sabato 7 novembre 2020

IL PENTAGONO, BILL GATES, L’OCCIDENTE E LE SUE METASTASI

Tratto da "L'Opinione" del 31 agosto 2020

di Ruggiero Capone

Fin dagli ultimi decenni del passato secolo, due primarie aziende informatiche hanno lavorato e fatto consulenze per le più importanti agenzie americane, nonché per lo stesso Pentagono. Al punto che la Microsoft di Bill Gates e la Apple di Steve Jobs (ormai passato a miglior vita) hanno rappresentato un importante, se non fondamentale, apporto alla ricerca e sicurezza informatica statunitense. Anche se va detto che, i sistemi informatici di Jobs e Gates non hanno mai dialogato tra loro, e solo negli ultimi quindici anni s’è instaurata una sorta di compatibilità. Ma le agenzie Usa prendevano ciò che a loro serviva, non preoccupandosi di eventuali sviluppi. Nemmeno ipotizzando che il sistema Bill Gates potesse mai assurgere ad una sorta di Spectre (metafora tratta dalla narrazione di James Bond), una sorta di superagenzia mondiale in grado di controllare altri stati e determinare la stessa politica Usa. Il Pentagono ha al suo interno una importante agenzia, il cui acronimo è Darpa: Defense Advanced Research Projects Agency. Attraverso quest’ultima il Pentagono ha sviluppato la realizzazione d’insetti geneticamente modificati. Ma a cosa servirebbero? Innanzitutto a testare armi chimico-batteriologiche su popolazioni cavia, che da sempre vengono individuate nelle aree più povere del pianeta, ovvero Africa centrale e zone remote (ma non ci sono prove sufficienti) dell’America latina. Ma il Pentagono ha da tempo un importante concorrente nelle aziende di Bill Gates che operano informaticamente per le big pharma, ovvero le multinazionali finanziario-farmaceutiche che avrebbero usato gli insetti robot (ma anche bionici) della Microsoft per testare nuovi patogeni umani ed animali nonché le tecniche d’impollinazione, anticrittogamiche ed antiparassitarie in zone dell’Africa centrale. Per farla breve, il Pentagono non controlla più il potere di Bill Gates e delle big pharma: anzi il connubio tra multinazionali chimico-informatico-finanziario determina le politiche negli stati sia democratici che autocratici. E se per il Pentagono gli insetti modificati e controllati potrebbero servire a distruggere le colture agricole di potenziali nemici, per le big pharma gli insetti sintetici e comandati possono agevolmente rivelarsi vettori massivi di nuove patologie sperimentali, quindi di eventuali cure. Circa una ventina d’anni fa, in concomitanza con l’epidemia di ebola in vaste aree dell’Africa centrale, biologi e ricercatori iniziavano a contestare la bioeticità di queste sperimentazioni, lanciando l’allarme contro l’impiego della “tecnologia Crispr per l’editing genetico”: in pratica veniva smascherato l’utilizzo d’insetti per scopi militari e chimico-farmaceutici. Molti scienziati si sono interrogati sul fatto che l’uomo si fosse sostituito a Dio, usando una nuova piaga biblica, una sorta d’esercito di cavallette sintetiche o geneticamente modificate. Ma l’agenzia Darpa ha secretato ogni documento in materia, negando evidenze ed appellandosi al fatto che si tratti di massimi segreti per la sicurezza occidentale. Ma dove inizia la sicurezza occidentale e dove finisce quella delle multinazionali chimico-farmaceutiche? Il dottor Blake Bextine è un dirigente della Darpa e si occupa del programma “InsectAllies”, il sito “ComeDonChisciotte.org” ha riportato questa dichiarazione di Blake Bextine che definisce lo “sfruttamento di un sistema naturale ed efficiente di attuazione, in due fasi, per trasferire i geni modificati alle piante: gli insetti vettore e i virus delle piante che essi trasmettono contromisure modulari, facilmente dispiegabili e generalizzabili contro potenziali minacce, naturali e progettate, all’approvvigionamento alimentare, con gli obiettivi di preservare il sistema colturale degli Stati Uniti”. Ma il Pentagono non è l’unico manipolatore chimico-genetico-batteriologico. E non c’è dato sapere se Darpa e big pharma non si siano spartiti il territorio di sperimentazione, soprattutto non sappiamo come si posizioni l’Oms (organizzazione mondiale della sanità) il questi scontri o incontri. Darpa s’affida a cicadelle, mosche e afidi per inoculare nelle colture i vari virus selezionati: si tratta di agenti di alterazione genetica, virus introdotti in una data popolazione d’insetti per mutare la composizione genetica delle colture. Ma colture tempestate da virus modificati vanno indubbiamente a mutare la genetica e il sistema immunitario degli umani. Qui ovviamente il Pentagono invade il campo delle big pharma e del loro alleato finanziario e cibernetico Bill Gates. Molti scienziati si domandano se Pentagono e big pharma possano mai allearsi in una futuribile guerra batteriologica. Di fatto il programma “InsectAllies” di Darpa mirerebbe a spargere virus infettivi modificati, progettati per modificare i cromosomi delle colture nei campi. Metodo già noto come “ereditarietà orizzontale”, mentre “l’eredità verticale” è l’alterazione tipica degli Ogm (organismi geneticamente modificati). Con l’Ogm (esempio il mais) si generano nuovi cromosomi in laboratorio, e per creare altre varietà. Ma con lo spargimento d’insetti nell’aria aperta le alterazioni genetiche delle colture avverrebbero in altro modo. Il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha respinto categoricamente qualsiasi test che condizioni la sicurezza delle piante, impedendo l’uso d’insetti geneticamente modificati sul suolo statunitense. E qualcuno rammenta come 27 milioni dollari dei contribuenti statunitensi siano stati spesi per “InsectAllies” si Darpa. Lo stesso padre di questa tecnologia, il biologo di Harvard Kevin Esvelt, ha messo in guardia contro l’uso di questi insetti affermando “solo pochi organismi modificati potrebbero alterare irrevocabilmente un ecosistema un gene modificato risultante può diffondersi al novantanove percento di una popolazione in sole dieci generazioni e persistere per più di duecento generazioni”. Ma oggi Bill Gates è uno dei maggiori finanziatori dell’editing genetico. In Cina, gli scienziati hanno utilizzato embrioni umani (in Cina i donatori di embrioni sono ammessi) dai quali non sarebbe derivata la nascita di uomini, ma per il solo di modificare un gene specifico, di creare un organo umano senza che appartenga ad un essere umano. “Le cellule testate non sono riuscite a contenere il materiale genetico destinato – ha detto a Nature il ricercatore cinese Jungiu Huang – ecco perché ci siamo fermati”. Ma la corsa alla creazione di agenti biotecnologici è solo a metà strada, gli inizi sono stati coperti dal segreto e dai vari motivi di sicurezza. Così laboratori di agenzie di stato e di multinazionali collaborano o si combattono, e spesso non è dato sapere il confine del territorio tra sicurezza occidentale e della security d’un colosso finanziario-farmaceutico. Consulenti e dipendenti di agenzie di stato li si ritrova spesso passare alla sicurezza di colossi multinazionali, farmaceutici, cibernetici e bancari. A dircelo è William Engdahl, già “consulente di rischio strategico” e docente, soprattutto autore di bestseller su petrolio e geopolitica: alla rivista New Eastern Outlook ha rivelato tutti i segreti di questa lobby che ha piedi in stati come in multinazionali. L’ultimo obiettivo delle ricerche è certamente il controllo della vitalità umana, il suo contenimento attraverso la trasmissione mirata di malaria, dengue, agenti patogeni vari. Il tutto perché al mondo possano rimanere risorse e ottima qualità della vita per chi fa parte dell’apparato del sistema interconnesso tra alti poteri statali e strutture finanziarie, tecnologiche sovrannazionali. Non c’è più spazio per i poveri e semplici? A quanto pare si vuole scaricare sugli ultimi la colpa di crisi economiche, climatiche ed epidemiche.

mercoledì 4 novembre 2020

Leonardo mago dell'arte (esoterica)

tratto da "Il Giornale" del 17/08/2020

Le fonti iconografiche del genio da Vinci includono Vangeli apocrifi e alchimia

di Claudia Gualdana

Sarà anche un'ovvietà affermare che Leonardo da Vinci è indecifrabile, eppure non lo si può evitare. Avvolto nel mistero, lascia sempre a mani vuote chi cerca di agguantarlo per classificarlo in qualche categoria.

La sorte della sua arte fa pensare un po' alla musica di Mozart uno dei pochi geni a lui paragonabili - che tutti ascoltano rapiti, ma senza afferrarla. Tuttavia, a differenza di Mozart, Leonardo era poliedrico. Ha dipinto, scritto, inventato. Le celebri macchine volanti e i meno noti strumenti musicali: progetti che tuttora sbalordiscono e mettono tutti quanti d'accordo almeno su un punto: da Vinci era un genio. Anzi, il genio. Eclettico al punto di essere ingaggiato persino, si direbbe oggi, per «organizzare eventi». Come la Festa del Paradiso, ossia le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona. Riporta questo episodio l'artista e storico dell'arte Dalmazio Frau, che al grande fiorentino dedica L'angelo inquieto. Scienza e magia in Leonardo da Vinci (Iduna Edizioni, pagg. 132, euro 14) sottolineando che, almeno nell'intento di da Vinci, furono soprattutto nozze alchemiche. Perché è l'alchimia, o meglio l'ermetismo rinascimentale, la chiave di lettura qui proposta nel tentativo di risolvere l'enigma Leonardo. In verità, l'autore pone domande, più che dare risposte, e questo è senza dubbio uno dei pregi del suo libro. La prima tessera del suo mosaico è il titolo. L'angelo, perché Leonardo si pone al di sopra e al di là del maschile e del femminile. L'unicità della sua persona travalica e riassume l'essenza dei due principi nella perfezione dell'androgino una figura alchemica - spazzando via così le illazioni sul suo orientamento sessuale, di cui francamente in una società seria non importerebbe a nessuno. Inquieto, perché eccezionale e figlio del suo tempo, il Rinascimento del neoplatonismo del circolo di Marsilio Ficino, e come tale aperto al passato e in egual misura al futuro, certo della perfezione del cosmo e forse di poco altro.

Inquiete furono anche le sue opere. Per alcune di queste, l'autore propone una lettura ben lontana dalla voga scientista in auge da fin troppo tempo. La più affascinante è quella de La vergine delle rocce del Louvre, che riporta alla memoria la lezione di Erwin Panofsky. Giornalisticamente si può riassumere così: nell'arte rinascimentale il bello è il guscio, ma se si vuole l'uovo il guscio va rotto. C'è un mondo intero inscritto nell'arte maiuscola, se la si guarda con lenti che svelino il pensiero a essa sottesa. Ce n'è più di uno in quella di Leonardo, che lascia sempre lo spiraglio per un'interpretazione altra. «Vorremmo che certi dipinti ci invitassero dentro il quadro per partecipare al loro modo di essere», è la frase di Nicolás Gómez Dávila scelta per aprire il capitolo, e l'autore proprio nel quadro ci porta. Nella vicenda che vede il dipinto rifiutato dai committenti ed eseguito in due versioni (l'altra è alla National Gallery di Londra). Nei pressi della Vergine, ritratta in un contesto rivoluzionario rispetto alla tradizione, appunto tra le rocce, ossia in una grotta, simbolo, tra gli altri, di rinascita e del passaggio nell'aldilà. Vicino al piccolo Giovanni Battista, ma quello narrato nei vangeli apocrifi. Di fronte alla bellezza sfrontata dell'arcangelo Gabriele, o forse Uriel, condannato all'oblio da Papa Zaccaria nel 745, quando fu stabilito che gli arcangeli dovevano essere soltanto tre. Egli sorride di quel sorriso che è la cifra dei suoi volti più sfuggenti. I protagonisti di Leonardo sorridono quando ingannano. Dubbia è l'identità dell'arcangelo della Vergine delle rocce come lo è quella di Monna Lisa e di Salai. Sorridono perché un po' ci canzonano: come se sapessero chi siamo, mentre noi ancora non abbiamo idea di chi davvero siano loro. Sta anche in questo la sua grandezza: accompagnarci per sentieri di cui non si vede la destinazione. Dalmazio Frau lo ha capito bene e ci ha dato la chiave per aprire la porta del labirinto, poi sta a noi vedere se ne veniamo a capo.


sabato 31 ottobre 2020

Merlino, Morgana e Artù. Sulle tracce degli eroi ​più moderni del Medioevo

tratto da "Il Giornale" del 05/08/2020

Altro che secoli bui, la saga della Tavola Rotonda è piena di energia, colore e forza letteraria. Einaudi pubblica in volume il corpus arturiano

di Claudia Gualdana

Il Medioevo è un dilemma. Chi ne sa nulla lo marchia con aggettivi spiacevoli: buio, oscurantista, barbaro. Chi lo conosce ne preferisce altri, per esempio fantastico. È infatti il termine compare nel titolo di due opere importanti dedicate all'evo di mezzo (Il medioevo e il fantastico, Il medioevo fantastico), rispettivamente di Tolkien e di Baltrusaitis.

Un luogo della memoria a tal punto controverso val bene qualche lettura. I capolavori non mancano, e ce n'è uno fresco di stampa. È Artù, Lancillotto e il Graal Volume I (La storia del Santo Graal, La storia di Merlino, Il seguito della storia di Merlino, a cura di Lino Leonardi, Millenni Einaudi, pagg. 1116, euro 90), un testo maestoso con introduzioni accurate, brevi compendi, apparati critici, note, immagini tratte da manoscritti originali. Tra l'altro è un evento editoriale: l'intero ciclo, di cui l'opera è il primo volume, non era mai stato tradotto integralmente in italiano moderno. Neanche in Francia è stato trattato come merita, è entrato nella Pléiade solo pochi anni fa e tuttora si fatica a considerarlo un classico. Eppure materia e cifre stilistiche sono da capogiro. Siamo nel regno del meraviglioso per eccellenza: il ciclo arturiano ai suoi inizi, che gli autori radicano in Terra Santa, nel segno della cristianizzazione delle terre del nord. Il tutto con un rutilante corollario di storie d'arme e d'amore, donzelle, cavalieri, re e principesse, contese e battaglie, creature fantastiche e un mago che è una celebrità, Merlino.

Il curatore ricorda che Lancillotto compare nella Commedia di Dante: laddove Francesca parla di un libro che fu galeotto nell'amore con Paolo allude proprio al Lancelot-Graal, chiamato dagli esperti «ciclo della Vulgata». Di cui la prima parte è quella in cui ci si perde in queste pagine lunghe eppure tanto veloci e leggere, per la quantità di storie incastonate che rapiscono e trasportano in un mondo sospeso a mezz'aria, sideralmente opposto a quello quotidiano.

L'avventura, il mistero. La lotta perenne tra il bene e il male. L'amore, la morte. Ed è la base del grande romanzo europeo, perché il ciclo arturiano è anche un viatico all'elaborazione psicologica dei personaggi. Lancillotto è il prototipo del cavaliere e dell'uomo perfetto, colui a cui ciascun giovane, a quei tempi, avrebbe dovuto ispirarsi. Bello, onesto, valoroso, pronto a morire per un ideale, eppure terribilmente umano, tormentato com'è dall'amore per la Regina Ginevra. Sarebbe ozioso riassumere qui una trama tanto intricata. Essa solca decenni attraverso la penna di scrittori diversi, talvolta celebri, talaltra abilissimi a nascondersi per mettere in primo piano soltanto la leggenda, e laddove uno conclude appare un altro a prendere i fili per riannodarne di nuove, sempre in nome della fedeltà verso quanto scritto prima. Meglio dunque fermarci agli esordi, che danno linfa e ragion d'essere a tutto ciò che verrà dopo.

Sappiamo che il ciclo è stato scritto nella Francia settentrionale nei primi decenni del Duecento, ed è stupefacente non tanto per «l'estensione inaudita» - scrive Leonardi quanto per il suo essere, per la prima volta in Europa, del tutto sradicato dal mondo greco-romano. Non da quello cristiano. Il primo libro della trilogia qui proposta è il Conte du Graal, non il capolavoro di Chrétien de Troyes, ma quello redatto da un monaco anonimo, probabilmente un eremita, secondo il quale la storia gli sarebbe stata consegnata direttamente da Gesù. Mirabolante espediente letterario per fondare un'epopea cristiano-barbarica: nel prologo il chierico spiega che, nella notte del giovedì santo di settecentodiciassette anni dopo la Passione, il Cristo gli appare e gli affida il Libro, scritto di suo pugno. L'eremita scopre così che gli evangelizzatori del nord erano dello stesso lignaggio di Gesù. Quindi legge per noi la straordinaria avventura umana di San Giuseppe di Arimatea, che nei Vangeli si occupa della sepoltura del corpo di Gesù. Gli apocrifi e la fantasia medievale lo hanno trasformato nel personaggio leggendario che avrebbe evangelizzato interi popoli portando con sé il Santo Graal, una ciotola in cui aveva raccolto alcune gocce del sangue di Cristo.

Il ciclo arturiano fiorisce quindi nella santità dei dogmi cristiani, in modo particolare la transustantazione, la trasformazione del pane e del vino in carne e sangue, come stabilito dal Concilio lateranense del 1215.

È come se la cornice sacra inquadrasse tutte le altre vicende, in una serie di mise en abyme che senza di essa si perderebbero in mille rivoli. E invece no, se persino il racconto della vita di Merlino, mago, e dunque di ascendenza in qualche modo demonica, trova nel santo battesimo una sorta di esorcismo e di nobilitazione. I due libri rimanenti sono dedicati a questa figura di indovino semi-selvaggio, come se la parabola salvifica del Cristo volesse per suo tramite purificare tutto ciò che a settentrione era stato prima della lieta novella. Il profeta indovino è il ponte che unisce la Terrasanta al nord Europa, Giuseppe di Arimatea e Lancillotto, la salvezza cristiana e il sottobosco pagano che essa ingloba e rettifica. Una strategia narrativa geniale, in cui una creatura destinata al paganesimo viene riscattata al bene, così come terre barbare sono conquistate alla civiltà in nome del Vangelo. Quindi questa storia quasi senza fine ha un fine nella conquista della perfezione cristiana.

Nella cerca c'è spazio per una commedia umana pre moderna in cui la grande assente è la noia, anche per il buon gusto che ha il narratore di starsene in un angolo, con grande beneficio per i caratteri sulla scena. Non c'è spazio neanche per il buio, perché i colori sono davvero tanti. Il blu del mare solcato dalla nave di Salomone; il rosso dei capelli della fata Morgana, sorella di Artù. L'oro della coppa del Graal apparsa a Parceval in un castello incantanto. Il verde delle foreste del nord Europa. Un caleidoscopio che fa pensare alle vetrate coloratissime delle cattedrali gotiche. Che stanno lì da secoli, radicate e solide. Proprio come la leggenda di Artù e dei suoi cavalieri immortali.



mercoledì 28 ottobre 2020

La serie tv sui complotti governativi. Fatti e misfatti di X-Files

 tratto da "Il Giornale" del 07/07/2020

Grande successo ad inizio degli anni '90, X-Files è disponibile da oggi, 7 luglio, sul catalogo di Amazon Prime Video. Scopriamo perché resta una pietra miliare dell'universo televisivo americano 

di Carlo Lanna

Nel corso degli ultimi 20 anni si sono avvicendate molte serie tv che hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore dei fan e che, di conseguenza, hanno rivoluzionato i canoni di narrazione nel piccolo schermo. Oggi, ad esempio, si ricorda ancora il mito di X-Files. La serie tv che miscela l’indagine poliziesca a quella che viene chiamata la "scienza di confine", resta una tra le produzioni per il piccolo schermo più amate di sempre.

Ad oggi è la serie tv che ha avuto un impatto maggiore sulla pop culture. Trasmessa in America in un periodo di grande fermento sociale e culturale, X-Files è andato in onda su Fox dal settembre del 1993 al maggio del 2002, per ritornare in tv dal 2016 al 2018.

Un successo che non ha caratterizzato solo l’America, dato che le vicende al limite dell’assurdo dell’agente Fox Muder e Dana Scully hanno trovato un enorme bacino di telespettatori anche qui in Italia. La serie, dapprima, è stata trasmessa su Canale 5 nel 1994, per arrivare poi su Italia Uno dove è stato trasmessa fino al suo ultimissimo episodio. Ora, in questa lunga estate caldissima, le 10 stagioni prodotte sono disponibili dal 7 luglio per i clienti di Amazon Prime Video per una intensissima maratona. All’appello, però, mancano i tre film per il grande schermo e la stagione 11, l’ultima, di cui i diritti sono ancora in possesso di Fox Italia. Questa piccola mancanza, però, non impedisce ai fan di poter apprezzare al meglio le vicissitudini dei due celebri agenti dell’FBI.

Alieni, governi ombra e segreti sepolti nel tempo: questo è X-Files

David Duchovny ha interpretato l’agente Fox Mulder, relegato in un archivio dell’FBI a catalogare tutti i casi irrisolti e apparentemente inspiegabili. L’ossessione si è sviluppata da un trauma che ha segnato l’adolescenza. La sorella di Mulder, a suo dire, sarebbe stata rapita dagli alieni all’età di 12 anni. Questo ha spinto il futuro agente dell’FBI a scoprire la verità, una verità che per troppo tempo è "rimasta là fuori". Mulder non è da solo in questa battaglia contro i mulini al vento. Al suo fianco c’è Dana Scully, medico e scienziato che utilizza i suoi metodi e la sua conoscenza per smontare tutte le teorie più folli del collega. Più passa il tempo, però, e anche la fede di Scully vacilla di fronte a casi inspiegabili e fuori dalla sua portata.

Viaggiano in lungo e in largo per tutti gli Stati Uniti tra creature mostruose, esperimenti segreti e virus sconosciuti, fino a quando non comprendono dell’esistenza di un complotto in seno al governo che mira a tenere nascosta un’invasione alinea da parte dei Colonizzatori. Scoprire la verità però ha un caro prezzo e sia Mulder che Scully sono disposti a tutto pur di scoperchiare un pericolosissimo vaso di Pandora, tenuto segreto fin dal primo avvistamento degli Ufo durante lo schianto di Roswell. Ovviamente, cercare di compattare tutte le vicende principali che sono state snocciolate in quei 218 episodi è quasi impossibile. Basti sapere che X-Files ha trovato la forza proprio in una narrazione complessa e sfaccettata, tanto da tenere incollato lo spettatore alla tv per un’intera decade.

Fatti e misfatti

Prima di diventare il successo che abbiamo imparato ad apprezzare, X-Files ha avuto una gestazione molto travagliata. Creata da Chris Carter, il primo episodio della serie è stato riscritto ben due volte prima che il network approvasse il progetto. Solo tre anni dopo il primo ingaggio da parte della Fox, infatti, lo sceneggiatore ha visto il suo progetto diventare una serie tv, presentando X-Files come un mix tra lo scandalo Watergate e The Night Stalker (serie tv degli anni ’70). Ma la fonte d’ispirazione sono stati anche Ai Confini della Realtà e Il Silenzio degli innocenti. Le riprese si sono svolte a Vancouver, che si adattava molto bene alle atmosfere dello show, poi dalla stagione sei, il set si è spostato definitivamente a Los Angeles.

David Duchovny all’inizio non era interessato a prendere parte a una serie così impegnativa. Era uscito da poco da una straziante interpretazione in Twin Peaks di David Lynch e voleva allontanarsi dalla tv per dedicarsi al grande schermo. La parte, infatti, fu offerta in principio a Kevin Sorbo (conosciuto per essere stato l’Hercules dell’omonima serie tv), ma è stato scartato perché era "troppo alto" per interpretare un agente dell’FBI. L’audizione di Duchovny fu impeccabile, e convinto dall’ottima sceneggiatura, l’attore ha poi firmato il contratto. Gillian Anderson, che ha interpretato l’amatissima Dana Scully, ha affermato che non riusciva a staccare gli occhi dallo script e voleva la parte a tutti i costi. All’inizio però si pensava a una donna più austera per il ruolo, ma la scelta è ricaduta sulla Anderson una volta che Chris Carter ha notato la forte alchimia che c’era tra i due attori protagonisti. Questo legame ha fatto sognare i fan, tanto è vero che ancora oggi in molti sperano che David e Gillian possano uscire allo scoperto come coppia anche nella realtà.

Sono stati più di 100 gli attori selezionati per un ruolo nella serie. Solo 10 sono stati contattati nel corso degli anni, come Robert Patrick che sostituì Duchovny dalla settima stagione in poi. La sua presenza però non ha generato il plauso da parte dei fan e il suo ruolo è stato ridimensionato, anticipando il ritorno dello "spettrale" Mulder. E durante le riprese, inoltre, lo stesso attore protagonista intentò una causa alla casa di produzione perché, a suo dire, avrebbe venduto i diritti alle proprie reti affilate, riducendo lo stipendio al cast.

Alla fine a David Duchovny è stato riconosciuto un indennizzo di 20 milioni di dollari. La stagione sette fu concepita per essere anche l’ultima ma, alla luce di un interesse sempre maggiore da parte del pubblico alle teorie cospirative, lo show è rinnovato per altri due anni. Sono stati più di 18 milioni di telespettatori che hanno consacrato il successo di X-Files, e sono stati 16 i riconoscimenti che ha ricevuto, tra cui ben 62 candidature agli Emmy Awards.

I film, gli spin-off e il ritorno in tv

Per approfondire alcuni dettagli che non sono stati raccontati in tv, tra la sesta e la settima stagione, è stato prodotto il primo film per cinema di X-Files. Con il titolo Battaglia per il futuro, la pellicola (molto intensa e accattivante) non ha raggiunto la fetta di pubblico sperato, dato i contenuti erano ancora legati ai meccanismi della serie tv. Nel 2008 i protagonisti sono tornati poi in Voglio Crederci, film sequel di X-Files, che è stato però aspramente criticato perché non racconta cosa è successo realmente dopo la fine della serie tv, ma bensì solo un’indagine inedita di Mulder e Scully. Due sono stati gli spin-off. Millennium condivideva il creatore e alcune atmosfere di X-Files e raccontava la storia del profiler Frank Black che aveva la capacità di entrare nella mente di un serial killer. Dopo un ottimo inizio, lo show è stato cancellato senza un finale dopo tre stagioni.

È stato criticato, inoltre, per l’eccessiva violenza. Destino avverso anche per The Lone Gunmen (i Pistoleri Solitari). I compagni e amici di Mulder amanti del complottismo non hanno avuto vita lunga. Dopo 13 episodi lo show è stato cancellato ed è ancora oggi inedito in Italia. E poi nel 2015 X-Files ritorna finalmente in tv per raccontare cosa è successo dopo l’ultimo episodio della nona stagione. Le puntate, 16 in tutto, hanno stravolto tutta la mitologia dello show. Ancora oggi i fan si interrogano su quel criptico finale.



sabato 24 ottobre 2020

GROTTE PLANETARIE SULLA LUNA E MARTE, POSSIBILI LUOGHI PER BASI SPAZIALI

 tratto da "L'Opinione" del 24 luglio 2020

di Redazione

Cavità naturali scavate dalla lava e lunghe fino a 40 chilometri sulla Luna e Marte potrebbero essere luoghi ideali per ospitare future basi abitate dall’uomo. Le ha scoperte la ricerca italiana pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews e condotta dalle Università di Bologna e di Padova. Cavità simili, chiamate “tubi di lava”, “esistono non solo sulla Terra, ma nel sottosuolo della Luna e di Marte, i cui pozzi di accesso in superficie sono stati ripetutamente osservati nelle immagini ad alta risoluzione fornite dalle sonde interplanetarie”, ha detto Francesco Sauro, del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna e direttore dei corsi Caves e Pangaea dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

Coordinatore della ricerca con il geologo planetario Riccardo Pozzobon, del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, Sauro ha detto inoltre che la presenza dei tubi di lava “è evidenziata da allineamenti sinuosi di cavità e collassi nei tratti in cui la volta della galleria ha ceduto” e che “questi collassi, di fatto, costituiscono potenziali ingressi o finestre sul sottosuolo”. Formazioni simili sono state esplorate, sulla Terra, nelle Hawaii, nelle Canarie, in Australia e Islanda.

Confrontando le immagini del suolo di Luna e Marte riprese dai satelliti, i ricercatori hanno scoperto che rispetto ai “tubi” terrestri, che raggiungono un diametro compreso fra i 10 e i 30 metri, le dimensioni dei condotti aumentano di 100 volte su Marte e di 1000 volte sulla Luna: un impressionante aumento di dimensioni dovuto alla minore gravità e ai suoi effetti sull’attività vulcanica.

Secondo Pozzobon, “condotti di tali dimensioni possono raggiungere lunghezze superiori ai 40 chilometri, fornendo così spazio a sufficienza per ospitare intere basi planetarie per l’esplorazione umana della Luna: cavità talmente enormi da arrivare a contenere il centro storico della città di Padova”.

I tubi di lava proteggono inoltre dalle radiazioni cosmica e solare, riparano dai micrometeoriti e offrono un ambiente a temperatura controllata, non soggetta a variazioni tra notturne e diurne.

Le agenzie spaziali stanno mostrando crescente interesse per le grotte planetarie e i tubi lavici in vista delle future missioni umane su Luna e Marte, hanno rilevato infine i ricercatori, per i quali “tutto questo rappresenta un cambio di paradigma nella futura esplorazione spaziale”.

sabato 17 ottobre 2020

Il mistero del genoma umano: tracce di organismi primordiali

 tratto da "Il Giornale" del 26/07/2020

Dopo aver anticipato i tempi raccontando l'incubo della pandemia, Quammen ci racconta l'albero intricato della vita e i misteri nascosti nel dna dell'uomo

di Matteo Carnieletto Andrea Indini

Immaginate un albero, di quelli secolari. Alla base, il tronco affonda le proprie radici nella terra. Non puoi vedere fino a dove arrivano. Puoi immaginarlo. È da lì che viene. È da lì che succhia linfa vitale, giorno dopo giorno.

Punti, poi, lo sguardo verso l'alto e la chioma è tanto grande da coprire la visuale del cielo azzurro che gli piomba addosso. È immobile, ma in continua mutazione. Da lontano sembra un tutt'uno ma, mano a mano che ti avvicini, puoi scorgere ogni diramazione dei suoi rami. Verrebbe da dire: proprio come la vita. Ma non è così. Questa poteva, infatti, essere un'immagine che andava bene per descrivere, anche se in modo sommario, l'intuizione che aveva avuto Charles Darwin quando, nello scrivere L'origine della specie nel 1859, illustrava quanto aveva appreso durante il secondo viaggio a bordo della HMS Beagle e metteva le basi alla teoria dell'evoluzione facendo così sgretolare il credo creazionista secondo cui la vita data da Dio è immutabile. Si trattò di una vera e propria rivoluzione per la biologia, ma ben presto anche l'idea secondo cui le informazioni ereditarie si trasmettessero solo verticalmente fu superata. La scoperta del trasferimento genico orizzontale ha, infatti, rivelato che in alcuni casi il materiale ereditario viene trasmesso lateralmente. Saltando da una linea all'altra.

Mentre eravamo chiusi in casa, obbligati dal lockdown imposto per contenere la pandemia da coronavirus, molti di noi hanno ripreso in mano un capolavoro uscito dalla penna di David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie (Adelphi). Lo aveva scritto in tempi non sospetti, era il 2012 (in Italia sarebbe uscito un paio di anni dopo), ma già preconizzava quello l'inferno in cui ci siamo venuti a trovare quest'anno. Il salto di specie, dall'animale all'uomo, e la nascita di una malattia di cui non si conosce cura. "La zoonosi (il salto di specie, ndr) – ci metteva in guardia – è una parola del futuro, destinata a diventare assai più comune nel corso di questo secolo". Mentre correvamo a studiare quello che ci stava esplodendo in torno, il saggista statuniteste, autore anche del bellissimo Alla ricerca del predatore alfa, ci metteva davanti a un altro processo in atto da sempre: l'evoluzione della specie. In libreria è, infatti, arrivato da qualche settimana, sempre edito da Adelphi, L'albero intricato. Si tratta di un saggio puntuale (come lo sono sempre i suoi lavori), in alcuni tratti anche ostico, che ha il pregio di aiutare a capire quei processi millenari che da sempre plasmano la vita e che, grazie alla scoperta fatta da Carl Woese negli anni Settanta con il suo lavoro su batteri e archei, si è compreso essere molto più intricati di quanto non immaginassimo. "Woese era uno scienziato mosso dalla più intensa curiosità sulle domande più profonde riguardanti la vita sulla Terra - spiega Quammen in una recente intervista al Giornale - utilizzò la biologia molecolare per rispondere a quelle domande".

È stato Woese a scoprire che i geni non si spostano soltanto in senso verticale, passando cioè da una generazione alla successiva, ma anche lateralmente. Non solo. Possono addirittura attraversare i confini di specie o passare da un regno a un altro. L'uomo stesso è una sorta di mosaico composto da molteplici forme di vita. Siamo "l'equivalente genetico di una trasfusione di sangue". Per almeno l'otto per cento, infatti, il nostro genoma presenta residui di retrovirus che hanno intaccato il dna dei nostri antenati. Si chiama eredità infettiva. Alcuni di questi si sono riadattati e hanno inizato a svolgere funzioni a dir poco fondamentali. Ne è un esempio la sincitina 2, il gene produttore della membrana che, durante la gravidanza, si sviluppa fra la placenta e il feto per portare il nutrimento al nascituro e smaltire gli scarti. Senza di quello non sarebbe possibile la gravidanza.

L'albero descritto da Quammen è a dir poco intricato. E più ti spinge a guardare dove siamo arrivati, più ti obbliga a volgere lo sguardo verso dove tutto ha avuto inizio. Che, poi, è la domanda che muove tutto quanto. "Ci sono prove molecolari forti - spiega Quammen - secondo cui una cellula di archeo sia stata la cellula ospite del primo evento di endosimbiosi che ha condotto alla linea di discendenza di cellule complesse che, oggi, chiamiamo eucarioti, ai quali apparteniamo anche noi". Tra i "donatori" possiamo, infatti, ritrovare organismi primordiali che popolavano la Terra miliardi di anni fa. Oggi abitano in ciascuno di noi in una simbiosi che, come ci fa notare lo scrittore americano, dovrebbe spingerci a interrogarci sui concetti di specie e di individuo.