mercoledì 18 dicembre 2024

Del vero padre di Federico II e altri misteri del suo regno




Editore: Carthago

Pubblicazione: novembre 2024

 





Presentazione

L'imperatore Federico II non smette di affascinare, compreso per la parte di lui poco o non conosciuta. Si sa infatti che i suoi avversari hanno cercato di cancellare la sua memoria, e gli otto secoli che ci separano da lui non fanno altro che accentuare qualche dubbio. Fatti mancano. Oppure la loro veridicità è sospetta. Oppure le loro ragioni ci sfuggono. Oppure gli storici non concordano sulla loro interpretazione. E la sua vita si inserisce in un contesto storico fortemente intriso di misticismo che apriva la porta a tutte le fantasie. Per molti la fine del mondo era vicina e lo svevo era chiamato a giocarvi un ruolo di primo piano.

Ma quale esattamente? Che peso ha avuto sul suo destino Gioacchino da Fiore, lo strano teorico di questa fine annunciata? Quale influenza San Francesco d'Assisi, altro grande mistico del suo tempo? È vero che suo padre Enrico VI non lo ha mai allevato e forse nemmeno visto? Se sì, perché? Si è davvero sposato quattro volte? A cosa doveva servire Castel del Monte? È davvero morto sub flore, si è preteso di averlo rivisto dopo la sua morte?

Sono questi e altri gli enigmi che l'autore affronta. Vengono consultate le fonti, confrontate le opinioni e suggerite tracce da seguire. Con rigore, prudenza e senza preconcetti, e secondo percorsi di pensiero sempre facili da seguire.

Un libro scritto in una lingua viva dove l’umorismo non è mai lontano, e che mira, se non forse a risolvere i misteri dello Stupor Mundi, almeno a renderli perfettamente comprensibili a tutti.

e altri misteri del suo regno
Editore: Carthago
Copertina rigida: ‎ 302 pagine

pierre.baland56@gmail.com

domenica 15 dicembre 2024

Dei tre colori

 di Vito Foschi

Alcune note sui colori ripreso da un mio testo in elaborazione:

Il nero rappresenta la prima fase della trasmutazione alchemica ed è detta nigredo, rappresentando anche la materia vile su cui lavorare per trasformarla in oro.[..] Il colore rosso oltre a costituire una delle fasi del processo alchemico, la rubedo, rappresenta lo zolfo, e insieme al colore bianco, che simboleggia il mercurio e l’ultima fase del processo alchemico, l’albedo, forma una coppia di opposti la cui unione viene denominata nozze alchemiche.

[...]

La triade dei colori alchemici la ritroviamo in India associati ai tre gunas, tamas, rajas e sattva, che rappresentano le tre essenze la cui combinazione forma l’universo manifestato. Tamas è associato al colore nero e rappresenta la tenebra, la parte più pesante, la materia, la rigidità, mentre il rajas associato al rosso simboleggia l’energia, il movimento ed infine sattwa associato al bianco rappresenta la luce, la saggezza e più in generale la parti più sottili dell’universo.

domenica 8 dicembre 2024

Manuale di cartomanzia. I tarocchi di Elena Eugenia Nutu


Manuale di cartomanzia. I tarocchi
di Elena Eugenia Nutu è un libro di lettura utile per tutti coloro che desiderano capire e ampliare le proprie percezioni extrasensoriali, per chi desidera saper come si dovrebbe svolgere un corretto consulto di carte, ma soprattutto è un libro di studio per chiunque desidera imparare o perfezionare l'arte dei Tarocchi. Libro unico nel suo genere, in cui troverete tutte le informazioni necessarie su come preparare e allestire il vostro studio, su come svolgere i consulti per renderli chiari e piacevoli per entrambi le parti, su come valutare al meglio le varie situazioni che si presentano e tanto altro...

Troverete vari esercizi, le spiegazioni dei 78 arcani tutti a colori, in modo dettagliato da ogni punto di vista, e verrete guidati a capire le varie sfumature e infine anche alcuni metodi di stesura unici.

Un manuale per chi vuole imparare ad interpretare i Tarocchi dalla A alla Z. Utile per diventare cartomante, per chi lo è già, per chi vuole capire come si deve svolgere un corretto consulto di carte e come prepararsi mentalmente, fisicamente ed energeticamente.



domenica 24 novembre 2024

Libri rari e insoliti sul Mothman: un viaggio nel mistero di Point Pleasant

in collaborazione con l'auttre Simone Berni

tratto da https://www.cacciatoredilibri.com/libri-rari-e-insoliti-sul-mothman-un-viaggio-nel-mistero-di-point-pleasant/


Il Mothman, una (presunta) misteriosa creatura antropomorfa avvistata a Point Pleasant, West Virginia, tra il 1966 e il 1967, ha ispirato una vasta letteratura che spazia dall’ufologia alla narrativa horror.

Uno dei testi fondamentali sul Mothman è “The Mothman Prophecies” di John A. Keel, pubblicato per la prima volta nel 1975. Questo libro è considerato un classico del genere e ha contribuito a diffondere la leggenda del Mothman (diventando anche un film, con Richard Gere), intrecciando avvistamenti di UFO e misteri paranormali. Keel analizza gli eventi che circondano gli avvistamenti, culminando nel tragico crollo del Silver Bridge nel 1967, che portò alla morte di 46 persone. La prima edizione di questo libro è oggi molto ricercata dai collezionisti e può raggiungere prezzi elevati sul mercato dell’usato.

In Italia, il libro è stato tradotto e pubblicato solo nel 2002 da Sonzogno con lo stesso titolo in inglese ma con il sottotitolo di Voci dall’ombra, sempre sulla scia dell’omonimo film. Questa edizione ha reso accessibile al pubblico italiano le teorie di Keel, contribuendo a un crescente interesse per il fenomeno del Mothman anche oltre l’oceano.

Oltre a Keel, altri autori hanno contribuito alla letteratura sul Mothman: Gray Barker, con il suo libro “The Silver Bridge” (1970), esplora in dettaglio il legame tra gli avvistamenti del Mothman e il disastro del Silver Bridge. Questo testo è considerato un’opera cult tra gli appassionati del genere e può essere difficile da trovare in buone condizioni. Jacques Vallée, noto ufologo, ha affrontato temi simili in “Passport to Magonia” (1969), dove discute delle apparizioni di entità misteriose in contesti diversi, inclusi quelli simili a quelli del Mothman. Questi testi offrono una visione più ampia sui fenomeni UFO e la loro interazione con la cultura popolare.

Nel panorama editoriale dedicato al Mothman , ci sono anche opere rarissime che meritano attenzione: un opuscolo originale sulla costruzione del Silver Bridge, “Silver Bridge Over the Ohio River“, risalente agli anni ’30, è un pezzo da collezione molto ricercato. Presenta fotografie storiche e informazioni sul ponte che divenne famoso per la sua tragica fine.

Il fascino per il Mothman continua a crescere, alimentato da eventi come il Mothman Festival che si tiene annualmente a Point Pleasant. Durante questo festival, si svolgono conferenze e presentazioni su libri e ricerche legate al Mothman, creando un’importante rete di appassionati e studiosi.


 

venerdì 15 novembre 2024

Misteri, incontri, tragici incidenti. Il "fuoco segreto" di Julius Evola

tratto da "il Giornale" del 14 Maggio 2024

Una raccolta di testi rari e lettere mai viste illumina gli interessi del "barone": dalla pittura alla rivolta contro il mondo moderno

di Andrea Scarabelli

È l'11 giugno 1974. Nella torrida aria ferma di un pomeriggio romano, Julius Evola domanda a due persone, lì con lui, qualcosa di inaspettato: «Vestitemi e portatemi alla scrivania». La richiesta è singolare: è da giorni che, in condizioni fisiche sempre più compromesse, non si alza dal letto. Ad ogni modo, il desiderio viene esaudito. Di fronte al tavolo su cui ha scritto trenta e passa libri, il settantaseienne guarda fuori dalla finestra che dà sul Gianicolo. Appoggia le mani sulla sua Olivetti, come nel tentativo di strapparle un'ultima parola, e reclina la testa.

A mezzo secolo dalla sua scomparsa, tutti quegli studi sono ospitati nella collana Opere di Julius Evola, arricchita ora da Fuoco Segreto, la cui struttura ricalca quella dei mitici Cahiers de l'Herne di Dominique De Roux, presentandosi come una collettanea di rarità molte delle quali provenienti dagli archivi della Fondazione J. Evola introdotte da studiosi ed esperti. Risalenti a momenti e occasioni diverse, giungono tutte al cuore di quello che Enzo Erra chiamava «il mistero di Evola», l'enigma di qualcuno che ha fatto di tutto per librarsi al di là della storia, salvo poi scommettere di continuo sulla storia stessa, obbedendo a un interventismo inalterato dal passare dei decenni.

Ne emergono le sfaccettature di una personalità intellettuale complessa, passata senza soluzione di continuità dal dadaismo alla filosofia, dalla metastoria alla metapolitica, dalla storia delle religioni alla critica del costume, documentate da carteggi come quello con il poeta salentino Girolamo Comi, ma anche e soprattutto dalle trentotto lettere spedite all'antroposofo Massimo Scaligero, uno dei pochissimi a cui Evola, al netto di radicali differenze, «dava del tu» da un punto di vista spirituale.

Altri scambi epistolari certificano il raggio d'azione europeo del filosofo, sempre teso ad assegnare un'apertura transnazionale alle proprie attività, «sprovincializzando» ambienti culturali spesso asfittici. Discorso che vale, in particolare, per il mondo germanico e mitteleuropeo, come si legge tra le righe trasmesse a uomini come Walter Heinrich, Wilhelm Stapel e Armin Mohler. Sono tutti legati alla cosiddetta «rivoluzione conservatrice» poi liquidata dal nazionalsocialismo, alfieri di una visione della storia «a quattro dimensioni» e di uno Stato organico allergico al liberalismo americano e al collettivismo sovietico.

Allo stesso movimento appartengono altri due pesi massimi della cultura tedesca presenti in Fuoco Segreto. Il primo è il poeta Gottfried Benn, che per la cronaca revisionò la traduzione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno, scrivendone: «Dopo aver letto questo libro, ci si sente trasformati». Il secondo è Ernst Jünger, le cui lettere evocano in realtà un clamoroso «incontro mancato», sia biografico sia intellettuale. Il Barone che poi barone non era, ma è un altro discorso e l'Anarca non si intesero mai, cosa che comunque non ci impedisce di leggere insieme opere come Il trattato del ribelle e Cavalcare la tigre, destinate a un tipo umano deciso a mantenere la propria personalità tra le «rovine» degli anni Cinquanta.

Ci sono poi i materiali artistici, risalenti tanto agli incendiari anni Venti quanto alla maturità di un ex dadaista disposto a cimentarsi in un ultimo corpo-a-corpo con la pittura, tra cui alcuni bozzetti, uno dei quali, con tanto di indicazioni cromatiche, è lo studio preparatorio di una mai realizzata «donna alchemica», da aggiungersi alle tre già note, dipinte sotto l'ascendente di Metafisica del sesso ed esposte al MART di Rovereto nel 2022, su iniziativa di Vittorio Sgarbi.

Seguono scritti inediti o rari, come due voci per la Treccani dedicate alle «apparizioni» e al «senso magico del battesimo», escluse dai curatori dell'Enciclopedia per il loro carattere eterodosso (a differenza di altre, che verranno pubblicate). Un'ulteriore chicca bibliografica è il «manifesto» della rubrica Diorama Filosofico, attiva tra il 1934 e il 1943 sulle colonne de Il Regime Fascista, messo nero su bianco da Evola ma firmato da Roberto Farinacci. Grazie all'interesse del «ras» cremonese e alla mediazione evoliana, sul quotidiano uscirono pezzi di autori come Paul Valéry, René Guénon e il già citato Gottfried Benn. Quale giornale oggi si sognerebbe di ospitare nomi del genere?

A due «capitoli tagliati» di Rivolta e agli articoli dell'introvabile rivista Domani (1956) si aggiungono due altre rarità assolute: il progetto editoriale di un'opera mai pubblicata sulla dimensione «ermetica» dell'erotismo (intitolata significativamente Eros e magia) e un breve saggio di Giovanni Caloggero, uscito nel 1971. Si tratta di uno dei primissimi testi organici sul filosofo, spedito prima della pubblicazione in visione a Evola in persona, il quale lo restituì con tagli, glosse, correzioni e aggiunte. Ebbene, in Fuoco Segreto sono riportate in anastatica proprio quelle bozze.

Molti, infine, i documenti legati al tragico incidente che il 21 giugno 1945 lo costrinse all'immobilità sino alla fine dei suoi giorni. Non solo le lettere a Heinrich, Comi e Scaligero, spedite durante la drammatica ospedalizzazione viennese, ma anche lo scambio epistolare con padre Clemente Rebora, che quando gli propose di andare a Lourdes in cerca di una grazia si sentì rispondere: «Se una grazia dovessi chiedere, sarebbe piuttosto quella di capire il senso che, in sede di spirito, ha ciò che è accaduto; ancor più, di comprendere il perché del mio continuare a vivere. L'incidente è stato come una risposta enigmatica al mio chiedere attraverso l'espormi al pericolo se alla mia vita terrena potesse essere posto un fine».

Per l'anziano filosofo era una questione essenziale. Basta leggere il diario, raccolto sempre in Fuoco Segreto, in cui Henri Hartung annota «a caldo» una serie di colloqui svoltisi a casa Evola negli anni Settanta. L'ultimo appunto si chiude con queste parole: «Gli pongo una domanda sul suo stato di salute e sul suo trauma del 1945, che gli cagionò una paralisi. La risposta è immediata: Morirò quando avrò capito la ragione profonda di quella ferita».

Era il 25 giugno 1971, tre anni prima che Evola giungesse al suo ultimo appuntamento con il destino.
Chissà che le parole mai uscite dalla sua Olivetti, nel torrido pomeriggio romano da cui siamo partiti, non fossero la risposta a questo interrogativo, enigma e chiave di volta di una vita straordinaria.







giovedì 7 novembre 2024

Storia di Karl Maria Wiligut, il Rasputin di Himmler

tratto da https://it.insideover.com/storia/karl-maria-wiligut-himmler.html del 20 giugno 2021


di Luca Gallesi

Tra gli aspetti più misteriosi del cosiddetto “esoterismo nazista” studiati da Giorgio Galli nella trilogia dedicata a questo argomento (Hitler e il nazismo magico, Rizzoli 1989, Hitler e la cultura occulta BUR 2013, Hitler e l’esoterismo, OAKS 2020), troviamo le gesta di personaggi poco considerati dalla storiografia ufficiale, che però giocarono, apparentemente, un ruolo tutt’altro che secondario nel breve periodo in cui la Germania fu governata dalla dittatura hitleriana.

Un alto ufficiale delle SS, tanto importante quanto sconosciuto, ad esempio, fu Karl Maria Wiligut, più noto come Weisthor, secondo Galli uno dei semi-sconosciuti “maestri” occulti che gestirono un grande potere dietro le quinte. Nato a Vienna nel 1866, eroe della Prima guerra mondiale, Wiligut si congeda dall’esercito austriaco col grado di colonnello, ed entra rapidamente in contatto con le più importanti associazioni esoteriche nazionaliste del tempo, come l’Edda Gesellschaft di Gorsleben e l’Ordo Novi Templi dell’abate Lanz von Liebenfels. 

Nel 1932 si trasferisce in Germania, a Monaco, dove, rafforzando i suoi legami con i circoli esoterici, conosce Heinrich Himmler, entra nelle SS e diventa rapidamente un influente membro della sua cerchia ristretta con lo pseudonimo, appunto di Karl Maria Weisthor. Uno studioso e ricercatore italiano, Marco Zagni, ha pubblicato due libri dedicati alla cultura esoterica delle SS: Gli archeologi di Himmler (Ritter) e La svastica e la runa (Mursia), dove ricorda che: “Ancora 30-35 anni fa la figura di Karl Maria Wiligut “Weisthor” era praticamente sconosciuta dagli storici e da gran parte del mondo tedesco sotto il nazismo e dalla maggioranza delle stesse SS. Si definiva uno studioso dei lati oscuri e nascosti della storia del mondo e in particolare del mondo germanico e si riteneva, come gli era stato detto nella sua famiglia, l’ultimo di una casata di re segreti e maledetti (dalla Chiesa) della Germania” . 

E maledetto, o forse solo pazzo, lo fu davvero, dato che, come risultò solo molti anni dopo, nel 1924 era stato internato nel manicomio di Salisburgo a seguito delle accuse mossegli dalla moglie, che lo aveva incolpato di avere manie occultistiche, di essere schizofrenico, megalomane, violento, e soprattutto di aver cercato di ammazzarla. Quando Himmler venne a sapere di questi trascorsi da Karl Wolff, il numero due delle SS che aveva incontrato la moglie di Weisthor, era il 1939, e il “Rasputin di Himmler” come lo chiamavano in molti, si ritirò dalla vita pubblica. Deportato, nel 1945, in un campo di concentramento alleato, fu poi rilasciato, e tornò nella cittadina di Arolsen, dove morì all’inizio del 1946. 

Pazzia a parte, Weisthor aveva davvero contribuito a creare i miti esoterici dell’Ordine nero guidato da Himmler: dopo aver partecipato a numerose spedizioni dell’Ahnenerbe alla ricerca delle vestigia dell’antica religione germanica, elaborò complesse teorie psicologiche e ipotesi storiche piuttosto stravaganti ma non del tutto prive di senso. Ad esempio, teorizzò l’esistenza di una memoria genetica, che conserva il ricordo anche dei nostri antenati, ipotesi, poi, avanzata anche da alcuni neurologi nei decenni successivi. Per quanto riguarda le sue concezioni esoterico-cosmologiche, riteneva che la storia dell’uomo e della Terra siano una perenne lotta tra energie contrapposte, che alternano fasi di civiltà ascendenti e discendenti, ipotesi confermate, secondo lui, dai risultati delle spedizioni negli antichi luoghi sacri che risultarono possedere notevoli proprietà geomantiche, ricche di questi opposti flussi energetici. 

Stramberie cosmologiche a parte, il “Rasputin di Himmler” fu davvero uno dei Maestri di cerimonia del Castello di Wewelsburg, il luogo magico citato in un articolo precedente: qui celebrava i matrimoni delle SS, e insegnava i misteri delle rune che, secondo lui, erano la chiave per svelare il segreto dell’universo, racchiuso nel rapporto armonico tra il microcosmo dell’uomo e, appunto il macrocosmo del creato. Le rune, secondo la tradizione germanica e soprattutto secondo l’interpretazione dei circoli esoterici dell’ottocento, erano la testimonianza della cultura arcaica dei popoli del Nord e le gelose custodi dei destini del mondo e degli uomini. 

Fu proprio Weisthor, inoltre, a disegnare il tristemente celebre Totenkpfring, l’anello d’argento con incisa la testa di morto che Himmler regalava a pochi eletti in occasione del genetliaco del Fuehrer, il 20 aprile, festa nazionale tedesca. Quando un possessore dell’anello moriva, il gioiello veniva riportato al Castello assieme alle ceneri del defunto, per esservi conservato in una grotta. Alla fine della guerra, gli ultimi superstiti fecero esplodere la grotta, e i macabri gioielli non furono mai ritrovati.

Gli studi di Giorgio Galli legano strettamente l’ascesa e declino di Weisthor al Generale Karl Wolff, il già menzionato vice di Himmler, che, curiosamente, non solo evitò le forche di Norimberga, ma, dopo un processo al quale presenziò in divisa e una breve condanna simbolica, venne restituito alla società come un uomo completamente libero. Wolff, secondo Galli, faceva parte del vertice esoterico nazionalsocialista, ed era al corrente delle profezie decifrate da Weisthor che vaticinavano una grande battaglia tra Oriente e Occidente, battaglia dalla quale le terre germaniche dell’Est sarebbero uscite completamente devastate. La profezia, però, non fu sufficiente a fermare la guerra, e l’Europa sarebbe stata presto ridotta a un cumulo di rovine, come, enigmaticamente, Weithor volle scritto sulla lapide che copre la sua tomba:

Unser Leben geht dahin wie ein Geschwaetz
(La nostra vita trascorre come una chiacchierata senza senso) 

venerdì 25 ottobre 2024

103 anni fa usciva “Lo Spirito dell’Universo” (Bocca 1921) di Olinto De Pretto: il libro che rischiò di riassegnare la Relatività!

in collaborazione con Simone Berni: https://www.cacciatoredilibri.com/103-anni-fa-usciva-lo-spirito-delluniverso-bocca-1921-di-olinto-de-pretto-il-libro-che-rischio-di-riassegnare-la-relativita/


Einstein e De Pretto: a chi la relatività?

 

Da sempre in molti ritengono Albert Einstein come l’unico corpo estraneo alla scienza realmente accettato dalla comunità scientifica stessa. Un’eccezione assoluta tributata obtorto collo a una delle più grandi menti della storia umana.

Lo storico della scienza Federico Di Trocchio (scomparso nel settembre del 2013), nel suo bellissimo libro Il genio incompreso (Milano, Mondadori, 1997), anni fa ne aveva tracciato un interessante profilo.

“Einstein – scrive Di Trocchio – a differenza della maggior parte degli scienziati, non attutì mai il suo anticonformismo: ascoltò sempre, e in molti casi aiutò, chi nuotava controcorrente”.

Forse il motivo di questa sua apertura era che Einstein, non provenendo dal mondo accademico, non ne seguiva pedissequamente l’ortodossia. Era un umile impiegato del celebre (“celebre” lo diverrà grazie a lui) Ufficio Brevetti di Berna, in Svizzera. Il suo ingresso nella comunità scientifica fu abbastanza repentino e inaspettato.

Con la relatività, egli è passato alla storia come l’artefice di una delle teorie che hanno rivoluzionato il concetto stesso di universo. Una teoria che da qualche anno per la verità ha cominciato a scricchiolare, ma che nei suoi principi base appare ancora ben salda, in particolar modo perché non ne è stata proposta una alternativa di pari valore. Eppure sono ormai trascorsi ben oltre cento anni dall’enunciazione di quella formula E=mc2 e più di sessanta dalla morte del suo autore.


Ma quella formula non c’era già?

Il documento, molto raro, che per un po’ ha gettato un’ombra sulla figura di Einstein è Ipotesi dell’etere nella vita dell’universo. Fu pubblicato nel 1904 negli Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, con la prefazione del celebre astronomo Giovanni Schiaparelli. A redigere quel lavoro era stato un oscuro autore (lo dice lui stesso nella presentazione) di Schio, Vicenza: Olinto De Pretto. Appena un anno più tardi, nel 1905, un altrettanto oscuro impiegato ventiseienne che lavorava presso l’Ufficio Brevetti di Berna, pubblicò un lavoro scientifico con una formula che farà storia, E=mc2. Era appunto Albert Einstein.

Il lavoro di Olinto De Pretto fu stampato in estratto a Venezia da Ferrari nello stesso anno 1904. Ma a quanto sembra nessuno volle riconoscere il valore di queste sue intuizioni e quello di De Pretto rimarrà sempre un nome sconosciuto ai più e il suo lavoro un’ombra perlopiù da respingere.

Il documento, sotto forma di estratto, ormai è introvabile perfino presso i librai antiquari; è in formato ottavo, 62 pagine, frequentemente intonso.

La sera del 16 Marzo 1921, proprio nell’anno che vedrà Einstein ricevere il premio Nobel per la fisica, De Pretto morirà in circostanze drammatiche (freddato da un colpo di pistola sparato da una donna per questioni d’interesse).

Sempre quell’anno, pochi mesi prima della sua morte, era uscito Lo spirito dell’universo (Torino, F.lli Bocca), che può essere considerato il suo testamento scientifico. Il libro in questione, ormai decisamente raro, contiene lo studio del 1904, rielaborato, e la seconda edizione dello scritto Sopra una grande forza tellurica trascurata (apparso per la prima volta nel 1914). È in formato ottavo, fa parte della Biblioteca di Scienze Moderne (n.77), 223 pagine, con tavole fuori testo sia a colori che in bianco e nero.

In copertina una maschera tribale di una civiltà non identificata, e sullo sfondo una serie di galassie a spirale. La carta dei libri di questa collana non sembra granché ed è piuttosto fragile. Se i volumi vengono trovati intonsi va prestata molta attenzione nell’aprirli, le pagine si possono lacerare con estrema facilità.

La lettura de Lo spirito dell’universo fa entrare in un mondo dalle atmosfere surreali. È un trattato scientifico, ma allo stesso tempo un testo avvincente ed emozionante come un vero e proprio romanzo d’avventura.

Eppure qualche scienziato lo ha appoggiato

Il libro di Umberto Bartocci, Albert Einstein e Olinto De Pretto: La vera storia della formula più famosa del mondo (Bologna, Andromeda, 1999) rischia di diventare ancora più raro delle opere di De Pretto. Infatti, nonostante l’editore lo abbia ristampato nel 2006, il libro è sempre da considerarsi raro. Il libro in questione fa parte della collana La storia impossibile, è un libro just in time, cioè stampato appena in tempo, in tempo per essere salvato. È un po’ il destino di quei libri che gli editori non ritengono adatti alla pubblicazione e che senza questa formula non riuscirebbero mai a vedere la luce. I manoscritti cadrebbero nel dimenticatoio, con il passare degli anni andrebbero persi in un trasloco o per colpa di qualche parente distratto.

Vengono i brividi a pensare a quanti romanzi, a quanti saggi o a quanti lavori scientifici è stato negato anche il semplice venire alla luce. Di certo la storia è stata scritta anche da mani sconosciute, delle quali a volte non è rimasta la benché minima traccia. Ed è quanto mai eccitante seguire queste orme misteriose.

In un prossimo futuro – e può suonare quasi come una beffa – il libro di Bartocci potrebbe essere conteso da bibliofili alla ricerca di testi originali e profetici, testi che non hanno segnato un’epoca al momento della loro silenziosa uscita, ma l’hanno fatto a posteriori, in quanto anticipatori di verità divenute tali solo in futuro, talvolta a distanza di molti anni. Per questo motivo lo conservo gelosamente. È una semplice brossura editoriale in ottavo, con la copertina nera su tutti i lati. Il volto di Einstein e il fungo atomico che campeggiano sul fronte sono due simboli molto chiari del concetto espresso dalla formula più famosa del mondo.

Prima di quel libro Bartocci aveva tentato – inutilmente – di far accettare per la pubblicazione un lavoro a quattro mani, con Marco Mamone Capria sullo stesso argomento. La rivista scientifica alla quale aveva indirizzato il manoscritto lo rifiutò, in maniera cortese ma inappellabile. Tutte queste difficoltà derivano dalla responsabilità che si porta dietro il nome di Albert Einstein. Ancora troppo grande e fulgida è la sua stella per poterla offuscare senza esporsi brutalmente alle critiche dell’ortodossia scientifica. Einstein non può essere messo in discussione, non ancora, almeno. Forse un giorno nuove concezioni del mondo della fisica ridimensioneranno le sue teorie, ma al momento resta un pilastro inamovibile, poco meno che intoccabile.


“La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle”

 

Niente da fare: Olinto non c’entra con Einstein: lo dice la Scienza

Per questo motivo nessuna rivista che vuole costituire una voce degna di nota nell’ambito accademico oserebbe ospitare un intervento decisamente “contro corrente” che non sia suffragato da prove certe e inconfutabili circa un dubbio – sia pur sfumato – sulla paternità della formula più famosa del mondo. È logico che il problema, al momento attuale, non può essere presentato che a livello di congettura.

Non è ancora dimostrabile, se mai lo sarà, che Albert Einstein lesse il lavoro di Olinto De Pretto e che, soprattutto, ne trasse ispirazione. Forse l’unica strada praticabile per venirne a capo è quella di concentrare le attenzioni sulla figura di Michele Besso, che era amico di Einstein e collegabile a De Pretto. Einstein, infatti, conosceva l’italiano, tenne anche delle conferenze nella nostra lingua.

La scienza sembra non volersi rendere conto che De Pretto, questo oscuro agronomo vicentino, forse ispirò il grande scienziato. Magari si tratta di elementi formali, non decisivi, dato che il concetto di etere non sembra essere applicato alla teoria della relatività, ma di sicuro la frase che compare nel lavoro di De Pretto del 1904 (un anno prima della pubblicazione di Einstein negli Annalen der Physik dei suoi due celebri lavori) è esplicativa al riguardo:

“La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. (…) La formula mv2 ci dà la forza viva e la formula mv2/8338 ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m=1 e v uguale a 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l’etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni”.

Per correttezza va riportata un’opinione di segno opposto, quella dello studioso scledense Ignazio Marchioro il quale, in un’intervista di Luca Valente su internet, afferma che la somiglianza della formula di De Pretto a quella di Einstein si deve solo a una casualità formale, complice la differente definizione tra forza viva ed energia cinetica. Afferma infatti Marchioro nell’intervista:

 “È invece ovvio che la teoria della relatività non ha nulla a che vedere con la sua intuizione: la formula assomiglia a quella famosissima di Einstein solo per una casualità formale, in quanto il De Pretto riportò la formula della forza viva valida a quel tempo, che non era non sinonimo dell’energia cinetica bensì del suo doppio. È ovvio quindi che se il De Pretto avesse inteso la formula relativa all’energia cinetica del corpo in movimento avrebbe scritto: E (energia cinetica)=mv²/2; vale a dire la nota formula di fisica classica, che è totalmente diversa dalla mc²”.

A firma dello stesso Marchioro, circa vent’anni fa è uscito I fratelli De Pretto (Schio, Tipografia Menin, 2000). Interessante e documentato lavoro sui fratelli De Pretto come imprenditori, tecnici e uomini di scienza; da non sottovalutare come pezzo raro perché stampato in appena 300 copie.


Il libro più raro: è sempre quello che che è andato perduto

Ma il libro più raro e introvabile sulla figura di Olinto De Pretto è un libro che non c’è. Nel 1931, infatti, a dieci anni dalla morte dello scienziato scledense, il fratello Silvio e il professor Giuseppe Flechia furono gli autori di uno studio sull’opera Lo spirito dell’universo, che sottoposero all’attenzione dell’astronomo Pio Emanuelli della Specola Vaticana. Racconta Bianca Mirella Bonicelli nel libro di Bartocci che del carteggio con l’Emanuelli non esistono più gli originali ma da appunti sui diari di Silvio De Pretto si evince che il responso dello studioso vaticano fosse stato negativo.

Questo scoraggiò gli autori a proseguire nella pubblicazione dello studio. Purtroppo il manoscritto originale sembra sia andato perduto. Non ci è dato sapere neppure il titolo che gli sarebbe stato attribuito.

C’è poi una commedia in tre atti di Sem Benelli, Con le stelle (Milano, Fratelli Treves, 1927) che si ispira alle teorie sull’universo di De Pretto. Il libro è una brossura in formato ottavo con una bellissima copertina futurista di Guido Marussig e si può ancora reperire sul mercato nell’edizione originale.

Un’altra opera piuttosto rara del De Pretto è Le due faglie di Schio (Roma, Tip. della Pace E. Cuggiani, 1921), interessante saggio di geologia scledense con cinque stupende tavole a colori ripiegate all’interno, tra cui una carta geologica. Piccola perla introvabile.

Stessa sorte (di introvabilità effettiva) per La via più breve fra Venezia ed il Brennero è la linea Mestre-Padova-Vicenza-Schio-Rovereto: calcolo approssimativo di costo di una ferrovia ordinaria fra Schio e Rovereto: appunti e confronti, di [Olinto De Pretto] (Schio, Tipi Prem. Manifattura etichette, 1899). Il libro è stato poi ristampato in facsimile nel 1985.


Einstein contestato? Ebbene sì!

Un curiosissimo libricino uscito nel 1923 in Francia e che si schiera dichiaratamente contro Albert Einstein e la Teoria della Relatività fu Les Hallucinations des Einsteiniens – Ou les Erreurs de Méthode chez les Physiciens-Mathématiciens (“Le allucinazioni degli einsteiniani”) di Christian Cornelissen (Paris, Librairie Scientifique Albert Blanchard, 1923).

Risulta di difficile reperibilità in quanto la tiratura fu sicuramente limitata all’indispensabile. Il libro la dice lunga su come l’ambiente scientifico accolse la teoria della relatività, soprattutto dopo il conferimento del Nobel nel 1921 al grande scienziato. Cornelissen cerca di dimostrare l’infondatezza scientifica delle teorie einsteiniane, ma con scarsi risultati.

Il suo, ad ogni modo, rimane un tentativo mirabile e di indubbia eccentricità, che in effetti ha dato luogo a un titolo assai ricercato dai collezionisti di curiosità.

martedì 15 ottobre 2024

ARTE, POLITICA E OCCULTISMO

tratto da "L'Opinione" del 07 agosto 2024


di Dalmazio Frau


I nostri padri d’età classica ben sapevano che alcuni luoghi del nostro mondo terreno sono governati da potenze sovrannaturali. Genius loci chiamavano queste entità che potevano essere benevole o nefaste nei confronti dell’uomo che si recava nel loro dominio. In realtà, anche con l’avvento del cristianesimo e persino oggi nella nostra società laica e desacralizzata, ciò non è mai cambiato. Ed ecco che, a seconda della sensibilità sottile di ciascuno di noi, più o meno spiccata, avvertiamo qualcosa di positivo o di negativo in certi luoghi o in alcuni edifici.

Ad esempio, io ho sempre avvertito uno spirito, una forza negativa nell’edificio postmoderno del Maxxi, a Roma, oppure nella Nuvola ideata da Massimiliano Fuksas, mentre sento scorrere le energie supere ancor oggi possenti e vitali in Castel Sant’Angelo o nella Basilica di San Clemente, nel suo Mitreo come nella navata centrale oppure nella sacra di San Michele in Val di Susa e in tanti altri luoghi, come il Duomo di Siena o il Tempio malatestiano a Rimini.

Suggestioni, diranno alcuni. Sensibilità e conoscenza del “mondo altro”, dico io… una sensibilità che l’uomo ha perduto sempre di più nel corso degli ultimi trecento anni. Altro fatto non trascurabile è che molti di questi luoghi, non tutti adibiti al culto cristiano, sono custodi d’opere artistiche. Musei, chiese, fortezze o semplici dimore contengono quei potentissimi catalizzatori d’energie che sono le opere d’arte. Veri e propri media tra l’uomo e il cielo o, a volte, tra l’essere umano e le forze ctonie. Queste energie, per usare un termine oggi alla moda, in realtà influenzano in maniera invisibile ma reale le persone che stanno in determinati luoghi, che ci crediate o meno. So che coloro che sono più in là con gli anni stanno riportando alla loro memoria, mentre leggono, le immagini inquietanti in bianco e nero dello sceneggiato tivù Belfagor-Il fantasma del Louvre di quando eravamo bambini, e non sarebbero tanto distanti dalla realtà, che è sempre molto più estesa di quella che giace sotto i nostri sensi materiali.

Persino edifici storici come il Quirinale o Palazzo Chigi non sono esenti dall’essere “dominio” di simili energie che ancora oggi si muovono lungo quei corridoi suggerendo, ispirando, spingendo e inclinando chi li occupa, spesso in maniera del tutto inconsapevole, a compiere determinate scelte piuttosto che altre. Sarebbe interessante scoprire quanti “spettri”, quante fantasime e quanto “démoni” si aggirano per le sale dei nostri palazzi istituzionali, senza neanche il favore delle tenebre, perché ad attrarli basta la cattiva volontà umana e magari qualcosa di antico, gravido di pulsioni basse quali l’odio, il rancore e l’avidità.

Cose da Ghostbusters all’amatriciana? O da Zaffiro e Acciaio de noantri. Ma giochiamo per un istante a credere nel sovrannaturale, soltanto per pochi minuti, tanto è un gioco ferragostano. E se certe decisioni politiche particolarmente discutibili, certe affermazioni inopportune rilasciate alla stampa con le relative polemiche, fossero dovute all’influsso preternaturale di forze oscure? Lo so che voi siete laici e illuministi – non tutti per fortuna – e fedeli alla buonanima di Piero Angela credete nella scienza materialista, ma un dubbio non vi ha mai solleticato? Vi ha mai sfiorato il terrore assoluto della “controra”? Non avete mai sentito un brivido diaccio scorrervi lungo la schiena laddove non c’era nessuno e comunque faceva un bel caldo estivo?

Chiamavano Belzebù, tra il serio e il faceto, un uomo di valore intellettivo e culturale altissimo come Giulio Andreotti e il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, da buon partenopeo, ricorreva a gesti scaramantici, mentre si dice che il bolognese Romano Prodi fosse assiduo frequentatore di sedute spiritiche. Si dice, si narra, raccontano: tutte voci di corridoio. Eppure, quanti tra gli esponenti dei vari Governi che si sono succeduti, in maniera per lo più segreta, hanno avuto frequentazioni con il mondo dell’occulto? Difficile dirlo con certezza, così come è difficile affermare con altrettanta certezza quanti tra i politici abbiano investito in opere d’arte d’autori antichi e contemporanei per incrementare i loro introiti. Ma del resto non vi è nulla di male in tutto ciò, s’investe nell’arte così come lo si fa in borsa, sinché viene fatto nel rispetto delle leggi tutto è lecito.

Però pensiamoci, pensateci. Il mondo empio e tenebroso della Marchesa Françoise di Rochechouart de Mortemart, meglio nota come Madame de Montespan, favorita alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, non è poi così distante dal nostro: appena tre secoli lo distanziano. Ma il potere cerca sempre di restare in sella in ogni modo. E se la politica non basta, se l’economia è insufficiente, se persino la guerra si rivela inadeguata, allora altre forze si manifestano, evocate, blandite, richiamate dall’innominato abisso per la cupidigia umana, che mai si accontenta in certi casi, dell’amore, del bene e della bellezza.

domenica 6 ottobre 2024

La lunga caccia al Santo Graal. Da Artù ai Nazisti

tratto da "Il Giornale" del  17 Marzo 2024

Matthias Egeler ricostruisce nel dettaglio una avventura, letteraria e non solo, che attraversa l’Europa da più di ottocento

di Matteo Sacchi

La ricerca del Santo Graal è un’avventura intellettuale, e non solo intellettuale, che dura almeno da ottocento anni. La mitica coppa dell’Ultima cena, in cui poi sarebbe stato raccolto il sangue fuoriuscito dal costato del Cristo, è al centro di una lunghissima rielaborazione letteraria. Si trova all’incrocio di miti e credenze che provengono da ambiti culturali diversissimi, spaziano dai Celti al mondo protocristiano e che poi si “arrampicano” lungo il Medioevo, passando attraverso i deliri di onnipotenza nazisti per approdare sino al presente e ai film di Indiana Jones. Questa storia lunghissima viene raccontata da Matthias Egeler, esperto di filologia dell’università di Monaco, in Il Santo Graal, saggio pubblicato in Italia per i tipi del Mulino (pagg. 132, euro 15). Egeler si muove a partire dal punto fermo in cui il Graal entra nella letteratura. La coppa - anche se all’inizio proprio una coppa non sembra essere - è strettamente correlata alla letteratura arturiana, alla materia di Bretagna. Per la precisione al Percival di Chrétien de Troyes. In questo poema incompiuto scritto tra il 1175 e il 1190 il Graal compare in associazione con una complessa parata allegorica e una lancia magica. Una lancia che potrebbe essere identificata con la mitica lancia di Longino, il centurione romano che avrebbe trafitto il costato di Cristo. La presunta lancia venne ritrovata durante la Prima crociata, nel 1098. E il Percival venne commissionato a Chrétien da Filippo di Fiandra che stava per partecipare alla terza spedizione in Terra Santa. Eppure leggendo il testo il Graal (la parola potrebbe provenire dal latino gradalis che indicava più un piatto fondo che una coppa) sembra assomigliare a molti calderoni delle leggende celtiche e anche la lancia facilmente rimanda ad avventure delle culture precristiane come Preiddeu Annwn (in cimrico, «il bottino dell’aldilà»). Insomma, perché il Graal diventi quello che tutti abbiamo in mente bisogna attendere almeno l’intervento del poeta borgognone Robert de Boron, parliamo dei primi del XIII secolo, con il suo romanzo in versi Giuseppe d’Arimatea. Con questo romanzo de Boron scrive virtualmente un nuovo vangelo apocrifo, utilizzando principalmente materiale della Bibbia e del Vangelo di Nicodemo. Ma per l’idea della coppa usata per raccogliere il sangue di Cristo crocifisso non è facile capire dove de Boron abbia preso l’ispirazione. Bisogna spostarsi in epoca e area carolingia per trovare codici, come il Salterio di Utrecht, in cui compaiano illustrazioni di personaggi che raccolgono il sangue di Cristo. Il risultato è una narrazione così potente da trasformarsi in una credenza che attraversa i secoli. Ci sono ancora molti visitatori, ad esempio, che si recano a Glastonbury, nell’Inghilterra meridionale. Una leggenda locale racconta che nei giorni immediatamente successivi alla Crocifissione di Gesù, Giuseppe d’Arimatea portò il Graal dalla Terra Santa in Inghilterra. Di là arrivò infine a Glastonbury, e quando ebbe scalato la ripida collina che oggi si chiama Wirrall Hill, conficcò il suo bastone nel terreno e disse (per qualche oscura ragione in inglese): «Are we not weary all» («Non siamo tutti stanchi»). Da allora la collina sarebbe chiamata «Weary-all (Wirrall) Hill». Il bastone mise le radici, germogliò rami e foglie e sarebbe diventato il progenitore del biancospino che si trova ancora oggi sulla collina. I “discendenti” del biancospino di Giuseppe fioriscono due volte l’anno, di cui una a dicembre; e un ramo di questi cespugli viene inviato ogni anno alla famiglia reale britannica per abbellire la tavola della colazione di Natale. Si dice
inoltre che lo stesso Giuseppe d’Arimatea si stabilì a Glastonbury dove fondò un monastero. E il Graal stesso si troverebbe da qualche parte nella Chalice Hill («Collina del Calice») tra Glastonbury Tor e Wirrall Hill, colorando di rosso l’acqua che sgorga nel Chalice Well (Pozzo del Calice). È solo un esempio di quanto la leggenda di questa coppa si sia radicata in molti luoghi della Gran Bretagna e non solo. E allora ricostruire le radici di questi miti e i loro intrecci nei secoli, indagando le leggende celtiche da un lato e la tradizione cristiana, vangeli apocrifi compresi, dall’altro, è una sfida in cui Egeler si cimenta fornendo al lettore un sacco di interpretazioni e di spunti. Potreste scoprire, ad esempio, che il mito arturiano e del Graal è collegato
anche a una serie di luoghi in Italia, come il duomo di Modena, e che la sua diffusione nella nostra penisola resta abbastanza misteriosa, avvenuta prima ancora che si diffondessero gli scritti di Chrétien de Troyes. Ma c’è spazio anche per la modernità e per ciò che il Graal è diventato nel corso dei secoli e anche nel nostro immaginario, come dicevamo arrivando sino al cinema e a Indiana Jones. Ah, a proposito di Indiana Jones e fantasia... La smania nazista di mettere le mani sul Graal, metaforicamente e no, è un fatto e non un mito. Negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale la ricezione del mito del Graal in Germania assunse forme particolarmente eclatanti e riguardò anche i vertici dell’apparato nazista. Ad esempio l’enorme significato che il Führer attribuiva all’opera di Wagner dedicata al Graal si rifletteva anche nel suo progetto di rendere questo dramma musicale il cuore di un’imponente celebrazione dopo la vittoria finale. Ma c’erano degli antecedenti anche negli anni che precedettero lo scoppio del conflitto. Un manifesto di propaganda del 1936, per esempio, mostra Hitler come un cavaliere medievale in armatura corazzata e con in mano uno stendardo a svastica, rappresentandolo come un moderno Parsifal, cavaliere del Graal, un salvatore con sfumature religioso-mitiche. Il regime nazista utilizzò il Graal anche nell’architettura: nel castello di Wewelsburg, che fu convertito a uso delle Ss a partire dal 1934, una stanza venne chiamata «Graal» e fu allestita una sala rotonda che evocava la scenografia della prima del Parsifal del 1882.

L’impianto fu probabilmente influenzato dall’idea di costruire un nuovo castello del Graal, un’idea molto diffusa negli ambienti nazionalisti e occultisti dall’inizio del secolo. E davvero i nazisti si sono recati in ogni dove per cercare la sacra coppa, a partire da Otto Rahn. Questo non è un mito, leggere le dense pagine di Egeler per credere.


Matthias Egeler
Il Mulino 
pagg. 132
euro 15

lunedì 30 settembre 2024

Ecco le mappe per trovare il diabolico regno del Male

 tratto da "Il Giornale" 23 Giugno 2024

La genesi, l'ingresso, le voragini e l'iconografia Un saggio svela i dettagli dell'antro di Satana


di Alessandro Gnocchi


Si fa presto a dire «va' all'Inferno». Bisogna trovare l'ingresso, superare il seno di Abramo o Campi Elisi, trovare un varco attraverso il Purgatorio e infine raggiungere il centro della Terra. Alt. L'Inferno infatti potrebbe coincidere con il Sole. Oppure essere sospeso nei cieli con vista sul Regno. E poi quale ingresso? La bocca dei vulcani, come da antica credenza popolare, o un antro o una voragine? In che modo si scende: con una scala o con i gradini? Bisogna poi affrontare le schiere dei diavoli. Difficile evitarli. Gli ex angeli ribelli sono 47.168.616. Li ha contati Giovanni Maria Bonardo, autore del trattato La grandezza et larghezza et distanza di tutte le sfere (1563; dal 1584 commentato da Luigi Groto, importante umanista). Se riuscite a passare, vi attende una lunga camminata: l'Inferno misura 7875 miglia di circonferenza, con diametro di 2505,5. Satana vi attende in fondo anche in senso etimologico: la parola «inferno» indica ciò che sta più in basso. Dovreste riconoscerlo: è quello a forma di dragone che sputa fiamme oppure quello incatenato che bestemmia oppure il signore oscuro assiso su un trono blasfemo. Nel caso tornaste a riveder le stelle e vi venisse la tentazione di raggiungere il Paradiso, preparatevi a viaggiare per 1.799.953.758,25 miglia (in chilometri: 3.333.246.167).

Queste e altre suggestive informazioni sono contenute nel saggio di Matteo Al Kalak intitolato Fuoco e fiamme. Storia e geografia dell'inferno (Einaudi, pagg. 270, euro 25). Al Kalak, docente di Storia moderna all'università di Modena, aveva pubblicato, nel 2021, un altro libro sorprendente, Mangiare Dio. Una storia dell'eucarestia (2021). Lo studioso si concentra in particolare sull'Inferno cristiano in tutte le sue declinazioni: letterarie, artistiche e teologiche. Un modello internazionale è la Divina commedia di Dante Alighieri, cristallizzazione e insieme superamento delle idee medievali. Nell'iconografia rinascimentale, Le Grand Saint Michel di Raffaello si impone come termine di paragone, visto il suo successo. Raffaello isola il momento nel quale san Michele schiaccia il dragone. L'Inferno, appena abbozzato, è raffigurato come un antro pronto a richiudersi sul diavolo per sempre. Esistono anche opere che sfuggono all'influenza di Raffaello. Domenico Beccafumi mette in scena la battaglia nei cieli, con gli spiriti degli sconfitti che precipitano in una voragine infuocata. Anche Giorgio Vasari affrontò il tema, riducendo però i contendenti: sette angeli in posa guerriera, agli ordini di Michele; e sette ribelli guidati da Satana. Il numero allude ai peccati capitali e alla loro punizione.

Questa idea dell'Inferno, nato dalla caduta del diavolo, inghiottito dalla Terra, nasce da un equivoco. La fonte infatti è l'Apocalisse. Giovanni descrive una battaglia nei cieli tra una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi, e un drago rosso con sette teste e dieci corna. La donna è incinta e partorisce un bimbo. Il neonato fugge in cielo, la madre si allontana nel deserto. A questo punto, Michele attacca e sconfigge la bestia, che precipita a terra. Giovanni prende spunto dalle immagini infernali della tradizione giudaica. Ma probabilmente voleva rappresentare lo scontro tra la vera chiesa di Cristo e le eresie. Il passo però era troppo invitante, e divenne subito la storia del diavolo ribelle (il dragone) abbattuto da Michele. La Terra si ritrae e Satana sprofonda, dando vita all'Inferno.

C'è poi il versante teologico, piuttosto complesso. Rinviando al saggio per i dettagli, qui notiamo alcune cose. Il peccato di Satana è variamente descritto ma in sostanza consiste in un orgoglio così forte da spingere a una ribellione già sconfitta in partenza. Ma Satana può decidere e sceglie l'impossibile battaglia. Il diavolo perseguita gli uomini perché non può sopportare che Dio abbia preferito incarnarsi in una creatura insignificante. Ecco spiegata la presenza del Male nella storia. La Chiesa ha sempre insistito sulla realtà concreta e non metaforica dell'Inferno. Ecco spiegata l'esigenza di descriverlo. La voragine risponde a un duplice scopo: spaventare il fedele ma anche mantenerlo sulla retta via. La struttura dell'Inferno riflette l'andamento del dibattito: quello della Controriforma è diverso da quello medievale; quello illuministico e moderno è una risposta a quello uscito dal Concilio di Trento. La dannazione assume contorni più sfumati fino a sparire del tutto, secondo la famosa immagine dell'Inferno totalmente vuoto di Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Il punto è l'amore infinito di Dio e non il suo spirito vendicativo. Abbiamo ancora paura dell'Inferno? Indagini, risalenti al 2009, dimostrano che la prigione eterna è temuta dal 41,8 per cento degli italiani. E dire che la nostra società sembra infastidita dal solo parlare di Bene e Male con la maiuscola. Ci siamo già assolti senza bisogno del prete. Figuriamoci se possiamo credere all'Inferno... Eppure molti temono ancora il signore oscuro. D'altronde, l'oscurità ce l'abbiamo nel cuore e dobbiamo lottare per non perderci del tutto.

L'Inferno è anche lo specchio di ciò che ci fa paura dentro e fuori di noi. Sarà vuoto ma resta la libertà, forse la tentazione, di coltivare il male e autoconfinarsi nell'antro eterno, dove le fiamme e il ghiaccio tormentano le anime di chi ha scelto di negare la speranza.


domenica 22 settembre 2024

Il labirinto della Masone

di Cavaliere Vermiglio


Sono stato al labirinto della Masone. Il complesso è costida un labirinto di bambù più un edificio in stile egizio. L'uscita del labirinto è costituita da un passaggio sotto una piramide. Nel piano superiore della piramide c'è una sala con un labirinto disegnato sul pavimento il cui centro corrisponde al vertice della piramide. L'insieme ha un orientamento est-ovest. In uno dei pannelli era riportata la frase di Franco Maria Ricci in cui dichiarava che la piramide non fosse massonica, ma cattolica. Sarà stato così nelle intenzioni dell'ideatore, però mi è sembrato di essere in un luogo magico in cui l'unione di due potenti simboli come il labirinto e la piramide potesse aprire altre realtà. Peccato per l'affollamento.

Sarebbe interessante una visita notturna al labirinto, in modo che silenzio e buio possano far nascere un senso di smarrimento ben più evidente rispetto ad una visita alla luce con altre persone. Senso di smarrimento che alluderebbe al senso di smarrimento dell'anima di fronte a Dio.

venerdì 13 settembre 2024

ENERGIA: SI PUÒ DECIFRARE L’INVISIBILE

tratto da "L'Opinione" del 30 agosto 2024


di Francesca Romana Fantetti


Nel 2022 il Nobel per la fisica è stato assegnato ai fisici Allain Aspect, John Clauser e Antoin Zeilinger i quali hanno confermato, con i loro esperimenti sui fotoni, l’entanglement quantistico. Tutto è legato e correlato, tutte le particelle sono connesse tra loro al di là del tempo e dello spazio.

Sussiste una sorta di intelligenza invisibile in ogni particella esistente. Scientificamente si parla di “informazione quantistica”. I tre fisici, infatti, hanno fondato la “scienza della informazione quantistica”.

C’è una entità universale in ciascun essere vivente, e di conseguenza un network capace di veicolare informazioni ovunque e in modo istantaneo. Diremmo “alla velocità della luce” ma è molto più veloce della luce. Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen hanno mostrato infatti che l’entanglement appartiene alla fisica quantistica essendo altro e diverso rispetto a quanto conosciuto sino ad allora: non ha il limite della relatività.

Prima si pensava che il limite fosse la velocità della luce, che è al contrario superato grazie agli esperimenti sui fotoni che hanno dimostrato che le particelle possono ricevere informazioni in modo istantaneo anche se separate l’una dall’altra da una distanza di migliaia di chilometri.

La materia è energia (E=mc2 di Albert Einstein). Bisogna entrare nella parte energetica della materia per poterla captare, gestire, trasformare, diffondere.

In medicina è in corso da tempo il passaggio alla biofisica rispetto alla biochimica.

Ogni nostro organo emette frequenze. Tutti gli atomi sono entità che si muovono quindi hanno energia, emettono e captano energia. I nostri corpi vibrano ed emettono e captano energia, come tutto il resto della materia. Ogni essere vivente vibra e, vibrando, emana energia. Bisogna riuscire a cogliere questa energia per poterla utilizzare o anche correggere ove disarmonica (la malattia) riportandola ad armonia (alla sanità).

Ma come? Bisogna “leggere” il corpo umano tramite le onde che emette. Ci sono attualmente apparecchi di biorisonanza in grado di recuperare e leggere le frequenze d’organo ed a trasformarle, a dare input di guarigione. Ma come si fa a recuperare le frequenze? Come fa il rabdomante a recuperare le frequenze dell’acqua sotterranea? Lo fa con la mente. Il rabdomante usa la sua mente. Si può usare la mente per recuperare le frequenze. Tutte le frequenze non solo quelle dell’acqua sotterranea del rabdomante.

La nostra mente è anch’essa una entità vibrazionale. Tradizione e antichi sapienti lo hanno sempre detto e professato, insegnato. Si può entrare in relazione con la parte energetica della materia, vale a dire con la componente energetica dell’essere umano ed interagire con essa. Entrare in relazione con l’entità energetica dell’essere umano grazie alla medicina quantistica vibrazionale: si interpretano le onde elettromagnetiche a bassa frequenza emanate dall’essere umano “leggendole”. Non si capisce cosa pensi la persona ma essa emette stimoli energetici che possono essere “letti”. In medicina i conflitti spirituali sono co-fattori della malattia. Le emissioni energetiche dissonanti indicano il conflitto spirituale e dunque la malattia. Rafforzando tramite l’energia la forza di volontà della persona non sana, questa può “raddrizzare” la propria energia. La formula per ottenere guarigione ma anche salute e benessere, gioia, felicità, ricchezza, qualsiasi cosa si desideri è l’intenzione. L’intenzione è semplicemente un comando mente-cervello. La mente e il cervello ampliano lo stato di coscienza. Mente e cervello entrano in quella che è la vibrazione universale, captano dei segnali e li inviano. La nostra mente è una radio ricetrasmittente che bisogna solo imparare ad usare.

“Fare tacere la mente” come dicono molti illuminati, il vuoto mentale è difficilmente raggiungibile. È più facile metterci qualcos’altro nella mente. È proprio la nostra forza di volontà che ci permette di far fare alla mente un altro lavoro emettendo pensieri diversi e azioni positive.

La telepatia? Non è altro che entanglement quantistico. La nostra mente fa parte di una vibrazione universale che è una realtà scientifica. La meditazione? Si prende la mente e la si manda da qualche altra parte distogliendola dai pensieri che la assillano.

Siamo fatti di materia, cioè di energia temporaneamente addensata, in altre parole di elettroni. Si possono “leggere” le forme d’onda che emettiamo, anche a distanza. Possiamo cogliere e codificare l’invisibile.

domenica 8 settembre 2024

AVIATION YES -13 OTTOBRE 2024 – VALLE DEI TEMPLI POMEZIA (ROMA)

 AVIATION YES -13 OTTOBRE 2024 – VALLE DEI TEMPLI POMEZIA (ROMA)


AI NASTRI DI PARTENZA LA KERMESSE “AVIATION YES- AEROSPAZIO E AVIAZIONE” CON BEN 10 MOSTRE STATICHE INTERNAZIONALI SUL TEMA E 2 TAVOLE ROTONDE CON PERSONALITA’ DEL SETTORE. Info evento www.aviationyes.com


AVIATION YES nel 2024  si supera e avrà in esposizione per il pubblico ben 10 Mostre statiche internazionali legate all’ Aerospazio e Aviazione  ma come dice la stessa Organizzatrice la nota manager e ricercatrice Francesca Bittarello titolare della Lux-Co Edizioni che organizza l’evento “ Già per questo 2024 è un grande successo avere 10 mostre Statiche di prestigio internazionale ad Aviation yes che il pubblico potrà ammirare e per il 2025 potrei superarmi e arrivare addirittura a 20 Mostre Internazionali del settore ma il problema è di spazio dovrò avere a disposizione più spazi logistici  ma ci penserò dopo l’evento di questo anno  a pianificare il prossimo che probabilmente sarà nella stagione primaverile “

Aviation Yes 2024 è l’unico evento in Italia dove la partecipazione come ospiti è diretta  alle Istituzioni ed Enti civili e militari e Associazioni  legate all’ Aviazione e all’ Aerospazio dove l’Entrata per il pubblico è Gratuita siano studenti o neofiti o appassionati. La presenza nutrita di media  ed addetti ai lavori è sempre garantita.

Il successo di questa formula organizzativa è ormai consolidato e  a un mese dall’ evento sono presenti Patrocini di rilievo quali “l’ Alto Consiglio della Regione Lazio” e presente anche il Patrocinio del “Comune di Pomezia” dove si svolge l’Evento e dell’ “Aero Club D’Italia”. L’evento si svolge al chiuso in una ampia e  multimediale  Sala congressi con ben 3 maxi schermi che si trovano al piano terra con annesso patio esterno e per questa  Edizione 2024 oltre al piano terra e al patio esterno  sarà disponibile anche la sala al piano superiore in modo tale da allargare la Location dell’evento. La Location dell’evento  si trova a Pomezia un punto strategico a pochi km da Roma e Latina  e i Castelli Romani e l’Aeroporto Militare di Pratica di Mare e ed è costituita da Sale Congressi moderne e multimediali all’ interno del Simon Hotel.

Presenti gadget vari  per il pubblico e cartolina commemorativa 2024 che sarà distribuita gratuitamente il giorno dell’evento.

Aviation Yes è organizzato dalla dott.ssa Francesca Bittarello con la sua azienda LUX-CO EDIZIONI (info: www.luxcoedizioni.com).

La Lux-Co Edizioni ha una apposita pagina dedicata nel sito web della Regione Lazio  nella sezione Aerospazio dove viene presentato anche l’evento  Aviation Yes 2024 (link: https://www.lazioinnova.it/community/azienda/lux-co-edizioni/ ).


Il sito web competitivo e dinamico dell’evento internazionale AVIATION YES  è www.aviationyes.com e sarà aggiornato con le partecipazioni e news all’edizione 2024 sino all’evento stesso.


INFO ORGANIZZAZIONE : FRANCESCA BITTARELLO – CELL. 3294218323 – FRANCESCABITTARELLO@AVIATIONYES.COM                                                                              


francescabittarello@luxcoedizioni.com
francescabittarello@aviationyes.com
www.luxcoedizioni.com
www.aviationyes.com
cell./whatsapp: +39 329.4218323

giovedì 22 agosto 2024

La prima edizione del libro sullo Spiritismo di Allan Kardec (1884)

in collaborazione con Simone Berni: https://www.cacciatoredilibri.com/la-prima-edizione-di-questo-libro-sullo-spiritismo-di-allan-kardec-1884/


Che cosa è lo Spiritismo?: introduzione alla conoscenza del mondo invisibile per mezzo delle manifestazioni spiritiche, contenente il riassunto dei principii della Dottrina spiritica e la risposta alle principali obbiezioni, di Allan Kardec; traduzione italiana di Giovanni Hoffmann (Torino, UTET, 1884).


Prima traduzione italiana di “Qu’est-ce que le Spiritisme“, inizialmente pubblicata in Francia nel 1859. Questo libro contiene una sintesi dei principi della dottrina spiritica e le risposte alle principali obiezioni. Allan Kardec, o Alan Kardec, vero nome Hippolyte Léon Denizard Rivail, nato il 3 ottobre 1804 e morto il 31 marzo 1869, è stato un educatore francese, fondatore della filosofia spirituale o spiritismo. È generalmente soprannominato il “codificatore dello spiritismo”. La copia qui presa ad esempio dell’edizione conserva la bellissima copertina originale della casa editrice.


Allan Kardec: L’architetto dello Spiritismo

Tutto comincia in una Francia turbolenta del XIX secolo, quando un pedagogista e filosofo, di nome Hippolyte Léon Denizard Rivail, notevolemente stimato nell’ambito educativo, si immerge nelle acque non esplorate dello spiritismo. Alla gente comune, Rivail è meglio conosciuto come Allan Kardec, il pseudonimo che adotta nel suo percorso di scoperta dello spiritismo.

Kardec nasce a Lione il 3 ottobre 1804 e, fin dalla giovane età, abbraccia la disciplina pedagogica sotto la guida del celebre Johann Heinrich Pestalozzi in Svizzera. Con il passare degli anni, diventa non solo un estimatore, ma anche un importante collaboratore di Pestalozzi, contribuendo alla riforma dell’educazione in Francia e Germania.

Tuttavia, la vera passione di Allan Kardec nasce nel 1854, quando prende forma il suo interesse per lo spiritismo. In un’epoca in cui la maggior parte delle persone accetta ciecamente la spiegazione del magnetismo animale per i fenomeni di spiriti, Kardec pensa diversamente. Ritiene infatti che questa interpretazione sia insoddisfacente e inizia a lavorare su una propria teoria.

Dedicando gli ultimi anni della sua vita alla sistematizzazione dello spiritismo, Kardec si distingue per il suo straordinario impegno nel cercare di elaborare un sistema di pensiero in cui le manifestazioni spirituali potessero contribuire alla trasformazione sociale e morale dell’umanità.

Il suo lavoro culmina in una serie di componimenti, che diventano ben presto la pietra angolare della filosofia spiritista. L’opera principale, conosciuta come “Il Libro degli Spiriti“, fornisce una spiegazione strutturata e pertinente degli enigmi dello spirito e del mondo invisibile che ci circonda.

Ma chi era l’uomo dietro il pedagogista? Il 6 febbraio 1832, si unisce in matrimonio con Amélie Gabrielle Boudet. Insieme, condividono non solo una vita, ma anche la passione per l’insegnamento e l’educazione. La coppia fonda un negozio pedagogico a Parigi simile a quello di Yverdon.

Dal punto di vista professionale, Kardec è un uomo di molti talenti. Traduttore, educatore, filosofo e, infine, il codificatore dello spiritismo. Tuttavia, al di sopra di tutto, è un uomo con una visione e un obiettivo: portare una trasformazione nel modo in cui l’umanità percepisce il divino e l’invisibile.

Allan Kardec muore il 31 marzo 1869, ma il suo lascito supera la sua morte. Oggi, è ricordato come il fondatore dello spiritismo, una dottrina che ha avuto un impatto enorme su un’ampia gamma di discipline, dalla filosofia alla medicina, e continua a farlo.

venerdì 9 agosto 2024

I dolori, le messe nere, i tribunali speciali: cosa fu l'Affare dei Veleni del Re Sole

tratto da "Il Giornale" del 3 Ottobre 2023

Avvelenamenti, omicidi, messe nere. Sono questi gli elementi inquietanti di uno degli scandali più terribili della Storia, capace di macchiare in modo indelebile il regno di Luigi XIV, gettando ombre sinistre perfino sui personaggi più in vista alla corte di Versailles

di Francesca Rossi


L’Affare dei Veleni (1679-1682) è una di quelle pagine del passato agghiaccianti che, pur essendo di grande interesse storico, di solito non vengono studiate a scuola. Eppure, oltre a essere uno scandalo senza precedenti alla corte di Luigi XIV, poiché coinvolse diversi membri altolocati della corte, fece emergere tutte le debolezze del mondo dorato creato dal Re Sole per controllare i nobili francesi. In un certo senso l’Affare dei Veleni fu un fallimento politico e personale del sovrano.


Prima dell’inizio: la morte di Enrichetta d’Inghilterra

Nella primavera del 1670 Enrichetta Anna d’Inghilterra (1644-1670), cognata di Luigi XIV (aveva sposato il fratello del Re, Filippo duca d’Orléans), iniziò a lamentarsi a causa di strani dolori al fianco. Con il passare del tempo questi fastidi si estesero all’apparato digerente, tanto da renderle molto difficile mangiare. Il 29 giugno di quell’anno, dicono gli storici, durante il suo soggiorno a Saint Cloud, Enrichetta bevve un bicchiere d’acqua di cicoria fredda.

Non sappiamo se e in che misura quest’ultimo dettaglio abbia influito o meno su ciò che accadde subito dopo, ma è bene tenerlo a mente. Dopo aver bevuto, infatti, la cognata del Re si sentì malissimo. Sosteneva di avere dolori al fianco ed era convinta che qualcuno l’avesse avvelenata. I medici di corte tentarono di curarla, ma non vi fu niente da fare: Enrichetta morì il 30 giugno 1670. Tra i cortigiani si mormorava che fosse stata assassinata dal Cavaliere di Lorena, amante del duca d’Orléans e, per questo, nemico giurato della duchessa, che era riuscita anche a farlo esiliare per un periodo. I dubbi e i pettegolezzi non si indebolirono neppure quando l’autopsia rivelò che la morte era da imputare a una gastroenterite.

Stando alle ricostruzioni il Re Sole avrebbe interrogato di persona il maggiordomo del fratello, il quale gli avrebbe rivelato che Enrichetta era stata davvero avvelenata dal cavaliere di Lorena. Benché quest’ultimo avesse un movente molto forte, non possiamo dire con certezza che avvelenò Enrichetta d’Inghilterra. Anzi, non possiamo affatto sostenere che la duchessa fu uccisa. Secondo gli studi più recenti la cognata del Re potrebbe essere morta di peritonite. C’è anche chi sostiene che fosse malata da molto tempo. Perché, allora, Enrichetta gridò di essere stata avvelenata? Potrebbe essere stata una semplice suggestione. La nobildonna sapeva di avere dei nemici e di doversi guardare le spalle.

Anche i cortigiani insistettero sulla tesi dell’avvelenamento, ma non certo perché avessero delle prove. In quell’epoca, infatti, non era raro che invidie, gelosie, vendette venissero risolte, “aiutate”, per così dire, dall’omicidio. Dall’avvelenamento in particolare. Forse la morte di Enrichetta d’Inghilterra non ha nulla a che vedere con tutto questo, ma rende bene il clima sospettoso, di pericolo di quegli anni e per questo può essere una specie di preludio a quello che accadde tra il 1679 e il 1682.


Il Vaso di Pandora

Paradossalmente fu una morte accidentale e non un avvelenamento ad aprire il Vaso di Pandora. Il 31 luglio 1672, infatti, l’avventuriero appassionato di alchimia Jean Baptiste Godin de Sainte Croix morì nel suo laboratorio, forse a causa di un esperimento malriuscito. L’uomo aveva così tanti debiti che i suoi creditori chiesero un inventario dei beni, sperando di riuscire a recuperare il loro denaro. Tra i suoi oggetti venne trovato uno scrigno di pelle rossa accompagnato da un biglietto su cui era stato scritto: “Da aprire solo in caso di morte precedente a quella della marchesa”.

Gli ispettori incaricati dell’inventario scoprirono che l’aristocratica a cui si riferiva Saint Croix era Marie Madeleine d’Aubray, marchesa di Brinvilliers. Nel cofanetto, infatti, erano custodite delle lettera inviate da quest’ultima all’alchimista, di cui era amante. Ma la scoperta vera fu un’altra: in quelle missive la marchesa ammetteva di aver ucciso il padre, due fratelli con l’acqua tofana, per prendersi la loro eredità. Non solo: accanto alle lettere vi era anche una fiala di veleno.

Marie Madeleine, condannata in contumacia nel 1673 e braccata dalla polizia, fuggì in Inghilterra, ma poi decise di nascondersi in un convento di Liegi nel 1673 (all’epoca non c’era estradizione nei luoghi di culto). Servì a poco. Nel 1676 venne catturata con uno stratagemma, torturata e decapitata il 16 luglio 1676. Era stato Saint Croix a insegnare alla marchesa "l’arte dei veleni", da lui appresa durante la sua reclusione alla Bastiglia, quando si era ritrovato in cella con un italiano esperto in materia, un certo Exili.

Forse questa vicenda non avrebbe avuto grande eco se la Brinvilliers, prima di morire, non avesse confessato di non essere la sola a fare commercio di veleni. La marchesa affermò che molti erano coinvolti, perfino persone dalla reputazione apparentemente immacolata. Il Re Sole, turbato da quanto accaduto e ben consapevole del fatto che nel suo regno il veleno fosse un’arma usata con eccessiva frequenza, decise di aprire un’inchiesta, affidata al luogotenente generale di polizia Gabriel Nicolas de la Reynie. Ciò che l’uomo scoprì è a dir poco tremendo.


Veleni e messe nere

Nel gennaio del 1679 le indagini arrivarono a una svolta con l’arresto di Marie Bosse, chiromante e nota avvelenatrice che si era vantata in pubblico di aver venduto rimedi “fatali” a molti personaggi di spicco della nobiltà francese. Prima di finire al rogo, l’8 maggio 1679, Marie fece il nome di un’altra maga, Catherine Deshayes, vedova Montvoisin, detta La Voisin (1640-1680).

Con l’arresto de La Voisin, avvenuto il 12 marzo 1679, l’Affare dei Veleni entrò in una fase cruciale: la donna si era reinventata come chiaroveggente e ostetrica dopo la bancarotta del marito gioielliere, ma non ci aveva messo molto a capire che vendendo pozioni fatte con polvere di ossa umane e veleni i suoi guadagni sarebbero stati molto più lauti. In fondo gli uomini e le donne che la contattavano chiedevano, sostanzialmente, due cose: trovare l’amore, essere ricchi e potenti. E per farlo erano disposti a “rimuovere” qualunque tipo di ostacoli.

Poco importava se la persona che volevano conquistare era già sposata, se il denaro che pretendevano apparteneva ai loro genitori, se la posizione che bramavano era già stata conquistata da un altro. Nessuno avrebbe avuto sospetti se un genitore avaro avesse reso l’anima prima del tempo, o un rivale in amore fosse morto in circostanze apparentemente naturali. In fondo poteva capitare. Questi erano i macabri, terrificanti ragionamenti della Deshayes e delle persone che si rivolgevano a lei.

La perquisizione in casa de La Voisin aggiunse altro orrore a quello già visto e ascoltato da La Reynie: i poliziotti vi trovarono un forno crematorio dove sarebbero stati bruciati dei feti dopo gli aborti condotti clandestinamente proprio dalla “maga”. Dagli interrogatori venne fuori che la Deshayes aveva amicizie tra loschi personaggi che per anni avevano organizzato delle messe nere, durante le quali venivano sacrificati dei neonati. La donna venne condannata al rogo in Piazza de Gréve, dove morì il 22 febbraio 1680.


Accuse alla favorita del Re

Il Re Sole, deluso, furioso, incredulo di fronte allo scandalo, istituì un tribunale speciale, la Camera Ardente (il nome venne scelto per via delle torce che illuminavano la sala), che lavorò al caso dall’aprile 1679 al luglio 1682. La Camera Ardente nacque per tentare di mantenere il più possibile la riservatezza sull’Affare dei Veleni, dato il rango di molti degli accusati. Dopo tre anni, però, Luigi XIV ordinò, di punto in bianco, di chiudere l’inchiesta. Il motivo di tanta fretta era semplice: la viglia di Catherine Deshayes, Marguerite, aveva fatto il nome della marchesa De Montespan, all’epoca favorita del Re.

La donna si sarebbe rivolta molte volte a La Voisin, chiedendole di organizzare messe nere, con tanto di sacrifici umani, che le “assicurassero” l’amore del sovrano. Quando la Montespan capì che il regale amante cominciava a stancarsi di lei, avrebbe addirittura tramato con la “maga” per ucciderlo. Luigi XIV venne anche a sapere che la sua favorita lo avrebbe drogato con un afrodisiaco. Disgustato, cercò un modo per allontanarla da sé e, nello stesso tempo, proteggerla dal processo. Del resto rimaneva la madre dei suoi figli. Le accuse contro di lei avrebbero potuto danneggiare irreparabilmente la monarchia.

Il Re Sole fece bruciare i documenti che riportavano il nome della sua amante (non sapendo che la Reynie aveva fatto delle copie), ma non la perdonò mai. La Montespan cadde in disgrazia, ma non pagò per i suoi presunti crimini. Nel 1691 si ritirò in convento e morì il 27 maggio 1707.


La fine dell’intrigo

La Camera Ardente ascoltò 442 imputati, emise 319 ordini di cattura, 36 condanne a morte e 30 verdetti di assoluzione. Per la politica di Luigi XIV l’Affare dei Veleni fu un fallimento, perché dimostrò l’incapacità del Re di controllare quella stessa nobiltà che aveva tramato contro di lui all’epoca delle Fronte, quando aveva solo 10 anni. Non era riuscito davvero ad asservirla al potere assoluto. Nemmeno la gabbia dorata che aveva creato per i nobili a Versailles, residenza in cui la corte si trasferì nel 1682, in concomitanza con la fine ufficiale dell'Affare dei Veleni, cambiò la situazione.

Versailles, con i suoi riti immutabili, la sue gerarchie e i privilegi tanto ambiti assecondò, in un certo senso, la brama dei cortigiani più malvagi e disonesti, continuando a "istigarli" nella ricerca spasmodica di titoli, favori, ricchezze e potere a qualunque prezzo.

martedì 30 luglio 2024

XIV TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA



E’ stato indetto il XIV TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA per il miglior racconto di ambientazione fantasy, in memoria di Fabrizio Frattari, a cura dell’Associazione Culturale “LA CENTVRIA” e del sito “LA ZONA MORTA” con la collaborazione dell’Associazione “A Campanassa” di Savona e della manifestazione “Savona International Model Show 2025”.

In giuria: Davide Longoni (autore di “Mercuzio e l’erede al trono – Livello 0”), Donato Altomare (plurivincitore del Premio Italia, del Premio Urania e del Premio Vegetti, presidente del World SF Italia, scrittore di innumerevoli romanzi, tra cui il recente “Wormhole” scritto con Umberto Guidoni), Filippo Radogna (giornalista, saggista e scrittore, due volte vincitore del Premio Italia e del Premio Vegetti con l’antologia di racconti “L’enigma di Pitagora e altre storie”), Fabio Calabrese (scrittore e saggista, appassionato di tutto il genere fantastico) e Valentino Sergi (direttore di Officina Meningi e autore pluripremiato di GDR e Librogame), da esperti appassionati del settore dell’Associazione “La Centuria”, dai soci dell’Associazione “A Campanassa” e da autori di giochi.

Premi: 1° classificato 150 euro, 2° classificato 100 euro, 3° classificato 50 euro in buono-libri, 4° e 5° classificato medaglia e attestato di merito. I primi 5 racconti classificati inoltre verranno pubblicati: nell’antologia “La Zona Morta – Archivi” pubblicata dalle Edizioni Scudo, sui siti internet de “La Centuria” e “La Zona Morta”, nonché sulla brochure cartacea ufficiale dedicata alla “Savona International Model Show” prossima ventura. I primi 3 classificati verranno inoltre omaggiati dell’iscrizione gratuita alla “World SF Italia” per l’anno 2025.

Ai cinque finalisti infine verrà dato in omaggio un libro offerto dalle Edizioni Il Foglio Letterario.

Inviare i racconti in formato .rft o .txt a tutti e tre gli indirizzi di seguito riportati: associazione@lacenturia.it, longdav@libero.it e letteratura@dark-chronicles.eu entro il 20 dicembre 2024.

La quota di partecipazione è pari a euro 8,00 da versarsi tramite ricarica/accredito su Carta PostePay n. 4023 6010 1023 7691 intestata a Davide Longoni.

Per visualizzare il bando completo:

http://www.lazonamorta.it/lazonamorta2/?p=72557.





mercoledì 24 luglio 2024

“IL GOLEM” DI GUSTAV MEYRINK: IN CERCA DELLA PRIMA EDIZIONE ITALIANA (CAMPITELLI, 1926)

in collaborazione con l'autore Simone Berni

tratto da: https://www.cacciatoredilibri.com/il-golem-di-gustav-meyrink-in-cerca-della-prima-edizione-italiana-campitelli-1926/

Il Golem di Gustav Meyrink

La creazione del mito del Golem è un fenomeno che affonda le sue radici nella tradizione ebraica e nella cultura ebraica medievale dell’Europa centrale. Il Golem è una figura di argilla animata, una sorta di creatura umanoide che agisce come un servitore obbediente al volere del suo creatore. Questa figura mitica ha ispirato numerosi racconti, opere teatrali e romanzi (nonché film), ma l’opera di Gustav Meyrink intitolata “Der Golem” è considerata una delle più importanti e influenti.

Il romanzo di Meyrink, pubblicato nel 1915, narra la storia di Athanasius Pernath, un gemmologo e restauratore di gioielli che vive nel quartiere ebraico di Praga. La trama si svolge alla fine del XIX secolo e si intreccia con leggende, riferimenti alla Kabbalah, misteri egiziani e pensieri teosofici indiani. Il protagonista è un uomo alla ricerca della propria identità, tormentato dai ricordi oscuri del suo passato e dalla presenza misteriosa del Golem.

Il romanzo è suddiviso in venti capitoli che raccontano una storia intricata e labirintica, piena di personaggi misteriosi e connessioni sottili. Meyrink esplora tematiche come la dualità dell’essere umano, la ricerca dell’identità, la magia e l’occulto. Il quartiere ebraico di Praga diventa un vero e proprio personaggio aggiunto, un labirinto simbolico in cui i personaggi si muovono, svelando segreti e intrecciando le loro storie.

L’opera di Meyrink ha avuto un impatto significativo sulla cultura dell’epoca. Il romanzo è stato lodato per la sua scrittura suggestiva e visionaria, che ha affascinato i lettori dell’epoca. “Der Golem” è stato considerato un classico della letteratura fantastica e ha contribuito a consolidare il mito del Golem come una figura iconica nella cultura popolare.

Il romanzo di Meyrink ha avuto diverse edizioni nel corso degli anni. La prima pubblicazione avvenne a puntate sulla rivista “Die Weißen Blätter” tra il dicembre 1913 e l’agosto 1914, mentre la prima edizione in formato libro è stata pubblicata nel 1915. Da allora, “Der Golem” è stato ristampato e tradotto in numerose lingue, consolidando la sua posizione come uno dei classici della letteratura fantastica.

Le implicazioni culturali del romanzo vanno oltre la semplice narrazione di una vicenda fantastica. Meyrink esplora tematiche complesse legate all’identità, alla psicologia umana e alla ricerca del sé. Inoltre, molti critici vedono in “Der Golem” riflessi delle preoccupazioni sociali e politiche dell’epoca, come l’antisemitismo e l’alienazione sociale.

“Der Golem” ha giocato un ruolo significativo nella genesi del mito del Golem e ha avuto un impatto duraturo sulla cultura dell’epoca. Il romanzo ha affascinato i lettori con la sua trama intricata e le sue tematiche complesse, e ha contribuito a consolidare il Golem come una figura iconica nella letteratura fantastica. Le numerose edizioni e traduzioni del romanzo testimoniano la sua importanza e il suo status di classico della letteratura fantastica.


L’edizione italiana di Franco Campitelli

L’opera – a 11 anni dall’uscita della prima edizione in tedesco – fu stampata a Foligno dalla celebre Stamperia di Franco Campitelli, erede di una dinastia di stampatori locali, nel 1926. Ci rammenta tristemente Domenico Cammarota che il traduttore e curatore dell’edizione, Enrico Rocca, futurista, redattore di “Roma Futurista” e poi de “L’Impero“, germanista e critico letterario, di origini ebraiche (come era del resto lo stesso Meyrink), si suicidò durante il rastrellamento tedesco del Ghetto di Roma (ottobre 1943), per sfuggire alle SS che gli davano la caccia.

Con gli anni Il Golem in prima edizione si è fatto sempre più raro ed esercita ancora un comprensibile fascino per la sua storia e per il mito millenario che tramanda. Il Golem uscì in due volumi, il primo propedeutico ed il secondo che rappresenta il romanzo vero e proprio. La seconda edizione apparirà molto più tardi (1966) per Bompiani nella celebre collana I Pesanervi; seguiranno le edizioni Club degli Editori (1973) e ancora Bompiani (1977, 1988, 1989 ed altre). Con la scadenza dei diritti dell’autore il libro è poi stato ristampato più volte da vari editori negli ultimi vent’anni.


La storica (e Reale) Stamperia Campitelli di Foligno

La dinastia dei Campitelli, nota famiglia di tipografi editori, ha lasciato un importante impronta nella storia di Foligno per ben 241 anni, dal 1694 al 1935. Fondata da Niccolò Campitelli, la stamperia passò di padre in figlio secondo un preciso ordine e periodo di attività.

Niccolò fu il primo a trasferirsi a Foligno, proveniente da Macerata, e fondò la prima sede della stamperia al Trivio, nell’angolo tra gli odierni corso Cavour e via Garibaldi. Si narra che i Campitelli fossero i detentori del celebre “torchio della Divina Commedia“, con il quale fu stampata a Foligno nel 1472 la prima edizione del poema di Dante Alighieri.

Nel 1697, Niccolò stipulò un contratto di collaborazione con Pompeo Campana, suo genero, ma le stampe continuarono ad essere pubblicate unicamente “Per Niccolò Campitelli“. Nel 1720, alla morte di Niccolò, i beni e la prospera “Tipografia camerale ed episcopale” vennero ereditati dai figli Feliciano e Filippo, che ottennero anche il titolo di “stampatori accademici” per l’Accademia Fuiginia della città.

Sotto la gestione di Feliciano e Filippo, le stampe venivano prodotte con la dicitura “Per Feliciano e Filippo Campitelli” e questo si protrasse fino alla morte di Filippo nel 1765. Da quel momento in poi, Feliciano rimase l’unico responsabile dell’azienda fino al 1780, quando passò il testimone a suo figlio Giambattista.

Giambattista ottenne nel 1782 il titolo di “stampatore pubblico” dal comune di Foligno, prendendo il posto di Giovanni Tomassini, un concorrente originario di Pesaro ma diventato genero ed erede di Campana. Nel 1811, Giambattista ottenne anche il brevetto ufficiale di tipografo dal governo napoleonico. Curiosamente, non utilizzò mai il suo nome sulle stampe, preferendo sempre l’indicazione “Per Feliciano Campitelli“. Durante il periodo della dominazione francese compariva anche la dicitura “Per il cittadino Feliciano Campitelli, stampatore nazionale“.

A partire dal 1780, il nome del gestore-proprietario non fu più considerato e sia la tipografia che le stampe continuarono a portare il nome di “Feliciano Campitelli” fino al 1920, quando comparve invece il nome “Franco Campitelli editore“. Nella prima metà del XIX secolo, la tipografia dei Campitelli fu messa alla prova dalla concorrenza di Giovanni Tomassini, che aveva preso il titolo di “stampatore pubblico e vescovile”. Tuttavia, nella seconda metà del secolo, grazie a Francesco Bocci, l’azienda tornò alla prosperità.


 Celebri alcuni tesori del Novecento

Nei primi trent’anni del XX secolo dai torchi di Campitelli uscirono opere oggi assai ricercate, come ad esempio Architettura Futurista di Virgilio Marchi (1924), l’Opera completa di Umberto Boccioni (1927) o La danza di Frine di Antonio Galeazzo Galeazzi (1923). Ma anche: Poeti allo specchio di Luciano Folgore (1926), i Fioretti di Sancto Francesco (1923), Futurismo e fascismo di F. T. Marinetti (1924), Le forze umane di Benedetta Cappa (1924) e La maschera mobile di Anton Giulio Bragaglia (1926) e ancora Canti per le chiese vuote di Paolo Buzzi (1930). La lista potrebbe continuare a lungo.

giovedì 11 luglio 2024

Le alchimie della musica fra rock e occultismo

tratto da "Il Giornale" del 2 Febbraio 2024

"Led Zeppelin esoterici" è un percorso attraverso le sperimentazioni della cultura underground

di Seba Pezzani

Si dice che Robert Johnson, uno dei padri del blues del Delta, abbia venduto l'anima al diavolo a un crocicchio, nei pressi di Clarksdale, Mississippi, pur di diventare un grande musicista. E che, così facendo, abbia aperto la via alla musica moderna e, in ultima analisi, allo stesso rock'n'roll, da sempre associato a riti orfici e orgiastici e a una pericolosa propensione agli eccessi, nella ricerca ossessiva «della conoscenza di sé attraverso un'intensa comprensione della soggettività personale», come scrive Ezio Albrile, autore di Led Zeppelin esoterici (Mimesis, pagg. 203, euro 16).

Forse un titolo come «Esoterismo e Led Zeppelin» sarebbe stato più consono, in considerazione del fatto che Led Zeppelin esoterici traccia una minuziosa storia del pensiero occulto, inserendo non pochi riferimenti al percorso della celebre band inglese, senza metterla al centro della narrazione. Ciò detto, consiglio il saggio di Ezio Albrile a chiunque sia interessato a un'infarinatura più che esauriente in materia. Scritto con relativa semplicità - trattandosi di argomenti particolarmente impegnativi, la parola facile non può essere di casa - il libro offre numerosi spunti di approfondimento, oltre a un punto di vista interessante sulle tematiche escatologiche che affiorano nei testi e nelle atmosfere delle canzoni dei Led Zeppelin.

D'altra parte, la «cultura underground, nata dalla crasi di musica ed uso di sostanze psicoattive, generalmente nota come cultura psichedelica, si è subito caratterizzata come foriera di una spiritualità alternativa». E non è una novità che l'alternanza tra luce e tenebra e il conflitto tra bene e male - in ultima analisi, il peccato originale stesso - siano da sempre il soffio vitale dell'arte in ogni sua forma.

È alla fascinazione dell'arte per l'esoterismo che l'autore dedica attenzione, non prima di aver tracciato un erudito percorso della sua storia, dalle origini fin quasi ai giorni nostri. Tra le pagine spuntano nomi celebri quali lo scrittore inglese Aldous Huxley, il regista canadese David Cronenberg, il romanziere tedesco Herman Hesse, il narratore statunitense Theodore Dreiser e, ovviamente, i Led Zeppelin come pure altre band celebri: i Beatles, i Pink Floyd, i Jefferson Airplane e i Grateful Dead. La loro «musica è in definitiva una esperienza interiore», un'emozione che coinvolge «simultaneamente, sincronicamente, cuore e mente».

Uno dei momenti cardine nella parabola del rock'n'roll fu il viaggio mistico dei Beatles in India, con il soggiorno nell'ashram del Maharishi Yogi, esperienza che generò un'onda musicalmente sincretica attraverso cui le giovani generazioni in Occidente entrarono in contatto e poi in sintonia con la cultura orientale. John Coltrane e Jimi Hendrix fecero il resto, senza naturalmente dimenticare il ruolo attivo delle droghe. D'altro canto, i «peculiari effetti psichici delle sostanze enteogene consistono in una radicale revulsione del piano di coscienza... Visioni fantastiche, ispiratrici a volte di una beatitudine tra le più sublimi, a volte di un terrore tra i più profondi». L'uso di sostanze in grado di alterare la percezione e di far viaggiare la mente in altre dimensioni è da sempre legato a una certa ritualità religiosa.

Jimmy Page, soprattutto in gioventù, è stato affascinato da una figura come quella del discusso Aleister Crowley (il principe degli occultisti inglesi) e ha spesso pescato a piene mani dallo stagno nero del suo pensiero. Basterebbe prendere spunto dal brano di Jake Holmes, Dazed and Confused, rivisitato dai Led Zeppelin sul loro primo disco, una trasposizione in musica del disorientamento dell'individuo «di fronte al proprio isolamento», in una dimensione estranea. Ma è con la celebre Stairway to Heaven che l'appropriazione da parte di Jimmy Page e Robert Plant di una simbologia carica di mistero e di occulto fa la propria comparsa. C'è chi vi avrebbe addirittura individuato alcune frasi sibilline, ascoltando il disco al contrario. Secondo altri, la frase «sometimes words have two meanings» (a volte le parole hanno due significati) sarebbe un'indicazione aperta della duplicità di ogni cosa.

Quel che è certo è che, almeno in questa canzone, l'inclinazione
orgiastica-dionisiaca lascia spazio a una sete di elevazione spirituale che al tempo univa un'intera generazione, malgrado qualcuno abbia riconosciuto nella «Grande Bestia» Crowley la figura del pifferaio che «ci guiderà verso la saggezza».





venerdì 5 luglio 2024

Il pomo della conoscenza delle Scienze Ermetiche

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/pomo-della-conoscenza/


Considerazioni per chi vuole conoscere sé stesso e le Scienze Ermetiche. Ovvero l’offerta del pomo della conoscenza


Probabilmente sto diventando un vecchio barbagianni (o gufo se preferite), forse mi sono perso nella mia ignoranza e nelle mie ricerche, sta di fatto che inizio a soffrire di una violenta forma di idiosincrasia nei confronti dei saccenti sapientoni della rete e non solo. Il problema non sono gli eruditi senza cuore, almeno loro hanno qualcosa da dire. Il casus belli sono i furbetti o peggio gli inconsapevoli ed “incoscienti” portatori di verità preconfezionate o vendute loro attraverso un paio di dvd e libricini. Avvicinarsi allo studio delle Scienze Ermetiche senza il giusto entusiasmo, umiltà e voglia di conoscenza è come voler costruire un reattore nucleare avendo cambiato solo una lampadina in vita propria ed ignorando qualunque legge della fisica. Avvicinarsi in questo modo è come scegliere al posto del pomo della conoscenza una mela marcia. È vero che nel nostro paese esiste una forma di denigrazione verso tutto ciò che appare “diverso” dai buonismi degli “studi” ordinari e che non esiste una qualche forma di percorso formativo al di là delle scuole iniziatiche (anche su alcune di queste molto ci sarebbe da dire), ma è anche vero che nulla osta a chi si avvicina a certi studi di informarsi e tutelarsi, prima di lanciarsi nel vuoto senza aver verificato di avere un paracadute.

Questi movimenti che definirei degenerativi, in realtà spesso nascono da buone intenzioni: dal desiderio o anelito di conoscenza di sé stessi prima e del mondo poi. La strada della conoscenza non è facile e se non si è disposti a lavorare, faticare e vivere il fallimento è meglio affidarsi alla fede in una qualunque religione rivelata, alle verità politiche o alla fede in una squadra di calcio. Ed ecco prendendo spunto proprio dal calcio il rischio è quello di diventare degli ultras degli hooligans il cui scopo è solo quello di far danni. I Maestri, quelli veri, spesso sono inconsapevoli di esserlo, altre volte indicano la strada e la percorrono con chi ha sete cercando di trovare la giusta bevanda per l’assetato e non di propinare a tutti i costi la loro. Più che consegnare una verità, i Maestri, insegnano un mestiere e forniscono degli strumenti per poter lavorare. Il vero Traditor gioisce se e quando un suo “studente” ottiene risultati superiori o migliori dei suoi, non tiene nulla di nascosto, al massimo si limita ad aspettare il giusto tempo per trasferire. Soprattutto chi è sulla via prima di tutto trasmette vibrazioni ed amore, trasmettere energie e desiderio.

Al desiderio deve seguire la volontà, volere osare potere tacere sono i quattro elementi di una architettura della conoscenza antica. Tornerò su questi quattro elementi, per ora sono solo indicativi di parte del lavoro da svolgere. Lavoro che deve seguire le proprie inclinazioni personali da un lato e il tentativo di far propria la comprensione non solo dei fenomeni ma anche e soprattutto di quanto vi è all’origine ed attorno, come ad esempio la storia, la letteratura, la scienza e la filosofia.

Quello che viene implicitamente chiesto a chi si avvicina alle Scienze Ermetiche e che molti sapientoni ignorano è di diventare Filosofo nel senso più autentico della parola.

In ultimo, oltre a ricordare la necessaria prudenza a chi si avvicina a certi studi è doveroso sottolineare come la colpa, se di colpa si può parlare, è di quanti sono autenticamente filosofi o in qualche modo avviati sulla Via e restano chiusi nelle loro torri d’avorio anziché provare ad offrire il pomo della conoscenza.

       Gioia – Salute – Prosperità