domenica 8 dicembre 2013

Atena e il mito di Aracne

di Vito Foschi

La dea Atena, la romana Minerva è dea della sapienza nella mitologia greca, figlia di Zeus che la partorisce già adulta. Fra i tanti miti associati alla dea ci soffermiamo su quello di Aracne che ci permetterà di fare alcune considerazioni. Riassumiamo brevemente il mito.

Aracne era una valente filatrice, che abituandosi ad essere elogiata incominciò a vantarsi di essere non solo la più brava fra i mortali, ma addirittura in grado di gareggiare con gli dei. Atena, dea dai molteplici ingegni, sia muliebri sia guerrieri, protettrice dei filatori, è irritata dalla superbia della donna. Non può sopportare che una comune mortale affermi di essere più brava di una dea nell'arte della tessitura. Sotto forma di vecchia si reca dalla fanciulla e le consiglia di non offendere gli dei. Per tutta risposta Aracne, ribadisce di essere migliore di Atena, al che la dea riprende le sue sembianze e sfida la giovane ad una gara di tessitura. La dea tessé un arazzo rappresentante lo scontro fra Poseidone e la città di Atena, mentre Aracne un'immagine degli amori di Zeus. La dea non potendo ammettere di essere stata sconfitta distrugge l'opera di Aracne e per punirla della sua superbia la trasforma in ragno, costretta a filare in eterno la sua tela. Questo mito evidenzia le capacità muliebri della dea Atena.

La dea è sinonimo di sapienza, tra l'altro nasce dalla testa di Zeus, ma possiede caratteristiche piuttosto varie. È dea guerriera ed è rappresentata spesso con elmo, lancia e scudo. Certo lo scudo potrebbe rappresentare la difesa della sua verginità, quindi potrebbe essere assimilata sempre alle caratteristiche di una dea femminile, ma la lancia è strumento di offesa e quindi questa interpretazione non regge: Atena è anche una dea guerriera. Essendo una dea della sapienza, le sue capacità guerriere non sono guidate dal furore come nel caso del dio Ares, dio della guerra, e la sua protezione è più sulle decisioni tattiche e strategiche. Non a caso è protettrice di Ulisse, soldato valente, ma soprattutto esperto di stratagemmi e in qualche modo diverso dagli altri eroi Achei. Basti pensare al pessimo carattere e all'irascibilità di Achille che lo fa essere rappresentante terreno del dio della guerra.

Ci si chiede perché Atena unisca tutte queste qualità contraddittorie. Il mito di Aracne lega la dea al ragno, che in molte mitologie è legato ai miti della creazione. Il ragno tesse la tela creando un mondo e attende al suo centro lo svolgersi degli eventi. Ogni parte della ragnatela è collegata, ogni elemento della creazione è collegata, come indicato dal famoso detto della tavola Smeraldina, ciò che è in basso è come ciò che è in alto. Il ragno tira le fila della creazione. Ciò fa ritornare in mente un altro mito, quelle delle Parche che governavano il destino degli uomini. Filavano ed ogni filo corrispondeva la vita di un uomo, ne decidevano lo svolgimento e al momento opportuno recidevano il filo, ovvero ponevano termine alla vita dell'uomo. È evidente che le Parche richiamano il simbolismo del ragno.

Qual è il legame fra Atena e il ragno? Atena è una dea che protegge le arti femminili regala l'ulivo alla città di Atene e nello stesso tempo è una vergine guerriera. L’ipotesi più probabile è che la figura della dea sia il risultato di una trasformazione, ad opera dei conquistatori greci, di un’antica divinità femminile adorata da una popolazione organizzata in una società di tipo matriarcale. I greci avendo una cultura patriarcale modificheranno la figura della dea che diverrà figlia di Zeus, ovvero di un dio-padre e quindi sottomessa ad un uomo.

Il legame con il ragno potrebbe lasciar intendere di essere stata, prima della conquista greca, una dea-madre, quindi generatrice del cosmo.

Questo spiegherebbe le varie caratteristiche della dea un misto di una divinità agricola e feconda e di una divinità guerriera, ma mitigata dalla sapienza. Per i greci il dio della guerra è Ares, non a caso una divinità maschile, mentre la bellicosità della dea viene temperata dalla sapienza come si addice ad una divinità femminile. Per i maschilisti greci sarebbe stato inaccettabile una divinità guerriera femminile.

martedì 3 dicembre 2013

Il coraggio di sognare,la vita di Hugo Pratt

Tratto da L'Opinione del 29 novembre 2013

http://www.opinione.it/cultura/2013/11/29/bagatin_cultura-29-11.aspx

di Luca Bagatin

Hugo Pratt, allorquando nel 1967 ideò il personaggio di Corto Maltese, ebbe il coraggio di sognare. Il coraggio di sognare il viaggio, il cammino dell’uomo senza bandiera, senza ideali precostituiti, senza porti sicuri dove rifugiarsi. Il coraggio di rappresentare un eroe-antieroe libertario, che anticiperà quelli che, decenni dopo, diventeranno classici del fumetto moderno quali Dampyr e Dylan Dog. Hugo Pratt e Corto Maltese sono spesso raccontanti dai saggi del professor Luigi Pruneti, scrittore e attuale Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli Alam, oltre che appassionato di fumetti e di letteratura del fantastico.Ne “Il coraggio di sognare – Hugo Pratt fra avventura e mistero”, Pruneti ha voluto raccogliere in un unico volume edito da Tipheret, gli atti di due convegni, tenutisi rispettivamente a Forlì nel maggio 2013 ed a Pesaro nel 2010, dedicati al fumetto ed alla figura di Corto Maltese. Convegni presentati dall’amico Pietro Caruso, già direttore della rivista “Il Pensiero Mazziniano”, ed alla presenza di studiosi del fumetto, della letteratura d’avventura e di viaggio. Un saggio, “Il coraggio di sognare”, che attraverso i racconti dei relatori, ci racconta la vita e l’opera di Hugo Pratt, nato a Rimini da un padre di origini inglesi e da una madre veneziana, la cui vita fu una continua avventura, un continuo spostamento da un capo all’altro del globo terrestre.E ci racconta della sua collaborazione al Corriere dei Piccoli e le sue celebri opere che ebbero come protagonista il suo Corto: da “Corte sconta della arcana” a “Favola di Venezia”, passando per “La casa dorata di Samarcanda”, sino alle più recenti collaborazioni con l’amico ed allievo Milo Manara ne “Tutto ricominciò con un’estate indiana” ed “El Gaucho”. Corto Maltese, un libero marinaio, un po’ come fu Hugo Pratt, alla ricerca dell’arcano, del mistero e dell’esoterico. Una ricerca che porterà l’autore a farsi iniziare alla Massoneria della Gran Loggia d’Italia presso la Loggia Hermes di Venezia nel 1976, a cinquant’anni di età, raggiungendo, pochi anni prima di morire, il Quarto Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, esperienza di cui per molti versi racconterà nelle tavole di “Favola di Venezia”.“Il coraggio di sognare” racconta di questo e analizza gli aspetti culturali e misteriosi del fumetto, ingiustamente ritenuto semplice strumento di sottocultura ed in realtà di grande valore al pari di un saggio, di un’opera teatrale e/o cinematografica ed è davvero una delle poche opere edite in Italia ad affrontare i significati più reconditi dell’opera di Hugo Pratt. Vorrei concludere con un piccolo inciso, a proposito di Hugo Pratt, che purtuttavia è sfuggito ai relatori dei convegni relativi alla sua opera. È un aspetto purtroppo poco conosciuto, che però anni fa quando vidi il film non mi sfuggì. Sto parlando della presenza di Hugo Pratt quale attore nel film noir di Giancarlo Soldi “Nero” del 1992, ovvero tre anni prima della morte di Pratt. “Nero” è tratto dall'omonimo romanzo noir di Tiziano Sclavi, autore del fumetto Dylan Dog e Pratt nel film recita la parte del commissario di polizia Straniero.La presenza nel film di Hugo Pratt è fondamentale, in quanto segna il passaggio del testimone fra l’antico eroe Corto Maltese - il marinaio viaggiatore senza bandiera - ed il nuovo eroe degli anni Novanta e Duemila, Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo pieno di paure e fobie, ma capace di risolvere le angosce delle persone che a lui si rivolgono, in quanto capace di ascoltare il prossimo. E si noti, nel film, come le pareti dell’appartamento dei protagonisti - Federico e Francesca - siano abbellite da stampe tratte proprio dai fumetti di Pratt e Sclavi. Un piccolo cameo che, per gli amanti del fumetto d’avventura e noir, non può certo mancare.

lunedì 2 dicembre 2013

Alcuni cenni alla simbologia femminile del Graal

di Vito Foschi

Il Graal è un simbolo molteplice che racchiude vari significati. È un tramite per la divinità e rappresenta la molteplicità della potenza di Dio. Fra i suoi vari attributi c’è quello di rappresentare il principio creatore e in genere tutto quello che è legato alla vita: guarigione, nascita e rigenerazione. I suoi cantori gli hanno fatto assumere varie forme, calice, pietra, vassoio, ma le sue proprietà di rigenerazione sono costanti. La forma principale con cui è conosciuto il Graal è quello di un calice o in genere un contenitore. Ci soffermeremo su questa forma.



 Se esaminiamo il geroglifico egizio rappresentante la donna vedremo la presenza di un pozzo d’acqua. La donna, sorgente di vita, è legata all’acqua, sorgente di vita per eccellenza ma anche liquido amniotico. Il pozzo d’acqua come grembo materno. Nell’antico Egitto l’acqua assumeva un significato particolare. Le sue capacità agricole dipendevano dalla regolarità delle piene del Nilo. Tutto dipendeva dall’acqua. Non a caso tutte le grandi civiltà si sono sviluppate intorno a corsi d’acqua: il Nilo, il Tevere, il fiume Giallo, il Tigre e l’Eufrate, l’Indo. Nell’antica Mesopotamia una divinità dell’oltretomba chiamata Enki, riempiva di acqua le vasche dei primi templi. Poi semidei in forma di pesce la donavano agli uomini. I fedeli persiani la raccoglievano in anfore e versavano libagioni in coppe approntate dinanzi agli altari. In queste antiche cerimonie religiose, la vasca e il bacile, l’anfora e la coppa rappresentavano la creazione della vita.
Il Graal ha memoria di questi antichi miti. Forse un legame diretto non esiste, ma questi simboli sono universali e portano con sé memoria degli antichi significati. La potenza del simbolo è quella di rappresentare significati universali a tutti gli uomini e di passare indenne attraverso le generazioni umane assumendo nuovi significati ma conservando gli antichi.
Questa simbologia connessa all’origine della vita è indubbiamente legata alla donna e alla sua qualità di generatrice di vita. Il Graal contiene questa simbologia femminile, perché è un dispensatore di vita. In alcune leggende il Graal è legato alla Lancia sanguinante. Il sangue cola nel Calice e la lancia è simbolo maschile per eccellenza. Il Calice, la donna, la lancia, l’uomo, generano la vita e rappresentano l’atto creatore di Dio. Quale migliore rappresentazione della potenza creatrice divina del mistero della generazione di una vita dall’unione di un uomo e di una donna? E, di fatto, in passato quale altro simbolo si poteva utilizzare? Più tardi lo sviluppo della ceramica portò l’immagine di un Dio vasaio. Già nell’antico Egitto fu adottato il simbolo del vaso per significare il verbo creare.


 Il Graal essendo un contenitore possiede anche quest’immagine del vaso come simbolo della creazione divina. Anche il Dio cristiano che crea l’uomo dal fango riprende quella di un dio vasaio. Più tardi nel Medioevo Dio prende il compasso per creare. Il riferimento è all’architettura che allora sviluppava imponenti opere.
Il Graal rappresenta il tutto, perciò racchiude in sé il principio maschile e femminile. A volte reso più esplicito dalla presenza della Sacra Lancia. Simbolo maschile e quindi della guerra. Crea insieme al Graal-donna la vita, ma distrugge i nemici.
Nella tradizione cristiana un collegamento fra la donna e un contenitore esiste nella Litania Lauretana, la Vergine Maria viene descritta come: “Vas sprirituale, vas onorabile, vas insigne devotionis”, ovvero “vaso spirituale, vaso dell’onore, vaso pregiato di devozione”. La Vergine è descritta come un contenitore, il “contenitore” per eccellenza perché ha custodito il Figlio di Dio.
Un esempio di connessione fra il simbolo del vaso e la donna si ritrova nelle decorazioni della chiesa di S. Vitale a Ravenna in cui la regina Teodora viene accomunata ad un vaso. La metafora è sempre quella della donna come contenitore della vita.


Trattando di generazione, il ricordo di antichi culti legata alla Grande Madre, è evidente. La simbologia femminile del Graal è piuttosto forte a scapito di quella maschile, nonostante il tempo trascorso e l’avvento del cristianesimo e del Dio Padre. Anche per questo il simbolo del Graal, nonostante i tentativi di riportarlo all’ortodossia, rimane fondamentalmente un simbolo eteredosso.
Bibliografia
  • L’avventura del Graal di Andrew Sinclair
  • Il segreto dei geroglifici di Christian Jacq

mercoledì 13 novembre 2013

Lex Aurea 49

Vi segnaliamo il numero 49 della rivista esoterica Lex Aurea che contiene un articolo di Vito Foschi di cui potete leggere altri contributi nel blog. Il link da cui poter scaricare è questo qui:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea49.pdf

lunedì 11 novembre 2013

DANTE E LA “DOTTRINA CHE S’ASCONDE / SOTTO ’L VELAME DE LI VERSI STRANI”

tratto da L'Indipendenza del 10 giugno 2012
http://www.lindipendenza.com/dante-galileo-chiesa/

di PAOLO ZANOTTO
 
Per chi, come lo scrivente, respinge i cardini del materialismo storico-dialettico, gli eventi umani non rappresentano unicamente le meccaniche conseguenze di azioni meramente pratiche e contingenti, bensì l’espressione di moti ideali. Sulla base di tale premessa, acquisiscono un’importanza fondamentale le differenti impostazioni culturali; a volte determinate, certamente, da cause immanenti, ma latrici di istanze universali. La formazione culturale di un individuo, come ben sanno coloro che hanno monopolizzato il settore dell’istruzione e dell’informazione, risulta decisiva. A contribuirvi concorrono numerose concause, fra le quali quelle di carattere esplicitamente politico-sociale non rappresentano che una semplice porzione. Al fianco dell’influsso esercitato da filosofi, politologi, politici, giornalisti, c’è quello giocato da poeti, romanzieri, scienziati. 
Per coloro che respingono un indottrinamento da parte delle correnti di pensiero dominanti quest’ultimo si rivela come il più subdolo ed insidioso, giacché alcune teorie scacciate dalla porta potrebbero fare il loro pericoloso ingresso dallo spiraglio di una finestra lasciata socchiusa sul retro.
A tale proposito si è inteso tracciare una sorta di lista dei “buoni” e dei “cattivi” maestri, che possa rivelarsi d’aiuto nell’ardua impresa di ritagliarsi i margini indispensabili per fare delle buone letture nel poco tempo libero a disposizione, se non di rimediare all’opera di “controformazione”. Si tratta di una lista senza pretese, in quanto chi scrive non s’illude certo di possedere gli strumenti adeguati per suggerire alcunché a nessuno, se non a se stesso. Essa si configura, allora, come una riflessione a voce alta; quasi come una sorta di divertissement, al quale ciascuno possa contribuire in un esercizio corale (perché no?) per accrescere questo elenco, del quale il presente articolo costituisce soltanto l’incipit di una serie limitata.
I nomi famosi che hanno contribuito a segnare, nel bene o nel male, pietre miliari della storia umana sono numerosi. Per non attribuire ai ritratti una connotazione eminentemente “negativa”, si è pensato di prendere le mosse da un esempio alto e imprescindibile: Dante Alighieri. Tuttavia, l’insidia procede dalla deviazione. È lì, pertanto, che occorre soffermarsi. Pensando alle teorie da criticare, la mente spazia velocemente (la Verità è unica, l’errore molteplice). Ecco che sopraggiungono, fra i primi, i nomi di Martin Luther (sia il “re” che il monaco agostiniano); Sigmund Freud, il padre della psicanalisi; Arnold Toynbee, il morfologo della Storia, di cui bisognerà senza dubbio occuparsi. Innanzi tutto, però, hanno influito sui recenti avvenimenti politico-sociali alcuni personaggi che vengono solitamente indicati come capisaldi indiscussi del moderno pensiero occidentale: nobili scienziati o filantropi disinteressati e impegnati nel tentativo di emancipare l’Uomo dalle catene che lo imprigionano dall’eternità. E, forse, si riuscirà a far emergere come non tutto ciò che luccica è oro.

La Commedia oltre Benigni
«Io veggio ben che giammai non si sazia / Nostro intelletto, se il Ver non lo illustra, / Di fuor del qual nessun vero si spazia». Dante Alighieri, Paradiso, IV, 124-126. 
Tutti rammentano — anche perché ne è stato fatto un caso nazionale — le performance catodiche di Roberto Benigni in prima serata, nelle quali il comico toscano recitò alcuni versi scritti dal suo celebre compatriota Dante Alighieri. Ma ben prima che Benigni scoprisse che esisteva la Divina Commedia e si piccasse di farne scempio in diretta televisiva (checché ne pensino stimati ingegni, questo rimane un modesto giudizio personale), qualcun altro aveva già pronunciato la propria Lectura Dantis di fronte a ben altro uditorio rispetto a quello che affolla i programmi della TV di Stato. Si trattava di Luigi Valli, docente di filosofia morale presso l’Università di Roma, che il giorno 4 marzo del 1906 illustrò ad un folta platea il canto XIX del Paradiso nella sala del Collegio Nazareno. Negli anni seguenti, il Valli avrebbe scritto numerose opere nelle quali si esponeva “Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore»”, come recitava il suo ultimo e più completo lavoro, pubblicato a Roma nel 1928 dalle edizioni Optima.
Con tali studi, pur non abbandonando il metodo storico d’impronta positivistica, egli si poneva nel solco dell’interpretazione “tradizionale” dell’opera dantesca. In Italia, gli inziatori di questo filone — che privilegiava il messaggio “esoterico”, recuperando lo spirito in voga nel Medioevo — erano stati in modo particolare Michelangelo Caetani e Giovanni Pascoli. Nel 1852, infatti, Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, aveva pubblicato una breve nota, di una ventina di pagine, intitolata “Della dottrina che si asconde nell’ottavo e nono canto dell’Inferno della Commedia di Dante Alighieri”, uscita a Roma presso l’editore Menicanti, cui sarebbero seguite altre ricerche nella medesima direzione. Quarant’anni più tardi, il Pascoli aveva raccolto questa singolare interpretazione del Poema Sacro in opere come Minerva Oscura, Sotto il Velame o La mirabile visione. In esse il poeta romagnolo dava conto degli aspetti esoterici dell’opera scritta dall’Alighieri.
Lo studio del Valli, unico per concezione e per metodologia di costruzione, giungeva a compimento di alcune ricerche che già da lungo tempo il docente romano portava avanti. Il libro, poi, sarebbe stato integrato, due anni più tardi, da un secondo scritto dedicato alle «Discussioni e note aggiunte»; entrambe le opere, pubblicate in un unico volume nel 1994 dalla casa editrice Luni di Milano, sono state ristampate. Il lavoro del Valli s’interrompeva qui, sopraggiungendo la morte improvvisa nel 1931. Il suo grande merito rimane quello di aver fornito una chiave interpretativa «prossima a un metodo matematico», secondo le sue stesse parole, di quei poemi ed oscurissimi scritti composti dai maggiori uomini di lettere d’epoca medioevale: Guinizelli, Cavalcanti, Boccaccio, Petrarca ed altri ancora, oltre allo stesso Dante.
Nel 1925 anche il celebre iniziato René Guénon si era interessato a questi studi dedicati alla Divina Commedia, prendendo le mosse da alcuni scritti che il cattolico francese Eugéne Aroux aveva steso a partire dal 1854, ispirandosi a sua volta alle intuizioni avute da Ugo Foscolo e Gabriele Rossetti. Pur senza alcuna pretesa di sistematicità, dopo aver esaminato le analogie e le corrispondenze con gli ordini cavallereschi, il Rosicrucianesimo, l’ermetismo, l’Islam e fedele al principio secondo il quale le somiglianze, in realtà, dimostrerebbero unicamente «l’unità dottrinale comune a tutte le tradizioni», il Guénon procedeva ad una geometrica esposizione del simbolismo intrinseco ad alcuni temi cruciali dell’opera scritta dal grande poeta fiorentino: i tre mondi, i numeri, il tempo. L’Inferno appariva, così, come ricapitolazione di quegli stati che precedono logicamente la condizione umana, nonché quale manifestazione delle possibilità di ordine inferiore che l’essere reca ancora dentro di sé. Il Purgatorio veniva dipinto, invece, quale prolungamento dello stato umano ed il Paradiso come ascesa agli stati superiori dell’essere. Sulla stessa linea, il celeberrimo «mezzo del cammin di nostra vita» diveniva occasione per una magistrale spiegazione del “centro” secondo un simbolismo che si rifletteva, con perfetta simmetria, nel tempo e nello spazio, nella dottrina dei cicli cosmici basata sulla precessione degli equinozi e nella struttura tripartita dell’universo dantesco.
Sempre nella medesima prospettiva andrebbero inquadrate anche le riflessioni che egli fece in relazione ai famosi versi: «O voi, che avete gl’intelletti sani, / Mirate la dottrina che s’asconde / Sotto il velame degli versi strani» (Inferno, IX, 61-63). Secondo quanto affermato dal noto scrittore Alfredo Cattabiani, recentemente scomparso, anche qui Guénon proiettava le proprie idee ed impressioni riguardo all’opera dantesca, la quale del resto continua tutt’oggi a suscitare svariate considerazioni a causa del proprio legame con l’associazione della «Fede santa» — della quale il poeta fiorentino sembra fosse una delle guide — con l’ermetismo e perfino con la tradizione islamica; gli spunti “arabi” contenuti in quell’opera formidabile di allegoria cristiana, così attentamente rilevati anche dal Padre Asin Palacios fin dai primi del secolo scorso, sono la testimonianza di una profonda e rispettosa relazione fra civiltà cristiana e mondo musulmano, confermata anche dalle analogie fra il “viaggio” dantesco dall’Inferno al Paradiso sia rispetto a quello che è possibile ritrovare nel Kitâb el-isrà (Libro del viaggio notturno che fece Maometto), sia alle Fûtûhât el-Mekkihah (Rivelazioni della Mecca) di Mohyîddîn ibn ’Arabî: opere pubblicate circa ottant’anni prima della Divina Commedia.
Tali considerazioni dischiudevano problematiche di portata talmente ampia e profonda che la loro comprensione potrebbe arrivare a mettere in discussione perfino alcuni dei cardini su cui si fonda la scienza moderna. Dalle criptiche parole di Dante, infatti, è possibile evincere talune informazioni sia di ordine fisico che metafisico, intendendosi con il termine “metafisico” — secondo l’etimo stesso, prezioso in simili congiunture — ciò che va “al di là della natura”, ossia “soprannaturale” nel senso più pregnante del termine. D’altronde, in un “viaggio ultraterreno” le implicazioni di ordine metafisico sono quelle in cui è più logico imbattersi. Tuttavia, la loro complessità è tale che non concede una trattazione sintetica e, tanto meno, divulgativa.
Per quanto, senza dubbio, ciò non abbia minimamente sfiorato la mente del Benigni — troppo intento a dimostrare sofisticamente, a uomini di Chiesa, il valore evocativo dell’imprecazione per quei “maledetti toscani” di cui egli è insigne rappresentante — la dottrina esposta da Dante è ben lungi dall’esaurirsi in una tanto materiale celebrazione della donna e dell’amore passionale. Al contrario, il valore simbolico delle allegorie contenute nella Commedia è talmente portentoso che l’effetto plastico della poesia altro non si rivela se non opportuno filtro artistico il quale, solo, può esprimere in maniera tanto immediata e compiuta una così complessa verità. Chi, infatti, consideri le terzine dantesche come una semplice fantasia non ne coglie affatto il reale significato, osservava giustamente Titus Burckhardt. Allo stesso modo, chi anche ne riconoscesse il contenuto dottrinario riducendola, però, soltanto ad una costruzione concettuale sotto forma di poema non le renderebbe giustizia. La Commedia è ben altro che Sigieri di Brabante messo in rima. Essa è pura arte sacra. Qui l’artista non è “inventore”, ma semplice “tramite” (metaxú avrebbe detto Platone) fra il mondo sensibile e la verità superiore che percepisce. Qui i versi non scaturiscono da una mera ispirazione, bensì da una vera e propria “illuminazione”. Ma questo i Benigni che popolano gli studi televisivi in prima serata, per quanto si sforzino in un esercizio mnemonico sul XXXIII canto del Paradiso, non potranno mai arrivare a comprenderlo se non mutano prospettiva d’osservazione.
Ma, tornando alle implicazioni teoriche di cui si diceva, conviene osservare qualcuna di esse più nel dettaglio. Per quanto il rischio di eccessiva semplificazione riguardi anche le tematiche più prossime alla realtà sensibile, in questo caso si può perlomeno tentare di abbozzare alcune considerazioni in merito ad un unico esempio. Sia concessa, dunque, una breve digressione. È stato osservato come, nonostante l’”ingenuità scientifica” del sistema geocentrico, che viene espresso nella Divina Commedia con l’immagine delle “sfere celesti”, a tale ipotesi cosmologica inerisca pur sempre un profondo realismo metafisico. Il sistema tolemaico, del resto, godeva di una notevole chiarezza spirituale. Per l’epoca in cui esso venne utilizzato, la sua rispondenza scientifica era perfettamente soddisfacente, in quanto forniva una risposta a tutti i quesiti che l’osservazione del mondo naturale suscitava ed è fin troppo evidente che la “scientificità” non può certo avere un grado maggiore. Essa deterrà sempre e comunque, in maniera inevitabile, un carattere unicamente provvisorio. La validità relativa di un sistema del mondo si basa sulla sua unità logica, mentre la sua portata spirituale si fonda sulla sua simbologia. Pertanto, si deve concludere che la Chiesa cattolica, quando pretendeva che Galileo presentasse le proprie teorie relative al moto della terra e del sole come semplici ipotesi, anziché quali verità definitive ed inconfutabili, aveva senza dubbio le sue buone ragioni. Da un punto di vista assoluto, infatti, il sistema elaborato da Copernico non poteva essere nulla di più che una semplice congettura ipotetica, come hanno dimostrato tesi successive (non ultima la ‘relatività’ einsteiniana che, per chi le attribuisca un qualche valore, l’ha confutato). D’altronde, il compito principale della Chiesa consisteva nella salvaguardia di una visione spiritualmente veritiera del mondo. E tale esigenza trovava piena soddisfazione nel sistema omocentrico, che preservava dal pericolo derivante da una concezione puramente matematico-meccanicistica delle cose.
Occorre, a questo punto, cogliere lo spunto per formulare qualche considerazione di tipo storico. Troppo raramente viene rilevato come l’autorità ecclesiastica non abbia ripudiato la teoria eliocentrica al momento della sua formulazione da parte di Copernico, bensì solo ottant’anni più tardi quando se ne appropriò Galilei, peraltro senza aggiungervi alcun particolare significativo ai fini della sua dimostrazione scientifica. Va, anzi, incidentalmente rilevato come, prima ancora che a Copernico, la teoria rimontasse ad Iceta di Siracusa. Inoltre, con l’immagine dei cori angelici roteanti attorno al centro divino, Dante medesimo anticipava il senso del sistema eliocentrico: per dirla con Aristotele, la fonte di ogni luce è, al tempo stesso, il “motore immobile” dell’ordinamento cosmico. A tal proposito, non bisogna mai perdere di vista la quadruplice possibilità interpretativa di un testo: Gerusalemme, che in senso letterale è una città della Palestina; allegoricamente rappresenta l’immagine della Chiesa; moralmente diviene l’anima credente; e anagogicamente costituisce la Gerusalemme celeste, archetipo dell’anima e del mondo, contenuto nello spirito divino, per non limitarsi che ad un esempio classico.
Il conflitto fra Galileo e la Chiesa, assai meno eroico di quanto non abbia tramandato la vulgata agiografica e romanzata, verteva dunque su questioni di ordine teologico, àmbito chiamato in causa dallo stesso pisano. Con i suoi violenti attacchi alla Curia, che stimolava a prendere una posizione in merito, Galileo suscitò le reazioni vaticane; ma alla conciliante proposta del pontefice Urbano VII, che suggeriva di presentare l’eliocentrismo semplicemente come una tesi matematicamente sostenibile anziché come la verità assoluta, lo scienziato replicò in maniera sprezzante nel suo “Dialogo sui massimi sistemi”, raffigurando il papa come un ignorante.
Rammento ancora un’inchiesta apparsa giovedì nel gennaio del 1999 sul «Corriere della Sera». Una pagina intera dell’illustre quotidiano milanese era dedicata ad un sondaggio svolto fra vari esponenti, più o meno noti, della “cultura” italiana, con cui s’intendeva decretare «l’italiano del millennio». Fra gli intervistati v’era anche un architetto che — segno dei tempi — votava per Galileo «perché con lui la scienza abbandona la metafisica». Appunto…

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI:

BURCKHARDT, Titus, Riflessioni sulla «Divina Commedia» di Dante, espressione della saggezza tradizionale, in ID., Scienza moderna e saggezza tradizionale, Borla editore, Torino-Leumann 1968, cap. 5, pp. 127-153.
CONTRO, Primo, Dante templare e alchimista. La Pietra Filosofale nella Divina Commedia. Inferno, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1998.
GUÉNON, René, L’esoterismo di Dante, Adelphi Edizioni, Milano 2002.
LERMIGEAUX, Jacques, Il caso Galileo, Centro Culturale San Giorgio, Ferrara 2002.
MINGUZZI, Edy, L’enigma forte. Il codice occulto della Divina Commedia, ECIG (Edizioni Culturali Internazionali Genova), Genova 1988.
PASCOLI, Giovanni, Conferenze e Studi Danteschi, Zanichelli, Bologna 1914.
RICOLFI, Alfonso, Studi sui Fedeli d’Amore. Dai poeti di corte a Dante. Simboli e linguaggio segreto, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1997.
VALLI, Luigi, Lectura Dantis, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1981.
—, L’allegoria di Dante secondo Giovanni Pascoli, Zanichelli, Bologna 1922.
—, Il segreto della Croce e dell’Aquila nella Divina Commedia, Luni Editrice, Milano 1996.
—, Lo schema segreto del Poema Sacro, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1998.
—, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore», Luni Editrice, Milano 1994.

domenica 10 novembre 2013

Ex Orfanatrofio in prov. di Brescia

tratto da http://www.hesperya.net/le-indagini/ex-orfanotrofio-prov-di-bs/

Data: 24 Giugno 2012

di Roberta Faliva

La stanza andata in fiamme
La stanza andata in fiamme
Poche sono le certezze riguardo a questo luogo: un edificio degli anni ’60, ora in stato di abbandono, ex orfanatrofio gestito al tempo da un ordine di suore e successivamente colonia estiva fino alla chiusura definitiva nel 1992. La storia di questo luogo è davvero misteriosa. Al tempo trapelarono notizie di strani fatti che riguardavano abusi e strani riti dietro quelle mura apparentemente tranquille e serene. Scattarono delle denunce e alcuni giornali parlarono di questi avvenimenti, tanto che controlli più assidui portarono all’allontanamento dalla struttura di alcune persone, e non solo adulti. Ed è proprio qui che comincia la parte più oscura della storia: la notte del 19 novembre 1977 in quella casa divampò un incendio causato, stando a ciò che scrissero i giornali, da un cortocircuito. atore sentirete, purtroppo, in sottofondo dei campanacci di mucche al pascolo.




Differenti furono però le voci che si sparsero tra la gente: c’è chi dava la colpa a una stufa, chi parlò di ritorsione ai danni di qualche figura troppo compromessa, chi menzionò persino il fenomeno dell’autocombustione. Fatto sta che in quella notte 5 dei 27 bambini subirono delle ustioni, una suora venne salvata con qualche ferita e una bambina rimase uccisa. Il suo nome era Lucilla e aveva 11 anni. Alcuni raccontarono che non riuscì a svegliarsi in tempo, altri dissero che urlò inutilmente aiuto. Rimane il fatto che chi ancora oggi entra in quelle stanze racconta di percepire sensazioni spiacevoli e di sentire un pianto infantile. Può essere una leggenda e può giocare un ruolo importante anche la suggestione, anche se tra quelle camere ve ne è una completamente bruciata atto fatto, dicono, dai ragazzi della zona a perenne monito per non dimenticare.La nostra indagine nell’ex orfanatrofio è iniziata nel tardo pomeriggio con il supporto dei nostri strumenti: K2, rilevatore EMF, registratore digitale, videocamere e fotocamere. Dopo una prima ispezione del luogo abbiamo iniziato le rilevazioni.Primo fatto anomalo riscontrato è stato la visone di un’ombra molto particolare. Il nostro collaboratore Stefano stava scattando delle fotografie quando, nel momento di mettere a fuoco, vede attraverso il mirino della macchina un’ombra che attraversa tranquillamente il corridoio. La descrizione del fenomeno è davvero singolare: la sagoma vista ricorda perfettamente quella di una suora.Secondo fatto anomalo è stato rilevato in una stanza all’ultimo piano dell’edificio. Dopo una sessione di EVP il K2 si è inspiegabilmente acceso fino a metà scala. La terza anomalia si è verificata nella stanza bruciata. Tutti i partecipanti all’indagine erano presenti mentre si stavano effettuando rilevamenti. Improvvisamente si sono sentiti dei passi fuori nel lungo corridoio che porta alla camera ma, subito usciti per controllare, non si è trovato nulla che potesse aver provocato tale rumore.Infine l’ultima anomalia si è riscontrata nell’analisi delle registrazioni. In un EVP si sente chiaramente un colpo al termine della domanda “Puoi darci un segno della tua presenza?” per poi proseguire con un rumore associabile ad un lamento.

Qui di seguito potete ascoltare il particolare della registrazione EVP sopra descritta (si consiglia l’ascolto con l’uso delle cuffie); data la sensibilità del microfono del registratore sentirete, purtroppo, in sottofondo dei campanacci di mucche al pascolo.

https://soundcloud.com/hesperya/domanda-rumore

venerdì 1 novembre 2013

Esoterismo e letteratura

Riportiamo il famoso passo di Dante Alighieri:

« O voi ch’avete l’intelletti sani

Mirate la dottrina che s’asconde

 Sotto il velame delli versi strani! »

(Inf. IX, 61-63)


E adesso l'introduzione al Gargantua scritta dallo stesso Rabelais:

"Vedeste mai un cane trovare un osso midollato? Il cane è, come dice Platone (Lib. II De Rep.) la bestia più filosofa del mondo. Se l'avete visto avrete potuto osservare con quale devozione lo guata, con qual cura lo vigila, con qual fervore lo tiene, con quale prudenza lo addenta, con quale voluttà lo stritola e con quale passione lo sugge. Perché? Con quale speranza lo studia? Quale bene ne attende? Un po' di midolla e nulla più. Ma quel poco è più delizioso del molto di ogni altra cosa, perché la midolla è alimento elaborato da natura a perfezione, come dice Galeno (III, Facult. Nat. e XI, De usu partium). All'esempio del cane vi conviene esser saggi nel fiutare assaporare e giudicare questi bei libri d'alto sugo, esser leggeri nell'avvicinarli, ma arditi nell'approfondirli. Poi con attenta lettura e meditazione frequente rompere l'osso e succhiarne la sostanziosa midolla, vale a dire il contenuto di questi simboli pitagorici, con certa speranza d'esservi fatti destri e prodi alla detta lettura."

Ambedue gli autori fanno riferimento a dottrine segrete che si nasconderebbero l'apparenza di un testo letterario. Al lettore il commento.