tratto da Il Giornale del 24 luglio 2014
Pubblicato anche in italiano il libro dell'architetto francese che spiega come progettare le abitazioni in armonia con le forze della natura. Grazie alle conoscenze interdisciplinari degli antichi
di redazione
Finalmente pubblicata in italiano la «summa»
dell'antica sapienza del costruire in armonia con le energie della
terra e dello spazio. Dai dolmen ai templi egizi, dall'arte medievale a
Palladio, il libro «L'archiettura invisibile» (Georges Prat, Edizioni
DBS Zanetti, 36 euro) è un viaggio nella storia dell'architettura che
svela i segreti di una vita più sana.
C'è infatti un'architettura invisibile
celata dietro alcune tra le più celebri opere create dall'uomo nel corso
della sua storia. Ed è questa architettura a rendere tali opere luoghi
«speciali, energetici», centri in cui mistero e misticismo si
intrecciano e permeano ogni pietra. Da Stonehenge a Carnac, dalla
cattedrale di Chartres al complesso templare di Luxor, da
Mont-Saint-Michel al tempietto palladiano di Villa Barbaro a Maser: ecco
alcuni dei capolavori di uomini vissuti in secoli diversi e lontani per
cultura, luoghi di provenienza e lingua ma uniti dalla comune
conoscenza di un sapere antico.
Lo racconta, dati alla mano, il
francese Georges Prat: poliedrica figura di architetto, urbanista le cui
decennali ricerche nel campo della radioestesia e della geobiologia
hanno dato vita a una collana di pubblicazioni che ha avuto grande
successo in Francia e in altri Paesi d'Europa.
Il primo di questi
volumi, «L'architettura invisibile» è stato pubblicato in francese nel
1999, è ora disponibile in italiano, pubblicato dall'Associazione Avalon
nelle Edizioni DBS Zanetti. L'impaginazione e la traduzione, a cura di
Anna Maria Amabile e Alessia Martinazzo, riprendono in modo fedele
l'opera originaria e sono stati seguiti dallo stesso Prat.
L'opera
aiuta a capire perché - dall'antichità ad oggi - furono scelti proprio
certi luoghi e non altri per la costruzione di alcuni monumenti e perché
venne dato loro un determinato orientamento o una certa forma. Sono
interrogativi la cui risposta si traduce oggi in supporto per la scelta
dei luoghi e dei modi in cui costruire. Essere consapevoli di queste
informazioni significa - spiega Prat - recuperare conoscenze
remotissime, riscoperte dopo l'oblio degli ultimi quattro secoli. Non
solo: significa soprattutto realizzare edifici sani, in armonia con le
forze dell'ambiente in cui si trovano e capaci di trasmettere benessere a
chi li vive.
Afferma Prat nell'introduzione: «L'essere umano è un
microcosmo, un piccolissimo campo spazio-temporale al centro di un
gigantesco macrocosmo di cui subisce le influenze. L'uomo è immerso in
un campo di energie che provengono dalla Terra e dallo Spazio.
L'equilibrio di questi irraggiamenti determina la sua salute, mentre le
perturbazioni prodotte dal sottosuolo del nostro pianeta generano degli
squilibri e degli stati di debolezza favorevoli all'insorgenza di
malattie».
Dobbiamo ricordare, secondo Prat, che certe proporzioni
regolano l'intero universo: la crescita di un essere umano e lo sviluppo
di una pianta come le distanze tra i pianeti. Queste nozioni erano
conosciute dagli antichi che - dimostra Prat - seppero utilizzarle
coniugandole ad astrologia, matematica e geobiologica per riconoscere le
energie cosmotelluriche e usarle per curare fisicamente gli uomini ed
elevarli spiritualmente.
Il volume, 336 pagine a colori e copertina
cartonata, si apre con un'introduzione al mondo delle energie sottili
applicate sia all'uomo che al pianeta terra (geobiologia). Dopo aver
ricordato alcune tradizioni orientali da sempre attente a questo
aspetto, Prat riporta anche le ricerche più significative di alcuni
scienziati e medici occidentali (Kirlian, Bovis, Hartmann...) dedicate
all'ambito energetico e vibratorio.
Queste conoscenze sono però solo
il punto di partenza di un'indagine originale e appassionata, che
rilegge sotto nuova luce numerosissimi luoghi, religiosi e non,
appartenenti a epoche e culture diverse (menhir, chromlech,
allineamenti, dolmen e calvari, ma anche piramidi, tumuli, templi,
santuari buddisti, sinagoghe, moschee e chiese romaniche e ogivali), di
ciascuno dei quali l'autore ci fornisce accurati rilievi geobiologici.
Attraverso di essi Prat dimostra come l'edificazione dei luoghi
altamente energetici sparsi su tutto il globo (siano essi dei semplici
menhir o delle maestose cattedrali gotiche) sia sempre sorretta da
un'architettura invisibile. Ciò significa che gli antichi sapevano
rilevare ed utilizzare le energie telluriche (potenziate talvolta da
tracciati regolatori basati sul numero aureo) a beneficio del popolo o
dei fedeli.
Ma quali sono queste energie che l'autore ci invita a riconoscere nei luoghi vibratori?
In primo luogo l'irraggiamento sulla superficie terrestre delle reti
dei metalli: dai più abbondanti come il nichel (rete Hartmann) e il
ferro (rete Curry) ai più preziosi come l'oro, portatori ciascuno di
effetti nocivi o curativi per l'uomo. Ma anche l'interferenza dovuta a
faglie e correnti d'acqua sotterranee, la presenza di «camini
cosmotellurici» e l'esistenza di flussi sacri che collegano vari luoghi
di culto tra loro. L'appendice all'edizione italiana infine è dedicata
all'opera di Andrea Palladio ed è corredata dai rilievi geobiologici di
vari palazzi e chiese di Venezia e Vicenza.
Nell'architettura sacra
nulla è lasciato ai capricci del caso, ci insegna Georges Prat. Gli
antichi costruttori sapevano come armonizzare le energie provenienti dal
sottosuolo e quelle venute dal cosmo al fine di elevare spiritualmente
l'umanità.
A noi uomini e donne del presente non resta che riscoprire l'antica saggezza, anche grazie a quest'opera.
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
Visualizzazione post con etichetta architettura esoterica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta architettura esoterica. Mostra tutti i post
sabato 2 agosto 2014
Dai dolmen a Palladio, i segreti (ancora utilissimi) dell'architettura invisibile
Etichette:
architettura,
architettura esoterica,
architettura sacra,
Carnac,
cattedrale di Chartres,
dolmen,
Georges Prat,
Luxor,
Mont-Saint-Michel,
palladio,
rete Curry,
rete Hartmann,
Stonehenge,
venezia,
Vicenza
domenica 30 marzo 2014
Napoli: misteriosi segni sulla pietra
tratto da "L'Opinone" del 13 marzo 2014
di Achille Della Ragione
Già sotto i Normanni e poi durante i regni di Svevi, Angioini ed Aragonesi, giunsero in città, dal nord Europa prima e poi dalla Francia e dalla Spagna, artigiani organizzati in confraternite sul modello franco templare. Essi erano particolarmente abili nel sagomare il piperno, pietra molto dura, adoperata in genere per la pavimentazione stradale e per ricavare portali e soglie di balconi. Già in epoca tardo romana si erano costituite delle corporazioni di maestri pipernieri che tramandavano i “segreti dell’arte” solo a pochi fidati apprendisti. Nel Rinascimento erano chiamati “maste ‘e prete” e si immaginava che sapessero caricare la pietra di energia positiva. Quando si apprestavano alla costruzione di un edificio importante, oltre a porre nelle fondamenta alcune monete, come obolo per i morti, in ossequio a riti propiziatori in uso presso i Caldei ed i Greci, cercavano, sfruttando una sorta di rabdomanzia, d’identificare i punti di forza del luogo, scegliendo il più adatto per costruire.
Questa breve introduzione è necessaria per affrontare il discorso sui segni presenti sul bugnato della facciata della chiesa del Gesù Nuovo, precedentemente palazzo della nobile famiglia dei Sanseverino, edificato nel Quattrocento e, dopo sfortunate vicende della casata, ceduto all’Ordine del Gesuiti, che lo trasformarono nella splendida chiesa barocca, tra le più note della città. L’architetto Novello da San Lucano si servì di maestranze locali che crearono quella serie di piccole piramidi aggettanti verso l’esterno con il vertice puntato sull’osservatore. Queste facciate a bugnato, relativamente diffuse al nord, sono insolite nel meridione ed a Napoli ve ne son ben pochi esempi. Su quelle in esame sono presenti numerosi e strani segni incisi sulla superficie, un misterioso alfabeto con una sorta d’ideogrammi che si ripetono secondo un ritmo particolare, che fa supporre ad una chiave criptata di lettura, di recente oggetto di una suggestiva interpretazione da parte di uno studioso locale, Vincenzo De Pasquale, che ha ritenuto di identificarvi un pentagramma che si è materializzato in un concerto eseguito nella navata della stessa chiesa del Gesù Nuovo. La lettura fatta da De Pasquale parte dall’ipotesi, smentita da esperti della lingua, che i misteriosi segni non siano tracce lasciate dai cavatori per conteggiare il lavoro svolto, bensì lettere dell’aramaico, la lingua parlata da Gesù. Ad ogni segno corrisponde una nota e la facciata è un pentagramma sul quale l’architetto, Novello da San Lucano, ha scritto la sua opera musicale che, di traccia in traccia, per vie misteriose, sarebbe finita persino in un’opera di Johann Sebastian Bach.
Il concerto, re-intitolato “Enigma”, è stato suonato dall’organista ungherese LorentRez ma sarebbe stato scritto originariamente per strumenti a plettro. Il legame con l’Ungheria non è casuale. Novello da San Lucano andò a vivere nel Paese magiaro e lì morì, dopo aver progettato e costruito diversi edifici e aver lasciato sue tracce nella storia artistica e musicale. Alla ricerca di altri messaggi sulla pietra si è mosso da tempo un appassionato medico di professione, Lucio Paolo Raineri, che ha indagato sulle mura medioevali cittadine, costruite dagli Aragonesi, a partire dal 1484, servendosi di maestranze di Cava de’ Tirreni ed utilizzando piperno proveniente dalle cave di Soccavo. La folgorazione per il riflesso di uno specchio provocato da un’insolita luce estiva gli fece scorgere i frammenti di un misterioso discorso sulle pietre scure della Torre San Michele in via Cesare Rosaroll, una fra le meglio conservate. Ha continuato le sue indagini fotografando altri segni strani su mura e torri che da via Marina arrivano fino a via Foria. Ha così fatto molte altre scoperte, alcune già note agli studiosi della Napoli segreta. “Sono quasi tutti segni lapicidi, marchi di fabbrica dei cavatori, segni di posa, di allestimento”. Per lo più si tratta di lettere dell’alfabeto, numeri o simboli astrologici ed anche una croce uncinata, segno di antica tradizione indiana (molto simili a quelli trovati anche sul bugnato della facciata del Gesù Nuovo). In altri casi, sono segni che richiamano l’alchimia o la massoneria perché le logge segrete originariamente erano composte da fratelli muratori. I segni su Torre San Michele sono stati soltanto il punto di partenza. Armato di taccuino e macchina fotografica, il medico-Indiana Jones s’è fatto tutto il percorso aragonese. “Naso all’aria – racconta – confrontandomi con le supposizioni di chi mi vedeva in giro, cominciai a rivisitare i massi di piperno di altre torri, con i soli limiti di penetrazione del mio sguardo e della loro dislocazione e accessibilità”, perché gran parte della fortificazione è ormai all’interno di palazzi privati o è stata abbattuta o è stata sommersa da superfetazioni architettoniche. L’anamnesi di Raineri è stata scrupolosa e ha partorito una relazione documentatissima nella quale si legge il resoconto delle sue esplorazioni nella metropoli dei segni che avrebbe fatto la felicità di un Roland Barthes in cerca del grado zero della testimonianza operaia.
“Niente scorsi sui massi della piccola Torre Duchesca a vico Santa Maria a Formiello – scrive – né sulla vicina Torre Sant’Anna. Porta Capuana ed il tratto di mura tra Torre Onore e Torre Gloria fu ricchissimo di reperti, visibili ad occhio nudo e ad altezza d’uomo. La stessa scarsezza di risultati l’ebbi per porta Nolana, anche se la grafia di quello che può sembrare un’intera parola sconosciuta, alla base della Torre Fede, mi ha lasciato sconcertato”.
Oltre che sulle torri aragonesi, i segni lapicidi sono presenti in Campania sull’abbazia di San Guglielmo al Goleto e sulla cattedrale di Sant’Antonino a Sant’Angelo dei Lombardi e sull’abbazia di Santa Maria di Realvalle a Scafati. Ma in una metropoli perennemente affollata e costruita su se stessa, ogni angolo racchiude un segreto, un messaggio, una pietra parlante. “L’importante è cominciare a capirne la lingua”, commenta Raineri, che, molto probabilmente, è solo quella del lavoro. Al fianco di scritte pseudocriptiche, ve ne sono altre, perfettamente leggibili, ma delle quali ci sfugge il significato, come quella che s’incontra nel porticato del chiostro dell’ex dimora dei Caracciolo, i cui locali sono stati utilizzati negli ultimi anni dai giudici di pace per i loro uffici. Cogliamo l’occasione per descrivere il mastodontico edificio che ospita la scritta, posto sull’ultimo tratto di via Tribunali, l’unico in stile tardo gotico ed unico che ricorda l’architettura catalana. L’edificio era stato disegnato dal grande architetto dell’arca funebre di re Ladislao a San Giovanni a Carbonara, Andrea Ciccione, e ne sopravvissero, come si vede, l’arco d’ingresso, il pianterreno del primo chiostro e la porta della sala di ricevimento, in origine sacello gentilizio di Sergianni e fino al diciottesimo secolo ricchissima cappella, detta “il tesoro”, dove si nominavano i nuovi magistrati del vicino tribunale. Oggi, ad abitare il complesso, è il Comune di Napoli con i suoi uffici, sezione San Lorenzo, quartiere Forcella. Al primo piano i corridoi con gli infissi in legno e le vetrate mostrano ancora il disegno ospedaliero. Qui erano ricoverate persone fino a pochi decenni fa: gli ultimi anziani pazienti ne sono usciti nel 1970.
Il Lazzaretto, sala maestosa, sgombra dai letti o dai pagliericci che si dovevano usare per appestati, malati di tifo e altri pazienti colpiti da epidemia, è un trionfo di luce. Una separazione architettonica con timpano distingue la corsia dalla sala chirurgica o gabinetto medico. Oggi, al posto dei tavoli anatomici, c’è una piccola sala conferenze su cui troneggia una lapide dedicata a Mariano Semmola. Tutta la sala del Lazzaretto è circondata a mezza altezza da una lunga balconata da cui passare cibo e rimedi ai malati con cui non si poteva entrare in contatto. Qui si curavano, tolte le epidemie, le diffusissime malattie veneree e della pelle (nel 1888 vi fu istituito un reparto dermoceltico). Pochi anni fa in questa sala, infinitamente lunga ed infinitamente alta, sessanta metri, per dieci, per sei, è stata girata una fiction dedicata al medico santo Giuseppe Moscati, interpretato da Beppe Fiorello.
Due anni fa, con la venuta a Napoli, in occasione del Napoli Teatro Festival, del grande regista spagnolo Enrique Vargas, il Lazzaretto diventò spazio teatrale, oscurato ed irriconoscibile, un lungo ventre di balena dove si avveravano visioni felliniane, gomitoli di cotone e ragnatele, morti e voci del passato e feste mobili che avvolgevano lo spettatore in un’esperienza irripetibile: un bell’esorcismo per un luogo del potere diventato luogo di sofferenza e, infine, luogo d’arte. Il bellissimo palazzo, che era stato simbolo del potere di Sergianni Caracciolo su Napoli e sulla regina Giovanna II, sede di feste e intrighi, manifesto della potenza degli uomini nuovi sulle antiche dinastie, acquistato dai frati Ospedalieri nel 1587, si trasformò in ospedale, per necessità. Giaceva in abbandono da un secolo, infiltrato da case private, tanto che le liti fra vicini produssero un morto, come testimonia la lapide minacciosa, ancora oggi presente, voluta da un diffamato, in un lato del cortile: “Dio m’arrassa da invidia canina da mali vicini, et da bugia d’homo dabbene”. Questa frase si presta a varie interpretazioni: potrebbe essere una preghiera o una delle tante invocazioni scaturite dalla filosofia dei napoletani. Viene anche citata dal Chiarini e una leggenda vuole che se i frati dell’ospedale avessero tolto la targa, il possesso della donazione sarebbe passato all’ospedale degli Incurabili.
Etichette:
Achille Della Ragione,
architettura esoterica,
enigma,
Mario Buonoconto,
misteriosi,
mistero,
napoli,
Napoli esoterica,
segni sulla pietra,
Vincenzo De Pasquale
Iscriviti a:
Post (Atom)