Tratto da "Il Giornale" del 31 dicembre 2010
di Matteo Sacchi
Milano - Armonia, proporzione. Quel qualcosa che consente a
una forma, a un oggetto o ad un essere vivente, di espletare al meglio le sue
funzioni e, perché no, di avvicinarsi il più possibile all’ideale della
bellezza. Quella bellezza che l’occhio percepisce istintivamente e il cervello
fa così fatica a trasformare in concetto razionale e replicabile.
Ecco quello che gli uomini, in qualità di artefici, cercano
da sempre e che la natura, ed eventualmente il suo Grande architetto, portano
nascosto dentro di sé. E così per secoli, anzi per millenni, si è scatenata la
caccia alla formula, al numero perfetto che spiegasse il meccanismo del creato,
la sua «divina proporzione». Un numero che, una volta scoperto, avrebbe
consentito di fare propria la logica creatrice che sovrintende al mondo come lo
conosciamo.
Così gli antichi pitagorici si misero a studiare le
proprietà del cinque e del pentagono. Così i cabalisti, prima, e gli alchimisti,
poi, si misero a studiare il rapporto tra testo sacro e numeri (in ebraico ogni
lettera equivale anche a una cifra). Senza contare i pittori-filosofi
dell’umanesimo che cercarono di trasformare un preciso rapporto numerico
conosciuto come «sezione aurea» e corrispondente a 1,618 in una sorta di metro
del mondo.
Tutte semplici leggende? Tentativi rudimentali, ben diversi
dalla scienza sperimentale contemporanea, di trovare una regola occulta in un
caotico mondo dove regola non c’è?
No. È di questi giorni la notizia che una serissima
università austriaca ha compiuto uno studio che dimostrerebbe che vive molto più
a lungo chi ha un rapporto tra pressione minima e massima pari a 1,618 (insomma
per intenderci sta gran bene chi fa 74 di minima e 120 di massima oppure chi fa
77 di minima e 125 di massima). Guarda caso proprio quel numerino che
corrisponde alle proporzioni dell’uomo leonardesco e alle ricerche che, dai
pitagorici in poi, hanno portato sino alla dottrina degli gnostici del
rinascimento. Non solo: il magico 1,618 compare nei rapporti che determinano la
struttura di molti altri esseri viventi. Tanto per dire detta la regola
logaritmica che spiega la crescita del guscio dei molluschi o delle chiocciole o
anche il modo in cui le piante «scelgono» quanti petali avere.
Abbastanza da far spalancare, metaforicamente, la bocca a
Vittorio Messori che ne ha dato notizia sul Corriere della sera, e abbastanza
per chiedersi se quel numero non sia l’impronta digitale del Deus Absconditus
che da sempre un po’ si nega un po’ si rivela all’uomo (divertendosi a lasciarlo
lì, indeciso). La questione di Dio non la risolveremo certo qui, sulla presenza
di un numero perfetto (o di più numeri magici e perfetti), invece, qualcosa si
può dire.
Il primo dato di fatto è semplice: ci sono dei rapporti
numerici che davvero identificano «qualcosa» di importante e senza i quali le
cose non funzionano. Alcuni sono nascosti ed altri no. Alcuni sono noti
dall’antichità, magari in maniera intuitiva, altri da molto meno tempo. Un
esempio abbastanza recente. La materia trova la sua «pace» sulla base del numero
otto. I chimici la chiamano regola dell’ottetto: se un atomo ha otto elettroni
nella sfera esterna smette di reagire con gli altri elementi (succede ai gas
nobili). Otto in quel contesto è il solo numero che va bene, quello che regola
la chimica, il numero dell’equilibrio. Se il neon non brucia al passaggio della
corrente lo dovete a questo.
Un esempio antico: esiste una costante matematica
conosciuta come numero di Nepero o di Eulero (per lo più approssimata a
2,71828182845905) che è fondamentale per svolgere calcoli logaritmici. Ma molto
prima che i cervelloni del Seicento e del Settecento la «scoprissero» gli
antichi greci la utilizzavano per dare proporzioni gradevoli ai templi (il
Partenone è lungo 69,5 metri e largo 30,9, dividendo la prima per la seconda si
ottiene un 2,24 periodico che era l’approssimazione antica al numero di Nepero).
Quanto al famoso 1,618 (altre parti del Partenone
rispondono alla sua proporzione) è l’unico numero noto che consente di ottenere
un rapporto fra due grandezze disuguali, «tale che la maggiore sia medio
proporzionale tra la minore e la somma delle due, mentre lo stesso rapporto
esiste anche tra la grandezza minore e la loro differenza». Non avete capito?
Bene in soldoni è un rapporto in grado di generare serie
numeriche con un preciso ordine interno. Non è misterioso il fatto che le
conchiglie decidano di crescere secondo questo schema: è semplicemente lo schema
più comodo. Crea gruppi di numeri chiamati serie di Fibonacci (dal nome del
matematico che le scoprì) che piacciono molto anche alle piante. Il numero di
petali dei fiori più comuni dal giglio alla cicoria è quasi sempre regolato da
questo schema: 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55... (e se dividete 55 per 34 e
approssimate ecco il solito 1,618 e così via). La natura lo usa perché è
armonico (una bella infiorescenza in cui i petali o i semi stanno alla giusta
distanza l’uno dall’altro) e gli uomini lo hanno copiato per creare edifici
armoniosi ma anche musica (Bach creava serie di note «alla» Fibonacci) o oggetti
(il vostro badge dell’ufficio è un’approssimazione del rettangolo aureo
costruito sul numero 1,618). Gli antichi guardando la natura ebbero l’intuizione
e la trasformarono in regola, noi continuiamo a trovare le prove che la regola
funziona anche dove non c’è la mano dell’uomo.
Se invece ci chiediamo perché proprio un determinato numero
e non un altro regola certi rapporti trovare una risposta diventa più difficile.
Seguendo Pitagora e anche i costruttori di cattedrali del medioevo (quelli del
quadrato magico per intenderci), si può però prendere atto che «tutto è numero».
Non nel senso dell’astrazione pura ma nel senso che i
numeri esprimono anche dei concetti funzionali. Altro esempio scemo? La visione
funziona bene in stereoscopia. Gli animali vedono con due occhi tranne qualche
rara eccezione (i ragni ne hanno da 2 a 12). Nessuno ha optato per una visione
basata su numeri dispari (i dispari funzionano male anche per fare le gambe e
camminarci sopra). Non se ne abbia Pitagora che li preferiva ai pari.
Nessun commento:
Posta un commento