sabato 28 luglio 2018

Grandi scoperte e grandi bufale. I segreti dell'archeologia 2.0

Eric H. Cline in "Tre pietre fanno un muro" racconta successi e clamorosi errori: da Heinrich Schliemann ai giorni nostri

tratto da "Il Giornale" del 09/02/2018

di Matteo Sacchi

Una pietra è una pietra, due pietre sono un indizio, tre pietre fanno un muro. E un muro è quanto basta per far litigare a morte gli archeologi.

Perché capire davvero che cosa sia un reperto è tutt'altro che facile. Per rendersene conto, niente di meglio che leggere il saggio di Eric H. Cline che nel titolo riprende proprio questo detto che va di moda tra gli «scavatori» professionisti: Tre pietre fanno un muro. La storia dell'archeologia (Bollati Boringhieri, pagg. 478, euro 26).

Cline, che dirige il Capitol Archaeological Institute della George Washington University, non è soltanto uno degli archeologi più quotati al mondo - è forse il più grande esperto della storia della Palestina antica -, è anche un divulgatore dalla penna agile e divertente. Così, in questo volume mette alla portata del grande pubblico molti degli sviluppi più innovativi dell'archeologia. E fa capire, anche a chi non è del mestiere, quanto sia complicato questo tipo di ricerca che spesso, però, finisce gettato in pasto a noi tutti a colpi di titoloni di giornali, cosa che di sicuro non aiuta la comprensione vera.

mercoledì 25 luglio 2018

Un libro alla scoperta del Biellese segreto, tra eredità celtiche, riti pagani e misteri esoterici.

tratto da: http://www.rivistaetnie.com/roberto-gremmo-biellese-segreto-87535/

Roberto Gremmo, Biellese segreto – L’eredità delle civiltà antiche, le credenze magiche e i misteri esoterici, Storia Ribelle, Biella 2017, 18 euro.

Questo nuovo libro del noto etnista e storico Roberto Gremmo è frutto di anni di ricerche difficili e appassionate alla scoperta di un Biellese insolito, imprevisto e celato. Spuntano le vestigia dell’ancestrale “Vittimula”, centro di estrazione dell’oro poi schiavizzato dai romani; le incisioni rupestri in val dl’Elf; la “Pera Pichera” e il “Roch dla Regina” di Roppolo, che ricordano antiche devozioni comunitarie; il “battesimo” della “Scarpa du laver” di Postua e nella fonte magica e guaritrice di Lozzolo, veri e propri culti paganeggianti delle acque. Il “Roch dla vita” di Oropa, che conserva ancora molti misteri e poco noti rituali ereditati dalla religiosità pre-cristiana. Di leggendarie località scomparse resta memoria nella tradizione del paese perduto di Viverone, del lago scomparso di Crevacuore, di San Pajarin nei boschi sacri di Arro e Carisio e nella fortezza di Ysingarda della Baraggia di Candelo. Robuste tradizioni di masche ammaliatrici, guaritrici o diaboliche popolano ancora i racconti dei più anziani. Ma in tempi a noi più vicini non mancano suggestioni esoteriche come la chiesa con la svastica di Rosazza, la fontana massonica nascosta al Lago della Vecchia, il menhir di Santa Esuberanza sulla Janka, e tanti altri misteri.

sabato 21 luglio 2018

Fernando Pessoa e Aleister Crowley: incontri pericolosi

tratto da: http://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2018/06/04/fernando-pessoa-e-aleister-crowley-incontri-pericolosi/?repeat=w3tc#

di Andrea Scarabelli

2 settembre 1930, quattro meno un quarto: al porto di Lisbona attracca l’Alcantara, giunto da Southampton; ha un ritardo di ventiquattro ore, dovuto a una fitta nebbia al largo di Vigo. Dal piroscafo scende una figura notturna, dagli occhi accesi, avvolta in un mantello nero, che raggiunge un uomo sul molo. Timido e leggermente inquieto, l’uomo – che, diciamolo francamente, vorrebbe trovarsi altrove – porge la mano alla figura ammantata, che esclama, anticipando le presentazioni: «Orbene, che idea è stata mai questa d’inviarmi una nebbia lassù?». Inizia così il breve soggiorno di Aleister Crowley a Lisbona. È giunto nella Città Bianca con la sua giovane amante, Hanni L. Jaeger, per prendersi una pausa da una vita irrequieta, guai finanziari e creditori, ma anche dalle pressioni del suo entourage. Ma soprattutto per incontrare Fernando Pessoa, il quale, insieme ad altri amici, inscenerà il “finto suicidio” della Bestia 666. La vicenda Crowley-Pessoa – che in Portogallo ha ispirato ben quattro romanzi – è documentata nel ricco volume La bocca dell’inferno, appena uscito per i tipi di Federico Tozzi a cura di Marco Pasi, tra i maggiori esperti di Crowley in Italia. Un volume dalla curatela eccellente, che comprende il carteggio Crowley-Pessoa, gli articoli dedicati al presunto suicidio del mago apparsi sulla stampa lusitana e straniera tra il settembre e il dicembre 1930, il romanzo incompiuto La bocca dell’inferno – originariamente scritto in inglese – e un’antologia di poesie pessoane dedicate a Crowley o contenenti sue tracce. Insieme a note, bibliografie e approfondimenti, che fanno luce sui misteri di quel fugace rapporto.

Un rapporto iniziato epistolarmente l’anno prima, quando Pessoa ordina alla Mandrake Press i primi due volumi delle Confessions crowleyane. Dopo aver dato un’occhiata al primo, si accorge subito che l’auto-oroscopo di Crowley è leggermente errato. Da profondo conoscitore dell’astrologia qual è, scrive all’editore, il 4 dicembre 1929: «Se avete, come è probabile, la possibilità di comunicare col Sig. Crowley, vi pregherei di informarlo che il suo oroscopo non è corretto». Segue una spiegazione dettagliata, che si conclude così: «Mi scuso con voi per questa intrusione di natura puramente fantastica in quella che è, dopotutto, solo una lettera commerciale».

Queste parole ci costringono ad aprire una piccola parentesi. La critica ufficiale nostrana ha sempre mostrato una certa allergia nei confronti del “Pessoa magico”, che in Italia è stato studiato soprattutto da Brunello De Cusatis, il quale nei suoi studi ha mostrato in modo scientifico e documentato la dimensione esoterica e mitogenica della poesia e della prosa pessoane. Un caso tutto italiano, come al solito, se è vero che secondo Eduardo Lourenço, tra i maggiori esperti pessoani a livello mondiale, «la poesia occultista copre l’intero spazio della vita e dell’opera di Pessoa». Àngel Crespo, autore de La vita plurale di Fernando Pessoa, curata da De Cusatis per Bietti nel 2014, chiosa: «E identica cosa può dirsi per parte della sua prosa».

Torniamo al 1930. Pochi mesi prima di Crowley, un altro straniero era andato a trovare Pessoa al caffè Martinho da Arcada, pubblicando sulla rivista parigina «Contacts» una testimonianza del pomeriggio passato con lui. L’articolo di Pierre Hourcade – in barba al razionalismo di certa critica italiana, tutta pensiero debole ed esistenzialismo – abbozza un’immagine molto particolare del Pessoa di quegli anni: «Seduto a un alto tavolo di marmo, su cui fuma l’eterno caffè portoghese, mi sforzo di dimenticare lo scenario e ho occhi solo per l’entrata del mago». Il critico letterario si aspettava un individuo malinconico, assorto nella contemplazione d’imperi che non appartengono a questo mondo – e proprio perciò sono contemporanei di tutte le epoche – e si trova di fronte a «uno sguardo vivo, un sorriso fermo e malizioso, un volto che trabocca di vita segreta». Attraverso i suoi proverbiali occhiali, che indosserà l’ultima volta poco prima di prendere congedo da questo mondo, cinque anni dopo, s’«irradiava un incanto indefinibile fatto di estrema cortesia, perfetta semplicità», un’«intensità febbrile». Hourcade è come pietrificato da quella presenza, la cui aura “magica” muta addirittura il paesaggio circostante, come se l’aria intorno a loro «fosse più ricca di ossigeno di quella grande esalazione salubre e luminosa che saliva dal Tago, per poi venire a spirare, attraverso la “più nobile piazza d’Europa”, alle soglie di quel sepolcro, convertito dalla presenza del poeta in un antro della sibilla». Lasciamo che sia il già citato Crespo a commentare questa testimonianza: «È indubbio come Hourcade fosse estremamente sensibile ai segni esteriori che denunciavano la presenza di chi, come Pessoa, apparteneva al misterioso novero dei cultori delle scienze occulte».

Il Pessoa che attende Crowley sul molo accarezzato dalla brezza oceanica, nella città fondata da Ulisse, è molto diverso. Piuttosto intimorito dalla Bestia 666, come già detto, non mancherà di organizzare una blague degna di questo nome. Coinvolgendo anche altri, peraltro, tra cui Augusto Ferreira Gomes, «suo fratello occultista» (João Gaspar Simões), che finge di aver trovato presso la Boca do Inferno, vicino a Cascais, un enigmatico biglietto di Crowley diretto a Hanni. Ecco il testo del messaggio, che lascia supporre a tutti gli effetti un suicidio:

«L.G.P. Non posso vivere senza di te. L’altra “Boca do Infierno” mi avrà. Non sarà tanto ardente quanto la tua! Hjsos! Tu Li Yu».

Pur sapendo che Crowley è vivo e vegeto, Ferreira Gomes trasmette l’informazione alla stampa, che successivamente contatta Pessoa per chiedergli ragguagli: d’altronde, non solo è tra gli ultimi ad aver incontrato Crowley, ma conosce bene le sue dottrine. Un diluvio di articoli ripercorre così gli ultimi giorni del mago, interrogandosi sull’enigmatico biglietto in codice. Che in realtà ha una chiave di decifrazione, trasmessa da Crowley a Pessoa: “L.G.P.” è il nome mistico della sua giovane amante, la sola a conoscere il significato di “Hjsos”, mentre la firma in calce appartiene a un saggio cinese di cui Crowley dice di essere l’incarnazione. Conoscendo gli interessi del poeta, Crowley gli chiede anche di preparare un romanzo sull’accaduto, al fine di mantenere viva l’attenzione del pubblico. Cosa che Pessoa fa, inventandosi un detective privato, come scrive a Ferreira Gomes il 27 ottobre 1930: «L’investigatore inglese che si è occupato del caso Crowley sta scrivendo il resoconto completo della sua interessantissima indagine sulla faccenda. Dovrebbe trattarsi di un piccolo libro, suddiviso in brevi capitoli». Mentre a Israel Regardie, segretario di Crowley, scriverà tre giorni dopo: «Secondo le mie informazioni il libro è completo nei dettagli e in parte è già scritto. L’autore spera di averlo pronto in un paio di settimane».

Durante il soggiorno lusitano, la notte del 9 settembre, il mago “iniziò” Raul Leal, amico di Pessoa e suo “collaboratore” nel caso Crowley. Come scrive Marco Pasi nella sua ricchissima introduzione, è verosimile che lo stesso Pessoa avesse preso parte alla serata. Ora, sappiamo che successivamente Pessoa si dichiarò iniziato, per comunicazione diretta (senza però specificare nulla sulle circostanze di questa sua “iniziazione”), ai tre gradi minori di un’organizzazione derivata dall’Ordine Templare di Portogallo. Scrive Crespo: «Pessoa – il quale avrebbe avuto modo, più tardi, di far parte dell’Ordine di Cristo, successore dei Templari in Portogallo – trovò in Crowley, se non un confratello, quantomeno un iniziato a uno degli Ordini che si proclamavano discendenti di quegli stessi Templari». All’iniziazione di Leal, tra l’altro, era presente anche la bellissima Hanni (che compare sulla copertina del libro): Pessoa dovette in qualche modo subirne l’ascendente, se è vero che il giorno dopo scrisse una poesia, anch’essa inserita nel volume, intitolata Dà la sorpresa di essere. Citiamo solo l’ultima quartina:

«Invoglia come una barca

Assomiglia a uno spicchio d’arancia.

Mio Dio, quand’è che mi imbarco?

Ah, fame! Quand’è che mangio?».

Anche l’amore possiede le sue iniziazioni. E le sue Bocche dell’Inferno.

L’ultima comunicazione tra i due protagonisti di questa storia misteriosa è una circolare interna, spedita da Crowley a ogni equinozio. Tale lettera comprendeva una “parola” particolare, che avrebbe determinato la “corrente magica” attiva nei sei mesi successivi (fino al successivo equinozio, insomma), assieme a un oracolo. Destinata solo agli “interni”, nel 1932 la ricevette anche Pessoa! Forse gliene furono spedite altre, andate perdute? Non lo sapremo mai. Tuttavia, come ricorda Pasi, il documento «lascerebbe supporre che Crowley considerava Pessoa membro di uno dei suoi ordini magici, e rafforzerebbe l’ipotesi di una sua iniziazione durante la visita del mago in Portogallo». Misteri su misteri, insomma…

Tra le varianti del romanzo riportate in appendice ne figura una, molto “pessoana”: «Realtà e finzione sono l’una più interessante dell’altra». Potrebbe sigillare questa storia singolare, allestita da personaggi altrettanto misteriosi ed enigmatici. Imbattendosi in Pessoa e Crowley – così come in tutti gli uomini degni di questo nome – è sempre arduo stabilire quale tra le due dimensioni sia preponderante. Come se, poi, le realtà non fossero tante quante le finzioni… Ognuna con la sua Bocca dell’Inferno, naturalmente.

mercoledì 18 luglio 2018

SCIAMANESIMO E PAGANESIMO NORDICO

di Andrea Romanazzi


" Tibi serviat ultima Thyle". Con questo verso il poeta latino Virgilio nelle Georgiche immortalava nella storia non solo le grandezze del principato di Augusto ma anche la storia di Thule, la mitica isola descritta dal navigatore greco Pitea di Marsiglia mentre compiva un viaggio nel nord Europa, fino ai limiti del mondo allora conosciuto, ovvero l’isola di Tule. Thule e Paganesimo Artico hanno legami con lo Sciamanesimo?
La tradizione sciamanica è ovviamente fortemente presente in tutta l’area nord del globo, dalle popolazioni Inuit e Inupiat dell’Alaska e dei territori nord americani e canadesi, alle tradizioni dei Kalaalit della Groerlandia ed Islanda, fino alle terre siberiane artiche abitate dai Sami, dai Nganasan, dagli Jacuti e dai Ciukci, solo per citare alcune delle più importanti etnie.
Una prima interessante tradizione sciamanica è quella degli angakkut, diffusa in tutta l’area della Groerlandia. Il termine deriverebbe dalla parola agakkiq, ovvero “visionario” o “sognatore”. Per molti questa tradizione magico-spirituale, come quella diffusa nell’area islandese, sarebbe quello che rimane degli antichi culti della Thule la mistica e mitica isola dove il sole non tramonta. Discendenti diretti delle popolazioni della Thule sono gli Kalaalit, abitanti delle regioni costiere artiche, spesso identificati con il dispregiativo termine “eschimese”, ovvero “mangiatori di carne cruda”.  Essi credono tutt’oggi in una energia o inua, che pervade tutte le cose.
Un famoso detto Kalaalit recitava che “Il grande pericolo della nostra esistenza risiede nel fatto che la nostra dieta è costituita interamente da anime”. Credono infatti che tutte le cose, animali compresi, sono dimore di Spiriti. In questa comunità, gli Angakkut, sia uomini che donne, diventano gli eroi della comunità, coloro che potevano dialogare con gli Spiriti, il ponte tra i due mondi. Viaggiavano negli altri mondi alla ricerca dei pezzi perduti dell’anima dei loro “clienti” rubate dai ilisiitsoq, stregoni malvagi, o persa per motivi naturali. La prime descrizioni di tali rituali le abbiamo verso la fine del ‘800 quando iniziano ad arrivare nell’area i missionari danesi. Il più noto di questi, Hans Egede, inviato dal re di Danimarca in persona, descrive una delle tante cerimonie sciamaniche
“…A number of spectators assemble in the evening at one of their houses, where, after it is grown dark, every one being seated, the angekkok causes himself to be tied, his head between his legs and his hands behind his back, and a drum is laid at his side; thereupon, after the windows are shut and the light put out, the assembly sings a ditty, which, they say, is the composition of their ancestors; when they have done singing the angekkok begins with conjuring, muttering, and brawling; invokes Torngarsuk [a major spirit], who converses with the angekkok…In the meanwhile he works himself loose, and as they believe, mounts up into Heaven through the roof of the house, and passes through the air till he arrives into the highest heavens, where the souls of angekkut poglit, that is, the chief angekkuts, reside, by whom he gets information of all he wants to know. All this is done in the twinkling of an eye…”

Conosciamo così i principali elementi del rito angakkoq: Lo sciamano, attraverso il suono del mistico tamburo, canti e danze, inizia il suo viaggio nel mondo degli Spiriti, in uno stato alterato di coscienza, da dove cerca e trae le informazioni richiesta dai membri della propria comunità.
Tra i più comuni viaggi vi era quello per propiziare la pesca. Era l’incontro con la temibile Madre del Mare, Sedna, per avvicinarsi alla quale lo sciamano aveva bisogno del potere e della protezione di tutti i suoi animali guida, o Tartok. Il viaggio era necessario per placare questo spirito perché ella veniva “insudiciata” dalle trasgressioni umane e dalle loro cattiverie svolte durante la pesca, e quindi compito del angakkoq era di pulirla.  Solo in questo modo si sarebbe assicurato nuovo cibo alla comunità. Lo sciamano, dopo aver combattuto per penetrare nella sua casa e vinto la sua resistenza, le doveva lavare il viso e pettinare i capelli. Solo dopo tali operazioni gli animali marini sarebbero stati resi liberi di cadere nelle reti degli Kalaalit.
Tutto questo avveniva all’incessante suono del tamburo, realizzato rigorosamente in pelle di orso mentre lo sciamano, seminudo, danzava scuotendo di tanto in tanto il sonaglio, avvisando dell’arrivo di uno spirito.
Altro pericoloso compito dello sciamano era la sua lotta con il Tupilak una creatura creata da sciamani neri dediti alla stregoneria con parti di animali o cadaveri quali ossa o capelli, muschio, pelle, alghe, manicotti di kayak, a cui era stata donata la vita attraverso antichi rituali magici che contemplavano l’utilizzo di acqua marina e il cui scopo era risucchiare l’energia vitale della sua povera ed inconsapevole preda. Il compito del Angakkoq era quello di scovarlo e distruggerlo in una tremenda battaglia.
“…Immediately the spirits were invoked with the cries: “Goi! goi goi goi”—now one voice, now more, sometimes from one end of the house sometimes from another. During this the Angakok grunted, puffed and sighed loudly.  Suddenly, the skin at the door started to rustle as if it was moved by a strong wind. The drum began to beat first slowly then gradually more rapidly. . . . During the most terrible noise the platform and the window-sill were sometimes shaken. Now the Angakok was heard lying under a heavy superior force, groaning, wailing, screaming, whining, whispering, now the spirits were heard some of whom had coarse, others tiny, others lisping or whistling, voices. Often a demonical, screeching, mocking laughter was heard. The voices sometimes came from above, sometimes from under the ground, now from one end of the house, now from the other, now outside the house or in the entrance passage. Cries of: “hoi! hoi! hoi!” faded away as if into the remotest abyss. With immense skill the drum was beaten, often moving round in the house, and especially hovering above my head. The drum often accompanied singing, which at times was subdued as if coming from the Underworld. Beautiful singing by women sometimes came from the background…”
(Holm 1888, in Jakobsen 1999, 124–126)
Lo Sciamanesimo inuit presenta molte similitudini con quello appena descritto. Chiamato Angakunig, era diffusissimo in tutte le aree artiche fino al 1936 data dell’arrivo dei primi missionari cristiani. Costante anche in questa area è la presenza di Sedna, ma molteplici sono gli altri Spiriti naturali che circondano l’uomo. Ancora importante funzione hanno i tarniit, le anime degli uomini o animali defunti, ijirait lo spirito delle montagne e molti altri.
Chiunque poteva divenire uno sciamano, uomo o donna, era però indispensabile avere il dono della visione, Spiriti Guida, o tuurngait, in questa tradizione tra i sei e i dieci, ognuno dei quali aveva le sue qualità specifiche. Strumento essenziale per lo sciamano era l’angaluk, una cintura sciamanica, fatta della pelliccia bianca della la pancia di un caribù, nonché numerosi coltelli che sarebbero serviti nella lotto contro il tupilak. Funzione importante avevano anche i cristalli, utilizzati anche nelle pratiche di guarigione secondo istruzioni date in viaggio direttamente allo sciamano. In Alaska e nell’area più orientale della Siberia, la maggioranza etnica è invece detenuta dagli Yupik e dai Chukchi. Gli Yupik sono anch’essi fortemente animisti, ogni fenomeno naturale, la pioggia, il tuono, il lampo, l’aurora boreale, ma anche i corpi celesti e le formazioni terrestri, sono espressione dello spirito.
In particolare il lupo, la balena e il corvo imperiale sono tra gli animali più sacri e non possono essere uccisi, le orche sono considerate come protettori dei cacciatori, mentre speciali cerimonie si svolgono per placare gli Spiriti degli animali prima della caccia o della pesca.
Ancora una volta, dunque, ruolo predominante aveva lo sciamano, detto angalkuq, colui che poteva dialogare con le potenze dei mondi.
Non esisteva una vera e propria iniziazione, se non quella “donata” dagli Spiriti, che però doveva essere sigillata con un patto. Tra gli strumenti più utilizzati, oltre all’indispensabile tamburo, troviamo molteplici amuleti, ad esempio la testa di corvo appeso all'ingresso della casa serviva da protezione, statue con la forma della testa di tricheco o di testa di cane erano invece utilizzati come amuleti individuali. Estremamente importante era poi la funzione della maschera, dalle sembianze umane, di animale o di spirito marino.
Molto interessante è poi la tradizione sciamanica Sami che io stesso ho avuto la fortuna di studiare durante uno dei miei viaggi.
L’antica religione Sami si basava su una percezione animistica e una forma di culto di stampo sciamanico nel quale battere il tamburo ed eseguire lo joink rivestivano un ruolo fondamentale. Il tamburo era per i sami l’equivalente dell’Altare di una chiesa, su di esso venivano svolte le cerimonie e grazie ad esso lo sciamano poteva viaggiare. Era battuto attraverso un martelletto o Allem, a forma di “T” o “Y”, ricavato dalla larga punta di un corno di renna non castrata.
Lo sciamano, chiamato Noaidi, batteva il tamburo fino a che non cadeva in trance per intraprendere così il viaggio verso gli Altri mondi. Inoltre, poggiando l’orecchio sul tamburo e “ascoltando” le sue parole era in grado inoltre di predire il futuro.
Le prime descrizioni del tamburo magico e delle sedute dello sciamano si devono all’Historia Norvegiae della fine del XII secolo nel capitolo intitolato De Finnis (gli abitanti del Finnmark): “…Ora il mago prende un tappeto e lo srotola e su di esso si prepara ad eseguire i suoi riti. Poi prende un oggetto, che ricorda un sole, e lo solleva in alto tenendolo con entrambe le mani. L'oggetto è adornato con piccole figure di balene e renne, con redini e piccoli sci, e anche una piccola barca a remi. Questi strumenti serviranno allo spirito assistente del mago per passare nella neve alta, scalare montagne ripide e attraversare acque profonde. Dopo aver danzato a lungo con questi oggetti, il mago si accascia a terra, nero in volto da sembrare un negro, con la bava alla bocca, come far intendere che portasse un morso (la briglia). Infine, mentre sembra che stia per spezzarsi in due all'altezza dello stomaco, l’uomo finalmente muore emettendo un urlo terribile. A quel punto, viene domandato ad un altro uomo, che si intende di magia, cosa fosse accaduto ai due. L’uomo si accinge, a sua volta, a compiere lo stesso rituale, ma con un risultato diverso. Riesce a riportare lo spirito in vita e racconta loro il motivo della morte del mago…”.
Al culto dei “Mondi” era associato quello delle divinità naturali, Haragallis, il dio delle Tempeste, portatore di pioggia ed abbondanza, Beaivi, il dio Solare, Bieggolmmai, il dio del Vento, Varaldenolmmai, la dea della Fertilità. Importantissimo era poi il culto degli Antenati legati alla Montagna Ancestrale Saivù, il luogo dove i defunti vivevano una vita beata. Le montagne erano infatti per i Sami sacre presentando dimensioni tali da non poter essere paragonate ad alcun altro luogo. Non tutte però sono ritenuta sacre, solo quelle poste in posizione isolata e che terminano con cime a punta o creste che si stagliano nel cielo blu o tra le nuvole. Un esempio è Haldi è il nome di una montagna sacra che si trova ad Alta e che appartiene ad un imponente massiccio montuoso. Qui si trova la roccia sulla quale venivano sacrificate le renne o grasso di pesce.
Insomma, i culti nordici sono fortemente permeati di sciamanesimo e pratiche proto-sciamaniche. L’indagine continua….


domenica 15 luglio 2018

“Le forme dell’Aprisogno – Il giardino segreto”

Incontro con le artiste - Sabato 21 luglio ore 21:00


Continua il progetto “Le forme dell’Aprisogno".

Iniziato a Giugno con l'inaugurazione dell'esposizione delle opere ispirate al libro, il viaggio prosegue con un evento dal titolo “Il giardino segreto”. 


"Il giardino segreto" è una performance artistica dai marcati accenti esoterici, che accompagnerà il pubblico fin dentro l’opera di Alessia Intilisano (autrice del romanzo “I giardini di Sicilia”) e Roberta Susy Rambotti (artista che ha trasformato il libro in opere d’arte). 

Un contatto composto di letture interpretate e coreografie, accompagnate dalle suggestioni visuali dell’artista Rambotti e dai canti della scrittrice. Un incontro che porterà a sentire la natura più misteriosa dell'opera, naturale prosecuzione dell’esposizione collegata. 

A seguire avrà luogo una sessione di dialogo e domande con Alessia e Roberta. 



Dove e quando

Patrocinato dal comune di Monzambano e promosso dalla fondazione Città dì Monzambano, l’evento si svolgerà presso il borgo di Castellaro Lagusello (MN), uno dei borghi più belli d’Italia, nel suggestivo giardino interno del B&B Le Quattro Stagioni, via Lazzareto 2, alle ore 21:00 (visualizza mappa). 



La mostra d'arte collegata alla performance sarà visitabile alla Torre del Castello (adiacente la location dell'evento) dalle 15:00 alle 18:00.
La pagina dedicata all'esposizione è: Le forme dell'Aprisogno
Per informazioni www.etichettaMiranda.it oppure info@etichettamiranda.it.


sabato 14 luglio 2018

Un universo non basta più. I mille luoghi fantastici in cui viaggia la letteratura

Un "Atlante" dei mondi immaginari, da Omero a Salman Rushdie: 4mila anni di terre "altre"

tratto da "Il Giornale" del 26/01/2018

di Luigi Mascheroni

Ciò che accade nel presente, anche se appare incredibile, è più spesso figlio del futuro che del passato. Pensiamo alla cronaca di oggi, già di per sé fantascientifica. Ci parla di clonazioni di macachi e di imminenti esperimenti sull'uomo.

Beh, una cosa che nel futuro - il futuro più credibile, cioè quello letterario - è già successa. Addirittura superata. Nel romanzo Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro (libro del 2005 che rientra nel genere «narrativa speculativa» più che di fantascienza, in realtà) gli studenti dell'apparentemente pacifico collegio di Hailsham, nella campagna inglese, completamente isolato dal mondo esterno, sono dei cloni, creati in laboratorio per donare i loro organi alle persone normali. Alcuni, scoperta la verità, si ribellano, altri cercano di posticipare il destino che li attende, altri ancora si mettono alla disperata ricerca dei loro «doppi»...

Ecco, l'oscura versione dell'Inghilterra contemporanea - alternativa? distopica? fantastica? - immaginata dal premio Nobel Kazuo Ishiguro per raccontare la fragilità della vita è solo uno dei mille non-luoghi creati dalla fantasia degli scrittori (a volte più inclini al sogno e alla speranza, molto più spesso agli incubi e alla follia) per ambientare, all'incrocio tra geo-narrativa e crono-racconto, le proprie storie. A pensarci, sono infinite. Universi alternativi, (anti)utopie, città invisibili, iperspazi, mondi paralleli, Terre di Mezzo, civiltà galattiche, Medioevi fantastici. Dall'isola favolosa di Ea, dove vive la maga Circe di Omero, al sistema solare «connesso e condiviso» del videogame Destiny, passando per l'immaginaria contea di Yoknapatawpha di William Faulkner e il pianeta Krypton di Superman, fino alla misteriosa «Area X» della trilogia di Jeff VanderMeer, la geografia fantastica è stata mappata con precisione da numerosi saggi, dizionari e atlanti che hanno impegnato accademici serissimi e fan ossessivi. E ora la biblioteca si arricchisce di un nuovo (grosso) tomo illustrato: un Atlante dei luoghi letterari (Rizzoli, pagg. 320, euro 35) che, dai confini del mondo conosciuto dell'Epopea di Gilgamesh (siamo attorno al 1750 a.C.) al meraviglioso regno di Peristan del romanzo Due anni, otto mesi e ventotto notti (2015) di Salman Rushdie, ordina cronologicamente quasi quattro millenni di terre leggendarie, mitologiche e fantastiche. Realizzato da un team di oltre 40 studiosi, coordinato da Laura Miller (una giornalista, non una critica letteraria, che organizza il lavoro per schede dedicate alle singole opere), il volume scandaglia l'età antica (ad esempio la Scandinavia epica del Beowulf, l'Oriente magico delle Mille e una notte, il Galles mitologico del Mabinogion, i regni ultraterreni di Dante, la «fatata terra» di Edmund Spenser...), poi il Romanticismo (la Flatlandia di Edwin A. Abbott o il regno del Mago di Oz) e quindi il lunghissimo, inquieto e visionario Novecento (dal «mondo perduto» di Arthur Conan Doyle all'antica contea di Gormenghast della trilogia di Mervyn Peake, dall'Oceania di 1984 di George Orwell al delirante universo sconosciuto della Guida Galattica per gli autostoppisti, anno 1979, di Douglas Adam). E fino a qui, tutto sommato, ci siamo. Nel senso che sulla materia si è già letto parecchio.

Ciò che invece costituisce la parte più interessante del libro, con uno scarto rispetto agli studi già noti paragonabile al passaggio dai vecchi atlanti a Google Maps, è l'ultima sezione, dal titolo «L'era digitale», che si occupa dei mondi immaginati dalla narrativa post-Guerra fredda, dagli anni Ottanta in avanti per intenderci, quando il progresso tecnologico ci avvicina, a ritroso, al Big Bang e la giocosità post-moderna lascia spazio alle creazioni fantastiche (e parodiche) del cyber punk, con tutte le sue proliferazioni immaginabili. Certo, intercettare una tendenza è impossibile. Ma la sensazione è che sui nuovi regni della fantasia domini l'accumulazione, la contaminazione, il pastiche. Di generi, trame, linguaggi.

Sì, è così. I mondi «altri» concepiti dai grandi scrittori negli ultimi trent'anni sembrano risucchiarti in un universo liquido, avvolgendoti da mille sotto-storie proliferate da una trama infinita e magmatica. È come finire in un gigantesco acquario coloratissimo, dove si agitano mille creature e personaggi bizzarri. Ecco la saga della Torre nera (1982-2012) di Stephen King, un Medio-Mondo in cui si mischiano narrativa, cinema, musica, arte, e insieme western, fantasy, horror e fantascienza. Ecco la serie del Mondo Disco (1983-2015) di Terry Pratchett, trasportato attraverso lo spazio sul dorso di una tartaruga gigante e popolato da eroi maldestri, Morte, streghe e divinità egizie. Ecco il Ciclo della Cultura (1987-2012) di Iain M. Banks, una civiltà galattica - anarchica, socialista e utopica - popolata da razze (opss..., scusate, popolazioni) diverse, macchine senzienti e alieni, tra esplorazioni spaziali, intelligenze artificiali, biotecnologie. Ed ecco il multiuniverso fantasy al centro della trilogia Queste oscure materie (1995-2000) di Philip Pullman, tra mondi nuovi e meravigliosi, daimon e esseri fantastici. Ecco i «Sette regni» del Trono di Spade (1996) di George R.R. Martin, di cui tutti, tutto sanno ormai. Ecco i romanzi new weird della serie di Bas-Lag (200-2004) di China Miéville, tra urban fantasy, steampunk, horror e surrealismo: attorno alla città di New Crobuzon si agitano taumaturgia e meccanica quantistica.

I «nuovi mondi», tra antichi riti magici e computer di ultima generazione, ormai contengono tutto. Opere mondo e Space opera. Gli universi alternativi si stando espandendo in maniera ossessiva. Aiuto! Il prossimo Atlante dei luoghi letterari sarà come la Mappa dell'Impero sognata da Jorge Luis Borges. In scala 1:1.

mercoledì 11 luglio 2018

Contatti non identificati

Dal Caso Amicizia, il più imponente caso di contattismo di massa nella storia, agli eventi che dal 2013 si fanno sempre più numerosi in Valmalenco. Ma è tutto davvero ciò che sembra? Il direttore della rivista Nexus New TimesTom Bosco e il coordinatore del Gruppo The X-Plan Diego Antolini si confrontano su difficili temi che sfidano i principi secolari di scienza, umanità e fede.

RELATORI:

TOM BOSCO
Direttore responsabile della rivista NEXUS New Times
"Il Caso Amiciza: contatto di massa, sofisticato inganno o test psicologico? Un’analisi critica".
Un documentato e discusso caso di contattismo di massa, proseguito per decenni con la partecipazione di numerose persone di ogni ceto ed estrazione sociale in collaborazione con presunti extraterrestri, desta tuttora numerose domande.


DIEGO ANTOLINI
Coordinatore del Gruppo The X-Plan
"Gli eventi in Valmalenco: non tutto è ciò che appare".
C'è chi grida al miracolo, chi rimane razionale e chi invece è disposto a credere oltre i dogmi di fede e scienza. In tutto questo è possibile tracciare una linea obiettiva sui fenomeni in Valmalenco? Scopo essenziale dell'indagine diventa esplorare i possibili scenari sociologici di un'esointegrazione.

Pre-booking presso Libreria Il Faro – Via Trieste 78, Sondrio
oppure www.nexusedizioni.it