sabato 27 aprile 2013

La Tradizione e le tradizioni

Tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 aprile 2004

di Manlio Triggiani

La maggior parte delle opere di René Guénon, il famoso e fecondo filosofo tradizionalista francese, è stata pubblicata in Italia ma restano ancora da conoscere numerosi suoi scritti. Infatti Guénon, morto nel 1951, durante tutta la vita scrisse molti testi di metafisica, di simbolismo e di storia delle religioni. Di questi, parecchi furono stampati sulle più disparate riviste e spesso senza firma, con pseudonimi o con il suo nome islamico dopo la conversione all’Islam. Ora, appaiono in volume alcuni saggi mai pubblicati in italiano (La Tradizione e le tradizioni, a cura di Alessandro Grossato, Edizioni Mediterranee, pp. 230, euro 13,90) su temi che spaziano dal Dalai Lama al Buddismo, da Cristo a Mormonismo, dal Sufismo all’Animismo. Il titolo della raccolta sintetizza il senso della "Tradizione" primordiale, unica, immutabile, e i suoi adattamenti nel tempo.


lunedì 15 aprile 2013

La prima Roma, una Storia e una capanna

tratto da Il Messaggero del 15 febbraio 2005


M.Guidi

Da qualche parte, nei Campi Elisi, Tito Livio, Dionigi d’Alicarnasso, Plutarco e Varrone stanno certamente facendo festa. Le loro storie, i loro racconti, definiti leggendari, mitici, ricostruzioni a posteriori di eventi mai avvenuti o avvenuti molto diversamente dal vero ricominciano a essere considerati per quel che loro li vollero e li scrissero, come storie. Anzi come la Storia, quella storia che forse non sarà magistra vitae o magari opus oratorium maxime , ma semplicemente il racconto, come secoli dopo avrebbe scritto un grande storico tedesco, von Ranke, dei fatti come accaddero e come li sappiamo rendere.Le scoperte che va facendo ormai da anni Andrea Carandini nello spazio del Palatino e del Foro repubblicano non solo rivalutano l'opera degli storici antichi, ma restituiscono alla storia quello che era ritenuto mito, leggenda, racconto favoloso di origini troppo spostate indietro nel tempo per poter essere credibili.Quella che sta risorgendo sotto la vanga dell’archeologo è davvero la Prima Roma, quella dei re sempre meno leggendari, quei re che un tempo, alle elementari, si mandavano a memoria come una filastrocca. Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Nomi leggendari e nomi storici mischiati. Ricordi di un tempo antichissimo quando Roma era probabilmente solo un agglomerato di capanne sul Palatino. Un agglomerato però circondato da un muro fin dall’VIII secolo e non, come per decenni e decenni sostennero tanti storici, una città fondata se va bene nel VII se addirittura nel VI secolo avanti Cristo. No, Roma, ora cominciamo a saperlo davvero, sorse se non proprio il 21 aprile del 753/54 prima di Cristo, certamente in un periodo di tempo molto vicino alla data tradizionale ab urbe condita .La scoperta di un grande palazzo, una reggia?, e di una vasta capanna, forse il primitivo spazio del fuoco di Vesta e casa delle sue sacerdotesse, le vestali, sta costringendo a ripensare tutto quello che pensavamo di sapere.Certo gli scavi del Palatino ci restituiscono un’immagine estremamente arcaica, la stessa grande casa che Andrea Carandini ha trovato vicino al tempio di Vesta usava come tetto una copertura vegetale simile a quella delle capanne. Ma le mura erano già di pietra e le ceramiche, lo avete letto ieri nel pezzo che annunciava la scoperta, erano di qualità finissima.Proviamo quindi a chiudere gli occhi e a immaginare come fosse questa Roma delle origini. Sulle estreme pendici del Palatino (perché, come ci spiega il professor Eugenio La Rocca, soprintendente archeologico del Comune di Roma, il Palatino si estendeva fino alla casa delle vestali, praticamente dal tempio del Divo Giulio all’arco di Tito era ancora Palatino) esistevano case patrizie, case che si estendevano sino ai limiti dell’area che sarebbe diventata poi il Foro.Il Foro allora era una pianura abbastanza malsana, percorsa da un ruscello, piena di acque stagnanti, tanto che, lo sappiamo, gli etruschi dovettero scavare la Cloaca Maxima, la madre di tutte le fognature, per liberarla dall’acqua. E d’altra parte proprio per evitare le acque morte, con le loro zanzare, i loro insetti e i loro miasmi, Roma prima di Roma era costituita nei secoli precedenti l’VIII, da villaggi, agglomerati di capanne sui colli. Il Palatino ma anche l’arce capitolina fu occupata da capanne e così altre alture vicine, come il Celio. Il cui nome, dice la tradizione, ricorda quel Celio Vibenna comandante etrusco, alleato di Macstarna, che in latino sarebbe diventato Magister e poi Servio Tullio. E la memoria corre alla tomba François di Vulci, dove Aule e Caile Vipinas, alleati con Macstarna, combattono contro Cnaive Tarcunies Rumach e nella scena compare anche un Marce Camitlans. Nomi che tradotti in latino assumono sembianze più note: Aulo e Celio Vibenna, appunto Magister-Servio Tullio, Cneo Tarquinio Romano, Marco Camillo.Una serie di villaggi che però dovettero cedere alla prima Roma quadrata, la Roma dei re. "Un grande merito di Andrea Carandini - è sempre il professor La Rocca che parla - è stato quello di effettuare scavi sistematici mettendo in luce la stratigrafia fino al terreno vergine. Questo è potuto avvenire perché nella zona dove ha lavorato non erano stati effettuati altri scavi come è successo altrove nel foro dove sono stati usati criteri molto più primitivi, tenendo scarsamente conto della stratigrafia, come purtroppo nel foro è avvenuto spesso. Così sono venuti alla luce la reggia, la casa delle vestali e il tempio dei Penati". I Penati, divinità familiari e private dei romani, delle gentes che costituirono almeno la S di Spqr, senatus populusque romanus (il senato e il popolo romano). I Penati che avevano il posto vicino al focolare e che proteggevano la loro gente.Ma c’è dell’altro, la reggia, il palazzo, chiamatelo come volete, messo in luce da Carandini ricorda la tradizione che volle assegnare al pio re Numa Pompilio la costruzione del tempio di Vesta. "E la vicinanza del palazzo scavato da Carandini con il tempio di Vesta va in questo senso", spiega La Rocca. E anche questo rivaluta, a ben pensare, gli storici antichi che queste notizie ci tramandarono. "Vede - osserva il soprintendente - noi sappiamo che i primi racconti furono certamente orali e un racconto orale nel giro di una generazione diventa mito, leggenda anche se porta dentro di sé sempre una parte di verità, del resto gli storici antichi credevano a quello che raccontavano e quello che raccontavano per loro era storia, era La Storia". E a guardare bene non è che poi si sbagliassero di molto. Certo, conveniamo con La Rocca, ogni tanto qualcuno più sveglio degli altri fa compiere alla narrazione storica un salto in avanti. È successo soprattutto con Tucidide, il grande narratore delle guerre del Peloponneso, ma successe per Roma con Eratostene, che obiettò che la primitiva leggenda che voleva Roma fondata da Enea o dal figlio non poteva reggere, dal momento che tra la guerra di Troia (circa 1180) e la fondazione di Roma passano oltre 4 secoli.Ma gli scavi del professor Carandini ora ci restituiscono quell’impasto di mito e di racconto reale, di fatti e di leggende che un tempo si ritenevano del tutto inattendibili mentre ora sappiamo che almeno nel quadro generale invece erano credibili e a modo loro veritieri. Anche se è sempre il professor La Rocca che spiega come a volte capiti che, ed è il caso dei due Tarquini, per mancanza di notizie, gli antichi tendessero ad attribuire a entrambi i re le stesse vicende, le stesse notizie in una reduplicazione che spetta a noi moderni risolvere.Ma a pensarci bene non è poi così importante, ora noi sappiamo che "Mito e leggenda celano sempre una narrazione storica. Bisogna soltanto saperla capire". E per capirla servono i fatti. Fatti come le mura di pietra, il grande cortile, la vicina capanna con i resti del focolare. Il ricordo di una domus ante litteram che ci piace pensare abitata dal pio Numa, reduce dai suoi colloqui con la Ninfa Egeria, mentre intorno un popolo trino, formato da latini, sabini ed etruschi andava nascendo e nella sua diversità interna nella sua mistione (ricordate le tre tribù originarie: Tities, Ramnes, Luceres?) aveva senza saperlo le fonti della sua grandezza futura, quando essere civis romanus non era necessariamente un fatto di razza o di nascita ma significava essere ascritti a un popolo che sapeva prendere un poeta come Ennio da Rudie o fare dell’umbro Plauto e dell’africano Terenzio i suoi massimi commediografi. E tutto ha inizio in quelle mura minuscole che recingevano il Palatino, in quella capanna-tempio di un fuoco perenne vigilato da vergini, in quella casa con i tetti ancora di frasche, in quel tempio dei Penati povero e primitivo.Ora non resta che sperare che Carandini trovi altro terreno non sconvolto nel foro in modo da poterci regalare qualche altra scoperta. Così apparentemente avulsa da noi ma così legata al nostro passato.

giovedì 4 aprile 2013

Indadine sull'aldilà oltre la vita

Esiste l’Aldilà? Se sì, quale aspetto ha? E cos’è, esattamente: il luogo che ospita le anime dei defunti o un nuovo livello di esistenza? Domande che l’uomo si pone da sempre, dando le più svariate risposte, dalle più scettiche alle più convinte.
Ade Capone, autore di Mistero, programma TV di grande successo, grazie alla sua esperienza sul campo ci accompagna in una vera e propria indagine tra scienza e paranormale, con un libro che è come un reportage di grande chiarezza e profondità.
L’autore prende in esame le varie ipotesi, intervista ricercatori e sensitivi, parla di casi sconcertanti ampiamente documentati e prende in esame anche le più recenti teorie scientifi che. Quel che ne emerge è un quadro affascinante, un libro che appassiona e si legge tutto d’un fiato.

L’autore Ade Capone è l’autore della trasmissione di Italia 1
Ade Capone – affermato scrittore, giornalista, sceneggiatore – è autore del format TV Mistero, in onda su Italia 1, e di altri programmi per la stessa rete Mediaset (tra tutti, Il Bivio e Invincibili). A varie trasmissioni televisive ha partecipato anche in veste di ospite. Da sempre appassionato di argomenti misteriosi, ha compiuto numerosi viaggi (Europa, America, India, Bali, Medio Oriente) per documentarsi su luoghi e culture. Ha assistito di persona a molte delle cose che nei suoi libri racconta con una scrittura chiara e di grande efficacia, fruibile da qualunque lettore. I suoi saggi sono vere e proprie inchieste che
appassionano e fanno riflettere. Nella sua attività di sceneggiatore, inoltre, Ade Capone è considerato
uno dei più importanti autori italiani di fumetti, vincitore di numerosi premi per la sua scrittura, che
anche nelle fiction elabora comunque elementi reali. È supervisore editoriale della rivista Mistero, versione
cartacea del programma omonimo.


venerdì 22 marzo 2013

La maledizione di Ondine

Titolo: La maledizione di Ondine

Genere: urban fantasy, paranormal romance

Target: young adult

Pagine: 280

Prezzo: 1,99 euro disponibile su Amazon dal 20/03/2013.

Autrice: Valentina Barbieri. Ha pubblicato un racconto, “Arèl”, nell’Almanacco Fantasy di Lettere Animate.


Trama:

Ondine è una giovane sensitiva in grado di percepire una dimensione in cui gli spiriti vagano, anelando il modo per tornare nel mondo dei vivi.

Cercando una spiegazione razionale e scientifica, Ondine, insieme all’amico Francesco, indaga su eventi paranormali.

La verità inizia a venire allo scoperto quando a Londra incontra Benjamin Law, un giovane e affascinante prete in grado di passare dall’Altra Parte. Grazie a lui, Ondine viene a conoscenza di oggetti posseduti e assiste a un terribile esorcismo.

Le informazioni su un antico Ordine dei Guardiani portano Ondine e Benjamin a Praga, alla disperata ricerca di Lysandra Novacek, l’ultima discendente della famiglia a capo dell’Ordine.

Tra spiriti e luoghi antichi, Ondine viaggerà per l’Europa, affrontando le sue più grandi paure, compresa quella di un amore così forte quanto impossibile.

“Quando attraversi le porte che separano il mondo dei vivi da quello dei morti,

devi essere sicura di poter tornare indietro…”

Chi sono i Guardiani dei Portali e perché l’Ordine si è sciolto dopo la seconda guerra mondiale? Cosa si nasconde dentro la dimora di Hasdeu, filosofo e politico romeno della fine dell’800?

Come si sconfigge chi è già morto?

mercoledì 20 marzo 2013

Le tavolette enigmatiche

Tratto da Archeologia & Cultura del 12 giugno 2012

di Vito Foschi

Le cosiddette tavolette enigmatiche o con parola tecnica, ma piuttosto esoterica, Brotlaibidole, sono un gruppo di tavolette lunghe più o meno otto centimetri ellissoidali o rettangolari in gran parte di terracotta con delle iscrizioni mai tradotte. La loro diffusione temporale si estende per sette secoli da circa 2100 a.C. a circa 1400 a.C., in piena età del Bronzo e geograficamente diffuse tra l'Italia settentrionale ed i Carpazi fino al Basso Danubio. Le tavolette più antiche erano solcate da righe su cui erano incisi i segni, cerchi, croci, rettangoli, mentre in quelle più recenti le righe scompaiono e i segni sono disposti in maniera disordinata. Nessuno è ancora riuscito a tradurre le misteriose incisioni e a oggi sono aperte tutte le ipotesi, fra le quali la più affascinante ne fa possibili documenti commerciali per lo scambio di merci fra le varie regioni d'Europa. Una sorta di antesignane di cambiali e assegni. Altra ipotesi è quella che fossero dei sigilli per indicare le quantità. In mancanza di dati certi si è anche ipotizzato che possa trattarsi di talismani, forme di fusione per oreficerie, stampi per dipingere le stoffe o tatuare la pelle. Il 50% circa delle tavolette è stato rinvenuto in Italia nell'area del Garda, mentre il restante 50% in divise in sette nazioni: Germania meridionale, Austria orientale, Moravia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania. Nel 2010 a Cavriana si è tenuto un congresso, organizzato dal dott. Adalberto Piccoli direttore del Museo dell'Alto Mantovano di Cavriana, che ha riunito i principali studiosi del mondo delle tavolette enigmatiche dando per la prima volta l'occasione di confrontarsi e scambiare idee. Le tesi principali oggetto di discussione sono state due, quella che considera le tavolette come forma di protoscrittura e che riscuote il maggiore consenso degli studiosi, e l'altra che li considera oggetti di culto che al contrario trova minore approvazione. A favore della prima tesi esiste il fatto che le tavolette non sono state trovate in tombe ma in contesti abitativi, lunghi i fiumi che erano le grandi vie commerciali della preistoria. Il problema che rimane da capire è il significato racchiuso nei simboli incisi nelle misteriose tavolette. La loro scomparso avviene nel 1400 a.C. in concomitanza dell'intensificarsi dei traffici con il Mediterraneo dove era entrata un uso la scrittura micenea che potrebbe aver causato l'obsolescenza di quella primitiva forma di comunicazione scritta usata nelle tavolette.
In seguito al congresso è stata creata una prima commissione che ha avuto l'incarico di studiare la presenza delle tavolette in luoghi di produzione in modo da stabilire un possibile legame. Infatti, parte delle tavolette sono state ritrovate nei luoghi di produzione dell'ambra. L'idea è quella di stabilire una correlazione che potrebbe avvalorare la tesi delle tavolette come documenti commerciali o contabili. Una seconda commissione si occuperà di fare delle indagini petrografiche per scoprire la provenienza dell'argilla con cui sono fatte e scoprirne i luoghi di produzione. Questa mappatura permetterà anche di capire gli eventuali spostamenti dal luogo di produzione. Ovviamente tavolette trovate a centinaia di chilometri di distanza dal luogo di manifattura rafforzerebbero ulteriormente la tesi che siano state uno strumento di comunicazione. Per aiutare il lavoro degli studiosi è stato costruito un sito web (www.tavoletteenigmatiche.it) che raccoglie 335 tavolette dotato di un comodo software che permette agli studiosi di fare delle ricerche per simbolo, per nazione e così via. I vari simboli presenti nei manufatti sono stati catalogati rendendo possibile una ricerca per simbolo, per esempio trovare le tavolette dove è presente un cerchio e poi classificarli per nazione. È possibile per i privati segnalare il possesso di una tavoletta anche tramite un modulo anonimo. Si spera in questo modo di arricchire il database: per tentare una decifrazione dei simboli è necessario avere un certa quantità di materiale per cercare per esempio quali simboli sono più ripetuti o eventuali accoppiamenti di segni. Indizi che possono indirizzare gli studiosi verso una soluzione.
Per chi volesse vedere di persona le tavolette enigmatiche segnaliamo i musei che le posseggono: il Museo dell'Alto Mantovano di Cavriana che funge da centro di coordinamento, il museo civico della Valle Sabbia di Gavardo(Bs) e il museo Rambotti di Desenzano del Garda.

venerdì 15 marzo 2013

Le Madonne piangenti di Irene Gheri

Irene Gheri - Le Madonne Piangenti e le insorgenze antifrancesi in Italia tra il 1796 e il 1799

Minacciosa e folgorante la "Campagna d’Italia" condotta da Napoleone Bonaparte sul finire del XVIII secolo scardinò l'assetto geopolitico della penisola. La Chiesa vide minacciati i propri territori mentre le patriotiche insorgenze antifrancesi cercarono di tamponare l'avanzata dell'orda imperiale. Parallelamente avvenne ciò che Renzo De Felice definì un’ondata di miracoli eventi che, soprattutto nel corso dell’estate del 1797, dilagarono nel territorio dello Stato Pontificio. Dal 1796 al 1797 ben 26 immagini della Vergine, di cui 11 "Madonnelle", mossero gli occhi mentre a Roma, nel 1798, una statua di Maria pianse davanti a 50.000 testimoni. La ricerca storica condotta da Irene Gheri pone nuova attenzione sul contesto storico e sulle motivazioni che videro la nascita delle ribellioni antifrancesi analizzando nel dettaglio e per la prima volta l’ondata di miracoli che coinvolse lo Stato Pontificio in quegli anni.


Irene Gheri è nata a Firenze l’11 luglio 1977. Si è laureata in lettere e filosofia ad indirizzo storico presso l’università degli studi di Firenze. Il suo lavoro di ricerca sulle insorgenze antifrancesi in Italia alla fine del ‘700, che ha portato alla luce alcuni documenti inediti, si è poi trasformato in un libro: “Le Madonne Piangenti” (Enigma edizioni). Con questa pubblicazione, l’autrice, ha inteso dare nuovo risalto a fatti storici e miracolosi, ponendoli agli occhi del lettore nella loro piena autenticità.





giovedì 7 marzo 2013

Nicolò e la leggenda del coccodrillo


di Achille della Ragione

Teatto da "L'Opinione" del 26 febbraio 2013

http://www.opinione.it/cultura/2013/02/26/2013/02/25/2013/02/26/dellaragione_26-02.asp

 Le leggende napoletane sono numerose e molte sono legate al mare, come quella del “Pesce Nicolò”, nota da tempo immemorabile, della quale si rischia di perdere il ricordo perché non vi è più traccia, in Via Mezzocannone, del bassorilievo di epoca classica rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le fondamenta del Sedile di Porto, murato nel settecento, ricordato poi da una lapide.Il bassorilievo, cui accenna anche Benedetto Croce, raffigura un uomo coperto da un vello con in mano un coltello. Il nome del protagonista è “Cola Pesce” o “Pesce Nicolò”. La storia prende spunto da un'antica leggenda siceliota in cui si parla di un ragazzo, maledetto dalla madre, che, a furia di nascondersi tuffandosi nel mare ed a vivere tra i flutti, assume le sembianze di un vero e proprio pesce che, per lunghi spostamenti, si serve del corpo di grossi “Collegni”, dai quali si fa inghiottire per poi tagliarne il ventre, una volta giunto a destinazione.Da questo illustre progenitore prese origine una confraternita di sommozzatori, che venivano iniziati ad un culto marino in onore di Poseidone, con lo scopo di prendere possesso delle ricchezze poste nelle grotte più profonde del golfo. Essi adoperavano delle alghe che, trattate con una formula segreta, erano in grado di aumentare considerevolmente il tempo di resistenza in apnea, pari o superiore ai sommozzatori dotati di bombole.Taluni di questi si accoppiavano con dei rarissimi sirenoidi, oggi scomparsi dal golfo di Napoli ed è bello pensare che le rare foche monache, che ancora si scorgono al largo di Capri, siano gli antichi discendenti di questi accoppiamenti ibridi. Sembrerebbe che uno degli ultimi di questi soggetti sia stato utilizzato dagli Alleati, in assoluta segretezza, per ricerche sottomarine nel golfo di Napoli.La leggenda di Colapesce si diffuse per tutto il Regno ed in Sicilia si racconta che uno di questi esseri, sceso nelle acque più profonde, resosi conto che uno dei tre pilastri  che reggevano l'Isola stava cedendo, si sacrificò per sostituirsi nell'opera di sostegno. Gli ultimi discendenti di questi mitici personaggi possono essere considerati quei ragazzini che ancora oggi, tutti nudi sempre abbronzati d'estate e d'inverno, si tuffano per raccogliere con la bocca le monete gettate a mare da turisti ammirati  e, nello stesso tempo, preoccupati per la lunga apnea di quegli esili corpicini, più volte immortalati dal grande scultore Vincenzo Gemito.Un'altra leggenda famosa è quella di un famelico coccodrillo che, forse, al seguito di qualche nave, dopo aver percorso tutto il Mediterraneo, trovò alloggio nei sotterranei del Maschio Angioino, dove i castellani, accortisi della sua presenza, pensarono di utilizzarlo per sopprimere sbrigativamente i condannati a morte. Sebbene poco credibile, la storiella trovò accoglienza dai napoletani a tal punto che a lungo un coccodrillo impagliato fu appeso all'ingresso del Maschio Angioino.E qui si innesta una seconda leggenda secondo la quale i suoi pasti più sostanziosi erano costituiti dai numerosi amanti che la regina Giovanna, dopo l'amplesso, faceva precipitare giù, attraverso una botola, fino all'alloggio del famigerato coccodrillo. Ma, dobbiamo chiederci, questa assatanata regina Giovanna è mai esistita? Gli storici conoscono due sole regine: Giovanna D'Angiò e Giovanna di Durazzo, entrambe dai costumi sessuali alquanto disinibiti.A risolvere la querelle fu Benedetto Croce, secondo il quale la Giovanna della leggenda va ricercata nella sovrapposizione delle due Giovanne realmente esistite e miscelate, aumentando i difetti dell'una e dell'altra, fino a creare un terzo orripilante personaggio.