tratto da "il Giornale" del 14 Maggio 2024
Una raccolta di testi rari e lettere mai viste illumina gli interessi del "barone": dalla pittura alla rivolta contro il mondo moderno
di Andrea Scarabelli
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
tratto da "il Giornale" del 14 Maggio 2024
Una raccolta di testi rari e lettere mai viste illumina gli interessi del "barone": dalla pittura alla rivolta contro il mondo moderno
di Andrea Scarabelli
in collaborazione con Simone Berni: https://www.cacciatoredilibri.com/103-anni-fa-usciva-lo-spirito-delluniverso-bocca-1921-di-olinto-de-pretto-il-libro-che-rischio-di-riassegnare-la-relativita/
Einstein e De Pretto: a chi la relatività?
Da sempre in molti ritengono Albert Einstein come l’unico corpo estraneo alla scienza realmente accettato dalla comunità scientifica stessa. Un’eccezione assoluta tributata obtorto collo a una delle più grandi menti della storia umana.
Lo storico della scienza Federico Di Trocchio (scomparso nel settembre del 2013), nel suo bellissimo libro Il genio incompreso (Milano, Mondadori, 1997), anni fa ne aveva tracciato un interessante profilo.
“Einstein – scrive Di Trocchio – a differenza della maggior parte degli scienziati, non attutì mai il suo anticonformismo: ascoltò sempre, e in molti casi aiutò, chi nuotava controcorrente”.
Forse il motivo di questa sua apertura era che Einstein, non provenendo dal mondo accademico, non ne seguiva pedissequamente l’ortodossia. Era un umile impiegato del celebre (“celebre” lo diverrà grazie a lui) Ufficio Brevetti di Berna, in Svizzera. Il suo ingresso nella comunità scientifica fu abbastanza repentino e inaspettato.
Con la relatività, egli è passato alla storia come l’artefice di una delle teorie che hanno rivoluzionato il concetto stesso di universo. Una teoria che da qualche anno per la verità ha cominciato a scricchiolare, ma che nei suoi principi base appare ancora ben salda, in particolar modo perché non ne è stata proposta una alternativa di pari valore. Eppure sono ormai trascorsi ben oltre cento anni dall’enunciazione di quella formula E=mc2 e più di sessanta dalla morte del suo autore.
Ma quella formula non c’era già?
Il documento, molto raro, che per un po’ ha gettato un’ombra sulla figura di Einstein è Ipotesi dell’etere nella vita dell’universo. Fu pubblicato nel 1904 negli Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, con la prefazione del celebre astronomo Giovanni Schiaparelli. A redigere quel lavoro era stato un oscuro autore (lo dice lui stesso nella presentazione) di Schio, Vicenza: Olinto De Pretto. Appena un anno più tardi, nel 1905, un altrettanto oscuro impiegato ventiseienne che lavorava presso l’Ufficio Brevetti di Berna, pubblicò un lavoro scientifico con una formula che farà storia, E=mc2. Era appunto Albert Einstein.
Il lavoro di Olinto De Pretto fu stampato in estratto a Venezia da Ferrari nello stesso anno 1904. Ma a quanto sembra nessuno volle riconoscere il valore di queste sue intuizioni e quello di De Pretto rimarrà sempre un nome sconosciuto ai più e il suo lavoro un’ombra perlopiù da respingere.
Il documento, sotto forma di estratto, ormai è introvabile perfino presso i librai antiquari; è in formato ottavo, 62 pagine, frequentemente intonso.
La sera del 16 Marzo 1921, proprio nell’anno che vedrà Einstein ricevere il premio Nobel per la fisica, De Pretto morirà in circostanze drammatiche (freddato da un colpo di pistola sparato da una donna per questioni d’interesse).
Sempre quell’anno, pochi mesi prima della sua morte, era uscito Lo spirito dell’universo (Torino, F.lli Bocca), che può essere considerato il suo testamento scientifico. Il libro in questione, ormai decisamente raro, contiene lo studio del 1904, rielaborato, e la seconda edizione dello scritto Sopra una grande forza tellurica trascurata (apparso per la prima volta nel 1914). È in formato ottavo, fa parte della Biblioteca di Scienze Moderne (n.77), 223 pagine, con tavole fuori testo sia a colori che in bianco e nero.
In copertina una maschera tribale di una civiltà non identificata, e sullo sfondo una serie di galassie a spirale. La carta dei libri di questa collana non sembra granché ed è piuttosto fragile. Se i volumi vengono trovati intonsi va prestata molta attenzione nell’aprirli, le pagine si possono lacerare con estrema facilità.
La lettura de Lo spirito dell’universo fa entrare in un mondo dalle atmosfere surreali. È un trattato scientifico, ma allo stesso tempo un testo avvincente ed emozionante come un vero e proprio romanzo d’avventura.
Eppure qualche scienziato lo ha appoggiato
Il libro di Umberto Bartocci, Albert Einstein e Olinto De Pretto: La vera storia della formula più famosa del mondo (Bologna, Andromeda, 1999) rischia di diventare ancora più raro delle opere di De Pretto. Infatti, nonostante l’editore lo abbia ristampato nel 2006, il libro è sempre da considerarsi raro. Il libro in questione fa parte della collana La storia impossibile, è un libro just in time, cioè stampato appena in tempo, in tempo per essere salvato. È un po’ il destino di quei libri che gli editori non ritengono adatti alla pubblicazione e che senza questa formula non riuscirebbero mai a vedere la luce. I manoscritti cadrebbero nel dimenticatoio, con il passare degli anni andrebbero persi in un trasloco o per colpa di qualche parente distratto.
Vengono i brividi a pensare a quanti romanzi, a quanti saggi o a quanti lavori scientifici è stato negato anche il semplice venire alla luce. Di certo la storia è stata scritta anche da mani sconosciute, delle quali a volte non è rimasta la benché minima traccia. Ed è quanto mai eccitante seguire queste orme misteriose.
In un prossimo futuro – e può suonare quasi come una beffa – il libro di Bartocci potrebbe essere conteso da bibliofili alla ricerca di testi originali e profetici, testi che non hanno segnato un’epoca al momento della loro silenziosa uscita, ma l’hanno fatto a posteriori, in quanto anticipatori di verità divenute tali solo in futuro, talvolta a distanza di molti anni. Per questo motivo lo conservo gelosamente. È una semplice brossura editoriale in ottavo, con la copertina nera su tutti i lati. Il volto di Einstein e il fungo atomico che campeggiano sul fronte sono due simboli molto chiari del concetto espresso dalla formula più famosa del mondo.
Prima di quel libro Bartocci aveva tentato – inutilmente – di far accettare per la pubblicazione un lavoro a quattro mani, con Marco Mamone Capria sullo stesso argomento. La rivista scientifica alla quale aveva indirizzato il manoscritto lo rifiutò, in maniera cortese ma inappellabile. Tutte queste difficoltà derivano dalla responsabilità che si porta dietro il nome di Albert Einstein. Ancora troppo grande e fulgida è la sua stella per poterla offuscare senza esporsi brutalmente alle critiche dell’ortodossia scientifica. Einstein non può essere messo in discussione, non ancora, almeno. Forse un giorno nuove concezioni del mondo della fisica ridimensioneranno le sue teorie, ma al momento resta un pilastro inamovibile, poco meno che intoccabile.
“La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle”
Niente da fare: Olinto non c’entra con Einstein: lo dice la Scienza
Per questo motivo nessuna rivista che vuole costituire una voce degna di nota nell’ambito accademico oserebbe ospitare un intervento decisamente “contro corrente” che non sia suffragato da prove certe e inconfutabili circa un dubbio – sia pur sfumato – sulla paternità della formula più famosa del mondo. È logico che il problema, al momento attuale, non può essere presentato che a livello di congettura.
Non è ancora dimostrabile, se mai lo sarà, che Albert Einstein lesse il lavoro di Olinto De Pretto e che, soprattutto, ne trasse ispirazione. Forse l’unica strada praticabile per venirne a capo è quella di concentrare le attenzioni sulla figura di Michele Besso, che era amico di Einstein e collegabile a De Pretto. Einstein, infatti, conosceva l’italiano, tenne anche delle conferenze nella nostra lingua.
La scienza sembra non volersi rendere conto che De Pretto, questo oscuro agronomo vicentino, forse ispirò il grande scienziato. Magari si tratta di elementi formali, non decisivi, dato che il concetto di etere non sembra essere applicato alla teoria della relatività, ma di sicuro la frase che compare nel lavoro di De Pretto del 1904 (un anno prima della pubblicazione di Einstein negli Annalen der Physik dei suoi due celebri lavori) è esplicativa al riguardo:
“La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. (…) La formula mv2 ci dà la forza viva e la formula mv2/8338 ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m=1 e v uguale a 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l’etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni”.
Per correttezza va riportata un’opinione di segno opposto, quella dello studioso scledense Ignazio Marchioro il quale, in un’intervista di Luca Valente su internet, afferma che la somiglianza della formula di De Pretto a quella di Einstein si deve solo a una casualità formale, complice la differente definizione tra forza viva ed energia cinetica. Afferma infatti Marchioro nell’intervista:
“È invece ovvio che la teoria della relatività non ha nulla a che vedere con la sua intuizione: la formula assomiglia a quella famosissima di Einstein solo per una casualità formale, in quanto il De Pretto riportò la formula della forza viva valida a quel tempo, che non era non sinonimo dell’energia cinetica bensì del suo doppio. È ovvio quindi che se il De Pretto avesse inteso la formula relativa all’energia cinetica del corpo in movimento avrebbe scritto: E (energia cinetica)=mv²/2; vale a dire la nota formula di fisica classica, che è totalmente diversa dalla mc²”.
A firma dello stesso Marchioro, circa vent’anni fa è uscito I fratelli De Pretto (Schio, Tipografia Menin, 2000). Interessante e documentato lavoro sui fratelli De Pretto come imprenditori, tecnici e uomini di scienza; da non sottovalutare come pezzo raro perché stampato in appena 300 copie.
Il libro più raro: è sempre quello che che è andato perduto
Ma il libro più raro e introvabile sulla figura di Olinto De Pretto è un libro che non c’è. Nel 1931, infatti, a dieci anni dalla morte dello scienziato scledense, il fratello Silvio e il professor Giuseppe Flechia furono gli autori di uno studio sull’opera Lo spirito dell’universo, che sottoposero all’attenzione dell’astronomo Pio Emanuelli della Specola Vaticana. Racconta Bianca Mirella Bonicelli nel libro di Bartocci che del carteggio con l’Emanuelli non esistono più gli originali ma da appunti sui diari di Silvio De Pretto si evince che il responso dello studioso vaticano fosse stato negativo.
Questo scoraggiò gli autori a proseguire nella pubblicazione dello studio. Purtroppo il manoscritto originale sembra sia andato perduto. Non ci è dato sapere neppure il titolo che gli sarebbe stato attribuito.
C’è poi una commedia in tre atti di Sem Benelli, Con le stelle (Milano, Fratelli Treves, 1927) che si ispira alle teorie sull’universo di De Pretto. Il libro è una brossura in formato ottavo con una bellissima copertina futurista di Guido Marussig e si può ancora reperire sul mercato nell’edizione originale.
Un’altra opera piuttosto rara del De Pretto è Le due faglie di Schio (Roma, Tip. della Pace E. Cuggiani, 1921), interessante saggio di geologia scledense con cinque stupende tavole a colori ripiegate all’interno, tra cui una carta geologica. Piccola perla introvabile.
Stessa sorte (di introvabilità effettiva) per La via più breve fra Venezia ed il Brennero è la linea Mestre-Padova-Vicenza-Schio-Rovereto: calcolo approssimativo di costo di una ferrovia ordinaria fra Schio e Rovereto: appunti e confronti, di [Olinto De Pretto] (Schio, Tipi Prem. Manifattura etichette, 1899). Il libro è stato poi ristampato in facsimile nel 1985.
Einstein contestato? Ebbene sì!
Un curiosissimo libricino uscito nel 1923 in Francia e che si schiera dichiaratamente contro Albert Einstein e la Teoria della Relatività fu Les Hallucinations des Einsteiniens – Ou les Erreurs de Méthode chez les Physiciens-Mathématiciens (“Le allucinazioni degli einsteiniani”) di Christian Cornelissen (Paris, Librairie Scientifique Albert Blanchard, 1923).
Risulta di difficile reperibilità in quanto la tiratura fu sicuramente limitata all’indispensabile. Il libro la dice lunga su come l’ambiente scientifico accolse la teoria della relatività, soprattutto dopo il conferimento del Nobel nel 1921 al grande scienziato. Cornelissen cerca di dimostrare l’infondatezza scientifica delle teorie einsteiniane, ma con scarsi risultati.
Il suo, ad ogni modo, rimane un tentativo mirabile e di indubbia eccentricità, che in effetti ha dato luogo a un titolo assai ricercato dai collezionisti di curiosità.
tratto da "L'Opinione" del 07 agosto 2024
di Dalmazio Frau
I nostri padri d’età classica ben sapevano che alcuni luoghi del nostro mondo terreno sono governati da potenze sovrannaturali. Genius loci chiamavano queste entità che potevano essere benevole o nefaste nei confronti dell’uomo che si recava nel loro dominio. In realtà, anche con l’avvento del cristianesimo e persino oggi nella nostra società laica e desacralizzata, ciò non è mai cambiato. Ed ecco che, a seconda della sensibilità sottile di ciascuno di noi, più o meno spiccata, avvertiamo qualcosa di positivo o di negativo in certi luoghi o in alcuni edifici.
Ad esempio, io ho sempre avvertito uno spirito, una forza negativa nell’edificio postmoderno del Maxxi, a Roma, oppure nella Nuvola ideata da Massimiliano Fuksas, mentre sento scorrere le energie supere ancor oggi possenti e vitali in Castel Sant’Angelo o nella Basilica di San Clemente, nel suo Mitreo come nella navata centrale oppure nella sacra di San Michele in Val di Susa e in tanti altri luoghi, come il Duomo di Siena o il Tempio malatestiano a Rimini.
Suggestioni, diranno alcuni. Sensibilità e conoscenza del “mondo altro”, dico io… una sensibilità che l’uomo ha perduto sempre di più nel corso degli ultimi trecento anni. Altro fatto non trascurabile è che molti di questi luoghi, non tutti adibiti al culto cristiano, sono custodi d’opere artistiche. Musei, chiese, fortezze o semplici dimore contengono quei potentissimi catalizzatori d’energie che sono le opere d’arte. Veri e propri media tra l’uomo e il cielo o, a volte, tra l’essere umano e le forze ctonie. Queste energie, per usare un termine oggi alla moda, in realtà influenzano in maniera invisibile ma reale le persone che stanno in determinati luoghi, che ci crediate o meno. So che coloro che sono più in là con gli anni stanno riportando alla loro memoria, mentre leggono, le immagini inquietanti in bianco e nero dello sceneggiato tivù Belfagor-Il fantasma del Louvre di quando eravamo bambini, e non sarebbero tanto distanti dalla realtà, che è sempre molto più estesa di quella che giace sotto i nostri sensi materiali.
Persino edifici storici come il Quirinale o Palazzo Chigi non sono esenti dall’essere “dominio” di simili energie che ancora oggi si muovono lungo quei corridoi suggerendo, ispirando, spingendo e inclinando chi li occupa, spesso in maniera del tutto inconsapevole, a compiere determinate scelte piuttosto che altre. Sarebbe interessante scoprire quanti “spettri”, quante fantasime e quanto “démoni” si aggirano per le sale dei nostri palazzi istituzionali, senza neanche il favore delle tenebre, perché ad attrarli basta la cattiva volontà umana e magari qualcosa di antico, gravido di pulsioni basse quali l’odio, il rancore e l’avidità.
Cose da Ghostbusters all’amatriciana? O da Zaffiro e Acciaio de noantri. Ma giochiamo per un istante a credere nel sovrannaturale, soltanto per pochi minuti, tanto è un gioco ferragostano. E se certe decisioni politiche particolarmente discutibili, certe affermazioni inopportune rilasciate alla stampa con le relative polemiche, fossero dovute all’influsso preternaturale di forze oscure? Lo so che voi siete laici e illuministi – non tutti per fortuna – e fedeli alla buonanima di Piero Angela credete nella scienza materialista, ma un dubbio non vi ha mai solleticato? Vi ha mai sfiorato il terrore assoluto della “controra”? Non avete mai sentito un brivido diaccio scorrervi lungo la schiena laddove non c’era nessuno e comunque faceva un bel caldo estivo?
Chiamavano Belzebù, tra il serio e il faceto, un uomo di valore intellettivo e culturale altissimo come Giulio Andreotti e il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, da buon partenopeo, ricorreva a gesti scaramantici, mentre si dice che il bolognese Romano Prodi fosse assiduo frequentatore di sedute spiritiche. Si dice, si narra, raccontano: tutte voci di corridoio. Eppure, quanti tra gli esponenti dei vari Governi che si sono succeduti, in maniera per lo più segreta, hanno avuto frequentazioni con il mondo dell’occulto? Difficile dirlo con certezza, così come è difficile affermare con altrettanta certezza quanti tra i politici abbiano investito in opere d’arte d’autori antichi e contemporanei per incrementare i loro introiti. Ma del resto non vi è nulla di male in tutto ciò, s’investe nell’arte così come lo si fa in borsa, sinché viene fatto nel rispetto delle leggi tutto è lecito.
Però pensiamoci, pensateci. Il mondo empio e tenebroso della Marchesa Françoise di Rochechouart de Mortemart, meglio nota come Madame de Montespan, favorita alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, non è poi così distante dal nostro: appena tre secoli lo distanziano. Ma il potere cerca sempre di restare in sella in ogni modo. E se la politica non basta, se l’economia è insufficiente, se persino la guerra si rivela inadeguata, allora altre forze si manifestano, evocate, blandite, richiamate dall’innominato abisso per la cupidigia umana, che mai si accontenta in certi casi, dell’amore, del bene e della bellezza.
tratto da "Il Giornale" 23 Giugno 2024
La genesi, l'ingresso, le voragini e l'iconografia Un saggio svela i dettagli dell'antro di Satana
di Alessandro Gnocchi
Si fa presto a dire «va' all'Inferno». Bisogna trovare l'ingresso, superare il seno di Abramo o Campi Elisi, trovare un varco attraverso il Purgatorio e infine raggiungere il centro della Terra. Alt. L'Inferno infatti potrebbe coincidere con il Sole. Oppure essere sospeso nei cieli con vista sul Regno. E poi quale ingresso? La bocca dei vulcani, come da antica credenza popolare, o un antro o una voragine? In che modo si scende: con una scala o con i gradini? Bisogna poi affrontare le schiere dei diavoli. Difficile evitarli. Gli ex angeli ribelli sono 47.168.616. Li ha contati Giovanni Maria Bonardo, autore del trattato La grandezza et larghezza et distanza di tutte le sfere (1563; dal 1584 commentato da Luigi Groto, importante umanista). Se riuscite a passare, vi attende una lunga camminata: l'Inferno misura 7875 miglia di circonferenza, con diametro di 2505,5. Satana vi attende in fondo anche in senso etimologico: la parola «inferno» indica ciò che sta più in basso. Dovreste riconoscerlo: è quello a forma di dragone che sputa fiamme oppure quello incatenato che bestemmia oppure il signore oscuro assiso su un trono blasfemo. Nel caso tornaste a riveder le stelle e vi venisse la tentazione di raggiungere il Paradiso, preparatevi a viaggiare per 1.799.953.758,25 miglia (in chilometri: 3.333.246.167).
Queste e altre suggestive informazioni sono contenute nel saggio di Matteo Al Kalak intitolato Fuoco e fiamme. Storia e geografia dell'inferno (Einaudi, pagg. 270, euro 25). Al Kalak, docente di Storia moderna all'università di Modena, aveva pubblicato, nel 2021, un altro libro sorprendente, Mangiare Dio. Una storia dell'eucarestia (2021). Lo studioso si concentra in particolare sull'Inferno cristiano in tutte le sue declinazioni: letterarie, artistiche e teologiche. Un modello internazionale è la Divina commedia di Dante Alighieri, cristallizzazione e insieme superamento delle idee medievali. Nell'iconografia rinascimentale, Le Grand Saint Michel di Raffaello si impone come termine di paragone, visto il suo successo. Raffaello isola il momento nel quale san Michele schiaccia il dragone. L'Inferno, appena abbozzato, è raffigurato come un antro pronto a richiudersi sul diavolo per sempre. Esistono anche opere che sfuggono all'influenza di Raffaello. Domenico Beccafumi mette in scena la battaglia nei cieli, con gli spiriti degli sconfitti che precipitano in una voragine infuocata. Anche Giorgio Vasari affrontò il tema, riducendo però i contendenti: sette angeli in posa guerriera, agli ordini di Michele; e sette ribelli guidati da Satana. Il numero allude ai peccati capitali e alla loro punizione.
Questa idea dell'Inferno, nato dalla caduta del diavolo, inghiottito dalla Terra, nasce da un equivoco. La fonte infatti è l'Apocalisse. Giovanni descrive una battaglia nei cieli tra una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, e un drago rosso con sette teste e dieci corna. La donna è incinta e partorisce un bimbo. Il neonato fugge in cielo, la madre si allontana nel deserto. A questo punto, Michele attacca e sconfigge la bestia, che precipita a terra. Giovanni prende spunto dalle immagini infernali della tradizione giudaica. Ma probabilmente voleva rappresentare lo scontro tra la vera chiesa di Cristo e le eresie. Il passo però era troppo invitante, e divenne subito la storia del diavolo ribelle (il dragone) abbattuto da Michele. La Terra si ritrae e Satana sprofonda, dando vita all'Inferno.
C'è poi il versante teologico, piuttosto complesso. Rinviando al saggio per i dettagli, qui notiamo alcune cose. Il peccato di Satana è variamente descritto ma in sostanza consiste in un orgoglio così forte da spingere a una ribellione già sconfitta in partenza. Ma Satana può decidere e sceglie l'impossibile battaglia. Il diavolo perseguita gli uomini perché non può sopportare che Dio abbia preferito incarnarsi in una creatura insignificante. Ecco spiegata la presenza del Male nella storia. La Chiesa ha sempre insistito sulla realtà concreta e non metaforica dell'Inferno. Ecco spiegata l'esigenza di descriverlo. La voragine risponde a un duplice scopo: spaventare il fedele ma anche mantenerlo sulla retta via. La struttura dell'Inferno riflette l'andamento del dibattito: quello della Controriforma è diverso da quello medievale; quello illuministico e moderno è una risposta a quello uscito dal Concilio di Trento. La dannazione assume contorni più sfumati fino a sparire del tutto, secondo la famosa immagine dell'Inferno totalmente vuoto di Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Il punto è l'amore infinito di Dio e non il suo spirito vendicativo. Abbiamo ancora paura dell'Inferno? Indagini, risalenti al 2009, dimostrano che la prigione eterna è temuta dal 41,8 per cento degli italiani. E dire che la nostra società sembra infastidita dal solo parlare di Bene e Male con la maiuscola. Ci siamo già assolti senza bisogno del prete. Figuriamoci se possiamo credere all'Inferno... Eppure molti temono ancora il signore oscuro. D'altronde, l'oscurità ce l'abbiamo nel cuore e dobbiamo lottare per non perderci del tutto.
L'Inferno è anche lo specchio di ciò che ci fa paura dentro e fuori di noi. Sarà vuoto ma resta la libertà, forse la tentazione, di coltivare il male e autoconfinarsi nell'antro eterno, dove le fiamme e il ghiaccio tormentano le anime di chi ha scelto di negare la speranza.
di Cavaliere Vermiglio
Sono stato al labirinto della Masone. Il complesso è costida un labirinto di bambù più un edificio in stile egizio. L'uscita del labirinto è costituita da un passaggio sotto una piramide. Nel piano superiore della piramide c'è una sala con un labirinto disegnato sul pavimento il cui centro corrisponde al vertice della piramide. L'insieme ha un orientamento est-ovest. In uno dei pannelli era riportata la frase di Franco Maria Ricci in cui dichiarava che la piramide non fosse massonica, ma cattolica. Sarà stato così nelle intenzioni dell'ideatore, però mi è sembrato di essere in un luogo magico in cui l'unione di due potenti simboli come il labirinto e la piramide potesse aprire altre realtà. Peccato per l'affollamento.
Sarebbe interessante una visita notturna al labirinto, in modo che silenzio e buio possano far nascere un senso di smarrimento ben più evidente rispetto ad una visita alla luce con altre persone. Senso di smarrimento che alluderebbe al senso di smarrimento dell'anima di fronte a Dio.