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lunedì 20 maggio 2024

Erzsébet Bàthory: la storia oscura di una "Dracula al femminile"

tratto da "Il Giornale" del 17 ottobre 2023

Passata alla storia come la "contessa Dracula”, Erzsébet Bàthory avrebbe ucciso centinaia di donne, ma ancora oggi c’è chi mette in dubbio questa cupa versione dei fatti

di Francesca Rossi


Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la contessa Erzsébet Bàthory avrebbe assassinato tra le 100 e le 300 persone, diventando uno dei più feroci serial killer che la storia abbia mai conosciuto. Per alcuni, addirittura, le sue vittime sarebbero state più di 600, sebbene per gli storici questo numero non sia confermato. La vita della “contessa Sanguinaria” o “contessa Dracula”, come è passata alla Storia la Bàthory, è sempre stata in equilibrio tra realtà e leggenda nera e oggi c’è persino chi ritiene che la contessa possa essere finita al centro di un complotto studiato per screditare il suo nome e la sua famiglia.

La giovane Erzsébet

Un’aristocratica che fa il bagno nel sangue delle sue vittime: questa è una delle prime immagini che vengono in mente quando ci ritroviamo di fronte al nome della contessa ungherese Erzsébet Bàthory (1560-1614). Giovani donne uccise per garantire un folle ideale di eterna bellezza e giovinezza, terrore e torture che sarebbero cessati solo nel 1610, con l’arresto della nobildonna. I fatti, però, potrebbero essersi svolti in un altro modo. Erzsébet, erede di una delle dinastie protestanti più importanti e potenti della Transilvania, visse la sua giovinezza con i genitori, Anna e George Bàthory, nel castello di Čachtice, il luogo che ben presto sarebbe divenuto il teatro dei suoi presunti, efferati omicidi.

La contessa ricevette un’educazione eccellente, degna del suo rango e quando compì 11 anni il padre, come da tradizione all’epoca, la promise in matrimonio al conte Ferenc Nàdasdy, un cugino che aveva 5 più di lei. Erzsébet si trasferì nel castello del futuro sposo, dove sarebbe rimasta incinta di un servitore. Ferenc, però, avrebbe deciso di non punirla: troppo interessato alle ricchezze dei Bàthory, per nulla al mondo si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di un matrimonio così vantaggioso. Così avrebbe riversato tutta la sua rabbia sul servitore, evirato e messo a morte.

L’8 maggio 1575 Ferenc ed Erzsébet si sposarono a Varanno (oggi in Slovacchia). Dettaglio interessante: fu il marito a prendere il cognome della moglie, data la fama dei Bàthory. La coppia andò a vivere nel castello di Čachtice ed ebbe 4 figli. Ferenc era spesso assente, impegnato nelle battaglie contro i turchi. La sua ferocia e la sua audacia gli valsero il soprannome di “Cavaliere Nero d’Ungheria”. Il 4 gennaio 1604, però, morì durante uno degli scontri con l’impero ottomano. La presunta leggenda nera di Erzsébet iniziò ufficialmente da questo momento.

Sadismo e magia

Gli storici non escludono che il re Mattia II d’Ungheria (1557-1619) fosse coinvolto nella morte di Ferenc, che in qualche modo l’avesse favorita per prendersi i possedimenti dei Bàthory. In fondo, potrebbe aver pensato il sovrano, morto il Cavaliere Nero ad amministrare le ricchezze della famiglia rimaneva solo sua moglie, una donna che non aveva né esperienza, né capacità. Se davvero era questa la sua opinione, si sbagliava. Erzsébet dimostrò di saper governare il suo feudo e si alleò persino con il nipote, il principe di Transilvania Gàbor I, per muovere guerra contro Mattia II d’Ungheria.

Era diventata un personaggio pericoloso, scomodo. Da eliminare. Nei fatti, però, non era così semplice, dato il potere di Erzsébet. Bisognava trovare o, se era il caso, addirittura inventare un appiglio, qualcosa che avrebbe distrutto per sempre sia lei, sia la sua dinastia. Dal 1604 iniziarono a circolare voci inquietanti su ciò che accadeva tra le mura del castello di Čachtice. Si diceva che la contessa Bàthory praticasse la stregoneria, a cui l’avrebbe iniziata una certa Dorothea Szentes, detta Dorka. Ma questo è niente. I servitori sarebbero stati puniti in modo atroce e sadico anche per delle piccole mancanze. Inoltre continuavano a scomparire misteriosamente le ragazze più belle e giovani del luogo. Mattia II volle vederci più chiaro e avviò un’indagine sulla Bàthory.

Stando alle ricostruzioni la contessa avrebbe iniziato a compiere le sue efferatezze molto prima del 1604, forse già dal 1585. Suo marito non solo sarebbe stato a conoscenza degli atti di sadismo e degli omicidi, ma avrebbe addirittura assecondato questo comportamento deviato. Sembra, infatti, che Ferenc non fosse tanto diverso da Erzsébet, visto che i due si scambiavano per lettera “consigli” sui modi più atroci per torturare le loro vittime. Non basta: la contessa avrebbe mostrato segni di squilibrio mentale già da ragazzina, insieme all’epilessia di cui soffriva, malattie che sarebbero state molto comuni nella sua famiglia.

Il castello degli orrori

Mattia II d’Ungheria ordinò al conte György Thurzo di organizzare una spedizione al castello di Čachtice per rendersi conto di persona quanto fossero veri i sinistri pettegolezzi sulla Bàthory. Quando varcò la soglia della residenza, il 30 dicembre 1610, Thurzo si sarebbe trovato di fronte uno spettacolo raccapricciante: una serva era distesa agonizzante in giardino, un’altra ragazza forse già morta era all’interno del castello, mentre decine di altre si trovavano, ferite o moribonde, nei sotterranei. Erzsébet avrebbe accolto il suo ospite con grande disinvoltura, come se fosse tutto normale e non vedesse lo scempio che aveva compiuto.

La contessa venne arrestata e condotta a Bytca (nel Nord della Slovacchia), dove venne processata. Dato il suo rango, rifiutò di essere giudicata da una corte, ma ciò non cambiò affatto la sua sorte. La sua piccola corte venne interrogata e confessò che la Bathory avrebbe attirato nel castello molte ragazze con la scusa di un lavoro oppure, nel caso di giovani nobildonne, della possibilità di entrare a far parte del suo seguito. Una volta chiuse nella residenza per le vittime sarebbe iniziato l’inferno: i complici della contessa le avrebbero picchiate, torturate con ferri incandescenti, frustate. I loro cadaveri sarebbero stati sepolti nel parco del castello.

Qui storia e leggenda, già fortemente intrecciate, si fondono senza soluzione di continuità. Questa pazzia cruenta, infatti, avrebbe avuto uno scopo altrettanto folle e terribile: assicurare a Erzsébet Bàthory l’eterna giovinezza. Alcuni testimoni raccontarono che un giorno, mentre picchiava una delle sue domestiche, la contessa si sarebbe sporcata la mano di sangue. Mentre si ripuliva avrebbe notato che nel punto esatto in cui erano cadute le gocce la pelle pareva ringiovanita, più morbida. Un delirio assoluto che l’avrebbe spinta a farsi il bagno nel sangue delle vittime e persino a berlo. Da questo aneddoto sarebbe nato l’appellativo di “contessa Dracula”.

Rinchiusa a vita

La Bàthory evitò il processo, ma non la condanna. Il tribunale stabilì che venisse rinchiusa a vita in una delle stanze del suo castello, senza la possibilità di vedere la luce del sole. L’unico contatto tra la contessa e il mondo esterno era una fessura da cui le veniva passato il cibo. Erzsébet morì il 21 agosto 1614. Nel testamento chiese di essere sepolta nella chiesa di Čachtice, ma gli abitanti del villaggio non vollero nemmeno sentir parlare di una sepoltura in terra consacrata. Così la “contessa Sanguinaria” finì nel cimitero di Ecsed, nella zona Nord Est dell’Ungheria.

I suoi complici vennero giustiziati e le loro ceneri disperse, in modo che, come suggeriva un’antica superstizione, le loro anime non potessero riposare in pace. Tutti i beni di Erzsébet Bàthory vennero incamerati dalla Corona ungherese. Ciò impone una riflessione: la leggenda nera della contessa è reale, oppure venne inventata da Mattia II come pretesto per impossessarsi dei beni dei Bàthory? È impossibile stabilirlo con certezza, ma forse ci troviamo di fronte a uno di quei casi per cui vale il detto secondo il quale “la verità sta nel mezzo”.

Forse la contessa non fu una serial killer e il numero di vittime attribuitole venne gonfiato da un’abile campagna diffamatoria. D’altro canto, però, Erzsébet sarebbe stata tutto fuorché un angelo. La violenza cruda, la profonda malvagità che avrebbero caratterizzato la sua personalità potrebbero aver avuto origine dai disturbi mentali di cui avrebbe sempre sofferto.

La contessa, in un certo senso, avrebbe offerto il fianco a Mattia II, aiutandolo inconsapevolmente a tessere la tela che l’avrebbe imprigionata fino alla morte.

domenica 6 ottobre 2013

Demoni, streghe e case «maledette» Quel che resta della Milano esoterica

tratto da Il Giornale del 06/03/2006

Origini «occulte» anche per Palazzo Imbonati e la Torretta a Sesto San Giovanni

Enrico Groppali

Sarà una maledizione atavica o l’'ennesimo caso fortuito ma, ogni volta che ricorre l’aggettivo «esoterico», prima o poi si materializza l’eterno nemico dell’uomo. Ossia Sua Maestà Belzebù. Il quale, nella città di Sant’'Ambrogio, ha lasciato ben più che qualche rara vestigia del suo passaggio. Anche se la più sconvolgente testimonianza di un culto ereticale che confina col satanismo è oggi rintracciabile fuori porta nella sacra cinta dell’'Abbazia di Chiaravalle. Dove in una tomba (poi svuotata su richiesta dell’autorità ecclesiastica) riposavano i resti mortali di una strega. Detta la Boema o, dal suo nome di nascita, Guglielmina che un giorno approdò vestita di cenci nel capoluogo lombardo. Guglielmina, chi era costei?
Nient'’altro che una monaca eretica che verso il 1260, quando Milano era percorsa dalle orde dei Flagellanti, si staccò clamorosamente dalla Confraternita dei Disciplini della Morte, deputati ad assistere i condannati al supplizio, per fondare una setta «protofemminista» stranamente benvoluta dall’alta società ambrosiana. Nominata al suo fianco, come assistente privilegiata destinata a succederle, la nobile Manfreda (o Maifreda) Visconti che, per amore della santona, smise da un giorno all’'altro l’'abito delle Umiliate. Guglielmina, divenuta guida spirituale di nobili e borghesi, fu presto adorata come la reincarnazione di Cristo.
Ma la Boema non si limitò a ripeterne il viaggio terreno in vesti femminili. Nella sua infiammata oratoria era infatti, di volta in volta, sia il Gesù dei Vangeli che Maria di Nazareth dal momento che, giunta in Italia in compagnia di un figlioletto, a suo dire ben poteva fregiarsi dell’appellativo di Vergine e Madre. Dopo la morte (pare per cause naturali) di questa antesignana di Mamma Ebe che spillava ricche donazioni in nome del rinnovamento della Chiesa, Manfreda proclamata papessa celebrò messa il giorno di Pasqua e annunciò, da fida apostola, l’imminente resurrezione di Guglielmina che tuttavia, prima di rientrare trionfalmente a Milano, si sarebbe recata a Roma a spodestare papa e cardinali, proclamando a gran voce i nomi di quattro nuovi evangelisti nonché liberando il sacerdozio dagli abominevoli signori uomini. Ce n'’era abbastanza, come si vede, perché il Vaticano insorgesse condannando Manfreda al rogo e decretando che le ossa di Guglielmina fossero anch’esse divorate dal fuoco. Il che avvenne, con gran spiegamento di militi, monaci e litanie in Piazza Vetra, luogo deputato per eccellenza al maleficio dove le orride esalazioni dei cadaveri putrefatti degli animali adoperati per la concia delle pelli si confondevano coi miasmi delle carni straziate dei negromanti.
Secondo alcuni studiosi di chiara fama, da tempo i cosiddetti Guglielmiti militerebbero tra gli ebrei radicali della setta dei Dunmeh. Mentre, tra le donne che ne venerano la memoria, c’è chi ritiene che lo spirito della Boema abbia preso stabile dimora nella «Madonna con le corna», il celebre affresco del Foppa a Sant’Eustorgio. Dove, sotto le finte spoglie della Madre di Dio, Guglielmina assurta al cielo della fertilità come la dea adorata dai Galli che un tempo popolavano la Padania, avrebbe assunto gli occulti poteri della Luna che, prima o poi, in un’alba color del sangue, a dire degli attuali seguaci, raderà le case dell’uomo restituendo alle Tenebre la sovranità assoluta.
E veniamo alle «case maledette». Possibile che Milano non ne conti nemmeno una? La nostra risposta è ambigua, dato che l’unico edificio che potrebbe rivendicarne l’investitura, il Palazzo Imbonati di piazza San Fedele, fu raso al suolo per far posto alla Banca Nazionale del Lavoro. Cosa accadde in quelle antiche stanze? Occorre rammentare che il palazzo già nell’anno di grazia 1685 era andato distrutto in seguito, si disse a quel tempo, alla diabolica invettiva, pronunciata in stato di trance, di una componente di quell’antica schiatta nobiliare, condannata a prendere il velo in ossequio all’'inflessibile volontà paterna. Ridotto in cenere, il bellissimo edificio fu presto sontuosamente restaurato al punto di ospitare, nel diciottesimo secolo, l’'Accademia dei Trasformati tra le cui file troviamo i nomi più prestigiosi della cultura lombarda: dal Baretti al Parini fino al Verri e a Cesare Beccaria. Ma le continue vessazioni della monaca che, in piena notte, comminava pene spaventose in vita e castighi infernali in morte a chi vi risiedeva, finirono presto per aver ragione del buon nome dell’avìto palagio.
Tanto che a nulla valse la decisione di murare la stanza dove l’infelice monaca aveva trascorso la prima giovinezza. Perché non solo si moltiplicarono sinistre apparizioni di spettri muniti di catene ma l’ambigua nomea di quel «locus infestatus» attrasse nientemeno che Thomas de Quincey. Il quale, colpito dalla strana luminosità che di notte s’irradiava dal palazzo, lo elesse ad emblema del suo libro «Suspiria de profundis» che, letto e apprezzato tanto tempo dopo dal nostro Dario Argento, doveva ispirargli il celebre Suspiria dove, guarda caso, di case indemoniate si tratta, di casi di magia nera si discute e di non morti che si animano nelle ore notturne si discetta in pieno clima di satanismo nero.
Oggi si dice che le bianche volte dell’'Imbonati, occultate dai vetri lucenti e dagli asettici arredi del Credito bancario, non attirino più questi sinistri simulacri d’'oltretomba. Ma ne siamo proprio sicuri? Infatti, secondo gli occultisti, le cosiddette presenze possono assopirsi per secoli come i vulcani riservandosi di riapparire al momento che giudicano opportuno. Così almeno assicurava, fin dal 1617, uno studioso del calibro di Robert Fludd che nel suo «Macrocosmo» dimostra con esempi probanti che i luoghi insidiati dalle forze del male non sono passibili di rigenerazione. Citando al proposito «l’'antica dimora lombarda denominata Loco de la Toreta sita nei sobborghi di Mediolanum a tutti nota come villa de piaceri e de delizie».
Proprio lo stesso luogo dove si consumò la triste parabola di una gentildonna di impeccabili maniere ma di insani appetiti da tempo accostata, per la crudeltà dei suoi costumi e l’'imprecisato numero delle sue vittime, ad Erszébeth Bathòry, la contessa sanguinaria che in Transilvania, sacrificò al Demonio ben undicimila vergini. Ma dov’era la Torretta, e soprattutto cosa ne rimane oggi come oggi? Situata nei paraggi di Sesto San Giovanni e divenuta irriconoscibile, si presenta né più né meno come un rudere. La splendida dimora nobiliare magnificamente affrescata con scene di caccia, staccate dalle pareti e trafugate negli anni Settanta nel corso di un avvio di restauro subito smentito nei fatti nonostante quel povero resto sia stato dichiarato dallo Stato monumento nazionale, fu teatro - tra il 1578 e la prima decade del Seicento - dei capricci perversi di Delia, vedova del conte Giovanni Anguissola ma figlia di un personaggio efferato come Leonardo Spinola, uno spregiudicato appaltatore dedito in privato alla magia nera.