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mercoledì 15 ottobre 2025

venerdì 3 ottobre 2025

"Sono arrivati gli alieni". L'anno record degli Ufo in Italia

tratto da "Il Giornale" del 20 luglio 2025 

Il 1978 ci furono circa 2000 avvistamenti in tutto il Paese, tra allucinazioni collettive, mezze verità e momenti di terrore. Un effetto moltiplicatore che anche senza social si rivelò inarrestabile

di Paolo Lazzari


Sono tutti quanti con il naso rivolto verso l'alto. Cercano una scia che confermi la psicosi collettiva. Nel 1978, l’Italia si ferma a perlustrare il cielo. Non per una nevicata o una tempesta, ma per un fenomeno inatteso: centinaia di segnalazioni di luci, dischi, sfere e “carri volanti” incontrano un pubblico curioso e pronto a credere. È l’anno della grande ondata: migliaia di ritagli su giornali, tremila dossier, 2000 avvistamenti censiti, numeri inediti che trasformano il Belpaese in epicentro dell’ufomania europea.

Non c'è sosta: ogni mese porta in dote nuove segnalazioni. Al Nord si contano pochi casi, ma in Abruzzo, Molise, Liguria, Toscana e Campania l’eruzione ufologica diventa virale: Firenze, Siena, l’Aquila, Chieti, Salerno, Napoli – tutte coinvolte con densità tra 0,5 e 2 avvistamenti ogni 100mila abitanti. L’Italia, un paese da sempre pragmatico, mostra i primi segnali di un’impressione collettiva: non solo cronache serali, ma una “psicosi da UFO” che domina le edicole e distrae le istituzioni.

Il Centro Italiano Studi Ufologici – CISU – registra come non mai: 2.400 ritagli digitalizzati, 1.800 fascicoli, un “Progetto ’78” che mira a catalogare ogni lume o strano oggetto volante. Scienziati e giornalisti collaborano con entusiasmo o scetticismo: si parla di disinformazione di massa, persino di manipolazioni orchestrate, e se ne discute in convegni ufficiali, come quello di Bologna del 2018.

Dalla primavera fino a Capodanno del 1979, si passa da poche segnalazioni mensili a diverse centinaia, in un crescendo che non generò panico, ma una sorta di febbrile attesa, alimentata da sedicenti contattisti e proclami di arrivi imminenti. L’episodio più singolare si verifica nel cosiddetto “Triangolo dell’Adriatico”, una zona costiera compresa tra Marche, Abruzzo e il Gran Sasso. Nella notte tra il 14 e il 15 ottobre, alcuni pescatori di Pescara raccontarono di aver visto colonne d’acqua sollevarsi per decine di metri, accompagnate da intensi fasci luminosi. Il mese successivo, il comandante di una motovedetta riferì alla Capitaneria di porto di aver osservato «un segnale rossastro elevarsi dal mare verso il cielo». Col senno di poi, molti attribuirono quei fenomeni all’emissione di metano dai fondali marini: a contatto con l’aria, il gas avrebbe innescato esplosioni luminose e provocato le impressionanti colonne d’acqua.

Un'altra tra le segnalazioni più contorte avviene sul Monte Musinè, vicino Torino. Due escursionisti affermano di essere stati investiti da un accecante fascio luminoso: uno dei due finisce ustionato, con capelli bruciati e lesioni misteriose. Si parla di “umanoidi” che lo sollevano, prima che tutto s’incendi in un flash impetuoso. La stampa locale racconta il tutto con titoli terrorizzanti.

A Roma, nel mese di dicembre, le torri comando di Fiumicino intercettano un fascio luminoso color arancio. I media parlano di “un oggetto grande, velocissimo, silenzioso”, osservato da numerosi testimoni. In tutto il resto del Paese si moltiplicano le segnalazioni.

Sempre in dicembre esplode il mito di Pier Fortunato Zanfretta, brigadiere di Genova. Racconta di “extraterrestri dalle sembianze mostruose”, di esseri armati che lo scortano dentro un UFO, lo toccano, lo sollevano. La testimonianza arriva alla Pretura, attratta dalla storia di questo tizio che scompare una notte soltanto, per poi riapparire trafelato e febbricitante. Il dossier passa al Ministero, poi finisce premuto in archivio nel gennaio 1980. Ma resta nella leggenda, alimento per libri, documentari, elucubrazioni. Zanfretta diventa icona di un’Italia che, per una volta, dismette lo scetticismo e abbraccia l’inspiegabile. È una figura quasi shakespeariana, l’eroe involontario dell’invasione immaginaria: tra dischi volanti e terrore silenzioso, il suo incontro ravvicinato scuote un intero paese.

Ancora oggi, a distanza di così tanto tempo, il 1978 resta l'anno che in Italia ha fatto registrare il maggior numero di avvistamenti Ufo. Un fatto epocale: anche senza la viralità dei social la moltiplicazione delle suggestioni si rivelò del tutto inarrestabile.

giovedì 18 settembre 2025

Sulle tracce d'inchiostro dei cacciatori di manoscritti

tratto da "Il Giornale" del 29 novembre 2024

Christopher de Hamel racconta avventure e peripezie di grandi maniaci del libro. Da Sant'Anselmo a oggi

di Matteo Sacchi


Per migliaia di anni la cultura umana è stata trasmessa copiandola. È in un certo senso passata di mano in mano, di penna in penna. I volumina prima, e i libri poi, erano oggetti rari in cui un enorme quantitativo di lavoro intellettuale era utilizzato per salvare la cosa più preziosa prodotta dagli umani, le idee. Ma non bastava crearli questi testi preziosissimi. Bisognava farli sopravvivere. I manoscritti, quando non soccombono all'usura del tempo, sopravvivono grazie agli uomini e alle donne che li hanno preservati e che ne hanno riconosciuto il valore. Tranne rarissime eccezioni non sono reperti archeologici, scavati tra le rovine e poi portati in un museo. Di norma sono stati comprati, venduti, contesi, usati, disassemblati, riassemblati, amati, letti, ignorati, riscoperti... Ogni manoscritto ha una storia ed attorno alla sua storia si gioca anche la storia di qualche collezionista animato da una sorta di sacro fuoco. Esiste una sorta di circolo dei manoscritti di cui fanno parte fanatici di ogni parte del mondo e di ogni epoca.

Uno di questi fanatici, dotato per altro di penna felicemente narrativa, è Christopher de Hamel: ritenuto tra i massimi esperti di manoscritti medievali e di miniatura è Fellow a vita del Corpus Christi College di Cambridge. Forte di questa sua enorme passione ed esperienza ha dato alle stampe, nella versione italiana per i tipi di Mondadori, Il circolo dei manoscritti. Dodici storie di libri dal Medioevo ad oggi (pagg. 692, euro 38). Nella sua narrazione ha scelto dodici casi emblematici che vanno dall'XI secolo al XX che portano il lettore dai monasteri ai castelli, alle biblioteche. Tutto sulle tracce di carta di amanti dei libri. Ecco allora alcuni degli uomini (e delle donne) che fecero l'impresa, per parafrasare un famoso film.

Anselmo d'Aosta (1033-1109) fu un monaco e insegnante benedettino, ma anche un santo canonizzato, e questo ha assicurato la precoce conservazione di molte delle sue lettere e delle sue conversazioni, nonché di una dettagliata biografia scritta dal suo pupillo Eadmero. Anselmo parlerà perciò a nome di innumerevoli monaci del Medioevo che amavano i manoscritti. Jean de Valois, duca di Berry (1340-1416), era il figlio del re di Francia, e la sua vita è documentatissima. Si conservano anche gli inventari domestici delle collezioni private di manoscritti, antichi e di sua commissione, insieme a straordinari gioielli, reliquie e altre opere d'arte. De Hamel coglie concretamente l'insaziabile brama del duca per l'acquisizione e il possesso, e la gioia che provava per la bellezza e l'originalità. L'accesso alla sua biblioteca ci permette di stare in compagnia di miniaturisti straordinari e di autori medievali, come la sua amica Christine de Pizan.

Poche persone possono parlarci della produzione libraria del Rinascimento con più dettaglio di Vespasiano da Bisticci (1422-1498), libraio che creò un nuovo stile di manoscritti rivolto agli umanisti più raffinati. Con le sue chiacchiere e i suoi pettegolezzi animava le strade di Firenze, e possediamo molte sue lettere nonché centinaia di libri da lui venduti, spesso firmati da scribi di cui pure, grazie a lui, conosciamo la vita. Vergò anche numerose brevi biografie dei suoi clienti nelle corti e nelle biblioteche d'Europa. Ci consentono di incontrare un mondo di committenti, mercanti e studiosi danarosi. Simon Bening (1484-1561) nacque anni dopo l'invenzione della stampa, quando ormai i manoscritti erano diventati oggetti di lusso e avevano cessato di essere una necessità. Bening sfruttò il cambiamento a proprio vantaggio, diventando talmente famoso a Bruges come miniaturista, lo lodava anche Vasari, che la sua opera era richiesta in tutta Europa.

Il triplice e quasi simultaneo avvento della stampa, del Rinascimento e della Riforma ebbe conseguenze devastanti per molti manoscritti medievali, specialmente in Inghilterra dopo la chiusura dei monasteri con Enrico VIII. Sir Robert Cotton (1571-1631) era il più vorace dei primi antiquari e raccolse migliaia di volumi abbandonati, creando un arsenale politico e intellettuale a disposizione della neonata nazione britannica, collocato nel cuore del governo, a Westminster. Sebbene danneggiati nel 1731, i suoi manoscritti sopravvivono in gran parte in quella che oggi è la British Library, e ci raccontano la storia dell'ossessione di Cotton, tragicamente solitaria e incrollabile. L'Abbé Jean-Joseph Rive (1730-1791) era un uomo estremamente diffidente e litigioso, ma fu il primo bibliografo e scrittore a interpretare i manoscritti miniati come opere con una collocazione ben definita nella storia dell'arte. La sua immensa conoscenza e le sue opinioni dogmatiche sono raccolte in numerosi pamphlet e pubblicazioni, inzuppate di note a piè di pagina nelle quali si rivelano le sue reali conoscenze e intuizioni. Non tutti questi personaggi sono degli eroi o santi. Anche ladri e furfanti possono essere animati dalla passione per i manoscritti con un entusiasmo e una dedizione stupefacente. Constantine Simonides (1824-1890) era un falsario, un truffatore e una sorta di mitomane. Ma con il calamo era un autentico mago, un seducente Mefistofele, capace di materializzare qualsiasi manoscritto greco si potesse desiderare.

Il professor Theodor Mommsen (1817-1903) è l'unico studioso di manoscritti che abbia vinto il premio Nobel. Era un poliedrico intellettuale tedesco, promotore della Altertumswissenschaft (l'antichistica) e dell'istruzione universitaria. Fu un gigante nell'edizione di testi classici dalle loro fonti superstiti, che diede la caccia a manoscritti e iscrizioni latine con la passione di un esploratore e le certezze di uno zelota.

Si visita infine il caveau dei manoscritti della Morgan Library and Museum di New York in compagnia dell'affascinante Belle da Costa Greene (1879-1950). Divenne, per due generazioni, la bibliotecaria e l'acquirente personale della più ricca dinastia di banchieri americani, in una nuova società caratterizzata da una disponibilità di denaro quasi illimitata.

Persino i suoi registri di biblioteca e le sue lettere d'amore risplendono della sua passione per i manoscritti. Belle Greene creò, quasi da sola, la moda delle biblioteche milionarie.

Un viaggio in buona compagnia quindi, in un libro che contiene anche delle miniature fantastiche.

martedì 5 agosto 2025

John Dee, un "mago" e 007 alla corte della regina Elisabetta I

tratto da "Il Giornale"  del 4 febbraio 2025

La più grande sovrana d’Inghilterra si affidò per gran parte della sua vita alle previsioni di un strologo e occultista accusato di stregoneria

di Francesca Rossi


Elisabetta I d’Inghilterra (1533-1603) è passata alla Storia come una sovrana forte e scaltra, talmente abile dal punto di vista politico da rendere la sua nazione una nascente potenza marittima e così intelligente e aperta da favorire lo spirito culturale della sua epoca, dando spazio ad artisti come Shakespeare, Bacon e Marlowe. Non tutti sanno, però, che la Regina coltivò per buona parte della sua esistenza un notevole interesse per l’occulto. Una figura emblematica della prima era elisabettiana fu proprio il celebre astrologo, alchimista, mago e matematico John Dee (1527-1608 o 1609), che divenne consigliere e, pare, spia al servizio di Elisabetta I.


L’ascesa al trono di Elisabetta I

La regina Elisabetta I Tudor salì sul trono d’Inghilterra il 17 novembre 1558. Figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la futura monarca venne esclusa dalla linea di successione nel 1536, dopo la decapitazione della madre, accusata di stregoneria, incesto e tradimento. Così Elisabetta crebbe in esilio con la sorellastra Maria I Tudor (figlia di Enrico VIII e di Caterina d’Aragona, ma dichiarata illegittima dopo l’annullamento dell’unione dei genitori, nel 1533: suo padre, infatti, intendeva sposare proprio Anna Bolena).

Elisabetta fu riammessa a corte solo grazie al rapporto di fiducia che riuscì a instaurare con Anna di Clèves, quarta moglie di Enrico VIII. Fu, però, grazie alla sesta moglie del Re, Catherine Parr, se Elisabetta e Maria vennero di nuovo inserite nella linea di successione al trono. Quando Enrico VIII morì, nel 1547, il potere passò nelle mani del figlio Edoardo VI (avuto con la terza moglie, Jane Seymour). Catherine Parr prese con sé Elisabetta e sposò lo zio del nuovo sovrano, Thomas Seymour.

Nel 1553, subito prima di morire a causa della tubercolosi, Edoardo VI nominò suo successore Jane Grey, pronipote di Enrico VII d’Inghilterra. A convincerlo a sottoscrivere l’atto, che violava palesemente le norme per l’ascesa al trono, sarebbe stato John Dudley, I duca di Northumberland, reggente di Edoardo VI, (che all’epoca aveva solo 16 anni) e suocero della Grey. Dudley era diventato un regnante di fatto e forse sperava, così, di mantenere il potere e le ricchezze accumulate.

Non aveva fatto i conti con la cattolica Maria I Tudor, che entrò a Londra acclamata come legittima sovrana dal popolo. Jane Grey venne deposta dopo nove giorni sul trono e la nuova Regina fece giustiziare Dudley il 22 agosto 1553. Maria, però, morì di tumore il 17 novembre 1558. La corte e il Paese sapevano che dopo di lei sarebbe la Corona d’Inghilterra sarebbe passata alla protestante Elisabetta. Maria avrebbe potuto condannare alla pena capitale la sorellastra, ma decise di non farlo. Al contrario, la convocò, pregandola di non vanificare i suoi sforzi per rendere cattolica l’Inghilterra. Elisabetta, naturalmente, reagì con indifferenza alle suppliche di Maria. Ormai era lei la nuova Regina.


Uno “007” a corte

Secondo il libro “The Life of Elizabeth I” (2013) di Alison Weir, il celebre astrologo e "mago" John Dee sarebbe stato introdotto a corte da Robert Dudley I conte di Leicester, figlio di John Dudley, amico d’infanzia e favorito di Elisabetta I (nello stesso periodo Maria I aveva fatto rinchiudere nella Torre di Londra sia Robert con il padre e i fratelli, sia la sorellastra Elisabetta contribuendo, inconsapevolmente, alla nascita del saldo legame tra la sorellastra e il giovane Dudley).

Tuttavia John Dee non era esattamente uno sconosciuto per la Corona inglese: nel 1555 era stato arrestato con l’accusa di stregoneria e, pare, di tentato avvelenamento nei confronti di Maria I Tudor. Stando alle ricostruzioni storiche, però, Dee non avrebbe mai compiuto alcun attentato alla vita della Regina cattolica. Si sarebbe limitato a scrivere l’oroscopo di Maria e della sorellastra. Così le accuse erano cadute e il “mago” era stato liberato. Non solo: il padre di John, Rowland, era stato un mercante di stoffe e un cortigiano di Enrico VIII.

Quando Elisabetta salì al trono, decise di includere John Dee tra i suoi consiglieri più fidati. Non solo: secondo i siti di HistoryExtra e dell’Università di Cambridge lo studioso sarebbe divenuto anche una spia al servizio della Regina. Il nome in codice con cui firmava i suoi messaggi era “007”: lo stesso che per noi moderni rimanda al più famoso agente segreto della letteratura e del cinema, James Bond, creato da Ian Fleming. Infatti, ha riportato il Guardian, lo scrittore potrebbe essersi ispirato a Dee per scegliere la firma “007” da accostare al nome del suo intramontabile personaggio.

Questi tre numeri non sarebbero stati scelti a caso dall’alchimista: gli zeri dovrebbero simboleggiare i suoi occhi che osservano e poi riportano le informazioni. Secondo un’altra interpretazione, riportata da History Extra, potrebbero rappresentare anche lo sguardo della Regina, a cui non sfuggiva nulla e alla quale erano destinate le notizie segrete. (A tal proposito il sito fa un interessante parallelo con il titolo di un film della serie di James Bond, che per coincidenza si chiama proprio “For Your Eyes Only”). Il numero 7, invece, sarebbe una sorta di portafortuna.

Elisabetta ammirava la vasta cultura di John Dee, che aveva girato l’Europa, si era laureato al St.John’s College di Cambridge e nel 1546 divenne membro del Trinity College di Cambridge. Dee era amico dei matematici Federico Comandino, Gerolamo Cardano e Gerardo Mercatore. Si era dedicato allo studio della filosofia, della geografia, dell’astrologia, dell’astronomia, del latino, del greco, della magia, dell’alchimia e della negromanzia. Nella sua casa di Mortlake (un distretto di Londra, nel sobborgo di Richmond Upon Thames) mise insieme una vasta collezione di libri, a quanto pare la più grande d’Inghilterra, con più di 4000 volumi, secondo l’Enciclopedia Britannica.

Le sue ricerche più orientate verso l’ambito del sovrannaturale gli crearono attorno un’aura di mistero e di sospetto, tanto che le accuse del 1955 non rimasero un caso isolato: per tutta la vita John Dee dovette difendersi da quanti lo ritenevano un cialtrone, un eretico e uno stregone. Shakespeare si sarebbe ispirato proprio a John Dee per creare il personaggio di Prospero del dramma “La Tempesta” (scritto tra il 1610 e il 1611).


“Lo specchio magico”

Elisabetta I si fidava di John Dee a tal punto da chiedergli consiglio sulla data più propizia per l’incoronazione. Fu proprio lui a scegliere, in base ai suoi studi astrologici, il 15 gennaio 1559, come riporta l’Enciclopedia Britannica e il sito The Historians Magazine. Dee sarebbe stato addirittura il primo, secondo il sito Royal Museums Greenwich, a usare per primo i termini “impero britannico” nel suo “General & Rare Memorials Pertayning to the Perfect Arte of Navigation” (1577) e a credere davvero nell’idea dell’imperialismo inglese.

Tra gli strumenti che usava per le sue “divinazioni” Dee si sarebbe servito anche del celebre “specchio magico” o "specchio degli spiriti”. Riteneva, infatti, che l'oggetto fosse in grado di aiutarlo a “entrare in contatto” con spiriti e angeli. Stando a una ricerca pubblicata su Antiquity e citata da National Geographic Italia l’ossidiana di cui è composto lo specchio proverrebbe dalla regione di Pachuca (Messico centrale), antico dominio degli Aztechi.

Questo popolo, ha dichiarato il ricercatore principale del progetto Stuart Campbell, creava gli specchi in ossidiana proprio a scopo divinatorio. Secondo l’antropologo Karl Taube, che non ha partecipato allo studio ma è esperto in materia, gli Aztechi li ritenevano una sorta di “portali” verso altri luoghi e altri tempi.


John Dee avrebbe comprato lo specchio durante uno dei suoi viaggi in Europa (tali manufatti venivano spediti via mare, un commercio fiorente iniziato dal 1521, cioè dalla conquista del Messico a opera di Hernán Cortés). Nel XVIII° secolo lo specchio venne acquistato dallo scrittore Horace Walpole e alla fine dell’Ottocento dal British Museum, che lo espone nella Enlightenment Gallery.


Un uomo del Rinascimento

Tra il 1583 e il 1589 Dee intraprese nuovi viaggi per l’Europa. Al suo ritorno in Inghilterra, però, trovò la casa di Mortlake saccheggiata: molti dei suoi libri rari erano stati rubati e l’abitazione messa a soqquadro. Un chiaro segnale della crescente ostilità popolare nei confronti delle pratiche e degli studi di occultismo a cui si dedicava da decenni. Tuttavia Dee poté sempre contare sul favore e il supporto di Elisabetta I.

La sua fortuna iniziò a declinare proprio con la morte della Regina. Il successore, conosciuto con i nomi James I d’Inghilterra e James VI di Scozia (1566-1625) divenne noto per la ferocia con cui intraprese una vera e propria caccia alle streghe in Scozia. John Dee morì solo e povero. Secondo l’Enciclopedia Britannica la scomparsa non sarebbe avvenuta a Mortlake nel dicembre 1608, come ritengono alcuni, bensì a Londra, nella casa del conoscente John Pontois, nel marzo 1609. La sua vita resta, per alcuni versi, ambigua e controversa. Naturalmente Dee non aveva poteri “sovrannaturali” (impossibile sapere se fosse convinto di averne), ma i suoi studi ne fanno un uomo del Rinascimento a tuttotondo.

Nel Cinquecento, infatti, vennero gettate le basi della scienza come la intendiamo oggi, ma non esisteva ancora un confine netto tra questa e la superstizione. Non era percepito come contraddittorio, per esempio, studiare gli astri e, nello stesso tempo, ritenere che avessero un’influenza nella vita umana, poiché non erano ancora ben formati e delimitati i concetti di astronomia e astrologia, il limite tra la prima, che è una scienza e la seconda, che di scientifico non ha proprio nulla.

Non si tratta di confusione, ma di una fase necessaria per arrivare alla definizione di scienza e di metodo scientifico. In questa specie di terra di mezzo si colloca la vita di John Dee.

Gli studiosi citati da National Geographic Italia hanno ulteriormente puntualizzato: “Dee inizialmente si trovava a cavallo della linea sottile che c’è tra la magia naturale, che era considerata una scienza e la magia demoniaca, che era considerata una distorsione della religione, ma fu per andare verso quest’ultima che alla fine sorpassò la linea”.

domenica 13 luglio 2025

BOOK TRAILER LUXCO FEST

BOOK TRAILER LUXCO FEST: Nuovo evento internazionale a Pomezia della dott.ssa Francesca Bittarello. Premi per tutti i partecipanti e primo premio un contratto lavorativo con la Lux-Co Edizioni


È partita l' organizzazione di un altro evento internazionale il BOOK TRAILER LUXCO FEST della nota ricercatrice del fenomeno UAP Francesca Bittarello  nonché titolare della LUX-CO EDIZIONI azienda che negli anni si è saputa far notare con progetti di grande successo e spessore  sempre portati avanti  sotto l' egida dell' instancabile  Francesca Bittarello. Come dice la stessa Bittarello " Il Book Trailer LuxCo Fest  è un evento che ho  studiato, creato e ideato e punta a divenire negli anni un punto di riferimento a livello internazionale  per chi vuole far valere con le emozioni video un libro cartaceo" continua " Il fenomeno dei Book Trailer  è nato negli USA ed è in forte ascesa a livello mondiale ormai il book trailer ovvero un mini film di massimo 2 minuti è diventato fondamentale per far conoscere un libro cartaceo al pubblico e media  dandogli anima e corpo ed emozioni audiovisive ".

Il "Book Trailer LuxCo Fest" si articola in un concorso aperto a tutti i privati, librerie o case editrici che vogliono partecipare inviando con le modalità presenti nel  Regolamento dell' evento presente nel sito  web www.booktrailerluxcofest.it un book trailer che narra un libro ed è possibile inviare il proprio book trailer video in formato MP4 sino al 15 settembre 2025 data di chiusura delle iscrizioni dei partecipanti all’evento. Una giuria eterogenea giudicherà i 12 finalisti che saranno premiati il 12 ottobre 2025 al Gran Galà al Simon Hotel di Pomezia dove saranno proiettati per il pubblico tutti i book trailer partecipanti e fuori concorso. Primo premio un contratto con la casa editrice Lux-Co Edizioni. Un occasione in più per partecipare. Tutte le info su www.booktrailerluxcofest.it





Dott.ssa Francesca Bittarello

francescabittarello@luxcoedizioni.com

www.luxcoedizioni.com

cell./whatsapp:  +39 329.4218323

mercoledì 2 luglio 2025

Xenoglossia

di Cavaliere Vermiglio


Il termine xenoglossia fu introdotto dal parapsicologo francese Charles Richet nel 1905 per indicare la capacità di una persona di parlare e comprendere una lingua senza averla mai studiata. Su questo fenomeno al limite non c'è accordo fra gli scienziati che oscillano fra la negazione e la spiegazione razionale di un apprendimento avvenuto in maniera inconscia. Il fenomeno che viene in mente ai più in seguito a film di successo è la xenoglossia dovuta ad una possessione diabolica, ma esistono vari casi più o meno documentati di questi fenomeni in altri ambiti.

Una nota particolare riguarda la xenoglassia nel cristianesimo. Quando scende lo Spirito Santo nel giorno d Pentecoste sugli apostoli, questi diventano in grado di parlare lingue straniere per poter portare il Vangelo in tutto l'Impero Romano.

Ci interessava scrivere una breve nota su questo fenomeno e sul suo termine tecnico senza per il momento approfondire il tutto.

domenica 1 giugno 2025

Il mistero di Stonehenge, cosa ci rivelerà la Luna piena di gennaio

tratto da "Il Giornale" del 27 dicembre 2024

Astronomia e circolo megalitico hanno un'importante connessione: ecco che cosa vedremo a gennaio grazie alla Luna piena


di Federico Garau

Noto per essere il più grande cromlech (circolo di pietra) esistente, Stonehenge è un monumento che continua ad affascinare il mondo. Si trova nello Wiltshire, in Inghilterra, e le sue fasi costruttive risalgono a un periodo davvero antico, tra il 3100 a.C. e il 1600 a.C., come dimostrato dalla datazione radiocarbonica.

Su Stonehenge c'è ancora tanto da scoprire, ma uno dei suoi misteri può essere svelato dalla prossima Luna piena. È infatti acclarato che sussiste un legame fra il circolo di pietra e l'astronomia. Sappiamo che il monumento è composto da un insieme circolare di pietre collocate in posizione eretta (i megaliti), e sormontate da architravi orizzontali di collegamento. In molti hanno teorizzato che si trattasse di un antico osservatorio astronomico. Il suo ruolo sacro è indubbio, e a dimostrazione di ciò, al centro del cerchio di pietre, si trova la pietra dell'altare, composta da un blocco di cinque metri di arenaria grigia. Proprio sopra la altar stone sarebbero stati svolti dei riti religiosi.

L'altare è circondato da cinque sistemi sistemi trilitici costituiti dalle sarsen stones, provenienti da Marlborough Doms. Allontanandosi ancora dal centro della struttura, troviamo una catena di 30 pietre posizionate a circoscrivere l'area.

Ma in che modo i fenomeni astronomici influiscono su Stonehenge? Una coppia di heel stones fungevano da accesso al circolo di pietre, ma oggi di queste ne rimane soltanto una. Le due avevano, in sostanza, la funzione di cancello. Nel giorno del Solstizio d'estate, il 21 giugno, è possibile vedere il sole sorgere fra le due heel stones e i triliti del circolo di pietre. Nel Solstizio d'inverno, invece, avviene qualcosa di ancor più affascinante. In quel giorno, infatti, il Sole, sorgendo, illumina la altar stone.

Ad essere molto affascinanti sono anche le station stones. Originariamente erano quattro, e dovevano apparire simili ai quattro angoli di un rettangolo. I lati corti del rettangolo sono rivolti verso le zone di alba e di tramonto del Sole nel momento dei solstizi, mentre quelli lunghi potrebbero avere un legame con i moti della Luna. Stonehenge è infatti sia collegato ai solstizi del Sole, ma lo è allo stesso modo con il nostro satellite. Anche la Luna, spostandosi, raggiunge quelli che vengono definiti come lunastizi, arrivando alla sua massima declinazione Nord o Sud a seconda del suo ciclo orbitale. Secondo alcune teorie, pertanto, i lati lunghi formati dalle station stones sarebbero orientati verso le zone in cui la Luna sorge e tramonta il giorno del lunastizio.

Il lunastizio è un evento davvero molto raro, che si presenta solo ogni 18 anni. Ecco perché la data di gennaio 2025 è così importante. Il prossimo 13 gennaio questo evento si verificherà e allora sapremo se la teoria dei lati delle station stones riceverà conferma.


domenica 25 maggio 2025

Un'esperienza con il Reiki

di Cavaliere Vermiglio

Qualche sera fa mia moglie si reca da una conoscente che studia per diventare massaggiatrice per fare da "cavia". Dopo un po' mi chiama per raggiungerla e avendo un problema al collo non mi sono fatto pregare. Arrivato ho scoperto che non si trattava di massaggi come aveva mal interpretato mia moglie, ma di Reiki. Ho provato e devo dire che ho tratto dei benefici. Qualcuno potrebbe pensare a suggestione e su questo non posso discutere, ma posso solo portare la mia testimonianza di un beneficio. Quando la conoscente appoggiava la mani su di me sentivo una strana sensazione che non so spiegare e in particolare quando mi ha toccato le caviglie ho avuto la precisa sensazione di un qualcosa che mi raggiungeva fino alle ginocchia. Sta di fatto che il giorno dopo ho camminato meglio con una precisa sensazione di avere più energia nelle ginocchia. Ovviamente i dolori non mi sono passati, ma se prima sentivo cedere le ginocchia ora le sentivo sorreggermi nei miei passi. Un altro fenomeno curioso è stato quando ha posto le palme delle sue mani a un paio di centimetri dalle mie e sentivo una sorta di pressione, come se qualcosa mi sfiorasse anche se nessuno le toccava. Avvicinando le mani alle testa ha detto che uso molto la testa. Oltre a fare un lavoro intellettuale credo che il grande lavorio mentale sia dovuto a varie preoccupazioni che sto affrontando in questo momento. Infine ha valutato le energie mie e di mia moglie constatando che le mie erano pressoché a zero, purtroppo cosa corrispondente al vero, mentre quelle di mia moglie erano in abbondanza e anche questo era vero. Da un bel po' sono vittima di una stanchezza che mi impedisce di fare altro che non sia quello strettamente necessario. Curiosamente mia moglie che si entusiasma di queste cose ha sentito meno di me che tendo ad essere, non scettico, ma piuttosto diffidente. Ho sempre paura di trovarmi di fronte un imbroglione e non qualcuno che agisce in buona fede.

mercoledì 7 maggio 2025

giovedì 24 aprile 2025

UFOLOGIA: UNO SGUARDO AL CIELO

tratto da "L'Opinione" del 18 giugno 2021

di Pierpaola Meledandri


“Abbiamo a che fare con più “visitatori da altrove” che ci monitorano da tempo, specie dopo Hiroshima e Nagasaki. Peraltro, pur nella loro diversa origine, non ci hanno né conquistati, né schiavizzati, per cui non credo siano più pericolosi di certi leader politici nostrani”. Abbiamo parlato di Ufologia nell’intervista al dottor Roberto Pinotti (*).


Dottor Pinotti, la sua fama è mondiale, la sua presenza sui media è stata costante nel corso degli anni. Nel cielo stellato dal 2019 al 2021 ha osservato qualcosa di diverso?


Il lockdown ha consentito alla gente di osservare il cielo molto più di prima e ciò spiega l’aumento delle segnalazioni durante la pandemia. Nel corso della vita è capitato anche a me, in occasioni diverse, di avvistare degli Ufo. A parte un avvistamento personale negli anni ’60, nel 1978 (anno in cui in Italia si sono avuti oltre 2mila avvistamenti che imposero alla nostra Aeronautica di seguire istituzionalmente il tema da allora in poi), per tre ore (da Mezzanotte alle 3) con una compagnia di altre 10 persone (3 donne fra cui mia moglie e 7 uomini, tra i quali un professore universitario) ho osservato una dozzina di diversi oggetti che, isolati e anche in formazione hanno eseguito una sorta di “show” aereo di fronte a noi. E li fotografammo pure. Il giorno successivo tornammo in zona in nove per verificare il posto alla luce del sole, e fummo sorvolati da un grande oggetto sigariforme in quota di apparenza e compattezza metallica, che osservammo fino alla sua scomparsa per almeno mezzo minuto. Poi nel 1997, in Messico, osservai un oggetto luminoso ovoidale con una troupe della Tv svizzera che però non fu in grado di riprenderlo, nonostante la prolungata osservazione. Infine, nel 2017, durante l’annuale Simposio ufologico mondiale da me organizzato da 30 anni a San Marino, una vasta formazione di Ufo ad alta quota è stata vista e filmata da numerosi testimoni in pieno giorno. La osservai anche io fra i tanti.


L’Universo è troppo grande e misterioso, per non pensare ad altre forme di vita intelligenti. Ci esponga brevemente quanto i suoi studi possano fare chiarezza su tale realtà.


Ormai la scienza ammette che è impossibile, anche a livello di calcolo delle probabilità, che non esistano civiltà extraterrestri. E il Seti (Search for extra-terrestrial intelligence) le ricerca da tempo. E lo dice anche Santa Romana Chiesa a livello teologico. Lo ha perfino detto Papa Francesco.


A suo avviso, il progetto di riduzione della popolazione mondiale, del quale si vocifera da un po’ di tempo, è un’astrusa teoria complottista o c’è del vero?


Purtroppo credo che l’arma batteriologica nota come Covid-19 non sia “scappata di mano” a qualcuno per errore o fatalità. Il tutto appare funzionale a un piano di depopolazione planetaria configurato da più parti da tempo. Credo poco alle coincidenze fortuite.


Quali sono le sue considerazioni sulle origini di questa pandemia? A suo avviso l’incipit del Covid-19 è solo terrena?


Sì, è solo terrena e artificiale, come ormai sta emergendo. Fred Hoyle aveva ipotizzato tanti anni fa che la Spagnola con i suoi 50 milioni di morti fosse dovuta ad un virus extraterrestre importato sulla Terra da meteoriti, e oggi il suo “discepolo” Chandra Wikramasinghe ha ipotizzato lo stesso per il Covid-19. Ma non ci sono prove.


Avvistamento, tracce, filmati, provenienti da varie parti del mondo, sono interpretabili in molti modi. A suo avviso gli extraterrestri ci osservano o sono anche tra noi?


Ci osservano da tempo immemorabile in quanto civiltà a loro inferiore, arretrata ma anche eticamente non affidabile, da cui l’assenza di contatto di massa. E sono anche fra noi, ovviamente quelli che per apparenza fisica possono farlo. Non ci troviamo di fronte ad esponenti di un’unica specie planetaria.


Ritenendo presenti fra noi esseri con sembianze umane ma appartenenti ad altri mondi, quali sarebbero gli indicatori per riconoscerli?


Visto che con alcuni di loro la differenza appare minima non è facile rispondere.


Il fenomeno degli extraterrestri continua a catturare l’attenzione di tanti, pur sussistendo moltissimi negazionisti. Ci illustri il suo pensiero.


I negazionisti sono ormai una specie quasi un via di estinzione. Ora gli Ufo sono stati sdoganati – auto-smentendosi – perfino dal Pentagono. Max Planck diceva che una nuova verità scientifica si impone non grazie ai suoi sostenitori, ma perché i suoi detrattori muoiono, mentre cresce una nuova generazione atta ad accettarla. Ormai l’idea della esistenza degli alieni è pacifica per oltre l’80 per cento della gente.


Infine, fa parte della sua lunga esperienza la raccolta di dati empirici che facciano pensare a un contatto diretto fra gli umani e gli alieni?


Assolutamente sì. L’evidenza di questi è quanto di meglio ci può essere per comprovare la realtà di certi fenomeni. È successo più volte con l’analisi di reperti o tracce lasciate dagli Ufo stessi.


Esiste un progetto degli extraterrestri relativo alla Terra? E se esiste quali sono il loro i loro fini? Desiderano conquistarci, sottometterci, sfruttarci?


Abbiamo a che fare con più “visitatori da altrove” che ci monitorano da tempo, specie dopo Hiroshima e Nagasaki. Peraltro, pur nella loro diversa origine, non ci hanno né conquistati, né schiavizzati, per cui non credo siano più pericolosi di certi leader politici nostrani. Magari qualcuno è migliore di noi.


(*) Nato a Venezia il 1944, politologo, sociologo e giornalista scientifico, è stato un ricercatore aerospaziale consulente del Seti (l’Ente radioastronomico per la ricerca di civiltà extraterrestri) che ha collaborato con l’Asi, l’Esa, l’International Space University e l’Università di Firenze. Ha al suo attivo oltre 50 titoli di saggistica in sette lingue e nel 1967 ha fondato il Centro ufologico nazionale (Cun) di cui è presidente. Noto al pubblico italiano e non solo per i suoi popolari interventi radiotelevisivi, anche la Rete lo indica come uno dei massimi esperti di Ufo, astrobiologia, protostoria, fenomeni insoliti ed esoterismo. Ha realizzato un centinaio di congressi mondiali e di quelli da lui annualmente coordinati sotto l’egida del Governo di San Marino 30 sono stati dedicati agli Ufo e 20 alla vita extraterrestre. Dirige le riviste di divulgazione scientifica Ufo e Archeomisteri. Il suo profilo su Wikipedia è pure stato realizzato in inglese, francese, rumeno, bulgaro e cinese. Ha visitato una trentina di paesi in cinque continenti. Astrofilo, gli è stato dedicato nell’ufficiale Minor Planets Catalogue l’asteroide Pinotti 12470-1997BC9, scoperto il 13 gennaio 1997 dall’astrofila Maura Tombelli del Gruppo Astrofili di Montelupo Fiorentino (Firenze). Dal 2020 è presidente dell’Icer (International coalition for extraterrestrial research), il sodalizio globale teso ad affrontare la provenienza non terrestre degli Ufo nelle sedi istituzionali e in ambito Onu.

domenica 6 aprile 2025

La leggenda dei dannati di Alagna

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/dannati-alagna/

La cupa leggenda dei dannati di Alagna in Val Sesia


Le Alpi, le montagne tutte, sono ricche di leggende, di misteri, di miti, oggi incontriamo quella dei dannati di Alagna in Val Sesia (Vercelli).  Per narrare la leggenda dei dannati di Alagna mi avvarrò delle parole di Maria Savi-Lopez.

«Altra poetica leggenda italiana che ricorda le anime. dei poveri morti, dannati a rimanere nei ghiacciai, è quella che narrasi in Alagna, in Val Sesia, e che tra- scrivo come l’ebbi dall’egregio cav. Farinetti. “In tempi non molto lontani vi era in Alagna la pia credenza, specialmente fra le donne, che le anime dei defunti, prima di salire al cielo erano obbligate per purgare le lievi colpe, di passare qualche tempo nei ghiacciai del Monte Rosa; e questo tempo poteva essere abbreviato dalle preghiere dei parenti e degli amici, quando fossero fatte sopra i ghiacciai stessi. Quindi nell’estate, nei di festivi, comitive di donne si recavano in pellegrinaggio alle falde inferiori dei ghiacciai più vicini, e colà giunte si ponevano colle ginocchia nude sul vivo ghiaccio, pregando con fervore per le anime dei loro cari defunti. 

Non sono molti anni chi dettò queste linee, incontrò un giorno a poca distanza del ghiacciaio di Bors una buona donna con un sacchetto in tela sulle spalle, dal quale sporgeva un manico di legno; interrogata per sapere dove era diretta, e quale strumento avesse nel sacco, disse di recarsi ai ghiacciai per farvi alcuni gradini con una piccola scure, affinché l’anima di sua madre, morta pochi giorni prima, vi potesse più facilmente salire.

Questa pia credenza intorno alle anime purganti nei ghiacciai ha potuto avere qualche fondamento nel fenomeno singolare e misterioso, che si verifica qualche volta nei luoghi ove il ghiacciaio presenta una superficie alquanto estesa e poco inclinata. Nelle giornate calde di estate, il ghiaccio fonde sotto i raggi del sole formando una quantità di rigagnoli, i quali infiltrandosi nelle numerose piccole crepaccie più o meno profonde, producono alle volte dei suoni strani e sorprendenti, mentre sembra udire pianti, gemiti e singhiozzi di persone dolenti. Chi scrive queste parole ebbe occasione più volte di udire, non senza viva commozione, tali lamenti, e non si meraviglia punto, come la pia credenza, sopra narrata, abbia potuto avere origine nella mente semplice e buona dei montanari che abitano in vicinanza dei grandi ghiacciai». 

Chi ha veduto nel loro spaventevole aspetto certe altissime regioni alpine, e sa che cosa siano di notte, al pallido chiaror della luna i ghiacciai rotti dai crepacci paurosi, e coperti dalle nere diramazioni delle morene, può immaginare solo in tutta la sua grandezza il quadro imponente apparso alla fantasia degli alpigiani, quando hanno visto le innumerevoli schiere di fantasmi intenti al notturno lavoro onde distruggere il ghiaccio; ma più terribile ancora deve essere la scena, quando la tormenta imperversa ed i turbini di neve si levano verso il cielo scuro, quando i larici si spezzano, le montagne franano sotto l’urto violento delle valanghe, e gli spiriti travolti dalla bufera infernale, flagellati dalla neve gelida e dai rami spezzati, sono gittati da rupe a rupe e da cima a cima , nella guerra del vento contro le montagne. Scena spaventevole fra le Alpi!»

Spero ti sia piaciuta la leggenda dei dannati di Alagna, dimmi cosa ne pensi nei commenti e condividi questo post con i tuoi conoscenti. Presto un’altra storia o un’altra leggenda. 


Gioia – Salute – Prosperità

martedì 1 aprile 2025

UN DIO MACCHINA PER DISTRUGGERCI

tratto da "L'Opinione" del 10 maggio 2023

di Dalmazio Frau


La più alta forma di letteratura narrativa è quella che riguarda il “Fantastico”, un genere che contiene molti altri sotto-generi tra i quali quello che ci interessa in questa occasione, ovvero la Fantascienza che, non a caso, i francesi chiamano “narrativa d’anticipazione”. Sì, perché è caratteristica del genere quella di precorrere i tempi, a volte in maniera positivista e utopica, altre in modo negativo, inquietante e distopico. Gli esempi che potrei portare sono innumerevoli, ma mi limiterò ad alcuni tra i più noti, anche al vasto pubblico in campo cinematografico, in una breve carrellata non esaustiva, che ha per tema centrale l’attuale e molto discussa “Ai” ovvero l’“Intelligenza artificiale”.


Innanzitutto, dimenticatevi le famose e superate “tre leggi della robotica” postulate da Isaac Asimov, già da tempo neglette da un grandissimo romanziere come Frank Herbert, il creatore di Dune, al quale rimando i meno pavidi per capire cosa sia una civiltà delle macchine pensanti e il successivo “jihad butleriano”… perché è un bel salto su un futuro che sta correndo ad alta velocità verso il nostro presente.


Passiamo al cinema, che forse è più semplice per molti, magari meno adusi alla lettura. Di certo ricorderete 2001 Odissea nello Spazio, nel quale il computer Hal9000 diviene senziente al punto di uccidere gli astronauti che avrebbe dovuto guidare, o ancora l’intelligenza artificiale della Valley Forge in Silent Running, per poi andare al computer di bordo, “Madre”, dell’astronave Nostromo del primo Alien che dirige apposta il suo equipaggio verso la morte che li attende sul pianeta Acheron.


Vi do altri esempi ancora: uno è il “Pensante”, il computer centrale del mondo nuovo di Logan, ne la Fuga di Logan, dove la vita umana è regolata sui trent’anni – ventuno nello straordinario libro omonimo – e poi gli “apocalittici” War Games, Giochi di guerra del 1983, diretto da John Badham, nel quale viene detto tra le tante frasi “preveggenti”: “McKittrick, questi computer ci forniscono all’istante i dati sulla situazione mondiale: movimenti di truppe, collaudi di missili sovietici, mutamenti atmosferici. Tutto confluisce in questa stanza e poi in quello che noi chiamiamo il computer Wopr”. O anche “bello quando avete colpito (con i missili, durante il gioco) Las Vegas. Giusto finale biblico per quel posto, non trovate?”.


Il secondo che vado a ricordarvi è Terminator 2 - Il Giorno del Giudizio, del 1991, sceneggiato, prodotto e diretto da James Cameron. L’incipit del film è il seguente: “Tre miliardi di vite umane si spensero il giorno 29 agosto del 1997. I sopravvissuti dell’olocausto nucleare chiamarono quella guerra il giorno del giudizio. E sopravvissero solo per affrontare un nuovo incubo, la guerra contro i robot. Il computer che controllava i robot, Skynet, inviò due Terminator a ritroso nel tempo”. E il seguente dialogo tra Sarah Connor e il Terminator “buono”: “Terminator: fra tre anni la Cyberdyne diverrà fornitrice di sistemi informatici militari. Tutti i bombardieri Stealth verranno dotati di computer e saranno automizzati, il che significa che voleranno senza bisogno di equipaggio. Lo Skynet verrà finanziato ufficialmente. Il sistema entrerà in funzione il 4 agosto 1997. Il sistema di difesa prescinde dalle decisioni umane, Skynet comincerà ad autoistruirsi. Diverrà autocosciente alle 2:14 del giorno 29 agosto. Prese dal panico le autorità gli ordineranno di disinserirsi.


Sarah: Skynet non obbedisce.

Terminator: Già. E lancia i suoi missili contro i bersagli in Russia.

John: Perché attaccare la Russia? Non è amica nostra adesso?

Terminator: Perché Skynet sa che il contrattacco russo eliminerà i suoi nemici da questa parte”.


Infine, ma non certo minore, anzi, forse il più preveggente di tutti, è Matrix del 1999, il cyberpunk scritto e diretto dagli allora fratelli Andy e Larry Wachowski nel quale Morpheus dice a Neo: “Questo è Struttura, il nostro programma di caricamento. Possiamo caricare di tutto: vestiti, equipaggiamento, armi, addestramento simulato. Tutto quello di cui abbiamo bisogno”. E ancora: “Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d’affari, insegnanti, avvocati, falegnami… le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo”. Infine, l’Agente Smith dice a Morpheus: “Tu sapevi che la prima Matrix era stata progettata per essere un mondo umano ideale? Dove non si soffriva, e dove erano felici tutti quanti, e contenti. Fu un disastro. Nessuno si adattò a quel programma, andarono perduti interi raccolti. Tra noi ci fu chi pensò a… ad errori nel linguaggio di programmazione nel descrivere il vostro mondo ideale, ma io ritengo che, in quanto specie, il genere umano riconosca come propria una realtà di miseria e di sofferenza. Quello del mondo ideale era un sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi Matrix è stata riprogettata così. All’apice della vostra civiltà. Ho detto vostra civiltà di proposito, perché non appena noi cominciammo a pensare per voi diventò la nostra civiltà, e questa naturalmente è la ragione per cui noi ora siamo qui. Evoluzione, Morpheus. Evoluzione. Come per i dinosauri. Guarda dalla finestra: avete fatto il vostro tempo. Il futuro è il nostro mondo, Morpheus. Il futuro è il nostro tempo”.


Penso che, giunti a questo punto, abbiate un’idea abbastanza chiara di dove voglio “andare a parare”: sarà un gelido algoritmo quello che scatenerà la guerra nucleare e distruggerà il mondo dell’uomo?


Ne La Stampa di qualche giorno fa, fonte Dagospia, viene detto in un articolo di Alberto Simoni, che “nell’agosto del 2020 al Pentagono fecero un esperimento. Una simulazione di volo con combattimento fra uno dei piloti più esperti e un velivolo guidato dalla intelligenza artificiale sviluppata dalla Heron System. La macchina vinse cinque volte su cinque. Durante la simulazione in modalità “dogfight” (combattimento a distanza ravvicinata) il caccia della Ia era stato capace di mutare più volte tattica sino ad aver la meglio sul pilota”.


Se vi ricorda il film Stealth di qualche anno or sono, avete ragione, ma l’articolo continua: “Il Pentagono da oltre cinque anni ha un Joint Artificial Intelligence Center che valuta le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale in battaglia e gli esperti ritengono che ad oggi nessuno è ancora in grado di capire fin a dove la frontiera dell’Ia si spingerà, quali armi sarà in grado di sviluppare e soprattutto se sarà possibile mettere un freno a questo sviluppo. Alcuni armamenti operano già in un sistema automatico. Le batterie dei Patriot hanno una “modalità auto” che consente di sparare senza l'intervento umano. Tuttavia, gli stessi Patriot hanno la funzione “abort”: è un militare a disattivare tutto. Sono le evoluzioni (imprevedibili) a rendere necessario agli occhi Usa un controllo. Non ci sono ad oggi accordi internazionali sull’Ia. Lo sviluppo vorticoso della tecnologia rischia di generare un ambiente non controllabile sul campo di battaglia. L’intelligenza artificiale azzera quasi i tempi di decisione e questo potrebbe generare errori nei bombardamenti o creare incomprensioni e errori nel riconoscimento se non si captano falsi allarmi”.


Persino il sonnacchioso presidente Joe Biden, intervenuto qualche giorno addietro in un incontro alla Casa Bianca sul tema dell’Ai, ha sostenuto che questo strumento presenti “rischi enormi”; anche perché è evidente che un sistema elettronico senziente escluderà ovviamente qualsiasi intervento umano che, dettato da “irrazionale pulsione emotiva”, potrebbe interrompere una catena di comando distruttiva e autodistruttrice, voluta da un programma privo di emozioni e sentimenti.


Così, in questo sin troppo esteso – e me ne scuso – ma necessario articolo, l’Ai appare come un bene e un miglioramento soltanto in rarissimi e circoscritti casi e il mondo che fa presagire, soprattutto se applicata a sistemi bellici, non può certamente lasciare dormire sonni tranquilli a nessuno che sia ancora dotato del ben dell’intelletto. Leggete e guardate di più “Fantascienza”, dunque, se volete comprendere la realtà contemporanea, molto meglio di tanti trattati di sociologia, di politica e di altri verbosi pseudo saggi di finissimi intellettuali di destra come di sinistra. Leggete Goat Song di Poul Anderson e poi ne riparliamo, ma soprattutto pensate con le vostre teste, non con l’“intelligenza artificiale”!


Nota: Tutte le citazioni dei film riportati sono prese da Wikipedia, per mera comodità.



domenica 23 marzo 2025

Comunicazioni con l'aldilà, un'altra testimonianza

di Cavaliere Vermiglio


Vi porto una testimonianza di quella che comunemente viene accreditata come comunicazioni con i trapassati. Una signora molto anziana, oltre i novant'anni e rimasta vedova da anni, a un certo incomincia a dire ai familiari che deve preparare la cena al marito e di doverlo aspettare per cena. I familiari non hanno dato peso a quelle parole, pensando che fossero dettate dalla demenza. Dopo qualche giorno, meno di una settimana, la signora è morta e tutti hanno pensato che quelle allucinazioni non fossero altro che il marito che era venuto incontro alla moglie dall'aldilà. Semplice coincidenza? 

martedì 11 marzo 2025

Tracce dello sciamanesimo nell'antica Grecia, un libro



Per chi volesse acquistarlo può cliccare sull'immagine qui sotto:



sabato 8 marzo 2025

La "Resurrezione" dell'altro Cristo spunta come un fiore

tratto da "Il Giornale" del 31 Ottobre 2024

Tre occidentali visitano la presunta tomba di Gesù. E trovano il cristianesimo delle origini

di Davide Brullo

Il momento più affascinante del romanzo accade quando il mite professor Quareshi spiega a Freddy, citazioni evangeliche alla mano, che «Gesù si è salvato dal supplizio della croce». Nello specifico, sarebbero stati Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo «e il centurione Longino», a disarcionare Gesù dalla croce, a curarlo, insinuandone la morte, a sua difesa. Dopodiché, il Messia avrebbe continuato l'opera di predicazione in India, insieme a Tommaso, l'apostolo inviato a profetizzare in Mesopotamia e in Oriente (come racconta Eusebio di Cesarea). In Oriente, il nome di Gesù muta in Yuz Asaf, «guida dei guariti, perché a lui si riconosceva il dono miracoloso di sanare gli infermi». Seguono le prove del passaggio di Gesù in Afghanistan, Pakistan, Kashmir.

Pare di essere al cospetto di una leggenda ordita da Borges. In Atlas, il suo ultimo libro, il veggente sudamericano suppone che Alessandro Magno «non muore in Babilonia all'età di trentadue anni», ma si arruola come mercenario semplice tra i battaglioni dell'esercito mongolo. Qui, però, vista l'entità del soggetto e le sue conseguenze - il cristianesimo come lo conosciamo, amministrato in una liturgia della colpa e del giogo, sarebbe un'immane montatura - i fatti assumono altro rilievo: ci pare di sfigurare un segreto.


La mole di dati squadernati dal professor Quareshi a supporto della sua tesi impressiona. Gesù sarebbe affiliato ai Nazareni, «un gruppo monastico che aveva un credo e dei comportamenti rituali simili a quelli degli Esseni», affini ai Terapeuti, di cui scrive Filone di Alessandria nel De vita contemplativa. Questi asceti praticavano il digiuno, vestivano di bianco, si radunavano «il settimo giorno» per onorare Dio con canti e danze. Fuggiti dalle spire della vita cittadina, i Terapeuti, edotti nella guarigione dello spirito, si prefiggono di giungere a una «vita immortale e beata... tendono con tutte le forze alla visione dell'Essere e oltrepassano il sole sensibile pur non abbandonando mai questo loro posto» (così Filone). Abitano le sponde del lago Mareotide - o Maryut - presso Alessandria d'Egitto, spazio impossibile a chi non è addestrato alla contemplazione. In loro credeva perfino William Butler Yeats, il sommo poeta d'Irlanda, che cercò di fondere, attraverso il genio lirico, la sapienza orientale in quella ebraico cristiana: «Credo come credevano i vecchi saggi che sedevano sotto le palme, i banani o fra le rocce rese irraggiungibili dalla neve, mille anni prima della nascita di Cristo; credo come credevano i monaci del mare della Mareotide...».


Resurrezione di Zecchi

Ma qui rischio di andare per le mie vie. Resta da dire che il cuore del romanzo di Stefano Zecchi, Resurrezione (Mondadori, pagg. 244, euro 19), è il santuario di Roza Bal, la tomba in cui sarebbe sepolto Gesù. Presso Srinagar, è un luogo piuttosto squallido; o meglio, come scrive l'autore, «un posto così povero, umile, per custodire la storia grandiosa di chi non ha mai cercato gloria, onori, predicando amore». Lascio il lettore a smanettare su Wikipedia: scoprirà la setta degli Ahmadiyya e altri dati in quantità. A Zecchi - se non ho capito male - interessa tutt'altro, cioè sondare la genuinità del cristianesimo delle origini, che precede la costituzione di una chiesa, di un potere ecclesiastico, di una qualche coercizione.

Resurrezione, in sostanza, è un romanzo sapienziale, di quelli che in pochi, ormai, osano scrivere. Il libro è ambientato a Srinagar, appunto, e ruota attorno a tre personaggi, occidentali, diversamente infelici. A dispetto del titolo, tolstojano, il romanzo non ha a cuore la morale ma lo spirito; si sviluppa secondo una poetica affine a Goethe. Ciascun personaggio, cioè, raffigura un tipo: Delia, fotografa di guerra, è l'anima attiva; Freddy, il marito - a servizio di un matrimonio privo di ardore -, è l'anima contemplativa; Clara, la sorella di Delia, bellissima, ha un carattere anodino, sconfitto dalla noia, in disastro, «era la tipica persona che lo scrittore Milan Kundera avrebbe definito vandalo. Molto semplice, senza profondità da interpretare, trasparente nel modo di pensare e comportarsi, al punto da far credere a chi la conosceva per la prima volta che recitasse la parte dell'ingenua stupidina». Il viaggio in India - un'India che non ha i contorni della cartolina oleografica, ma i tratti della bella inquietudine - porterà i tre protagonisti a risorgere a se stessi. Tale percorso iniziatico non è esente da tragedie.

Zecchi non cede alle moine della narrativa d'intrattenimento: i dialoghi sono significativi, la finzione narrativa è via d'accesso al processo conoscitivo. Al lettore è chiesto di avventurarsi, di fiorire. In un libro che rimanda a tanti altri libri - quelli di Bruce Chatwin, quelli di Papa Ratzinger, ad esempio - l'immagine che si staglia su tutte è proprio quella dei fiori, «le vere aristocrazie della terra». I fiori, dice Freddy, durante un incontro all'apparenza mondano, «sono imprevedibili nel trovare i loro spazi per crescere oltre all'ordine che viene loro imposto. Hanno una propria vitale anarchia». Eludere l'ordine imposto, distinguere evanescenza da vanità, conferire maestà a ciò che è fragile: il fiore - come il tuono, come il fuoco - illumina, fugace.

Questo è un romanzo che impone il tema della bellezza - quella umilissima, invisibile, invisa -, che dà preminenza all'ascesi spirituale rispetto alle morgane della materia, della scienza - ed è, dunque, felicemente classico, fieramente reazionario.


Resurrezione Copertina rigida – 1 ottobre 2024
di Stefano Zecchi
Editore ‏ : ‎ Mondadori (1 ottobre 2024)
Lingua ‏ : ‎ Italiano
Copertina rigida ‏ : ‎ 240 pagine
ISBN-10 ‏ : ‎ 8804781092
ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8804781097
Peso articolo ‏ : ‎ 630 g
Dimensioni ‏ : ‎ 15 x 2.5 x 22.7 cm

giovedì 27 febbraio 2025

"I velivoli del mistero" di Renato Vesco, un libro vintage sugli UFO

Rintracciato in una bancarella questo "I velivoli del mistero" di Renato Vesco, ufologo convinto della natura terrestre degli UFO. Renato Vesco era perito aereonautico ed è stato pilota nella seconda guerra mondiale. Era convinto che gli UFO fossero velivoli inglesi costruiti con i progetti trafugati al III Reich. Questa posizione lo aveva isolato dal resto della comunità ufologica italiana. Oltre a questo, Vesco ne aveva scritto altri due sullo stesso tema, tra cui "Intercettateli Senza Sparare. La Vera Storia Dei Dischi Volanti" che fu tradotto e pubblicato all'estero. Vi regaliamo alcune immagini del libro














sabato 8 febbraio 2025

SULLE ALCHIMIE PITTORICHE DI JULIUS EVOLA

tratto da L'Opinione del 21 maggio 2024


di Dalmazioe Frau(*)


In nessun altro campo dei suoi molteplici e profondi interessi, Julius Evola si è rivelato essere contraddittorio come in quello artistico. Contraddittorio verso sé stesso o verso i tanti, forse troppi, critici ed esegeti sorti soprattutto negli ultimi anni che invece non hanno sempre saputo cogliere alcuni passaggi significativi della produzione pittorica del più odiato “filosofo” italiano del Novecento? Se ancora molto ci sarebbe da dire e da scoprire sulle poche, relativamente poche dacché molte sono andate disperse, opere dipinte del Barone nero, ancora di più ci sarebbero da ripristinare alcuni dati inoppugnabili che collocano Evola non soltanto come il più importante – nonché unico – esponente del dadaismo italiano (seppur in ritardo sui tempi) ma come un “unicum”, un caso irripetibile che supera e trascende qualunque tentativo di categorizzazione e dunque di riduzione che miri a volerlo contenere in una determinata categoria artistica soprattutto se legata alle avanguardie novecentesche.

Partiamo da uno dei tanti opinabili punti: il tentativo di voler ricondurre e relegare la pittura evoliana allo schema obsolescente del già trascorso Movimento futurista. Tentare quest’operazione, ovvero sostenere che Evola fu “futurista” in quanto allievo di Giacomo Balla nel suo studio romano, sarebbe come affermare che Giotto di Bondone sia stato un pittore bizantineggiante e legato all’iconografia altomedievale in quanto allievo di Cimabue, oppure sostenere che Leonardo da Vinci sia stato non altro che il seguace pedissequo di Andrea del Verrocchio. I paragoni non sono impropri dacché Evola va pensato come un uomo della Rinascenza pagana e non soltanto come un nostro contemporaneo che avverte la “crisi del mondo moderno”. Crisi che egli ravvisa anche e soprattutto, forse, nell’arte, dopo il breve periodo nel quale di questa si occupa, sempre mantenendo una sorniona e distaccata ironia e il suo tipico, sarcastico senso dell’umorismo, che si traduce proprio in certe sue composizioni pittoriche.

Insomma, Evola si è preso gioco dei critici del suo tempo? Sarei propenso a ritenere di sì e anche che abbia continuato a farlo a lungo, persino durante la breve stagione del secondo dopoguerra nella quale riprese a dipingere, ripetendo opere già espresse. Evola fu un grande pittore? Tecnicamente no, l’uso delle velature appreso da Balla è spesso soltanto accennato a favore di un’irruenza di forme geometriche e di colori che rimandano alle dottrine filosofali d’oriente sino al pitagorismo, in una miscela decisamente “moderna” che consente all’artista di “cavalcare la tigre” e trasmettere di sé ciò che neppure lui conosce a colui che guarda in un oscuro messaggio iniziatico. Se Julius avesse realmente padroneggiato una tecnica pittorica tradizionale, il suo spirito sarebbe stato certamente più incline a manifestarla nell’ordine iconografico del “Realismo magico” del Gruppo Novecento.

Più intriganti sono decisamente i suoi “nudi”, legati a quella “metafisica del sesso” che tanti sopraccigli fece alzare per la sua peculiarità e profondità di analisi a quel tempo ben lontano dall’abbrutimento erotico attuale. Evola dunque non fu mai “futurista” anzi ne avversò il manifesto in maniera esplicita affermandone la sua natura “grezza” e se ne distaccò come non sarebbe potuto essere altrimenti e come egli stesso dichiarò nella sua autobiografia spirituale Il cammino del Cinabro. Le parole con le quali Julius pinctor definisce il fenomeno futurista non lasciano pertanto adito a dubbi, così come discutibile potrebbe essere l’accostamento della ricerca spirituale e mistica del Nostro, quando gli viene confrontato come quasi un suo parallelo, Vasilij Vasil’evič Kandinskij.

La spiritualità artistica dei dipinti di Kandisnkij è infatti totalmente diversa da quella eroica, alchemica, buddica e pagana rappresentata e al tempo stesso occulta, nelle opere di Evola. Insomma Evola non è un Kandinskij dimenticato nella Roma tra le due guerre, ma un caso talmente anomalo nel campo della storia dell’arte contemporanea da renderlo nel campo maestro, allievo e scuola a sé stante. La pittura evoliana, addirittura applicata alla decorazione e all’illustrazione, è pertanto anticipatrice in maniera preveggente di tutta una serie di rivoluzioni artistiche che vedranno la luce negli anni Sessanta del Novecento, con la Pop art e con la psichedelia, eppur nel contempo rimanendo fedele ai canoni della tradizione universale e perenne, immutabili come stella polare e altrettanto luminosi. Allora si renda omaggio a questo che fu un grande uomo che applicò il proprio ingegno con successo a molti differenti campi, pure restando fedele al grande silenzio che vuole l’artista scomparire, innominato e segreto, davanti alla propria opera, lasciando che i critici versino fiumi d’inchiostro mentre lui di certo ne ride, sogghignando e guardando la propria carovana passare verso il deserto più profondo.


(Da Fermenti n. 257, 2024)


(*) Tratto da Pagine Filosofali

mercoledì 22 gennaio 2025

Presentazione "Del vero padre di Federico II" il 30 gennaio

Presentazione del libro


giovedì 30 gennaio ore 17,30

Salone degli Specchi Municipio di Giarre (CT), via Callipoli 81





 

martedì 21 gennaio 2025

"Sedute spiritiche" per comunicare con Alberto: l’ultimo segreto della regina Vittoria

tratto da "Il Giornale" del 3 Dicembre 2024 

Il dolore per la morte dell’amato marito avrebbe portato l’integerrima regina Vittoria a tradire il proprio ruolo istituzionale

di Francesca Rossi


La regina Vittoria (1819-1901), celebre per la sua dedizione al dovere e il rigore morale che caratterizzò non solo la sua personalità e la sua politica, ma l’intero periodo che da lei prese il nome, età vittoriana, avrebbe anteposto i propri sentimenti al ruolo ufficiale solo una volta nella vita. Sopraffatta dal dolore per la morte del principe consorte Alberto e contravvenendo alle regole e ai principi della Corona, la sovrana avrebbe cercato conforto in una pratica molto in voga all’epoca, sebbene totalmente priva di basi scientifiche e fin da subito dimostratasi pura illusione: lo spiritismo.


Un matrimonio riuscito

Per la regina Vittoria la scomparsa del marito, il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha (1819-1861), rappresentò una sorta di spartiacque esistenziale. Da quel 14 dicembre 1861, quando Alberto morì di febbre tifoidea e congestione polmonare al Castello di Windsor (benché recenti studi abbiano avanzato l’ipotesi di un cancro ai polmoni), nulla fu più come prima.

La sovrana cedette alla sofferenza: decise di far chiudere per sempre gli appartamenti del consorte, ordinando che rimanessero inalterati, quasi cristallizzati al suo ultimo giorno di vita, come se si aspettasse davvero il ritorno di Alberto da uno dei suoi viaggi. Portò il lutto per il resto della sua vita (Vittoria sopravvisse quarant’anni ad Alberto) e scelse di ritirarsi quasi completamente dalla vita pubblica, pur continuando a svolgere i suoi doveri ufficiali.

La Regina aveva incontrato per la prima volta il principe, suo cugino di primo grado (la madre di Vittoria, Maria Luisa Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld era la sorella del padre di Alberto, cioè Ernesto I di Sassonia-Coburgo-Gotha) nel 1836. Nonostante la diffidenza del governo e del popolo, date le origini tedesche di Alberto, i due si sposarono il 10 febbraio 1840.

Ebbero nove figli e Alberto si dimostrò un consigliere leale e intelligente, oltre che un marito premuroso e apparentemente non in competizione con la potente moglie (anche se su quest’ultimo punto il dibattito è ancora aperto). La loro fu un’unione riuscita, d’amore. Non vi fu il classico colpo di fulmine, bensì un sentimento che crebbe col tempo, dimostrandosi più solido di un diamante, inattaccabile.

Quando Alberto morì Vittoria si sentì improvvisamente sola, privata dell’unica persona che la conoscesse davvero. Con ogni probabilità ebbe davvero la sensazione che il mondo le cadesse addosso. Può sembrare esagerato, poiché le biografie ci restituiscono una Regina inflessibile e forte, eppure anche lei attraversò un momento di profonda fragilità emotiva, che non superò mai del tutto.

Proprio in questo frangente di sofferenza acuta, secondo il libro “Whisperers. The Secret History of the Spirit World” di James Herbert Brennan (2013), la regina Vittoria avrebbe compiuto un gesto inaspettato, chiedendo a un medium di mettersi in “contatto” con il mondo dei morti per tentare di “comunicare” con il principe Alberto.


Sedute spiritiche

Stando a Brennan Vittoria avrebbe organizzato delle sedute spiritiche credendo davvero di poter vedere e sentire ancora l’amato marito. All’epoca lo spiritismo, nato in Francia a metà Ottocento, era una pratica molto conosciuta e seguita. La presunzione di poter parlare con gli spiriti attraverso un “medium” affascinava le persone (accade ancora oggi), convincendole (ma sarebbe più giusto dire illudendole) che fosse possibile conoscere i segreti della vita dopo la morte e ritrovare, seppur per un breve momento, chi aveva ormai lasciato questo mondo. Sembra paradossale, ma allo spiritismo si dedicò persino Arthur Conan Doyle, il famoso creatore di Sherlock Holmes.

Naturalmente nessuno dei presunti “medium” e degli studiosi di questo particolare ambito dell’occultismo è mai riuscito a dimostrare l’esistenza di spiriti e, più in generale, di entità paranormali. Nessuno ha mai portato prove che fossero analizzabili dal punto di vista scientifico (il famoso divulgatore scientifico e illusionista James Randi mise in palio un milione di dollari nel suo “One Million Dollar Paranormal Challenge” per chi fosse riuscito a riprodurre un cosiddetto fenomeno paranormale in un contesto controllato: la ricompensa “attende” ancora un vincitore).

Al contrario, purtroppo, molti usarono (e continuano a usare) lo spiritismo e, in generale, le pratiche legate all’occultismo, per imbrogliare gli altri, facendo leva sulle loro debolezze. Il “medium” consultato dalla regina Vittoria avrebbe detto che sarebbe stato possibile mettersi in “contatto” con il defunto Alberto solo attraverso “il ragazzo che, di solito, portava la pistola [del principe] a Balmoral”, ovvero il valletto scozzese John Brown (1826-1883) al servizio della sovrana dal 1848.


Confidente o amante?

Brennan sostiene che la regina Vittoria avrebbe “parlato” con il defunto marito proprio attraverso John Brown il quale, dunque, sarebbe stato una sorta di tramite, di medium, durante le presunte sedute spiritiche. Brown, però, fu anche al centro di un altro mistero. Sulla stampa dell’epoca e nei salotti più frequentati si diffusero dei pettegolezzi secondo i quali dopo la morte del principe Alberto Vittoria e John sarebbero diventati amanti e si sarebbero perfino sposati in segreto, mettendo al mondo un figlio.

Storie mai suffragate da fatti che oggi gli storici considerano niente più di frottole. In quel momento, però, ebbero una grande eco, indebolendo ulteriormente l’istituzione monarchica già provata dal rigido lutto della regina Vittoria. In realtà sembra che John Brown fosse solo un confidente di Sua Maestà, invidiato per il favore regale ottenuto e, per questo, vittima di calunnie inventate allo scopo farlo cadere in disgrazia. Senza contare che l’amicizia tra un regnante e un servitore era, a priori, malvista, data la differenza di ceto sociale.

Le chiacchiere, però, non ebbero alcun effetto su Vittoria. Dopo la morte di Brown, nel marzo 1883, la sovrana lo definì “il più devoto dei servitori e il più sincero e caro degli amici…Forse mai nella Storia c’è stato un legame così forte e vero, un’amicizia così cordiale e affettuosa tra un sovrano e un servitore…”.


Vittoria e lo spiritismo

Impossibile dire se la Regina abbia davvero partecipato a delle sedute spiritiche. Allo stesso modo non tutti gli studiosi concordano sul suo presunto interesse verso l’occulto. Secondo Brennan Vittoria avrebbe lasciato delle pagine manoscritte sulla sua amicizia con Brown, ma sarebbero state nascoste o distrutte dalla royal family. Anche il carteggio tra il valletto e la Regina sarebbe stato definitivamente eliminato. Così, purtroppo, non sapremo mai se tra quelle righe Sua Maestà parlò anche delle sedute spiritiche per “contattare” il defunto Alberto, o se si tratti di semplici pettegolezzi.

Elizabeth Longford, studiosa e biografa della regina Vittoria, sosteneva che non esistesse alcun prova dell’interesse della sovrana nei confronti dello spiritismo, ma la storica Helen Rappaport ricorda che alla morte della monarca, nel 1901, sua figlia, la principessa Beatrice, avrebbe applicato una rigida censura sulle lettere e sui diari della madre. I motivi di questa revisione invasiva e davvero molto discutibile sono intuibili e, almeno per certi versi, comprensibili: i discendenti di Vittoria volevano lasciare ai posteri e alla Storia l’immagine di una sovrana impeccabile, conservatrice, tradizionalista, ligia al dovere. Dunque inattaccabile sotto ogni punto di vista.

Per quanto riguarda le sedute spiritiche, di cui comunque non abbiamo prove, c’è anche un ulteriore problema di non poco conto: la regina Vittoria, in quanto monarca britannica, era anche il Capo Supremo della Chiesa anglicana. Non poteva permettersi di scendere a compromessi con la superstizione e con pratiche che, in un altro momento storico, le sarebbero addirittura costate una condanna per stregoneria. Il compito di Sua Maestà era quello di tenere alti i principi del Cristianesimo e della Chiesa d'Inghilterra.

Cosa sarebbe accaduto se il popolo avesse saputo delle sedute spiritiche? Quanto sarebbe stato danneggiato l’Anglicanesimo? Nel libro “Queen Victoria. A Biographical Companion”, citato da Vanity Fair UK, la Rappaport ha scritto che la royal family voleva “assicurarsi che la reputazione di Vittoria sia come persona, sia come Capo della Chiesa d’Inghilterra, non venisse infangata dalla sopravvivenza, nei suoi scritti, di qualunque riferimento a pratiche religiose poco ortodosse”.

La Rappaport ha riportato anche un aneddoto molto interessante in proposito: sembra che in punto di morte il primo ministro Benjamin Disraeli (1804-1881) si sia rifiutato di ricevere Vittoria perché, disse, “vuole solo chiedermi di portare un messaggio ad Alberto”.


Il ruolo di John Brown

Dal punto di vista umano la fragilità di Vittoria a seguito della scomparsa del marito è un fatto del tutto normale, ma in quanto Regina, guida per il popolo, era necessario che mostrasse una parvenza di contegno, la regale impassibilità che contribuisce a rafforzare l’immagine della Corona.

In ogni caso rimane un dubbio: se davvero Sua Maestà ha organizzato delle sedute spiritiche, quale sarebbe stato davvero il ruolo di John Brown? Per quale ragione il medium consultato avrebbe individuato proprio nel valletto il “tramite” per arrivare al principe Alberto? Può darsi che sia trattato di un caso, ma data l’incertezza sull’intera vicenda non è possibile escludere un accordo tra Brown e il medium.

Siamo nel campo delle congetture, ma le opzioni non sono poi molte: forse il servitore credeva davvero nello spiritismo. O magari si sarebbe prestato al rito solo per compiacere la Regina. Ma potrebbe anche aver agito per prendersi gioco di lei, oppure per guadagnare un più ampio favore, diventando indispensabile a corte. Per quel poco che ne sappiamo del rapporto tra John e Vittoria, queste ultime due ipotesi sembrerebbero le meno probabili, ma non impossibili.


L’esorcismo della regina Elisabetta

Il caso della regina Vittoria e delle presunte sedute spiritiche parrebbe avere qualche punto in comune con una sorta di esorcismo che Elisabetta II avrebbe fatto praticare nel 2001, a Sandringham. La monarca, convinta che il Palazzo fosse infestato dal fantasma di Lady Diana, avrebbe chiesto l’esecuzione di un “rito” per “riportare la tranquillità”, come ha raccontato il giornalista Kenneth Rose nei suoi diari: “La dama di compagnia della sovrana mi disse che era stata invitata dalla Regina a Sandringham per assistere a una funzione condotta dal parroco locale in una delle stanze della residenza reale, quella in cui morì Re Giorgio VI nel 1952”, perché “infestata da uno spirito che rendeva impossibile il lavoro”.

Il parroco avrebbe spiegato lo strano fenomeno, sostenendo che “l’atmosfera potesse essere dovuta alla principessa Diana: cose simili potevano accadere quando qualcuno moriva di morte violenta”. Anche questo rituale, sebbene non confermato, si troverebbe in bilico tra ciò che è giusto e appropriato per un sovrano e ciò che non lo è.

La regina Elisabetta si è rivolta a un uomo di Chiesa, rimanendo nell’ambito della religione anglicana da un punto di vista formale, ma una monarca che sembrerebbe ammettere l’esistenza dei fantasmi e che cerca

di scacciarli (o di evocarli, come nel caso della regina Vittoria) rimane comunque una situazione controversa, un’ombra che deve rimanere confinata tra le mura del Palazzo, affinché non offuschi lo splendore della Corona.

sabato 11 gennaio 2025

Human Ecology Fund, la missione della Cia per il lavaggio del cervello

tratto da Insideover del 27 Settembre 2022

di Emanuel Pietrobon


La pandemia di Covid e la guerra in Ucraina hanno spianato definitivamente la strada alle guerre cognitive, un’arte bellica destinata a restare, per sempre, a causa del concatenamento di alcuni fattori globali, sociali e tecnologici.

Nelle guerre cognitive tutto è o può essere un’arma: da un canale Telegram ad un gruppo Facebook. E l’obiettivo è uno: la mente. O meglio, il dominio della mente. La fantascienza che diventa realtà: neuro-armi, tecnologia menticida, candidati manciuriani. Destabilizzazione di intere società a mezzo di influencer, piattaforme sociali, blog, eserciti di troll e messaggistica istantanea.

Le origini delle guerre cognitive risalgono ad un’epoca precisa, la Guerra fredda, della quale è necessario parlare e nella quale si deve tornare indietro al fine della loro comprensione. Perché le tecniche, le tattiche e le conoscenze dei neuro-strateghi di oggi non sono che il frutto degli accadimenti di ieri, come il progetto MKULTRA, gli esperimenti di Montreal, gli studi di Kurt Plötner, Sidney Gottlieb, William Sargant e Donald Cameron e le indagini dello Human Ecology Fund.


Il contesto storico

Non si può capire a fondo la logica dello Human Ecology Fund, un’indagine sul funzionamento della mente umana finanziata dalla Central Intelligence Agency, senza una ricostruzione del contesto storico.

Erano gli anni Sessanta, il confronto con l’Unione Sovietica era entrato nel vivo, e gli Stati Uniti, preda della paura rossa, temevano la propaganda invisibile del nemico ed erano convinti che vi fossero quinte colonne ovunque: dal Pentagono a Hollywood. La società era in fermento, nell’aria si respirava la prossima esplosione dei movimenti controculturali, e nelle stanze dei bottoni si discuteva di come trasformare la sfida del mutamento sociale in corso in un’opportunità.

Fu nel contesto delle tensioni interrazziali, delle maxi-dimostrazioni pacifiste e delle violenze politiche dei turbolenti anni Sessanta che la Casa Bianca delegò a Langley l’onere-onore di trovare una soluzione all’infiltrazione della propaganda sovietica negli Stati Uniti. Soluzione che gli psico-guerrieri della CIA provarono a cercare nell’emergente campo degli studi cognitivi.


Ecologia umana, o ingegneria sociale

Dello Human Ecology Fund, uno dei programmi più segreti targati CIA di cui si abbia notizia, ancora oggi si sa poco e nulla. Date, nomi, numeri; molto è rimasto avvolto da un manto di mistero. Il che ha contribuito, naturalmente, ad alimentare il cospirazionismo.

Lo HEF sarebbe stato fondato nel 1955, con il nome di Società per l’investigazione dell’ecologia umana, presso il dipartimento di psichiatria della Cornell University. A dirigere l’entità, ufficialmente focalizzata sullo studio di tecniche persuasive di interrogatorio, il neurologo Harold Wolff.

Nel 1957, dopo soli due anni di attività, Wolff fu esautorato e sostituito da James Monroe, un militare con esperienza nelle guerre psicologiche, e da Carl Rogers, tra i più eminenti psicologi dell’epoca. Langley, in particolare, era interessata ad un’applicazione militare delle teorie di Rogers sulla terapia non direttiva.

Sarebbe esistito un modo per spingere le persone ad agire contro la loro volontà, ad esempio rivelando dei segreti senza accorgersene e senza bisogno di un duro interrogatorio. Gli psico-guerrieri dello HEF ne erano convinti. E la CIA leggeva i loro rapporti periodici con ottimismo, perciò le decisioni di allargare i collaboratori dello HEF – dall’Ufficio di ricerca navale al Fondo Geeschickter per la ricerca medica – e di ampliare il raggio d’azione delle ricerche – passando dalla semplice psicologia all’impiego di stupefacenti e psichedelici, tra i quali la dietilamide dell’acido lisergico (LSD).


I risultati

Ad un certo punto, all’acme delle ricerche, i destini dello HEF si sarebbero intrecciati con il famigerato Allen Memorial Institute della McGill University, teatro dei concomitanti esperimenti di Montreal sul lavaggio del cervello effettuati nell’ambito di un altro progetto della CIA sulla mente: MKULTRA. Con risultati di tutto rispetto.

Nei laboratori dello HEF, molte volte coincidenti con le celle di istituti psichiatrici, le teorie sull’ingegneria sociale e sulla manipolazione mentale venivano testate, portate all’estremo e superate. Pazienti catatonici riportati alla normalità. Pazienti sani ridotti alla catatonia. Esperimenti sul bombardamento psicologico, sulla resistenza allo stress, sulla guida psichica, sulla modifica del comportamento. Il tutto nel nome della lotta al comunismo.

Nonostante i successi decantati dai neurologi e dagli psicologi dello HEF, la CIA avrebbe ordinato l’interruzione dei lavori nel 1965. Forse per fonderlo nel calderone del MKULTRA. O forse per portarne avanti le ricerche in totale segretezza, dietro il paravento della fine delle operazioni.

lunedì 6 gennaio 2025

Acerenza, il borgo che potrebbe custodire il Sacro Graal

tratto da "Il Giornale" del 1 Febbraio 2022

Acerenza è un borgo della Basilicata ritenuto tra i più belli d'Italia: nasconde inoltre una leggenda, sembra custodisca il Sacro Graal


di Claudio Schirru


Acerenza è un piccolo borgo che si trova in provincia di Potenza, in Basilicata. Noto per essere uno dei borghi più belli d'Italia, ha rappresentato per anni un importante crocevia per il passaggio dei cavalieri templari. Secondo una leggenda ospiterebbe inoltre una delle reliquie più ambite da secoli: il Sacro Graal.

Il borgo si staglia su una collina di tufo, a 800 metri s.l.m., dalla quale domina la vallata delineata dal fiume Bradano e dal torrente Fiumarella. Anche detta "città-cattedrale", Acerenza vede nella cattedrale consacrata all'Assunta e a San Canio il suo monumento principale.

Si tratta di una cattedrale dell'XI secolo, realizzata in stile romanico-cluniacense e tornata ai suoi antichi splendori dopo i restauri operati negli anni '50. Al tramonto risulta particolarmente suggestiva in virtù della luce del sole che passando per il rosone finisce con l'illuminare direttamente l'altare maggiore.


Acerenza, si trova qui il Sacro Graal?

Un'opera che per la sua bellezza varrebbe già la visita a questo piccolo borgo lucano. Lo spettacolo monumentale della cattedrale non esaurisce però le curiosità e il fascino di questa cittadina. Proprio all'interno di questa costruzione sarebbe celato il Sacro Graal, da cui Gesù avrebbe bevuto durante l'ultima cena e che Giuseppe D’Arimatea avrebbe utilizzato per raccoglierne il sangue durante la Passione di Cristo. Un calice che secondo le leggende donerebbe l'immortalità a chi dovesse bervi.

Alla base della leggenda i citati Cavalieri Templari, che ad Acerenza avrebbe installato un punto ristoro di grande importanza per i soldati impegnati nella Sesta Crociata (1227). A stabilire di nascondere il Graal nella cattedrale di San Canio sarebbe stato lo stesso fondatore dei Templari, Hugues de Payns (in latino Hugo De Paganis), che alcune ipotesi del '600 vedevano come di origini italiane e più precisamente lucane. La storiografia sembrebbe in seguito aver smentito l'origine italica del primo templare, ribadendo quella francese.

Malgrado ciò non ha perso forza la teoria secondo la quale lo stesso "Ugo dei Pagani" avrebbe nascosto ad Acerenza il sacro calice, ma sarebbe stata rafforzata da diversi indizi. A cominciare dalla piazza dove sorge la cattedrale, Glizzi: rappresenterebbe il genitivo di lingua gaelica "glin"; stessa origine gaelica anche per la leggenda del Santo Graal.

Altri due indizi accendono particolarmente la curiosità degli appassionati del Graal. Il primo fa riferimento ancora alla lingua gaelica, con il nome di San Canio che significherebbe "magnifico sorvegliante". Stando al secondo indizio l'oggetto tanto prezioso da sorvegliare sarebbe stato ulteriormente nascosto nel 1524. In base a quanto riportato dalle cronache del tempo una delle finestrelle della cattedrale venne murata dietro ordine del Conte Ferrillo Balsa, membro dell’ordine dei Cavalieri di Gerusalemme. Nessuno sa però quale, tra le tante, fosse la finestrella da celare e dove sia collocata. Una vera e propria caccia al tesoro che dura ormai da circa 500 anni.


La figlia di Dracula

Acerenza è al centro anche di un altro, a metà tra storia e leggenda. Si parla in questo caso di vampiri, o meglio, del vampiro per eccellenza. Cosa collega il famigerato conte Dracula, al secolo Vlad III di Valacchia (Vlad Hagyak lll Drăculea), con il borgo potentino?

La risposta è nelle narrazioni popolari, secondo le quali nella citata cattedrale di San Canio riposerebbero le spoglie della figlia di Vlad III. Ad alimentare la credenza la scoperta della rappresentazione di un drago alato, simbolo del conte, su una delle pareti della chiesa. Ulteriori "prove" a sostegno della teoria sono le statue che mordono sul collo le loro vittime.


Lilith

A quanto detto si accosta anche una leggenda dai tratti "horror".

Si dice che sia possibile intravedere il demone Lilith nei pressi della tomba, che in tempi passati sembra si aggirasse intorno alla cattedrale per consumare il sangue delle sue vittime. Una storia che non potrà che scatenare la curiosità dei veri amanti del mistero.