sofferenza, la ingiustizia, il male ed il dolore umano. A questo proposito, in questa parte del libro, Eco giustamente osserva che la inclinazione della mente umana a vagheggiare terre meravigliose e luoghi paradisiaci nasceva dalla constatazione che il mondo reale è sempre stato, durante la storia umana, per molti aspetti deludente e imperfetto, perché incapace di assicurare la libertà e la felicità agli uomini. Il mito di Atlantide, la grande isola che si sarebbe inabissata nelle profondità del mare, è stato raccontato da Platone in due suoi celebri dialoghi, il Timeo ed il Crizia. Di questa leggendaria isola hanno parlato nelle loro opere sia Tertulliano sia Plutarco nella vita di Solone. Lungo i secoli continui e reiterati sono stati i tentativi di individuare la posizione geografica di Atlantide. Per alcuni si trovava oltre il territorio Spagnolo, per altri in luoghi geografici diversi. Intorno al mito legato alla leggenda di Atlantide è sorta una vasta letteratura occultistica.

Molto interessante sul piano culturale è il capitolo dedicato alla lettera famosa del prete Gianni, di cui Marco Polo ha parlato nel suo libro il Milione. Proprio il regno del Prete Gianni, secondo la interpretazione di Umberto Eco, ha favorito le esplorazioni geografiche intorno nell’Asia ed in Africa, consentendo agli uomini del tempo di approdare su terre sconosciute. Molto bello è il racconto di Thule e degli Iperborei. Secondo questa leggenda, la culla della civiltà dovrebbe essere identificata con il Nord Europa. Infatti da queste terre, nel mondo antico, sarebbero discese le popolazioni evolute e superiori, le quali, una volta pervenute nel mare Egeo, avrebbero dato vita alla fondazione della cultura classica. Al mito degli Iperborei è legata la convinzione che vi siano razze umane superiori ed altre inferiori, i popoli situati nel mediterraneo e nel Sud dell’Europa. Questa legenda ha alimentato la idea, coltivata dai nazisti, che vi sia la possibilità di dimostrare la superiorità e purezza della razza ariana. Sul santo Graal nel libro il lettore troverà le pagine più belle ed emozionanti. Secondo una leggenda il Santo Graal sarebbe il calice in cui è stato raccolto il sangue di Cristo, dopo la sua crocifissione. Secondo un’altra e diversa interpretazione di questa leggenda, il sacro Graal si riferisce alla dinastia che sarebbe discesa da Gesù di Nazareth.

Gesù, in base a questa leggenda, sarebbe sopravvissuto alla crocefissione. Con Maria Maddalena avrebbe raggiunto la Francia, dove sarebbero nati i suoi figli, da cui avrebbe preso origine la dinastia Merovingia. Questa leggenda del Sacro Graal è legata ad un luogo specifico, l’abazia di Rennes-Chateau situata in Francia, ed al racconto leggendario del Priorato di Sion, in cui sono coinvolti i Templari ed i Rosacroce. Belle e indimenticabili le pagine nel libro in cui viene descritta l’Utopia, che designa il luogo che non c’è e non esiste, ed il modo in cui è stata rappresentata e vagheggiata nelle opere di Tomas More, da Tommaso Campanella nella Città del sole, da Platone nel libro la Repubblica. Nel Capitolo finale Eco, da grande intellettuale, in un saggio bellissimo evoca i luoghi letterari presenti in alcune grandi opere come le Città Invisibili di Itali Calvino, il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, l’Aleph di Luis Borges, l’Isola del Tesoro di Stevenson. Il lettore di queste opere letterarie, in base a quello che Eco chiama il contratto funzionale, è consapevole che questi luoghi sono inesistenti.

Tuttavia, proprio perché intuisce il valore conoscitivo del linguaggio basato sulla finzione letteraria, si pone rispetto ad essi, per coglierne il valore simbolico, come se siano realmente esistiti. Un libro questo di Eco, grazie al quale è possibile sia cogliere il legame che vi è tra le leggende del passato e le credenze che hanno alimentato lungo i secoli sia quanto sia difficile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso nel racconto che la storia ci propone del passato.


sabato 16 maggio 2020

SIMONA CIGLIANA SCAVA NEI LEGAMI TRA OCCULTISMO, ESOTERISMO, CULTURA E POLITICA

tratto da L'Opinione del 10 settembre 2019

di Fabrizio Federici

Il 1848 non fu solo l’anno delle prime grandi rivoluzioni nazionali e liberali, dietro cui avanzavano le prime istanze socialiste. A fine marzo di quell’anno, contemporaneamente alle Rivoluzioni europee, negli Usa, e precisamente nel piccolo villaggio di Hydesville, sperduto tra campi di grano e covoni a nordovest di New York, iniziavano ufficialmente (ma sin dall’antichità classica vi erano stati tanti prodromi) quelli che la scienza – con termine suggestivo quanto riduttivo – ha chiamato poi fenomeni paranormali.

Ad Hydesville, infatti, nella povera casa della famiglia Fox – padre, madre e due figlie adolescenti – da vari mesi erano iniziati strani fenomeni, che oggi chiameremmo di “poltergeist”: soprattutto ripetuti rumori, nel cuore della notte, senza alcuna plausibile spiegazione, che sembravano provenire da misteriose entità, con cui le due ragazze, e la stessa signora Fox, riuscirono in qualche modo a mettersi in contatto mediante una sorta di primitivo alfabeto Morse. Diffusasi sui giornali locali, e da lì un po’ in tutti gli States, la notizia richiamò in breve tempo una crescente folla di curiosi (tra cui anche celebri studiosi), che gradualmente fece di Hydesville (l’accostamento non sembri irrispettoso) la “Lourdes del paranormale”. Per le due sorelle, soprattutto, iniziarono i “momenti di gloria” come presunte “veggenti laiche” (salvo poi rimangiarsi, in tarda età, buona parte delle loro dichiarazioni). Ma i fenomeni paranormali e le discipline destinate a studiarli – poi variamente definite, da “parapsicologia” a “ricerca psichica” – erano ormai entrati nella storia.

Simona Cigliana, docente di Letteratura italiana, Critica militante e Letterature europee comparate all’Università “La Sapienza” di Roma e in altre università europee, autrice di vari saggi su autori dell’Otto-Novecento e sui rapporti tra occultismo, spiritualismo e storia delle avanguardie, ha ora pubblicato “Due secoli di fantasmi” (Edizioni Mediterranee, 2019, euro 24,50).

Una carrellata su almeno due secoli di fenomeni paranormali che non è un’“antologia” di storie di tavolini ballanti, case infestate, poltergeist e presunte reincarnazioni. Ma, da un lato, un’indagine seria su come spiritualismo, occultismo ed esoterismo, col loro corredo di spiritualità alternative, hanno interagito con la cultura ufficiale dell’Occidente, spesso con importanti contributi. Non solo dall’alchimia medioevale e rinascimentale alla chimica moderna ma, per esempio, dalla “ricerca psichica” classica, tra Settecento e Novecento, alla medicina, alla psicologia dinamica e alla stessa fisica; per non parlare dei rapporti, ormai accettati anche dalla scienza ufficiale, tra fisica quantistica, filosofia e ipotesi di mondi alternativi (nello studio dei “buchi neri”, ad esempio).

Dall’altro, un invito a non fermarsi mai alla logica delle apparenze, del “credo solo a ciò che vedo”: ma – senza mai sminuire la ragione e l’esperienza, né dare credito ai primi millantatori e ciarlatani – cercare di approfondire la conoscenza sia delle energie naturali che della psiche e del cervello umano. Delle cui complesse, sofisticate facoltà, gran parte della scienza oggi ritiene che l’uomo medio utilizzi, normalmente, una percentuale davvero minima.

Leggendo il libro di Simona Cigliana scopriamo così che Garibaldi, ad esempio, noto massone, anche Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, fu, dal 1863, presidente onorario di una società spiritica veneziana, in contatto con Madame Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, e la sua continuatrice, Annie Besant; che Giuseppe Mazzini, cultore di esoterismo, credeva nella reincarnazione, e l’ultrapositivista (nonché socialista) Cesare Lombroso, studiando più volte la celebre medium Eusapia Palladino, nel 1891 fece pubblicamente ammenda, sulla “Tribuna giudiziaria” di Napoli, del proprio iniziale scetticismo nei confronti della medium.

Ma, soprattutto (l’autrice si ricollega, qui, anche ad autori precedenti, dal massimo politologo italiano, Giorgio Galli, all’anglosassone Nicholas Goodrick-Clarke e al francese René Alleau), troviamo chiaramente individuati i legami tra esoterismo e politica. Sin dal Settecento dei “Lumi” e del mesmerismo, infatti, era evidente il nesso tra movimenti per il rinnovamento spirituale e società rivoluzionarie (buona parte della Massoneria, anzitutto, ma non solo). Nell’Otto-Novecento questo legame si rafforza ancor più: con il politico e spiritualista, britannico Robert Dale Owen che è figlio di quel Robert Owen tra i fondatori del movimento cooperativo inglese; e, soprattutto, il socialista rivoluzionario Blanqui, protagonista di tutti i moti dal 1830 al 1870 e che, in tarda età, elabora una visione cosmologica incentrata sulla reincarnazione e sulla teoria (soprattutto nietzschiana) dell’“eterno ritorno”.

La filosofia di fondo di questo saggio, che è difficile non condividere, è che l’uomo di oggi, soprattutto se ricercatore serio, al di là dell’impegnarsi specificamente su questi temi, se vuole restituire credibilità alla scienza può farlo solo riprendendo quella che è stata, in fondo, l’idea base della cultura antica, medioevale e rinascimentale: cioè l’unitarietà del sapere, la continua osmosi (non la contrapposizione) tra cultura scientifica in senso stretto e cultura umanistica. La visione olistica, in sostanza, dell’uomo e del suo rapporto con l’universo.


mercoledì 13 maggio 2020

DI SAN VALENTINO E ALTRI MISTERI

tratto da L'Opinione del 12 febbraio 2020

di Dalmazio Frau

A breve ricorrerà puntuale e immancabile con tutta la propria panoplia commerciale, la festività di San Valentino, che da mito agiografico, nei secoli, è diventata la realtà agrodolce dei Peanuts o – peggio – il momento di sgravarsi la coscienza tra le coppie più ipocrite e vili con una scatola di cioccolatini, un invito a cena o un mazzo di fiori, dopo di che tutto ritorna come prima.

Invece, approfittando della data, mi piace ricordare un amore antico, perduto nelle nebbie della leggenda, di come esso fu cantato e di come esso fu dipinto in maniera sublime e insuperata, tra il 1872 e il 1877, da Edward Burne Jones nel suo The Beguiling of Merlin.

L’opera raffigura l’infatuazione di Merlino per Nimue, la Dama del Lago dalla quale l’arcimago che guidò le armate di Artù, viene imprigionato in catene fatte d’aria o di cristallo, o nel folto d’un bosco, in una caverna inaccessibile dalla quale egli continuerà a vivere e a profetare sino al Giorno del Giudizio. Merlino, sapiente e potente, indifeso davanti all’amore di Nimue, è mostrato nel suo essere avviluppato dal biancospino delle Fate, mentre la Dama del Lago al suo fianco, legge il libro di incantesimi che gli ha abilmente sottratto. È forse la volontà stessa del Gran Mago di cedere il proprio sapere per amore della Dama, dunque non un inganno, ma un dono d’amore per lei…

Da questo, mutevole ed evanescente, riscopriamo una versione che invece canta di Merlino e di Viviana, la Dama del Lago, in maniera differente e sorprendente.

Ormai vecchio il sommo druida s’innamora di Viviana, ancora giovane e splendida, e per lei e per lei soltanto, con la propria magia costruisce, in mezzo a un lago, un castello invisibile. Dopo di questo crea per sé un sepolcro incantato, una grotta di cristallo che, dopo la loro morte, accoglierà incorrotti per sempre il suo corpo e quello di Viviana. Ma la Dama del Lago, dopo essersi fatta insegnare da Merlino gli arcani delle arti magiche, con un inganno, lo rinchiuderà ancora vivo nel sepolcro incantato.

Questa è la versione tradotta e adattata dell’antica ballata su come Merlino s’innamorò e cedette la propria vita per amore a Viviana:

Presso la fontana

Lui un giorno la trovò,

Vide da lontano il giallo

Della veste che portava su di sé

“Dimmi cosa vuoi

Che io ti possa regalare,

Grande è il mio potere,

Quello che vuoi io posso fare”.

“Non ti prenderai gioco di me, tu

Non sei certo quello che

Io sto aspettando.

Quando lui verrà,

Allora mi alzerò

E, seguendo lui,

Di qui io me ne andrò”,

“Tu non credi di essere qui per me

Ma ancora troppo giovane tu sei

Quando avrai come me vissuto mille anni,

Allora forse capirai”.

“Dimmi cosa vuoi

E io te la darò,

Tu pensi ancora che non mi seguirai mai,

Ma di te farò un albero fiorito,

Poi ti guarderò fino a quando appassirai”.

“Non ti prenderai gioco di me, tu

Non sei certo quello che

Io sta aspettando.

Hai vissuto già

Per mille anni,

Ma sei giovane, lo vedo,

Forse più di me”.

Quella volta infine si adirò

E in un vasto lago la mutò

E dall’alto di una bianca torre

Per il resto del tempo lui l’amò. (*)

E così il potente Merlino, in grado di comandare ai venti e alle tempeste, di evocare la nebbia, far danzare le grandi pietre azzurre alla musica della sua arpa; Merlino Il Figlio del Diavolo, forgiatore di Re; Merlino l’incantatore che parla agli animali e domina i draghi, per amore s’inginocchia e per amore costruisce un nuovo mondo, fatto della trama stessa dei sogni e delle meraviglie, scegliendo, per amore, di trascorrere l’immensità del tempo a guardare la donna che ha scelto come propria compagna per sempre.

Buon San Valentino dunque, e non dimenticate che dietro ogni leggenda, esiste sempre – nascosta ma non troppo - una terribile verità che strazia il cuore e dilania l’anima, ma che rende questo mondo un po’ migliore.

(*) La versione è di Luisa Zappa

domenica 19 aprile 2020

IL VANGELO SEGRETO DEI TAROCCHI

tratto da L'Opinione del 18 marzo 2015

di Paolo Ricci

Si intitola “I Tarocchi. Il Vangelo segreto” il libro di Carlo Bozzelli (Edizioni Mediterranee, 22 euro). Un testo molto interessante e pieno di spunti di riflessione sui Tarot (questo è il nome corretto), che propone una lettura degli Arcani maggiori in relazione a codici e leggi che ne permettono una più chiara comprensione. La lettura che propone Bozzelli non è infatti un suggerimento per la divinazione o per interrogare i Tarocchi e riceverne risposte, bensì egli offre un accurato studio sulla loro aderenza alla religione cristiana, alla conoscenza antica, agli archetipi, ragionando sempre su concetti chiari e precisi, dimostrati con cura e dovizia nei minimi particolari.

Tanti i riferimenti storici sui simboli, sui loro significati, sulle interpretazioni possibili e probabili rispetto al contesto culturale di riferimento. Viene esposta una struttura cifrata che ne favorisce una comprensione rispetto al funzionamento, al significato esoterico e al corretto modo di utilizzare i Tarocchi. La storia di queste carte si perde nella notte dei tempi. È condivisa l’idea che discendano dai Libri di Thot e che abbiano attraversato la storia per arricchirsi di elementi da tutta l’umanità e da tutta la spiritualità. Proprio per questo i Tarocchi sono archetipi, ma non solo. Come suggerisce Bozzelli, “gli Arcani, difatti, possono essere impiegati come un raffinato apparato di decodifica e si trasformano in chiavi d’interpretazione straordinarie per decifrare antichi testi sacri, scritture rivelate e messaggi tradizionali tramandati in forma occulta”.

Quindi l’autore propone non solo un excursus storico sull’origine dei Tarocchi, ma ne descrive con attenzione la loro relazione con la tradizione cristiana dei primordi rispetto a precise figure a essa legate cercandone il senso nascosto, sempre riferendosi ai codici e alle leggi. Un approccio sicuramente originale, forse unico, quello proposto da Bozzelli, che partendo dai principi generali conduce il lettore verso un orizzonte di conoscenza molto vasto e sicuramente ricco di stimoli e di riflessioni inattese.


sabato 4 aprile 2020

PROFEZIE VIRALI PER STARE ALLEGRI

tratto da "L'Opinione" del 26 marzo 2020

di Dalmazio Frau

Michel de Nostredame, meglio noto a tutti come Nostradamus, non è proprio l’ultimo degli imbecilli. Il medico rinascimentale francese, veggente lo era sul serio, ma proprio per questo le sue Centurie sono inesplicabili ed incomprensibili. Volutamente irrisolvibili se non a posteriori.

Ed ecco che quindi, sistematicamente come ad ogni evento cataclismatico, gli esegeti, i traduttori, studiosi più o meno accreditati ed esperti di Nostradamus, si scatenano nel cercare la quartina che riporta la diretta descrizione della tragedia. Ovviamente adesso è il turno del Coronavirus, insomma “a chi tocca nun se ’ingrugna”, dicono a Roma.

Certo andrebbe fatta una certa analisi sul fatto che questo virus ha nome “Corona” e già qui, tra esoteristi d’accatto e simbolisti più o meno ermetisti “de’ noantri”, ci sarebbe da divertirsi. “Corona” perché la Morte nelle immagini delle danze macabre porta la “corona”? O forse fa rifermento al fatto di essere legato al sommo Kether dell’albero cabalistico delle Sephiroth? O Corona perché composto di “cor” che indica il petto e di “ona” che – a parte la fiorentina rificolona con cui fa rima – non ho la più pallida idea di cosa possa essere? O Corona è un cognome? Un acrostico? Come nel Codice da Vinci? Forza dai, tutti a cercare di svelare il mistero occulto nel virus ammorbante. Intanto ci chiudono in quarantena sine die – che l’ottimo Gigi Di Maio, anglista di chiara fama, leggerebbe in perfetta lingua d’Albione Sain Dai – e chi s’è visto s’è visto.

Fate i flashmob dal balcone adesso, bravi. Oppure leggetevi le Centurie di Nostradamus e contribuite anche voi al nuovo gioco di società, non è che avete poi tutte queste energie immagino da poter stare ore ed ore su YouPorn, vero?

Tornando a noi, Renuccio Boscolo, l’italiano che da decenni è considerato uno tra i più dotti esperti tra gli studiosi delle profezie del Veggente di Salon, ha dichiarato che Michel (siamo in confidenza con il profeta francese) nella sestina 11-30 delle sue Centurie, parla chiaramente di un “medico” e di un “grande male” che porterà “infermità da costa a costa”. Ma Boscolo è parte di una vasta schiera di investigatori dell’occulto, e tra essi vi è chi ritiene che l’astrologo rinascimentale abbia indicato anche la data: “Mercurio è in Acquario dal 4 marzo fino al 15 marzo ed invece Saturno entra in Acquario dal 22 marzo fino al 1 luglio ore 23,29. Le giornate di crisi sono, osservando la posizione stazionaria di Mercurio dal 9 marzo, con diminuzione dal 16 marzo. La crisi terminerà (Fenerà) con l’ingresso di Saturno il 1° luglio alle ore 23,29. Mentre un problema, forse un terremoto, avverrà il 10 o l’11 maggio alle 10,11”.

Invece secondo l’astrologa britannica Jessica Adams, la quartina di Nostradamus che cita Francia e Italia direbbe “che cosa ci si può attendere dalla congiunzione di Ariete, Giove e Saturno, Dio eterno? Dopo un lungo secolo, il male ricompare. A quali emozioni saranno sottoposte Francia e Italia?”, e infatti lunedì 15 aprile 2019 c’è stata una congiunzione astrale che si verifica ogni cento anni che ha coinvolto Ariete, Giove e Saturno.

Ma noi, immodestamente, ne aggiungiamo un’altra che si ricollegherebbe ai più recenti aiuti giunti dalla Russia e che muterebbe, o potrebbe mutare, radicalmente la passata interpretazione negativa della relativa quartina delle Centurie nella quale si legge: “La grande guerra inizierà in Francia e poi tutta l’Europa sarà colpita, lunga e terribile essa sarà per tutti… poi finalmente verrà la pace ma in pochi ne potranno godere”, e che prosegue così, “Per le discordie e negligenze francesi sarà aperto un passaggio a Maometto: di sangue intriso la terra ed il mare, il porto di Marsiglia di vele e navi coperto”, e prosegue prevedendo le sorti di Roma: “Ci saranno tanti cavalli dei cosacchi che berranno nelle fontane di Roma, il fuoco cadrà dal cielo distruggendo tre città. La città perderà la fede e diventerà il regno dell’Anticristo, Roma sparirà e il fuoco cadrà dal cielo e distruggerà tre città. Tutto si crederà perduto e non si vedranno che omicidi; non si sentirà che rumori di armi e bestemmie”.

Ora il passo interessante è quello che riporta la seguente frase, “ci saranno tanti cavalli dei cosacchi che berranno nelle fontane di Roma”, per decenni interpretata con una valenza negativa, che invece, potrebbe semplicemente significare proprio che le forze russe, quelle di Vladimir Putin, giungono in aiuto al popolo italiano.

Su tutto il resto invece lasciamo si depositi ancora una volta il velo del mistero del futuro, che è giusto resti insondabile all’occhio volgare perché il Fato, come sempre, riposa nel grembo di Zeus.

mercoledì 19 febbraio 2020

AL CASINÒ DI SANREMO CON MUSSOLINI

tratto da L'Opinione del 15 luglio 2012

di Cristiano Bosco

“Gioco d’azzardo, massoneria ed esoterismo intorno all’ombra di Matteotti”. È questo il sottotitolo di Al casinò con Mussolini, fresco di stampa per le edizioni Lindau, scritto da Riccardo Mandelli, docente di materie storico-filosofiche, autore di narrativa, soprattutto per ragazzi, e di saggistica. Una interessante inchiesta sull’industria dell’azzardo e sugli ambienti finanziari, politici e culturali da cui questa traeva linfa nei primi decenni del ‘900.

Come nasce il Suo libro? Come si sono svolte le Sue ricerche?

Al casinò con Mussolini rappresenta, in un certo senso, il seguito del mio precedente libro, L’ultimo sultano. Come l’Impero ottomano morì a Sanremo, che narrava la vicenda di Maometto VI Vahdeddin, ultimo sultano ottomano che venne in esilio a Sanremo nel 1923 e vi morì nel 1926. Quel volume lasciava parecchie questioni aperte ed irrisolte, molti argomenti ancora da trattare, tra cui il tema  del gioco d’azzardo. Agli inizi del ‘900, Sanremo era un centro di spionaggio di prim’ordine, dal punto di vista internazionale, ed era stata anche teatro di eventi di livello mondiale, come la conferenza del 1920 in cui nacque l’assetto attuale del Medioriente. Nella moltitudine di elementi da approfondire, ho iniziato indagando sullo strano suicidio del podestà di Sanremo Pietro Agosti, un episodio poco chiaro e che faceva sorgere molti dubbi. Partendo da quella morte, analizzando diverse fonti è emersa una lunga serie di misteri, connessioni, rapporti, relazioni con la politica, tutti legati alla realtà del casinò.

Un serie di misteri connessi, si scoprirà, con l’omicidio Matteotti.

Del celebre caso Matteotti conoscevo quanto un lettore di storia, ero a corrente di una pista affaristica, ma ignoravo che si legasse così strettamente al gioco d’azzardo, cosa che ho appreso solo strada facendo nelle mie ricerche. È stato un concatenarsi di sorprendenti scoperte, un lungo lavoro, durato alcuni anni, su fonti di archivio che, messe insieme, si richiamano tra loro: talvolta, mi è venuta incontro anche la fortuna, come ad esempio nel caso delle carte del sindacalista Angelo Oliviero Olivetti, amico di Mussolini dai tempi in cui erano entrambi rifugiati in Svizzera. I documenti sono visibili al pubblico solo da poco tempo, e dalla loro lettura emerge che Olivetti,  figura centrale del sindacalismo rivoluzionario, era collegata alle trattative tra Mussolini e chi teneva in mano le redini del gioco d’azzardo in Italia. Le prove più chiare del coinvolgimento dei vertici del fascismo in quel mondo torbido, infatti, provengono dall’archivio di Olivetti, che teneva una viva corrispondenza con il Duce.

Si può dire che Sanremo, città dal passato glorioso, sia il vero personaggio principale del libro?

Sanremo è sicuramente la protagonista. Non si tratta dell’unico luogo dove si trovava il gioco d’azzardo: tra il 1922 ed il 1924 le bische, più o meno legali come il casinò – che peraltro non era legalizzato, ma autorizzato di volta in volta – si trovavano in tutta la provincia. In Riviera, oltre a Sanremo, c’erano Bordighera, Ospedaletti, i Balzi Rossi. Nell’archivio di Stato vi sono faldoni pieni zeppi di segnalazioni relative al gioco d’azzardo: Sanremo ed il territorio circostante, storicamente, erano la punta di diamante, direttamente in contatto con la Costa Azzurra e con certi ambienti. Era una città straordinaria, fino alle due guerre mondiali fu uno dei centri dell’Europa cosmopolita, per poi diventare una periferia di Milano e Torino. Sanremo era un centro dove convergevano grandi capitali, dalle prospettive internazionali, che svolgeva un ruolo di rilievo negli ambienti del turismo, dei trasporti, dei grandi alberghi, ed ovviamente nella rete del gioco d’azzardo. Una città spettacolo, per nulla una città italiana, perché assolutamente fuori dalla sua collocazione geografica: Sanremo era quasi un transatlantico ancorato.

Quale il peso dei cosiddetti ‘poteri occulti’, anche in riferimento all’ascesa del Fascismo?

Era impossibile raccontare quelle vicende senza affrontare, necessariamente, la presenza dei ‘poteri occulti’. Sono temi scivolosi, che ho dovuto trattare perché il casinò di Sanremo nacque con un’impronta massonica, espressione di un mondo molto presente e sviluppato in città: un po’ tutti i protagonisti di quegli anni del casinò erano legati o alla massoneria oppure a gruppi esoterici come la teosofia o l’antroposofia di Rudolf Steiner. Nel famoso saggio di “Dostoevskij e il parricidio”, Sigmund Freud tentava di sviscerare il tema della dipendenza dal gioco d’azzardo, essendo Dostoevskij un giocatore incallito: l’azzardo è un mistero e, di conseguenza, ciò che noi non possiamo sapere è rappresentazione del divino. Secondo questo ragionamento, chi gioca d’azzardo si mette in contatto con l’ignoto, quindi con la divinità, e dio è padre, ergo la sfida del gioco d’azzardo, come sostiene Freud, è la sfida al padre, da cui conseguono autopunizione e sconfitta. Ecco perché il tema del gioco d’azzardo collegato al divino non è prettamente massonico o esoterico, ma è invece ben chiaro nella cultura.

Il Suo libro ricostruisce in modo innovativo lo sfondo del delitto Matteotti. Il quale viene raccontato diversamente, rispetto a quanto presente sui libri di storia.

Prima di essere rapito e ucciso, Giacomo Matteotti stava indagando sugli ultimi decreti legge emanati da Mussolini, che riguardavano le concessioni petrolifere e la liberalizzazione del gioco d’azzardo. E intorno agli affari legati ai due decreti ruotarono le ipotesi subito avanzate dai giornali per spiegare la sua scomparsa; solo più tardi prese piede la versione che fosse stato assassinato a causa della coraggiosa denuncia di brogli e violenze elettorali fasciste. Già Mauro Canali, nel 1997, scrisse un libro molto importante che trattò la questione dell’affarismo dietro al delitto Matteotti, con particolare attenzione al petrolio. Per danneggiare un governo stabile, denunciare l’affarismo ed additare gli scandali era una via molto più efficace rispetto alla denuncia di brogli e violenze: uno degli affari fondamentali era senza dubbio quello del gioco d’azzardo, molto più vicino a Mussolini di quanto non fosse il petrolio. Non è un caso che gli uomini che rapirono e uccisero Matteotti erano tutti legati, in quanto tutti si aspettavano un premio per la fedeltà al Duce. Si stava delineando un trust, che comprendeva la Banca Commerciale Italiana, il finanziere e trafficante d’armi levantino Basil Zaharoff, tra le figure più agghiacciati della storia, un grande finanziere inglese nel business dei vagoni letto, Georges Marquet che era agente per conto del Re di Spagna: figure che stavano costruendo un’alleanza chiarissima, la stessa che si stava creando attorno all’azienda dei vagoni letto e dei trasporti di lusso. La concorrenza non piaceva, per questo vi fu un tentativo di instaurare un monopolio sul gioco, ed è estremamente probabile che per le mani di Matteotti passarono elementi in grado di mettere in seria crisi i rapporti del Fascismo con questo mondo di affari oscuri.

Ma la morte di Matteotti, si scopre nel suo volume, non è che la punta dell’iceberg.

La morte di Matteotti è solo la più tragicamente famosa tra quante costellano un lungo cammino in cui si affiancano progetti politici, finanziari ed esoterici. Vi fu una notevole catena di morti, anche soltanto quelle del dopoguerra: se si pensa a tutti i concessionari del casinò di Sanremo, dal ‘46 al ‘59-’60, almeno uno su due fa una strana fine. Era alquanto improbabile che morissero nel proprio letto. Ecco perché, scrivendo, alle volte ho avuto paura, provando la sensazione di essere capitato in mezzo a forze davvero oscure e potenti. Tuttavia, il mio libro non ha alcuno scopo se non quello di approfondire la storia: è un’opera che permette di leggere anche il presente, ovviamente, pur non avendo alcuna proiezione su di esso, fermando la narrazione agli anni ‘50. Si parla di “ombra di Matteotti”, perché non è un volume sul famigerato delitto, ma su tantissime vicende su cui aleggia, sempre, questa celebre morte, che ha segnato la storia del Paese.

Per chi volesse leggerlo:

mercoledì 12 febbraio 2020

RIVOLUZIONE MARTE: STUDIO IPOTIZZA LIVELLI DI OSSIGENO IDONEI ALLA VITA

tratto da L'opinione del 23 ottobre 2018

di Redazione

La ricerca del California Institute of Technology (Caltech), portata avanti dal gruppo di Vlada Stamenković e pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, rivoluziona totalmente l’idea che avevamo del pianeta Rosso: l’acqua salata presente nel sottosuolo di Marte conterebbe ossigeno sufficiente per ospitare la vita.

I calcoli eseguiti indicano inoltre che l’ossigeno presente potrebbe supportare la vita non solo di microrganismi ma anche di animali più complessi.

Immagine presa da Wikipedia
“I nostri calcoli indicano - scrivono gli studiosi nell'articolo - che in un serbatoio d'acqua salata di questo tipo ci potrebbero essere elevate concentrazioni di ossigeno disciolto”. Concentrazioni che sarebbero particolarmente elevate nel sottosuolo delle regioni polari. “Non sappiamo se Marte abbia mai ospitato la vita”, continuano i ricercatori del Caltech, ma grazie ai loro risultati è stata ribaltata la convinzione che il Pianeta Rosso non potesse ospitare forme di vita basate sull’ossigeno.

L'astrobiologa Daniela Billi, dell'università di Roma Tor Vergata, commenta così la scoperta: “I requisiti per l'abitabilità delle brine su Marte si arricchiscono ora della possibile presenza di ossigeno, indispensabile però alle sole forme di vita che lo utilizzano per la respirazione. Questa possibilità amplia i possibili metabolismi presenti su Marte”.

Ed il risultato della ricerca si estende anche ad altri pianeti e lune che ospitino sacche di acqua salata o oceani sotterranei, come la lune di Saturno, Encelado, e quella di Giove, Europa.

sabato 19 ottobre 2019

MA LO YETI SE NE FREGA

tratto da L'Opinione del 2 maggio 2019

di Dalmazio Frau

Finalmente l’hanno trovato, ma noi non ne abbiamo mai dubitato: Lo Yeti esiste. Io personalmente ne ero certo, anche perché da ragazzo lessi il saggio – credo oggi fuori catalogo – Il mistero dello Yeti, dell’augusta penna di Attilio Mordini, che di certo ne sapeva ben più dei vari Cicap, dei soliti Pieri Angeli e persino dei Piergiorgi Odifreddi.

Qualche ora fa tutte le agenzie, hanno battuto la notizia che l’esercito indiano ha riscontrato - con prove fotografiche - impronte di Yeti, rinvenute lo scorso 9 aprile vicino al campo base di Makalu, sul massiccio dell’Himalaya, a oltre ottomila metri di altitudine.

A questo punto non c’è più alcuna ragione per dubitare scientificamente della realtà tangibile della misteriosa creatura, già citata in numerose fonti tradizionali dell’area tibetana, ma probabilmente già documentata nel tragico caso del passo Dyatlov, nonché riscontrata persino in territorio nordamericano sotto i nomi di Sasquatch o Bigfoot. Nel nostro stesso Bel Pese, l’analogo dello Yeti è comunque presente in numerose fonti antiche con il nome di “homo salvatico” e in altre forme locali. I cultori della zoologia fantastica, o “criptozoologia” se preferite, che sino ad oggi non hanno avuto modo di metterlo in dubbio, adesso potranno garantirne la certezza. Anche perché è evidente a noi tutti che esistono centinaia, anzi migliaia di antropoidi di fattezze umanoidi e radicalchic, che parlano non sapendo alcunché di quello di cui cianciano, dementi fascistoidi che stuprano credendo così d’esser dannunzianamente virili, altri che si drogano per sostenere le loro inverosimili tesi o che scrivono dotti saggi e sceneggiature per la televisione e fanno ancora tante altre cose nei loro attici con vista...

Lo Yeti esiste e lotta con noi, o forse no, semplicemente se ne impippa di tutto, vivendo la sua vita serena nelle solitudini dell’Himalaya, preoccupato soltanto di evitare il genere umano, intimorito dal potersi imbattere in Greta Thunberg, in Michela Murgia o in Asia Argento. Se esistono ancora femministe livorose nelle loro frustrazioni, leccaculi multiruolo, falliti e ipocriti d’ogni genere e specie, sotto qualsiasi egida politica o sociale; “influencer”e “gender fluid” da Grande Fratello… allora, perdonatemi il folle salto sillogistico, ma non vedo proprio perché non debba esistere “l’abominevole uomo delle nevi” che è senza dubbio meno abominevole di quanto si possa pensare e migliore di tutti loro.

Nostra nota.
Il libro di Attilio Mordini, "Il mistero dello Yeti" in realtà è ancora in commercio:



mercoledì 4 settembre 2019

NURKARON, L'ARCIERE DELL'ISOLA DEI NURAGHI

Un romanzo che introduce al mondo misterioso della Sardegna del 10° secolo a.C. E’ uscito ai primi di maggio, a cura della Carlo Delfino Editore, l’opera prima di Giuseppe Tito Sechi, dall’arcano titolo “Nurkaron, l’arciere dell’isola scomparsa”. Ma, fin dalle prime righe dell’originale e accattivante prefazione, il lettore scopre che quell’isola dall’infelice sorte è tuttora baciata dal mare ed è la Sardegna, quella di qualche millennio fa; quella che ha espresso la bella civiltà dei nuraghi.

 Un’isola reale e fantastica in pari tempo che emerge dalla penna di un sardo doc che, alla bella età di settantasette anni, ha realizzato il sogno cullato fin da quando era dirigente di banca e specialista di diritto tributario. Sorprendentemente la Sardegna di Grazia Deledda, di Giuseppe Dessì, di Salvatore Satta, di Marcello Fois, di Michela Murgia, riscopre uno scrittore dalla felice scrittura, forbita, vivida e coinvolgente. Una prosa classica, che descrive straordinari scenari bucolici, situazioni drammatiche, timori e paure ancestrali, nella quale trovano spazio similitudini che conferiscono forza suggestiva a sensazioni e moti dell’anima.

Né mancano i momenti aulici, nei quali la poesia offre il destro agli ispirati sentimenti dell’arciere protagonista del romanzo. Così come quando sulle alture del Sinis, giubilante per la grande meraviglia che aveva preso l’amata giovane Kersa, alla scoperta per la prima volta dell’azzurra distesa del mare, egli canta: “Non volle Dio Creatore/ che del piede suo/ la solitaria impronta di pietra/ i figli di Sardegna tenesse prigionieri./ Così cullati dal Grande Mare,/ così liberi/ e soli./ Si commosse al vederli/ in quell’esilio dorato. / Al primo Sardo che bagnò il suo piede/ nel salato mare/ mostrò la navicella e la rotta, / guidò il suo sguardo/ verso le infinite sponde abitate/ che la vastità dell’inesplorate acque/ nascondeva.” Si coglie in diverse parti del romanzo di Sechi il filo conduttore di una struggente passione per la sua terra, nell’epoca indagata ancora più bella e misteriosa.

Sentimento presente specie nella descrizione dei paesaggi, della flora e della fauna che arricchiscono i luoghi, degli ambienti di vita e di lavoro, dove si muove un’umanità semplice, che tiene in gran conto i defunti, che nutre una profonda fede verso “Babbai nostru”, il Dio creatore del cielo e della terra. Così assume corpo e anima l’affresco di una Sardegna risalente a trenta secoli prima, frutto di attenta indagine delle fonti accreditate, nonché di recupero di sentimenti e passioni atavici e di antichissime tradizioni, di cui ancor oggi la Sardegna mantiene viva memoria.

 Si pensi, ad esempio, alla pratica della più cordiale accoglienza al forestiero, tuttora riscontrabile, specie nei centri dell’interno. Forti così si possono cogliere l’anima e le esteriori manifestazioni di una antica e affascinante civiltà, ancora poco indagata e raccontata, specie per quanto riguarda i costumi, la vita sociale, l’organizzazione amministrativa, la fede. Ma perché, potrebbe chiedersi chi legge queste note, il titolo del libro rimanda ad un’isola “scomparsa”? La ragione la rivela l’autore nella prefazione e risiede nell’infausta sorte che toccò alla Sardegna nella seconda metà del sesto secolo avanti Cristo a causa dell’invasione subita da Cartagine.

Questa potenza emergente d’Africa, occupate le coste dell’isola e sospinte all’interno le popolazioni rivierasche, chiuse per sempre al popolo dei nuraghi le millenarie vie del Mediterraneo che aveva percorso fin dai lontani tempi del commercio dell’ossidiana, la pietra vulcanica lucida e tagliente tratta dal suo Monte Arci. Questo drammatico evento avrebbe così cancellato dalle mappe nautiche, e dalla storia, l’isola di Sardegna. Da allora, e per secoli, l’isola “scomparsa” prese ad emergere dai racconti dei naviganti, fantastica, prospera e felice, ricca di foreste e di selvaggina, priva di fiere e animali velenosi. Forse la favoleggiata Atlantide siccome, con dotte argomentazioni, ha supposto Sergio Frau, nel suo argomentato “Le Colonne d’Ercole”. Quell’evento, per quanto attestano via via gli scavi archeologici, deve esser stato realmente deleterio per i Sardi.

 Essi, che in tutto il millennio precedente, in piena libertà e autonomia, avevano preso a occupare con molte migliaia di torri megalitiche troncoconiche – singole o riunite con antemurali a formare vere fortezze – ogni contrada dell’Isola, si ritirarono in gran parte nei luoghi più sicuri dell’interno. Quando, in sul finire del terzo secolo a.C., Roma strappò dalle mani di Cartagine la Sardegna, si trovò, malgrado la fiera resistenza delle genti dell’interno, in una terra che era regredita ad un regime di sopravvivenza: lo spirito illuminato e civile, profondamente religioso, che aveva contraddistinto quell’epoca era stato umiliato e soffocato. Sul terreno, e sotto terra, di essa rimasero le gigantesche torri nuragiche, le grandi tombe “di Giganti”, i preziosi pozzi sacri, le piccole immagini espresse con grande maestria nel bronzo.

Di queste straordinarie testimonianze di civiltà, del resto, neppure la superba Roma si era curata. Tutto ciò l’Autore accoratamente esprime tra le righe del romanzo e, come già detto, nella sua prefazione, facendo di ciò un’appendice di estremo interesse per il lettore che si avvicina per la prima volta alla conoscenza dell’antica civiltà sarda. Giuseppe Tito Sechi – studi classici al liceo Azuni e laurea in giurisprudenza nell’Università di Sassari, dove è nato e risiede – prova sofferenza per quegli eventi storici che hanno mortalmente ferito l’antica civiltà espressa dai suoi avi. Ma, come egli argomenta, con la sua isola, comunque, il tempo è stato galantuomo: ancorché non siano state rintracciate finora attendibili testimonianze scritte, il frutto degli scavi archeologici finora effettuati le sostituisce degnamente. Quanto sinora è venuto alla luce costituisce autentica narrazione di una storia realmente vissuta e testimoniata.

Infatti, non solo i numerosissimi monumenti megalitici che costellano il paesaggio sardo, ma anche le straordinarie opere d’arte rappresentate dai “bronzetti nuragici” già ricordati, all’attento osservatore dicono in termini non equivoci del grado evoluto e dello sviluppo sociale raggiunto in crescendo sino al 6° secolo a.C.. Queste singolari statuette, fuse nel bronzo col metodo della cera persa, si trovano esposte nei principali musei archeologici, specie dell’Isola. Al visitatore si mostrano in una variegata gamma di personaggi appartenenti ad ogni ceto sociale: sono arcieri, opliti, frombolieri, sacerdoti, capi dei villaggi, offerenti che si accostano alla divinità con spirito devoto, donne e sacerdotesse, madri che recano sul grembo e offrono al Dio il figlio esanime; tutti in significativi abbigliamenti e austeri portamenti.

Non manca una rassegna di animali domestici e una ricca collezione di navicelle, talune recanti a bordo uccelli, carri e bovi. Vi è da osservare che le ricerche archeologiche degli ultimi decenni hanno fornito un ulteriore insperato contributo alla riscrittura della storia della Sardegna: a occidente dello stagno di Cabras, non molto distante dall’approdo nuragico di Tharros e dalla penisola del Sinis, prima richiamata, cinquemilatrecento grandi e piccoli frammenti di bianca arenaria, ivi ritrovati, sono stati in buona parte ricomposti dall’Istituto del restauro di Sassari in ventisei gradi statue di atleti e guerrieri, ribattezzate Giganti di Mont’e Prama dal sito del ritrovamento.

Queste opere, di straordinario rilievo artistico anche per l’epoca nella quale sono state realizzate, precedente alla grande fioritura della straordinaria scultura greca, sono richiamate nel romanzo di Sechi e immaginate a corredo e lustro del Tempio di “Babbai Nostru”, un santuario che secondo taluni sarebbe realmente esistito; descritto nel romanzo, perché mèta del pellegrinaggio di Nurkaron e Kersa prima della partenza del guerriero alla volta della Palestina. La narrazione, per tutte le oltre trecento pagine del volume, procede fluida e coinvolgente, conducendo il lettore con straordinaria ispirazione a rivivere il mondo dei Nuragici in sul finire del decimo secolo a.C.

E’ questa l’epoca in cui i Libri Storici della Bibbia (Samuele 1-2) collocano una precisa fase della lunga guerra tra le cinque città confederate dei Filistei e Israele: quella della sanguinosa battaglia del Monte Gelboe, nella quale l’esercito israelita condotto da Saul subisce la sconfitta e lo sfortunato Re, persi nello scontro Gionata ed altri due suoi figli, si procura eroicamente quella morte che tanta letteratura e teatro ha ispirato fino ai nostri giorni. Nurkaron, alla guida della compagine degli arcieri nuragici, si distingue nello scontro cruento e riesce a portare a salvamento il re della città confederata di Gath.

Ma prima che le ombre della notte siano calate sulla spianata insanguinata resta ferito, vaga febbricitante nel buio, finisce in territorio nemico. Ma è il vecchio pastore Ibrahim – un saggio ebreo, potenziale nemico – che lo porta a salvamento, l’ospita nella sua casa e lo affida alle cure della giovane e bella figlia Anna. In quel frangente una serie di avvenimenti cambiano la vita del guerriero toccandolo nel suo intimo: inconsci stati d’animo lo turbano, mentre scopre altre ragioni che rafforzano l’idea che già s’era fatta in terra di Palestina: che quella guerra tra Filistei ed Ebrei sia insensata, giacché accordi di pace potrebbero favorire la convivenza dei due popoli e assicurare agli Ebrei l’accesso al Mediterraneo.

 Dopo, si apre la via del ritorno al suo accampamento, ai suoi arcieri, all’isola avita e alla sua promessa sposa Kersa. Drammatica è l’attesa dei familiari a Shardara, tra una ridda di voci che dai lontani lidi giungono agli approdi dell’isola, e drammatico ancor più è l’arrivo del drappello dei cavalieri condotti da Nurkaron nella spianata delle adunanze del suo villaggio di Sa Costa”. Vi è da notare che, tra le altre, due interessanti tracce arricchiscono il romanzo. Una, che percorre tutta la narrazione, costituita dall’ordine perentorio impartito all’Arciere dall’Autorità degli Otto Cantoni in cui è suddivisa la Sardegna: impadronirsi ad ogni costo del segreto del ferro negato dall’alleato filisteo.

L’altra coinvolge – in una costruzione fantastica il cui ordito è costituito dalla narrazione biblica – Davide, rifugiato in una città filistea del regno di Gath, al tempo in cui Saul gli dà ostinatamente la caccia. Nurkaron, ospite coi suoi cinquanta guerrieri, di re Achis, sovrano della stessa Città, ha la ventura d’incontrare il giovane Unto del Signore nel palazzo reale e, alla fine delle libagioni, invitati dal sovrano entrambi i guerrieri declamano versi. Davide, accompagnandosi con la cetra, canta il Salmo 17, a lui attribuito secondo la tradizione.

Nurkaron, al suono delle launeddas, antichissimo strumento di Sardegna, rende omaggio all’intrepido israelita e al suo Jhwh, che riconosce essere lo stesso Babbai Nostru , il Dio unico dei Sardi. Egli così canta: “Il Dio, creatore del cielo e della terra,/che, sull’Isola nostra del Grande Mare,/ impresse l’orma del suo piede/ non è forse anche/ il Dio di Abramo e di Mosè?/ Quale misteriosa forza/ ha guidato i nostri Padri/ verso la Verità del Cielo/ se non lo stesso Jhwh?” E’ singolare e degna di nota l’intuizione espressa nel romanzo che il Popolo dei nuraghi credesse nel Dio unico, creatore del cielo e della terra, portato in Sardegna – forse una delle bibliche “lontane isole” del Mediterraneo – dalla travagliata diaspora ebraica. La supposizione è giustificata da Sechi con riferimento a quanto ebbe a scrivere lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni nel suo trattato del 1912, “La religione primitiva in Sardegna”.

Questo assunto, ampiamente giustificato nel contesto del libro, porta l’Autore a credere che le torri nuragiche, presenti in ogni contrada dell’isola, siano state erette, con grande perizia ed enorme dispendio di energie, primieramente per rendere omaggio al Dio dei Sardi. Le loro circolari aggettanti terrazze erano ciascuna l’occhio levato alto al cielo, sede della divinità, dalle popolazioni dell’isola. Solo una fede forte e condivisa poteva giustificare quelle torri megalitiche sparse per tutta l’isola. L’assunto – che esclude sia la destinazione a guerre intestine, sia l’esclusivo uso abitativo dei nuraghi – appare giustificato sia dalla presenza di numerose abitazioni circolari che attorniano molti nuraghi, sia dall’assenza di città fortificate e plaghe disabitate; e ancor più da una fede consolidata, testimoniata da centinaia di personaggi fusi nel bronzo colti nell’atto di salutare o di offrire doni alla divinità.

In conclusione si può ben affermare che il romanzo costituisce lo straordinario affresco di un’isola e di un’epoca così mai prima a vive tinte indagata e, in pari tempo, un contributo alla speculazione e alla ricerca di un mondo che ancora tarda ad essere riportato completamente all’attenzione dell’umanità. Una storia così articolata e nuova per ambienti e costumi che potrebbe facilmente suscitare l’interesse del cinema e della tv. Un’opera che per la novità del filone storico meriterebbe di dare spunto a una lunga serie di contributi letterari e teatrali. Niente di più, niente di meno, di quanto sinora alla letteratura, al teatro e al cinema hanno ispirato i più noti giacimenti storico-culturali specialmente dell’antico Egitto, di Grecia, di Roma.


sabato 3 agosto 2019

UN’INTRODUZIONE A JULIUS EVOLA

tratto da L'Opinione del 18 ottobre 2017

di Paolo Ricci

Quella di Julius Evola è stata una figura scomoda nel panorama filosofico e intellettuale italiano, di questo si è già scritto (e ogni tanto se ne scrive) abbastanza. Ma al contempo la sua personalità, eclettica e di grande spessore, stimola la riflessione su numerosi aspetti: dal mondo contemporaneo alla spiritualità, dall’industria culturale all’esoterismo.

Il cammino del cinabro (edizioni Mediterranee) è una specie di vademecum per affrontare Evola e la sua complessa speculazione. Il filosofo ha prodotto numerosi titoli, molti dei quali spesso messi all’indice per le idee forti. Nel cammino del cinabro Evola si racconta proponendo una biografia attraverso le sue opere e il confronto con altre personalità della sua epoca. Tra le tante iniziative a cui Evola prese parte si può ricordare il Gruppo di Ur. Fondato dal matematico Arturo Reghini e dal filosofo Colazza, entrambi esoteristi, vollero che proprio Evola fosse il primo direttore della rivista Ur. Il Gruppo intendeva trattare le discipline esoteriche e iniziatiche con serietà e rigore, riferendosi a fonti certe e con spirito critico. Ambiti i suddetti molto cari a Evola. Questi si dedicò poi all’esplorazione delle origini della Tradizione studiando e trattando autori come Bachofen, Guénon, Wirth, Zolla e altri.

Nel volume sono riportate molte lettere scritte da Evola e diversi documenti che lo riguardano, testimonianze di una vita operosa e sempre intellettualmente stimolata da numerosi interessi da cui scaturirono riflessioni complesse ed eterogenee, come quella sul mondo moderno: “È più o meno noto che mentre l’uomo moderno ha creduto e, in parte, tuttora crede al mito dell’evoluzione, le civiltà antiche quasi senza eccezione e perfino le popolazioni selvagge riconobbero invece l’involuzione, il graduale decadere dell’uomo da uno stato primordiale concepito non come un passato semi-scimmiesco ma come quello di un’alta spiritualità (...)”, così Evola si rifà a Esiodo proponendo una riflessione sulle quattro età del mondo. E ancora sulla civiltà del tempo e sulla civiltà dello spazio, passando per le vite dei santi, i Misteri, il “Bene” e il “Male”, metodi e spunti.

Il cammino del cinabro (i cui riferimenti al mondo ermetico sono evidenti) permette di comprendere la nascita e il percorso delle tesi evoliane così come la “visione del mondo” di questo filosofo sui generis che ha sempre mantenuto (nonostante tutto) una coerenza di fondo lungo tutto il suo personale cammino.


mercoledì 17 luglio 2019

USA E UFO, IL MITO DI ROSWELL COMPIE 70 ANNI

tratto da "L'Opinione" del 3 luglio 2017

di Redazione

Quest’anno c’è anche un festival gastronomico a tema: gli Ufo. Il mito che affonda le sue radici in avvistamenti ed “incontri ravvicinati” trova le sue “prove” nel deserto del New Mexico, a Roswell, diventata capitale mondiale degli Ufo dopo che 70 anni fa un oggetto mai visto prima sulla Terra precipitò in un ranch nei pressi della cittadina. L’episodio resta ad oggi avvolto nel mistero, ma per i numerosi “appassionati” di Ufo non vi sono dubbi: l’oggetto misterioso era un veicolo extra-terrestre e fu il Pentagono che, intervenendo con rapidità, sequestrò il veicolo per evitare che la vicenda diventasse di dominio pubblico.

Così ogni anno migliaia di persone tornano a Roswell per commemorare quegli accadimenti: fatti ai loro occhi che confermano l’esistenza di alieni e le numerose teorie delle loro visite sulla Terra. Si tratta di “festeggiamenti” che proseguono per giorni e con le iniziative più disparate per ripercorrere gli eventi del 1947. Un pellegrinaggio di migliaia di persone rimaste impermeabili alla tesi ufficiale delle autorità Usa, secondo cui il misterioso oggetto caduto sul ranch di Mac Brazel era un pallone aerostatico usato in un esperimento militare segreto per ottenere informazioni sui test nucleari sovietici.

La vicenda ha avuto picchi di interesse a intermittenza nei decenni, ma resta il “caso simbolo” per chi ritiene che gli alieni esistono e fanno visita alla Terra regolarmente. Si può quindi immaginare la delusione quando si è scoperto che ai fatti di Roswell si fa solo cenno nelle oltre 130mila pagine di documenti sugli Ufo che un paio di anni fa sono state rese disponibili online. In compenso chi in questi giorni decide di fare visita a Roswell per commemorare quel momento potrà anche visitare il “Museo Internazionale degli Ufo” sorto nella cittadina negli ultimi anni, mentre il “festival degli Ufo” è diventato un evento anche di intrattenimento, con numerose attività. La sua fama è cresciuta con gli anni incastonando Roswell nell’immaginario collettivo: decine i libri a riguardo, un episodio della serie tv X-Files dedicato agli eventi di Roswell, qualche anno fa è stato persino realizzato un musical sul tema.


mercoledì 10 luglio 2019

NEW YORK POST: “PENTAGONO CONTINUA A INDAGARE SUGLI UFO”

tratto da "L'Opinione" del 24 maggio 2019

di Redazione

“Il Pentagono sta ancora indagando sugli Ufo”. Lo sostiene il New York Post citando direttamente in esclusiva un portavoce del Dipartimento della Difesa, Christopher Sherwood, il quale ha parlato di un’iniziativa governativa segreta denominata Advanced Aerospace Threat Identification Program (Aatip), che “ha condotto ricerche e indagini su fenomeni aerei non identificati”.

Una rivelazione che ha fatto breccia tra vari media, anche stranieri. Finora il Pentagono aveva sempre detto di aver chiuso l’Aatip nel 2012, ma Sherwood ha riconosciuto che il Dipartimento sta ancora indagando su fenomeni aerei non identificati. “La Difesa è sempre preoccupata di identificare tutti gli aeromobili nel nostro ambito operativo, nonché di identificare qualsiasi funzionalità straniera che possa rappresentare una minaccia per la patria”, ha precisato. “E continuerà ad indagare attraverso le normali procedure - ha aggiunto - le segnalazioni di aeromobili non identificati rilevati dall’aviazione militare americana al fine di garantire la difesa della patria e la protezione contro il fattore sorpresa da parte dei nostri avversari”.

A parere di alcuni osservatori però restano margini di ambiguità, in quando la definizione di fenomeni aerei non identificati sarebbe diversa da quella di Ufo (oggetti volanti non identificati). Per Nick Pope, che ha svolto indagini segrete sugli Ufo per il governo britannico negli anni Novanta, i commenti del Pentagono sono invece una “rivelazione bomba”. “Le precedenti dichiarazioni ufficiali erano ambigue e lasciavano aperta la possibilità che l’Aatip si occupasse semplicemente delle minacce aeronautiche di nuova generazione riguardanti aerei, missili e droni - ha sottolineato - Questa ammissione chiarisce che hanno davvero studiato quelli che il pubblico chiama Ufo”. L’esistenza del programma - che non era classificato ma era noto solo ad una ristretta cerchia di persone - è stata ammessa dal Pentagono solo alla fine del 2017.

L’Aatip è stato avviato nel 2007 e inizialmente finanziato con 22 milioni di dollari annui su richiesta di Harry Reid, all’epoca leader della maggioranza democratica al Senato e appassionato di fenomeni spaziali. Gli Ufo, comunque, sono stati per decenni al centro di indagini negli Stati Uniti, anche da parte dell’esercito, e nel 1947 l’aviazione cominciò una serie di studi per far luce su oltre 12 mila presunti oggetti non identificati prima di terminarli nel 1969.

mercoledì 19 giugno 2019

“L’ERRORE DEGLI DEI”, INTERVISTA ALLA TASSELLI

tratto da "L'Opinione" del 28 novembre 2013

di Luca Bagatin



Patrizia Tasselli, toscana doc, un passato da operaia di fabbrica, appassionata di viaggi, esoterismo e di culture arcaiche, da diversi anni e collaboratrice della rivista di Studi Esoterici “Officinae”, organo ufficiale della Massoneria italiana della Gran Loggia d’Italia degli Alam. Patrizia ha dato alle stampe, alcuni anni fa, un romanzo che abbiamo recentemente recensito, ovvero “L’errore degli Dei”, edito da Giuseppe Laterza, con prefazione dell’ufologo Roberto Pinotti, che è la storia del viaggio di Cassandra, ricercatrice figlia del comandante Fonelli a guida del sottomarino Trieste, misteriosamente scomparso nelle acque del Mar Nero negli anni precedenti alla fine della Guerra Fredda. Un viaggio da Istanbul sino ai confini dell’Iraq, che condurrà la protagonista alla scoperta dell’esistenza di curiosi buchi neri che hanno la proprietà di far precipitare le persone a ritroso nel tempo. Ed ecco che Cassandra scoprirà che suo padre - e tutto l’equipaggio del Trieste - sono in realtà stati sbalzati indietro, nell’Era prediluviana, assieme ad un manipolo di alieni dediti a ricercare l’enzima Nue attraverso esperimenti sul cervello degli esseri umani, che si dice sia in grado di unificare i due emisferi del cervello e, dunque, essere in grado di creare una razza superiore, ove la razionalità dell'emisfero sinistro possa fondersi con l’emotività dell’emisfero destro del cervello. Un’avventura descritta sotto forma di spy-story che, in realtà, racchiude profondi significati simbolico-esoterici e mitologici, ove la scienza moderna si fonde con il mito mesopotamico di Gilgamesh, Re di Uruk, che è stato spesso oggetto di studio dell’autrice. Oggi abbiamo l’amichevole possibilità di intervistare Patrizia Tasselli, la quale ci racconterà, più in dettaglio, com’è nata l’idea di questo libro ed i suoi arcani e reconditi segreti.

Dunque Patrizia, perché non inizi parlandoci un po’ di te? Come è nato, fra l’altro, il tuo interesse per la mitologia e l’esoterismo?

Credo che l’interesse per la mitologia sia nato in me da bambina, leggendo i tanti libri di novelle che fortunatamente i miei genitori e gli zii mi regalavano. Finito Carosello chiudevo la porta della mia cameretta e lasciavo fuori il mondo di campi e fabbriche, piccoli laboratori artigiani ricavati negli scantinati, botteghe di ferramenta dove si vendeva di tutto, chiodi, segatura, ddt sfuso, saponette e profumi. Spaziavo tra “Piccole donne”, “L’uccello di fuoco”, “Il Barone di Münchhausen” e quello rampante di Calvino, fino all’arrivo degli Anni Sessanta, il boom economico, la borsa di studio e la scuola “in città”. La mattina l’Istituto Tecnico e il pomeriggio il corso di taglio e cucito, perché “non si sa mai”, diceva la mia mamma. All’inizio di quegli anni avvenne il mio folgorante incontro con “Civiltà Sepolte” di Ceram e nacque in me la passione per tutto ciò che è antico, primario, fonte, origine. E naturalmente nascosto, come la “mitica” Troia realmente esistita e alla fine scoperta. Quasi un decennio dopo Peter Kolosimo fece il resto con il suo “Non è terrestre”, suscitando definitivamente in me l’interesse verso la cosiddetta archeologia misteriosa, relegata immeritatamente dall’archeologia ufficiale nel ghetto delle pseudoscienze come fantarcheologia o pseudoarcheologia. Durante gli anni mi sono convinta che gli oggetti misteriosi trovati sparsi su tutta la terra - i cosiddetti OOPArt, Out Of Place ARTifacts, oggetti fuori posto - siano la testimonianza di civiltà perdute nell’abisso del tempo o dello spazio. Il passo successivo è stato la lettura delle leggende, o meglio dei miti, in chiave esoterica, ossia nella consapevolezza che contenessero verità nascoste, comprensibili solo a chi fosse disposto a cercare sotto la cenere il fuoco apparentemente spento.

Com’è nata l’idea di scrivere “L’errore degli Dei”?

L’idea di scrivere “L’errore degli Dei” è nata dalla sintesi di tre diversi progetti: un racconto sui viaggi nel tempo, uno sulla vita dei primi “ominidi umanizzati” e, infine, il più intrigante: la mia personale lettura del Gilgamesh. La storia del sottomarino scomparso mi è stata suggerita in un sogno che ho avuto la prontezza di spirito di annotare appena sveglia. Non so perché.

Il tuo romanzo è frutto unicamente della tua fervida fantasia oppure...?

La trama del romanzo è frutto della mia fantasia e per la stesura mi sono avvalsa della mia esperienza di viaggiatrice. Non sono mai stata sul Mar Nero e la mia conoscenza diretta della Turchia è limitata a Istanbul e alla Cappadocia, ovviamente è nulla per quanto riguarda l’Iraq. So tuttavia per esperienza come funzionano certi viaggi improvvisati e come si comunica a gesti con la gente; a volte la mia ignoranza delle lingue straniere mi ha aiutata nell’arte dell’arrangiarsi e in questo senso alcuni passi del romanzo sono autenticamente autobiografici. Ho costruito il viaggio di Cassandra ed Emin tramite Google Earth, osservando attentamente le foto di Panoramio, caricate da utenti non professionisti e per questo più realistiche. Ho fatto mie le curve delle strade di montagna, le autostrade, gli alberghi, le case, i siti archeologici con le loro meraviglie e i villaggi con le loro miserie.

Credi davvero che entità extraterrestri esistano davvero e siano all’origine degli antichi miti e simboli che pervadono l’Umanità?

Qui il discorso si fa più complicato. Sono convinta che entità extraterrestri abbiano non solo visitato il nostro mondo, ma che siano intervenuti nella creazione dell’uomo. Non voglio entrare in argomenti che riguardano la fede che anima i creazionisti e difendo a spada tratta il buon Darwin fino a che, tornando indietro nel tempo, non si arriva alla separazione dell’uomo dalla scimmia, che non sappiamo quando sia avvenuta. Forse la separazione non c’è mai stata, le scimmie sono rimaste scimmie e gli ominidi si sono tutti estinti meno uno, l’Homo Sapiens, e non si capisce perché, visto che se Dio ha creato l’uomo dal nulla era perfettamente inutile. Una spiegazione logica, allo stato attuale della conoscenza, è quella di diversi interventi alieni sul Dna di alcuni individui di varie specie di scimmie. Esperimenti falliti meno uno riuscito, si fa per dire, quello da cui deriva la razza umana. Da qualche anno seguo con interesse gli studi di Mauro Biglino, esperto di lingua ebraica antica e collaboratore per anni con le Edizioni San Paolo per la traduzione della Bibbia, studi che sembrano confermare la mia teoria. Se così fosse è veramente possibile che gli antichissimi miti e i simboli indecifrabili che si riscontrano su tutto il globo terrestre siano la testimonianza non tanto di esseri alieni, ma di coloro che li hanno conosciuti e di cui sono stati forse allievi, forse vittime.

Cassandra, la protagonista del romanzo, possiamo dire che è un po’ il tuo alter-ego?

Certo, Cassandra un po’ mi somiglia, ma soprattutto credo sia la figlia che avrei voluto avere, una che si pone domande e cerca risposte, ma più determinata di me nelle sue scelte.

Come mai sei così affascinata dal poema che racconta la storia di Gilgamesh, Re di Uruk?

Il mio interesse per Gilgamesh ha un’origine davvero curiosa. Stavo in cima a una scala appoggiata alla libreria e spolveravo i libri quando me ne è caduto uno. Sono scesa per raccoglierlo e mi sono accorta che non l’avevo mai letto. Si trattava di una raccolta di racconti egiziani e mesopotamici, tra cui una sintesi del poema di Gilgamesh, che mi incuriosì. Lessi per primo l’episodio della prostituta sacra Shamkhat, che interpretai come il metodo più antico per tenere buoni gli uomini irrequieti, poi lessi la tavola del diluvio. Fui affascinata soprattutto dallo stile del racconto e corsi in libreria a comprare l’opera completa tradotta da Giovanni Pettinato. Mi resi conto che in quel poema antichissimo era contenuta la sostanza di opere scritte in epoche molto più recenti, come la Bibbia, e che Gilgamesh precedeva di gran lunga i poemi di Omero, di Virgilio e Dante, nonché la storia di Siddharta. Solo dopo un’attenta lettura compresi che dietro il racconto delle gesta eroiche del re di Uruk era nascosto non solo un insegnamento etico e sapienziale, ma un vero e proprio messaggio esoterico. Con questa chiave di lettura le avventure di Gilgamesh appaiono come una serie di passaggi iniziatici verso la scoperta del sé. La stupenda allegoria dell’amicizia tra Gilgamesh e Enkidu, l’uno alter ego dell’altro, complementari a se stessi, o meglio due personalità insite nello stesso individuo, rappresenta la complessità dell’animo umano perennemente in bilico tra il bene e il male. Il bene, simbolicamente incarnato da Enkidu, insegna a Gilgamesh l’Amore dopo di che, terminata la sua missione, non ha più motivo di esistere e muore. La morte di Enkidu, divenuto ormai parte integrante di Gilgamesh, non può che rappresentare la morte iniziatica di Gilgamesh stesso che a partire da quel momento comincerà il suo lungo viaggio alla ricerca del senso della vita. Mi sembra che ci siano validi motivi per restare affascinati da questo mito.

Stai già pensando ad un nuovo romanzo, oppure ad un saggio sull’argomento?

Ti dirò che per ora sto fantasticando su un nuovo romanzo che vorrei ambientare nella mitica Atlantide.

Se volete comprare il libro: L'errore degli Dei

La saga di Gilgamesh di Giovanni Pettinato: La saga di Gilgamesh

Mitologia sumerica di Giovanni Pettinato: Mitologia sumerica

sabato 8 giugno 2019

Droni e Ufo

Vi riporto un breve estratto di un articolo di qualche anno fa pubblicato sul giornale online "L'Opinione" dal titolo "Nell'anno 2014 la guerra dei droni"  in cui si afferma che gli avvistamenti di Ufo sono da addebitarsi agli esperimenti militari su droni:

"Il drone, per i non addetti ai lavori, è un piccolo aeromobile, controllato a distanza da un pilota. Inventato negli Stati Uniti negli anni Trenta, venne perfezionato durante il periodo della Guerra fredda. Gli archivi storici americani hanno svelato che il fenomeno degli avvistamenti di oggetti volanti non identificati, i famosi Ufo, che avevano ispirato film, libri e alimentato teorie di invasioni di alieni dallo spazio negli anni Cinquanta e Sessanta, altro non erano che voli sperimentali di droni militari americani."

L' articolo è di Paolo Dionisi ed è stato pubblicato il 18 luglio 2014.

Per chi volesse leggere l'articolo nella sua interezza vi lascio il link:

http://www.opinione.it/esteri/2014/07/18/dionisi_esteri-18-07/

Buona lettura.




martedì 16 aprile 2019

“LA BELLEZZA RIVELATA”: ALLA SCOPERTA DELLE RICCHEZZE DELL’ETIOPIA

tratto da L'Opinione del 16 ottobre 2018

di redazione

Dopo il successo alla Società Geografica Italiana di Roma e al Pan/Museo delle Arti di Napoli,  la mostra fotografica “La bellezza rivelata - un viaggio nella terra d’Etiopia sulle orme degli antichi esploratori” verrà ospitata dal 5 novembre al 31 gennaio 2019 dal Museo Etnografico di Addis Abeba.

L’Etiopia è una terra di genti e paesaggi unici e straordinari, ricca di antichissime tradizioni, diversità culturali, una terra - definita la culla dell’umanità - capace da sempre di attrarre viaggiatori ed esploratori che hanno fatto conoscere quel territorio al mondo attraverso  diari di viaggio, carte geografiche, schizzi, disegni e fotografie.

Con lo stesso spirito questa mostra, organizzata da Carlo e Marcella Franchini, in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e con il contributo dell’artista Francesca Borro, racconta  di quelle terre e dei percorsi di alcuni fra i principali esploratori. 80 fotografie realizzate da Carlo Franchini e alcuni dipinti e carboncini dell’artista Francesca Borro raccontano la straordinarietà di quel meraviglioso paese di antica civiltà. “Un viaggio, dunque, nel tempo e nello spazio, attraverso l’Etiopia di oggi ma sulle orme dei viaggiatori di ieri”.

Proprio partendo dalle descrizioni contenute in alcune opere di alcuni degli esploratori che maggiormente hanno contribuito alla conoscenza dell'Etiopia, la ricchezza ambientale e culturale del paese sarà evocata mediante oggetti della Collezione della Società Africana d'Italia, oggi custodita dall'Università di Napoli "L'Orientale", da bellissime fotografie, filmati, numerosi disegni al tratto e dipinti. Alcuni di questi sono tratti dai resoconti dei viaggiatori, altri ispirati da immagini recenti e sono particolarmente rilevanti in quanto testimoniano un importante e troppo frequentemente trascurato aspetto dell'attività degli esploratori: la necessità di testimoniare le proprie scoperte tramite disegni ed illustrazioni. Non solo, il disegno e lo schizzo diventano spunto per un'ulteriore esplorazione, uno strumento di analisi e approfondimento, che costringe chi lo esegue non solo a vedere, ma anche a guardare e dunque a conoscere.

L’obiettivo della mostra è quindi quello, anche grazie alla molteplicità dei documenti, degli oggetti e delle immagini presentati, di mostrare e far apprezzare la ricchezza rappresentata dagli ambienti e delle culture del Paese, le loro millenarie radici, la sinergia sistemica tra diversi che lo caratterizza.

Per maggiori informazioni visita il sito www.labellezzarivelata.com



mercoledì 21 febbraio 2018

UFO: IL PROGRAMMA SEGRETO DEL PENTAGONO

tratto da L'Opinione del 18 dicembre 2017

di Redazione

Il dipartimento della Difesa Usa ha continuato ad indagare sugli Ufo sino a cinque anni fa, quando ha messo fine ai finanziamenti di un programma avviato nel 2007, per un totale di 22 milioni di dollari. Il Pentagono ha ammesso ora, per la prima volta, l’esistenza del programma, che non era classificato ma era noto solo a una ristretta cerchia di persone. Lo rivelano alcuni media americani. Gli Ufo sono stati ripetutamente al centro di indagini per decenni negli Stati Uniti, anche da parte dell’esercito americano. Nel 1947 l’aviazione cominciò una serie di studi per far luce su oltre 12mila presunti oggetti non identificati prima di mettere la parole fine nel 1969. Il programma, che comprendeva uno studio denominato Project blue Book, aveva concluso che la maggioranza degli avvistamenti erano stelle, nuvole, aerei convenzionali o velivoli spia, benché 701 rimasero senza spiegazione. Ma nessuno, o pochissimi, sapevano che il Pentagono aveva lanciato un nuovo programma dieci anni fa, battezzato “Advanced Aerospace Threat Identification Program”.

Inizialmente fu ampiamente finanziato su richiesta di Harry Reid, all’epoca leader della maggioranza democratica al Senato e appassionato di fenomeni spaziali. Gran parte dei soldi finirono ad una società di ricerca aerospaziale di un magnate suo amico e sostenitore elettorale, Robert Bigelow, che attualmente lavora con la Nasa e che si è detto “assolutamente convinto” che gli alieni esistano e che gli Ufo abbiano visitato la Terra. I fenomeni aerei non identificati sono stati riportati da piloti e altri militari, secondo cui quello che avevano visto sfidava le leggi della fisica, con oggetti che si muovevano ad alte velocità senza segni visibili di propulsione o che volteggiavano senza apparenti mezzi per alzarsi in volo. Una delle possibili teorie per spiegare tali fenomeni, secondo un ex membro dello staff parlamentare, è che ci fosse una potenza straniera, forse la Russia o la Cina, che aveva sviluppato tecnologie di nuova generazione che potevano minacciare gli Usa. Ma nessuna prova è stata prodotta. Tanto che nel 2012 sono stati interrotti i finanziamenti.

“Fu deciso che c’erano altre e più alte priorità che meritavano di essere finanziate e fu nel migliore interesse del dipartimento della Difesa fare un cambiamento”, ha spiegato un portavoce del Pentagono, Thomas Crosson. Eppure Luis Elizondo, l’ufficiale dell’intelligence militare che ha gestito il programma al quinto piano dell’anello C del Pentagono, sostiene di aver continuato a lavorare - fuori dal Pentagono - con dirigenti della Marina e della Cia sino allo scorso ottobre, quando ha scritto una lettera di dimissioni polemica al ministro della Difesa, James Mattis. “Perché non investiamo più tempo e più sforzi su questa questione?”, ha chiesto, lamentandosi della eccessiva segretezza e dell’opposizione interna che caratterizzava il programma.