mercoledì 26 settembre 2012

Un ponte tra due mondi - seconda parte


Prima parte dell'articolo

Il ponte sul fiume


28 luglio 1915

Sono io a parlarti, tuo fratello Sigwart, che ti ama, che è accanto a te, e che è cosí strettamente legato a tutti voi. Non devi piangere, questo è molto doloroso per me. Vi dovete liberare dai pensieri di afflizione. Voi siete i miei fratelli e sorelle, e cosí sarà sempre. Vedo che adesso avete accolto e compreso tutto nel modo giusto; ora niente ci può separare. Dillo ai fratelli, dillo ai genitori, che ringrazio di tutto. Tu devi fare da mediatrice; dopo tanti sforzi ci sono riuscito. Già all’inizio cercavo il contatto, ma tu non reagivi. Il vostro grande amore e i vostri pensieri mi aiutano ad avvicinarmi sempre piú a voi. Sarete felici, perché grazie a me potrete crescere e imparare molto, perché io sono morto anche per voi, per trasmettervi gli insegna- menti dello Spirito.



29 luglio 1915

Adesso sono molto contento di voi. All’inizio il vostro dolore mi tormentava. Poi ho cercato con grande fatica di farmi sentire da voi. Ora va meglio. Come è facile morire! Non posso ancora dirvi tutto, ma sto molto, molto bene, e voi dovete pensare a me come a una figura di luce che non deve piú patire alcun dolore. Ho provocato io stesso la mia morte perché avevo da fare qualcosa di piú molto piú grande. Di questi lavori voi non potete farvene un’idea, non potete immaginare quanto siano belli, grandiosi e perfetti. Benedetto colui che può portarli a termine! Il tuo corpo vuole pace. Dormi piú che puoi. Nel sonno ci incontriamo e ci aiutiamo. Presto lo saprai anche durante la veglia. Questo è il primo inizio. Se voi solo sapeste quello che qui ho vissuto di bello! Ma io ve lo mostrerò quanto prima. Ci sono delle leggi immutabili intorno a voi, che vi costringono a vivere la vostra vita cosí come voi stessi ve la siete preparata. L’Onnipotente guida tutto, ma siete voi a crearvi il vostro destino.

30 luglio 1915

Adesso non potete piú dubitare. Io vi devo dire ancora tante cose. Perché non mi credete, non credete che vi sto vicino? Non potrò rimanere a lungo in questo tipo di collegamento con voi, perciò fate tesoro del fatto che io, vostro fratello Sigwart, parli attraverso di te. Non dovete pensare che io adesso, come fratello spirituale, possa gioire con voi meno di quanto gioissi prima, da uomo. Io non sono cambiato affatto, solo che adesso non porto piú un corpo fisico, so molto di piú e sono molto felice di poter adem- piere ad una grande missione. Ma per il resto sono rimasto esattamente quello stesso che voi conoscete. Vero che adesso non dubitate piú? E ora ancora qualcosa sull’‘altro mondo’, come lo chiamate voi. Tutto è molto piú puro e piú chiaro. Non pensavo che già in questo primo periodo lo avrei visto in questo modo. Grazie ai miei interessi per il sovrasensibile, non ho vissuto delusioni, al contrario, è stato un ri- sveglio che piú bello di cosí non avrei potuto immaginare. Tutto agiva su di me ed io ero al tempo stesso consapevole di quello che mi stava succedendo, vale a dire che stavo attraversando le ‘porte della morte’, come la chiamate giustamente voi. Ho sofferto veramente tanto durante l’ultimo periodo della mia vita sulla terra. Ma il distacco della materia avviene nel sonno, la coscienza ritorna solo gradualmente e poi arriva il piacere della libertà, se non si è dei neofiti in ciò. Quanto è piacevole non avere piú un corpo fisico! Ma poi ritorna la nostalgia per le persone care che abbiamo lasciato. Vediamo la loro angoscia, e questo è terribile! Questi sono stati per me gli unici veri tormenti, e fino ad un certo punto lo sono ancora adesso. Ora però sapete come sto, e non avete piú nessun motivo di essere ango- sciati... Ora è appena arrivato uno di quei momenti che mi addolorano. Tu stai guar- dando la mia foto e pensi che io viva perché mi vedi fisicamente davanti a te, improvvisamente prendi coscienza della realtà, e cosí ritorna di nuovo tutto il dolore. Questi per te rappresentano sem- pre passi indietro. Per chi è unito dai vincoli d’amore che non s’interrompono mai, non esiste piú nessuna separazione, né nella vita, né nella morte!

6 Agosto 1915

Le battaglie nel Mondo spirituale sono molto piú violente di quelle che ci sono in guerra da voi, perché qui si tratta di distruggere lo Spirito (l’individualità), mentre da voi è solo il corpo ad essere distrutto. Di notte da voi è riposo, mentre da noi ferve l’attività. Allora noi abbiamo piú tempo per aiutare i defunti, che ora ci invadono a migliaia. Come sono stato felice questo pomeriggio, è stato cosí bello da parte vostra! Io vivo ancora come sulla terra, solo che ho maggiori capacità rispetto a quelle che aveva il mio corpo fisico. Con lo sguardo penetro molte cose, ma so che non è tutto, anche se ho un forte desiderio di andare avanti. Tale desiderare naturalmente qui è di gran lunga di maggiore aiuto rispetto a quando si è immersi nel corpo fisico sulla terra, in quanto è molto piú efficace. Ma per il resto è ancora tutto esattamente come sulla terra. Quando discutete su questioni relative al mondo sovrasensibile con persone spiritualmente evolute, io ne approfitto e apprendo da voi alcune cose che qui non sperimento. Io stesso non posso ancora dirvi molte cose su di esso, perché non ho ancora visto tutto. So che fate fatica a comprendere ciò; per questo ve lo ripeto continuamente. Il piú grande errore è pensare che l’uomo, una volta spogliatosi del suo corpo, sia perfetto. I vostri discorsi, per esempio oggi, mi hanno aiutato tanto quanto hanno aiutato voi, forse anche di piú, perché io, con i miei sensi attuali, afferro e comprendo piú rapidamente, mentre il cervello umano lavora spesso molto lentamente. Per questo dovete capire che io sono felice quando vi incontrate con persone come quelle di oggi, perché anche io allora posso imparare molto, e in quei momenti vi posso stare molto piú vicino che nella vita quotidiana, quando vi occupate di cose senza importanza. Non so ancora quanto tempo io debba rimanere sul livello spirituale dove mi trovo attualmente, ma credo non molto. Poi uscirò un’altra volta dal mio corpo attuale, esattamente come quando voi deponete il vostro corpo fisico.
Vorrete certo sapere qualcosa della mia vita qui: sappiate che io vivo solo per la grande opera di cui vi ho parlato molte volte, la Musica Sacra, che sarà di grande beneficio per l’umanità. Il mio lavoro sulla terra è stato appena un assaggio di ciò. È qualcosa di straordinariamente bello, che permea tutte le sfere e tra- smette le sue vibrazioni fino alle regioni piú alte. Ciò richiede molta energia e molti grandi talenti. Sentivo di essere chiamato alla realizzazione di qualcosa di grande. Per questo motivo ero cosí sereno quando sono andato in guerra. Sapevo che tutto è nelle mani di Dio. Non ho avuto rimpianti neppure per un momento. Doveva avvenire, era il mio destino! Avevo sempre sentito dentro di me che non sarei diventato vecchio, ma non per questo meno allegro e felice; ho goduto la mia vita al massimo, perché sapevo che tutto è determinato, ed io stesso non posso cambiarne nulla.
Quando poi la morte è arrivata, sono rimasto comunque sorpreso, perché non credevo avvenisse in quel momento. Durante i lunghi periodi d’infermità avevo fatto ancora comunque piani per il futuro, e la spe- ranza di ritornare presto a casa mi sorreggeva e mi dava coraggio, anche se a volte la mia voce interiore mi diceva: “Preparati, è finita”. Non ci credevo completamente, ma poi, improvvisamente, ho visto la mia vita davanti a me e ho capito che era finita! L’ultimo minuto è stato terribile, ma è durato solo un attimo ed è passato, vale a dire che poi è venuto il sonno della morte che mi ha liberato da tutti i dolori che il corpo doveva sopportare. Inconsciamente mi ero preparato alla morte. Il mio karma positivo mi ha consentito di stare per tre settimane in malattia dopo il ferimento, in modo da staccarmi lentamente dall’involucro terreno. Quanto sono piú sfortunati gli uomini che muoiono di colpo, perché non riescono a capire di essere morti. A volte anch’io ho creduto di essere ancora vivo, perché all’inizio ci sono condizioni molto simili. Grazie a Dio ho avuto presto coscienza di non possedere piú un corpo fisico. Poi è arrivata la separazione dal corpo eterico, ed io sapevo che cosa stesse accadendo.
Poi giunse il difficile compito di calmarvi e di farvi capire che io ero vivo. Questo ha richiesto molto tempo e molte energie, ma mi avete ascoltato e questo mi ha sollevato di molto, quindi vi ringrazio dal piú profondo dell’anima! Non potrò mai dimenticare come abbiate superato voi stessi per amor mio. Un giorno vi ricompenserò! Quando vi distaccherete dal vostro corpo ci sarò io ad aiutarvi. Quello sarà un meraviglioso ritrovarsi! Tenete bene a mente che questo vi deve sempre dare nuova forza per aiutarvi a superare il dolore. Per favore, non abbiate dubbi, ma siate fermamente convinti che io continuo a vivere come sulla terra, solo che non mi potete vedere e che sto molto meglio, perché non devo piú portarmi appresso il corpo!
Ora abbiamo parlato a lungo senza intralci. Deve andare e andrà sempre meglio, ma è necessario che tu ti procuri molta tranquillità e non ti affatichi con troppe cose, perché esse portano troppa inquietudine nella tua vita, e a quel punto io non sono in grado di arrivare sino a te. Non sapevo che tu mi fossi cosí vicina spiritualmente. Perché non siamo stati piú vicini nel corso della vita? Tu sei stata troppo assorbita da te stessa, ma ora siamo strettamente collegati e ci stiamo aiutando vicendevolmente.
Fratello mio, vedo perfettamente il tuo progresso spirituale. Quando lavori su di te è come se nascesse, da una singola piccola colonna, il grande edificio di un tempio indistruttibile. Questo è il tuo sé spirituale! Il legame che ci unisce è ora molto piú intenso rispetto a quando ero vivo, perché adesso io posso entrare dentro di te. Io ti circondo con il mio aiuto e con il mio amore; possa io proteggerti dalle cose spiacevoli che la vita sulla terra porta con sé. Chiamami quando hai bisogno di me. Il tuo compito è grande, ma anche bello e nobile. Il tuo percorso è illuminato dal radioso amore dell’insegnamento del Cristo. Il sentimento di gratitudine verso di voi cresce sempre di piú, perché vedo che vi evolvete per amor mio. Un giorno vi ricompenserò per tutto questo!

20 Novembre 1915

La vita terrena non è una vita di gioia, è difficile e dura. Tutti lo sanno, eppure si aggrappano a questa terra. Ho avuto già occasione di dirvi
talmente tante cose, che adesso l’idea di lasciare il corpo fisico non dovrebbe piú suscitare in voi alcun pensiero di orrore o rammarico. Questa vita terrena è sopportabile solamente se la si considera un breve periodo di passaggio.Non ti preoccupare, essa arriva, ha il suo senso, e non possiamo aggiungervi altri significati.Potete raffigurarvi l’essere incarnati con un viaggio sgradevole che si è costretti a intraprendere. All’arrivo a desti- nazione – vale a dire sulla terra – venite rinchiusi in un cortile circondato da alte mura. Vedete il cielo sopra di voi, ma siete convinti che sia irraggiungibile. Rimanete lí fino a quando vi si viene a prendere.
Alcuni di voi possono, con il loro sviluppo spirituale, at- traversare quelle pareti. Per costoro la prigionia non significa piú nulla, perché essi hanno comunque la libertà dello Spirito. Quando verrete qui, poi il dolore e la preoccupazione si trasformeranno in felicità. Come vi compatisco, a volte, quando, vicino a voi, vedo le vostre piccole preoccupazioni, perché sono davvero piccole preoccupazioni. Grandi preoccupazioni sono solo quelle che riguardano l’anima, vale a dire quando l’anima, o lo Spirito, subiscono dei danni, quando le persone sempre piene di dubbi sono in collera con il loro Dio per il fatto che Egli non cosparge la loro esistenza solo di rose; queste sono per noi le grandi preoccupazioni!
Ricordatevi di questo, voi che siete intrappolati nelle preoccupazioni.
Ricordatevi di questo, e siate forti, dovete essere al di sopra di queste preoccupazioni. Dio è con voi e fa solo ciò che è la cosa migliore per voi e per la vostra evoluzione.




Dal volume: Brücke über den Strom: Sigwarts Mitteilungen aus dem Leben nach dem Tod – Il ponte sul fiume:
comunicazioni di Sigwart sulla vita dopo la morte (Oratio Verlag, Schaffusa 2008).


Traduzione di Piero Cammerinesi

fonte:http://www.larchetipo.com su autorizzazioone dell' autore

martedì 25 settembre 2012

Un ponte tra due mondi - Prima parte

di Piero Cammerinesi

La salvezza della Terra dipende dalla realtà che l’umanità nel presente non trascuri di formarsi pensieri sui Mondi spirituali. Poiché moltissimo dipende dal fatto che il cammino dell’evoluzione dell’umanità venga compreso spiritualmente.
(Rudolf Steiner, I retroscena spirituali della I Guerra Mondiale.)

«Vita dopo la morte? Sarà, ma nessuno è mai tornato a raccontare cosa c’è dall’altra parte…». Quante volte abbiamo sentito ripetere questa battuta, quando in una conversazione volevamo dare un senso meno materialistico e prosaico alla vita e all’essere umano…
«Nessuno è mai tornato…» ma ne siamo proprio sicuri?
In realtà di testimonianze sull’esistenza umana oltre la soglia della morte ve ne sono state moltissime nel corso della storia, piú o meno attendibili e piú o meno articolate.
Naturalmente, trattandosi di comunicazioni provenienti da un mondo profondamente diverso dal nostro mancando il piano fisico è evidente che il linguaggio non può essere il medesimo della terra. La persona che ha attraversato la soglia della morte tende a modificare molti dei punti di vista che aveva quando viveva incarnato in un corpo fisico, e questo in misura sempre maggiore quanto piú egli tende a distaccarsi dalla sua vita trascorsa; tuttavia, nei sia pur rari casi di comunicazioni serie, si può avere l’opportunità di ‘seguire’ per cosí dire, il cammino del defunto nel suo percorso post-mortem.
Tralasciando tutto l’ampio spettro delle testimonianze ‘medianiche’ in cui non è dato sapere chi sia realmente a comunicare, e anche la pur ricchissima letteratura sulla NDE (particolarmente interessanti ed approfonditi gli studi sulla Near-Death Experience di Raymond Moody), di persone, cioè, ritornate a vivere dopo essere morte per alcuni minuti o piú, e che hanno raccontato quanto hanno sperimentato in tale lasso di tempo, vi sono testimonianze attendibili e di lunga durata, tali da poter offrire una immagine dettagliata del percorso dell’anima umana dopo la morte fisica.
Una di queste ci è stata lasciata da Botho Sigwart, conte di Eulenburg, secondo figlio del diplomatico prussiano Philipp Graf zu Eulenburg e di Augusta, contessa di Sandels. Il padre Philipp, che aveva ricevuto il titolo di conte nel 1900, era molto dotato artisticamente, componeva, cantava ed era amico e consigliere dell’Imperatore Guglielmo II, il quale si recava spesso nella proprietà di famiglia a Liebenberg, a circa 50 chilometri da Berlino.

Nato a Monaco il 10 gennaio 1884, Sigwart ereditò insieme alla sorella piú piccola, Victoria, detta Tora, che divenne poi pianista le disposizioni musicali paterne. Sigwart era talmente dotato che a soli 7 anni scriveva Lieder ad orecchio e a 8 anni componeva ed eseguiva Lieder e musica per pianoforte, spesso dinanzi all’Imperatore in visita a Liebenberg.
L’apprezzamento che Guglielmo II dimostrò al giovanissimo compositore fu tale che gli ordinò Sigwart aveva allora 11 anni – delle variazioni su unamarcia di Dessau, musica che fu

successivamente eseguita e diretta da lui stesso a Vienna. Nel 1898 studiò organo al ginnasio di Bunzlau, in Slesia, e poi al ginnasio Luitpold, a Monaco, nel 1899, per trasferirsi infine a Berlino, al ginnasio umanistico Friedrich Wilhelm, dove conseguí la maturità nel 1902. Un anno prima, a soli 17 anni, aveva preso parte su invito di Cosima Wagner, vedova di Richard e amica di famiglia al Festival di Bayreuth, dove aveva avuto modo di dirigere l’orchestra, se pur durante le prove. Dal 1902 fece ritorno a Monaco dove studiò storia e filosofia fino al 1907, quando conseguí la laurea. Contemporaneamente al corso di laurea studiò musica con Ludwig Thuille e, successivamente, con Max Reger a Lipsia. Da allora iniziò a produrre composizioni musicali che sono ancora oggi disponibili.
Un viaggio di studio in Grecia risvegliò in lui una profonda passione per l’arte greca classica; in particolare la musica greca antica era per lui qualcosa di appassionante, tanto che musicò i Lieder di Euripide di Ernst von Wildenbruch, fino a farne una composizione operistica. Quest’opera – la cui esecuzione fu rimandata a causa dello scoppio della I Guerra mondiale – venne eseguita per la prima volta, con grande successo, a Stoccarda il 19 dicembre del 1915, cinque mesi dopo la morte di Sigwart.
Nel 1909 sposò la cantante lirica Helene Staegemann, che gli diede un figlio, Friedrich, nato nel
1914, destinato anche lui ad una morte prematura; morirà, infatti, nel 1936, a soli 22 anni, nel corso di un’esercitazione militare.
A Strasburgo ebbe occasione di conoscere Albert Schweitzer, anch’egli organista, con il quale terminò, nel 1911, i suoi studi musicali e cui dedicò un concerto per organo. Al circolo di giovani amici musicisti di Sigwart appartenevano anche Wilhelm Furtwängler e Artur Nikisch.
La passione di Sigwart non era solo la musica ma anche la filosofia e l’esoterismo. Nella sua breve vita si interessò appassionatamente di religioni orientali, Buddhismo, Teosofia, sino a incontrare Rudolf Steiner nel 1906, seguendo da quel momento con trasporto l’Antroposofia.
Steiner era, infatti, amico dei conti di Eulenburg, ed era a volte ospite a Liebenberg; dal momento in cui lo conobbe, nella dimora di famiglia, Sigwart non perse occasione per seguirne le conferenze e per approfondirne l’opera. Condivise questo profondo interesse con i fratelli Lycki, Tora, Karl e con la cognata Marie. In tal modo vennero poste le basi per le comunicazioni che avrebbe iniziato a fare dopo la sua morte.
Allo scoppio della I guerra mondiale Sigwart aveva 30 anni, e partí come volontario nell’esercito tedesco, con il profondo impulso di difendere la Patria in pericolo. Serví con il grado di sottotenente in un reggimento di cavalleria prima sul fronte occidentale e successivamente su quello orientale.
Gravemente ferito ai polmoni il 9 maggio 1915, durante un attacco in trincea in Galizia, venne ricoverato in un ospedale militare a Jaslo dove morí il 2 giugno 1915. Nonostante le enormi difficoltà per la guerra in corso, secondo i suoi desideri, il suo corpo venne portato nel castello del padre a Liebenberg, dove fu sepolto sotto la grande quercia a lui molto cara.
Il legame particolarmente profondo tra Sigwart e Marie fece sí che quest’ultima subisse un trauma profondo per la morte del cognato.
Ad appena poche settimane dalla morte, Sigwart si mise in contatto con sua sorella Lycki, a lui molto legata, e successivamente anche con altre persone di famiglia. Lycki cosí descrive ciò che provò quando iniziò a sentire che il fratello voleva mettersi in contatto con lei: «Nella solitudine e nel silenzio di questa giornata ho capito ciò che Sigwart si aspetta da me. Lui non vuole guidare la mia mano dall’esterno, ma sono io che devo aprire una porta dentro di me; allora sentirò le sue parole che poi devo trascrivere».
Le comunicazioni non avevano carattere medianico; Sigwart trasmetteva i suoi messaggi dall’Aldilà a persone non in trance ma perfettamente coscienti, che poi provvedevano a trascriverli. Lycki, poi Tora e piú tardi Marie, iniziarono allora a trascrivere i messaggi di Sigwart, che proseguirono per 35 anni. quercia nel parco di Liebenberg nel 1935
Dapprima la sorella nutriva chiaramente molti dubbi sulla autenticità dei messaggi che sentiva nascere dentro di sé e che man mano provvedeva a trascrivere. Ma le esortazioni del fratello e la straordinarietà di quelle comunicazioni, che le giungevano in piena coscienza e non tramite fenomeni di trance, la convinsero che si trattasse proprio dell’amato Sigwart che tentava di mettersi in contatto con lei. Sigwart le chiedeva di aprire la propria mente, lasciando penetrare quei messaggi, contrastando e superando ogni sorta di pur comprensibile afflizione per la sua scomparsa fisica.
Consapevole dei giudizi negativi che il maestro di Sigwart, Rudolf Steiner, aveva sempre dato delle comunicazioni dall’Aldilà, e non ancora certa dell’autenticità dei messaggi, un giorno la famiglia mandò Marie da Steiner. Si recò dunque a Berlino dove viveva in quegli anni Steiner e, su richiesta dello stesso Steiner, gli lasciò i quaderni con i messaggi del cognato con l’accordo di rivedersi dopo un paio di settimane. Venne il giorno dell’appuntamento, e Marie era in ansiosa attesa di sapere cosa le avrebbe detto il Maestro su questa vicenda sicuramente poco ‘ortodossa’ rispetto alla Scienza dello Spirito, anzi, per certi versi contraria allo spirito dell’Antroposofia.
«Cosa dirà?» si domandava dunque Marie, in attesa di incontrare Steiner. «Questa domanda stava davanti a me a lettere cubitali, perché nel frattempo in me si era molto rafforzata la fiducia verso l’identità di Sigwart. Per un’ora e tre quarti il Dr. Steiner mi spiegò accuratamente, pagina per pagina, le comunicazioni [di Sigwart] mettendo nella giusta luce quelle che non avevo compreso, spiegando cosa aveva inteso Sigwart con questo o quello, e mi pose delle domande. Mentre leggeva, annuiva spesso con il capo, esclamando con approvazione: “Questo è descritto molto bene” – “Ben espresso” – “Definizione precisa” – “Sí, le esecuzioni musicali, quelle sono realtà”.
Attesi inutilmente obiezioni a una qualche comunicazione; non ve ne furono! Accomiatandosi mi disse: “Sí, queste sono comunicazioni straordinariamente chiare e assolutamente autentiche dei Mondi spirituali. Non vedo ragione alcuna per sconsigliarLe di continuare ad ascoltarle…”. Nel salutarci, ancora una volta sottolineò che comunicazioni di questo genere erano molto rare. Io sentii che era veramente felice di questo e che avevamo condiviso questa gioia» (dal libro Brücke über den Strom: Sigwarts Mitteilungen aus dem Leben nach dem Tod – Il ponte sul fiume: comunicazioni di Sigwart sulla vita dopo la morte, Oratio Verlag, Sciaffusa 2008).
Le comunicazioni di Sigwart proseguirono per anni e vennero raccolte devotamente e riservatamente dalla famiglia. Fino a che, il 25 aprile 1932, arrivò questo messaggio: «È giunto il momento in cui i doni divini che abbiamo lasciato elargire da nostro fratello Sigwart devono diffondersi in circoli piú ampi. Quanto da lui vi è stato comunicato deve essere diffuso per donare benedizione, per alleviare sofferenze, per aiutare le persone ed indicare loro la via verso la Luce. Il momento è arrivato!».
Da allora le comunicazioni di Sigwart sono state pubblicate in volume e tradotte in molte lingue del mondo.
Nei messaggi dal Mondo spirituale Sigwart descrive alla sorella Lycki, e al circolo di amici che ben presto si forma intorno a lei ciò che accade all’anima nel momento della morte e nei periodi successivi. Il suo amore per i suoi familiari gli consente di stare loro vicino e di assisterli nel superamento del grande dolore per la perdita. Un dolore che però va superato, perché produce al defunto solo grande sofferenza e gli impedisce di comunicare con i suoi cari.
La morte è qualcosa di meraviglioso – non si stanca di ripetere Sigwart – l’avvenimento piú bello della vita; quello che risveglia al Mondo spirituale, dunque perché dolersi per chi è ormai immerso nella Luce divina?
Chi attraversa la soglia della morte è letteralmente assetato dei pensieri elevati che si possono
formare solo nel corso dell’esistenza fisica, e per questo motivo Sigwart gioisce con la sorella quando lei e i suoi amici si incontrano e discutono di argomenti elevati o si dedicano alla meditazione.
Sigwart racconta giorno per giorno – in una sorta di diario ultraterreno – il proprio percorso dal piano astrale a quello del Devachan. Il mondo fisico, quello astrale e quello spirituale, o Devachan, in realtà non sono separati, ma si compenetrano; solo la nostra limitazione nella percezione di ciò che non è fisico ci impedisce di vedere oltre i confini del nostro mondo. La pratica spirituale che egli ha coltivato già nel corso della vita terrena gli consente di procedere molto rapidamente nel percorso tra morte e nuova nascita, permettendogli altresí di conseguire delle conoscenze particolarmente elevate dei Mondi spirituali.
Racconta alla sorella, sin nei dettagli, la prosecuzione – sul piano spirituale – delle proprie creazioni musicali. La “musica celeste” destinata a trasformare l’atmosfera della Terra. «La musica è l’arte piú elevata, anche se può agire solo indirettamente sugli uomini. …Il suo compito è quello di tra- sformarne l’anima. …È il nostro mezzo piú efficace per influenzare l’umanità» (op.cit.).
Il suo impegno nella realizzazione di sette sinfonie ‘celesti’ è qualcosa che lo occupa molto e lo entusiasma; tale opera – realizzata sul piano spirituale insieme ad altre anime – rappresenta la prosecuzione della sua missione sulla terra. Descrive con toni rapiti l’indescrivibile felicità delle anime che assistono alle esecuzioni di musica ‘celeste’ e narra di periodi d’intenso ma luminoso lavoro per creare le opere e successivamente per educare altre anime alla musica.
Cosí dice Rudolf Steiner nella conferenza “Alle soglie della Scienza dello Spirito” tenuta a Berlino nell’agosto 1906 (O.O. N° 95): «L’attività e la beatitudine nel Devachan consistono specialmente nell’attività creatrice. I grandi mutamenti della Terra sono creati dall’essere umano sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti lavorano alla trasformazione della fauna e della flora. La trasformazione della Terra è dovuta all’operare dei morti. Anche nelle forze della natura dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Ciò che l’uomo non può fare qui sulla Terra lo compie nel periodo che vive tra la morte e una nuova nascita».
Ma i messaggi di Sigwart sono anche ricchi d’indicazioni per l’esistenza terrena, per la preparazione
necessaria onde poter penetrare coscientemente nel mondo che ci aspetta oltre la soglia della morte, dove, se non siamo coscienti, viviamo a lungo in uno stato di doloroso sonno, senza poterci rendere conto di dove ci troviamo.
Allora non ci rendiamo conto neppure di essere morti e non riusciamo a riconoscere le anime delle persone a noi legate che ci si avvicinano.
L’uomo che attraversa la soglia della morte non è come spesso si immagina automaticamente
consapevole di ciò che ha davanti; in realtà egli guarda al nuovo mondo in cui si trova ancora con i pensieri, le emozioni ed i giudizi che aveva da uomo terreno.
Solo se nel corso della vita terrena si è lavorato spiritualmente, appropriandosi delle corrette descrizioni del Mondo spirituale, si può superare rapidamente il periodo di disorientamento che l’anima del defunto si trova ad attraversare.
Come sottolinea Steiner: «Escludere il sapere sui Mondi spirituali durante la vita sulla Terra vuol dire rendersi cieco nel senso animico-spirituale per la propria vita dopo la morte» (Nessi cosmici nella formazione dell’organismo umano – O.O. N° 218).
Ciò fa comprendere – ove ve ne fosse la necessità – la straordinaria importanza di quanto Rudolf Steiner ha portato nella cultura attuale con la Scienza dello Spirito, che ha messo a disposizione dell’umanità un quadro esaustivo del Mondo e delle Entità spirituali, rendendo di fatto operativo il ponte tra il mondo terreno e quello dello Spirito.
«Non importa – ci dice Sigwart - quali sono i sentieri che percorriamo nella nostra vita, quali lavori
abbiamo fatto, tutto dipende da quello che l’uomo ha pensato, ha sentito e ha fatto nella sua ultima vita terrena. ...Io adesso so qualcosa in piú, vedo piú lontano di prima. Ma una volta che ci siamo liberati della materia del nostro corpo fisico, non si diventa improvvisamente onniscienti. Voi non ci crederete, ma io sono accanto a voi, sento tutto quello che dite. Io vivo!» (op.cit.).
Man mano che il tempo passa e che il defunto si distacca dalla terra, il racconto di questo straordinario viaggio si arricchisce anche d’immaginazioni cosmiche, di esperienze spirituali elevatissime che si traducono in preghiere, meditazioni e indicazioni per le anime di coloro che ancora vivono incarnati.
Seguendo il percorso di Sigwart, viene a crearsi dentro la nostra anima un ponte tra il nostro mondo e quello spirituale; cominciamo a guardare alla morte con un occhio diverso.
Non piú “regno delle ombre” ma Regno di Luce e di Amore.
Iniziamo a immaginarlo come una porta che si apre su una nuova realtà, nella quale riversare i frutti dell’evoluzione spirituale conseguiti nella nostra esistenza terrena.
«Potete raffigurarvi l’essere incarnati con un viaggio sgradevole che si è costretti a intraprendere.
All’arrivo a destinazione vale a dire sulla terra venite rinchiusi in un cortile circondato da alte mura. Vedete il cielo sopra di voi, ma siete convinti che sia irraggiungibile. Rimanete lí fino a quando vi si viene a prendere.
Alcuni di voi possono, con il loro sviluppo spirituale, attraversare quelle pareti. Per costoro la prigionia non significa piú nulla, perché essi hanno comunque la libertà dello Spirito» (op.cit.).
 

lunedì 24 settembre 2012

La caccia al numero perfetto per trovare il senso della vita

Tratto da "Il Giornale" del 31 dicembre 2010


di Matteo Sacchi

Milano - Armonia, proporzione. Quel qualcosa che consente a una forma, a un oggetto o ad un essere vivente, di espletare al meglio le sue funzioni e, perché no, di avvicinarsi il più possibile all’ideale della bellezza. Quella bellezza che l’occhio percepisce istintivamente e il cervello fa così fatica a trasformare in concetto razionale e replicabile.

Ecco quello che gli uomini, in qualità di artefici, cercano da sempre e che la natura, ed eventualmente il suo Grande architetto, portano nascosto dentro di sé. E così per secoli, anzi per millenni, si è scatenata la caccia alla formula, al numero perfetto che spiegasse il meccanismo del creato, la sua «divina proporzione». Un numero che, una volta scoperto, avrebbe consentito di fare propria la logica creatrice che sovrintende al mondo come lo conosciamo.
Così gli antichi pitagorici si misero a studiare le proprietà del cinque e del pentagono. Così i cabalisti, prima, e gli alchimisti, poi, si misero a studiare il rapporto tra testo sacro e numeri (in ebraico ogni lettera equivale anche a una cifra). Senza contare i pittori-filosofi dell’umanesimo che cercarono di trasformare un preciso rapporto numerico conosciuto come «sezione aurea» e corrispondente a 1,618 in una sorta di metro del mondo.
Tutte semplici leggende? Tentativi rudimentali, ben diversi dalla scienza sperimentale contemporanea, di trovare una regola occulta in un caotico mondo dove regola non c’è?
No. È di questi giorni la notizia che una serissima università austriaca ha compiuto uno studio che dimostrerebbe che vive molto più a lungo chi ha un rapporto tra pressione minima e massima pari a 1,618 (insomma per intenderci sta gran bene chi fa 74 di minima e 120 di massima oppure chi fa 77 di minima e 125 di massima). Guarda caso proprio quel numerino che corrisponde alle proporzioni dell’uomo leonardesco e alle ricerche che, dai pitagorici in poi, hanno portato sino alla dottrina degli gnostici del rinascimento. Non solo: il magico 1,618 compare nei rapporti che determinano la struttura di molti altri esseri viventi. Tanto per dire detta la regola logaritmica che spiega la crescita del guscio dei molluschi o delle chiocciole o anche il modo in cui le piante «scelgono» quanti petali avere.
Abbastanza da far spalancare, metaforicamente, la bocca a Vittorio Messori che ne ha dato notizia sul Corriere della sera, e abbastanza per chiedersi se quel numero non sia l’impronta digitale del Deus Absconditus che da sempre un po’ si nega un po’ si rivela all’uomo (divertendosi a lasciarlo lì, indeciso). La questione di Dio non la risolveremo certo qui, sulla presenza di un numero perfetto (o di più numeri magici e perfetti), invece, qualcosa si può dire.
Il primo dato di fatto è semplice: ci sono dei rapporti numerici che davvero identificano «qualcosa» di importante e senza i quali le cose non funzionano. Alcuni sono nascosti ed altri no. Alcuni sono noti dall’antichità, magari in maniera intuitiva, altri da molto meno tempo. Un esempio abbastanza recente. La materia trova la sua «pace» sulla base del numero otto. I chimici la chiamano regola dell’ottetto: se un atomo ha otto elettroni nella sfera esterna smette di reagire con gli altri elementi (succede ai gas nobili). Otto in quel contesto è il solo numero che va bene, quello che regola la chimica, il numero dell’equilibrio. Se il neon non brucia al passaggio della corrente lo dovete a questo.
Un esempio antico: esiste una costante matematica conosciuta come numero di Nepero o di Eulero (per lo più approssimata a 2,71828182845905) che è fondamentale per svolgere calcoli logaritmici. Ma molto prima che i cervelloni del Seicento e del Settecento la «scoprissero» gli antichi greci la utilizzavano per dare proporzioni gradevoli ai templi (il Partenone è lungo 69,5 metri e largo 30,9, dividendo la prima per la seconda si ottiene un 2,24 periodico che era l’approssimazione antica al numero di Nepero).
Quanto al famoso 1,618 (altre parti del Partenone rispondono alla sua proporzione) è l’unico numero noto che consente di ottenere un rapporto fra due grandezze disuguali, «tale che la maggiore sia medio proporzionale tra la minore e la somma delle due, mentre lo stesso rapporto esiste anche tra la grandezza minore e la loro differenza». Non avete capito?
Bene in soldoni è un rapporto in grado di generare serie numeriche con un preciso ordine interno. Non è misterioso il fatto che le conchiglie decidano di crescere secondo questo schema: è semplicemente lo schema più comodo. Crea gruppi di numeri chiamati serie di Fibonacci (dal nome del matematico che le scoprì) che piacciono molto anche alle piante. Il numero di petali dei fiori più comuni dal giglio alla cicoria è quasi sempre regolato da questo schema: 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55... (e se dividete 55 per 34 e approssimate ecco il solito 1,618 e così via). La natura lo usa perché è armonico (una bella infiorescenza in cui i petali o i semi stanno alla giusta distanza l’uno dall’altro) e gli uomini lo hanno copiato per creare edifici armoniosi ma anche musica (Bach creava serie di note «alla» Fibonacci) o oggetti (il vostro badge dell’ufficio è un’approssimazione del rettangolo aureo costruito sul numero 1,618). Gli antichi guardando la natura ebbero l’intuizione e la trasformarono in regola, noi continuiamo a trovare le prove che la regola funziona anche dove non c’è la mano dell’uomo.
Se invece ci chiediamo perché proprio un determinato numero e non un altro regola certi rapporti trovare una risposta diventa più difficile. Seguendo Pitagora e anche i costruttori di cattedrali del medioevo (quelli del quadrato magico per intenderci), si può però prendere atto che «tutto è numero».
Non nel senso dell’astrazione pura ma nel senso che i numeri esprimono anche dei concetti funzionali. Altro esempio scemo? La visione funziona bene in stereoscopia. Gli animali vedono con due occhi tranne qualche rara eccezione (i ragni ne hanno da 2 a 12). Nessuno ha optato per una visione basata su numeri dispari (i dispari funzionano male anche per fare le gambe e camminarci sopra). Non se ne abbia Pitagora che li preferiva ai pari.

lunedì 17 settembre 2012

Siamo su Facebook

Se vuoi discutere di misteri con altri appassionati ti puoi iscrivere al gruppo Facebook degli "Amici de Il Sito Del Mistero". Ti aspettiamo.

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Il bosco di Bomarzo

All'indirizzo sottostante potete scaricare liberamente un libro in pdf sul bosco di Bomarzo scritto da Luigi Manzo. Il Bosco è noto per le sculture meravigliose volute dal Principe Pier Francesco Orsini nel 1552. A voi il link:

https://drive.google.com/open?id=0B9gAVKKaFP9cdDdQLXZKUWpVdjg

domenica 16 settembre 2012

Nuovo numero della rivista Lex Aurea

Vi segnaliamo l'uscita del nuovo numero dell'interessante rivista Lex Aurea di Filippo Goti. Fra i vari articoli anche uno di Vito Foschi.

Ecco a voi il link dove scaricare il pdf della rivista:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea43.pdf

venerdì 14 settembre 2012

IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST

Friday, March 21, 2003
IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST© Copyright 2003-2013 by the author

Lo sguardo scrutatore del bibliofilo nella produzione narrativa di un autore sottovalutato dalla critica

di Simone Berni

SOMMARIO
The Golden Bottle, un romanzo sconosciuto che nel 1892 ha previsto l'ONU – Il mistero della scomparsa delle Azzorre

THE GOLDEN BOTTLE, UN ROMANZO SCONOSCIUTO CHE NEL 1892 HA PREVISTO L'ONU
ENGLISH ABSTRACT
A farm-boy dreams he is given a liquid that enables him to make gold. He uses his wealth to support a secret organization (Populist-Christian-co- op) and to finance low interest loans. His policies save America, and America saves the masses of the world.

È curioso come alcuni autori, magari popolarissimi nei loro paesi, dove il loro nome ha un “valore editoriale” che si protrae negli anni, a volte ben oltre la loro morte, siano viceversa del tutto ignorati all'estero, talvolta poco conosciuti anche dagli addetti ai lavori.
Ce n'è uno in particolare la cui conoscenza diventa basilare per chi si occupa di Atlantide e di civiltà scomparse, perché a detta di molti è a tutt'oggi l'autore più importante e rivoluzionario nell'ambito di questa materia dopo Platone. Ebbene, di questo autore americano, si trovano pochissime tracce fuori dagli Stati Uniti. Sto riferendomi ad Ignatius Donnelly.
Per molti dizionari biografici Ignatius Donnelly è poco più che qualche breve riferimento. Nato a Philadelphia nel 1831, di origine irlandese. Nel 1857 si trasferì in Minnesota assieme al suo socio John Nininger, anche lui di Philadelphia, dove cominci? il progetto di una città-ideale, Nininger City, nella Contea di Dakota . La città avrebbe dovuto situarsi lungo il fiume Mississippi, circa diciassette miglia a sud di St. Paul ma il progetto fallì.
Fu vice Governatore del Minnesota dal 1859 al 1863. Morì a Minneapolis il primo di gennaio del 1901. È sepolto nel Cimitero Calvary di St. Paul, Minnesota.
Ma se è già difficile trovare ormai citato Ignatius Donnelly nei libri su Atlantide, direi che è quasi impossibile reperire notizie circa la sua attività di romanziere. Donnelly ha infatti scritto sul finire dell'800 tre utopian novels, cioè tre romanzi di utopia. Essi sono Caesar's Column (1890), Doctor Huguet (1891) e The Golden Bottle (1892). Il carattere spiccatamente "americano" di questi scritti e il loro chiaro intento politico, li rende un materiale cristallizzato nell'epoca che li ha partoriti e per questo motivo essi hanno subito un crescente isolamento fino all'oblio vero e proprio, perpetuato anche nella stessa America. Queste storie, che pure hanno conosciuto grande popolarità ai tempi della loro uscita, soprattutto "Caesar's Column" (l'ultima edizione importante in America è del 1949), oggi appaiono misconosciute, forse addirittura incomprensibili nelle sfumature politiche e sociologiche, almeno per chi non conosca nel dettaglio la storia del Minnesota e degli stati del nord-ovest della confederazione ai tempi di Donnelly.
Io personalmente trovo questi romanzi entusiasmanti, pieni di ingenua e focosa passione, meravigliosamente fuori dal nostro tempo e senza ombra di dubbio da riscoprire, ma la mia ha tutte le caratteristiche riconosciute della classica "voce nel deserto". Nessun editore in Italia li ha mai presi sul serio. Sono sempre stati considerati un fenomeno "tipicamente americano", e come tale improponibile alle nostre latitudini. Punto e basta.
Mi sono spesso domandato una cosa. Sarebbe possibile tradurli, riproporli in una forma moderna, ma allo stesso tempo mantenere rigorosamente intatta la loro natura? Ritengo di no, è una cosa quasi impossibile. The Golden Bottle, il romanzo che tra questi prediligo, è come un mosaico nel pavimento di una cattedrale. Il suo posto è quello e non pu? essere rimosso, perché altrove sarebbe senza senso, perderebbe il suo significato originale. Diciamo che, in caso di traduzione in italiano, il libro sarebbe un prodotto per "pochi intimi", accessibile solo previa e adeguata indottrinazione. In una parola: snaturato. Non fedele ai suoi principi.
In America il romanzo The Golden Bottle fu pubblicato da D.D. Merrill Company di New York & St. Paul (Minnesota) nel 1892. Il libro è in formato sedicesimo, con una copertina rigida in tela verde scuro, fregi e titoli in oro al piatto anteriore e al dorso. La mia copia è appartenuta ad Helen A. Kellogg, una persona gentile vissuta tra i due secoli. Era forse un'insegnante, amava molto i bambini e adorava fare lunghe sortite a cavallo lungo il fiume. Non so dirvi perché, ma sento che è così.
Il libro in edizione originale è difficile da trovare, la mia copia l'ho fatta arrivare da Rochester, Minnesota, e per poco non è andata persa durante il lungo viaggio, complice una dogana disattenta e poco incline al dialogo. Salvo poche eccezioni, per me l'arrivo a buon fine di testi pregiati spediti coi servizi postali è sempre stato un problema. Talvolta irrisolvibile, come nel caso dei libri di John A. Keel, di cui ho detto nel saggio “I misteriosi libri di John A. Keel”, pubblicato su Blogger (http://johnkeel.blogspot.com/).
Prima di quest'opera Donnelly aveva già alle spalle libri famosi come "Atlantis: The Antediluvian World", "Ragnarok: The Age of Fire & Gravel" e "The Great Cryptogram", ma con The Golden Bottle si avvale di tutta la sua esperienza e produce un piccolo capolavoro d'evasione. Certo, è innegabile che il romanzo sia anche un pezzo di campagna elettorale rivolto agli interessi degli agricoltori dell'Ovest ma il libro è comunque un'utopia letteraria di fine congettura, e per questo degno di un particolare interesse. Donnelly pubblicò The Golden Bottle, dice lui stesso, «...con l'intenzione di spiegare e difendere, sotto forma di storia, alcuni ideali del Popular Party (...) Ho la speranza che l'interesse per questo libro non si spenga fino a che i propositi in esso narrati non giungano a compimento».
La storia è abbastanza semplice e allo stesso tempo di grande presa per il pubblico. Si tratta delle avventure del ragazzo Ephraim Benezet del Kansas, figlio di contadini, al quale un misterioso vecchio materializzatosi nel mezzo della notte, consegna una bottiglia miracolosa con un liquido capace di trasformare i metalli vili in oro. Discutendo sull'impatto politico e sociale di questo potere - il potere di creare nuovo denaro a piacimento (per decreto, nella realtà) - Donnelly descrisse le condizioni alle quali si erano ridotti gli agricoltori dell'ovest, vessati dalle tasse e oppressi dalla dilagante corruzione del sistema bancario, che gli precludevano la possibilità di estinguere i loro debiti. Sviluppando questo background, Donnelly enfatizzò molte delle paure dell'America rurale di fine Ottocento. Focalizzò le sue attenzioni soprattutto sul fenomeno dello spostamento delle famiglie di agricoltori verso le grandi città e sulle degradanti condizioni di lavoro delle grandi fabbriche. Donnelly denunciò anche la disonestà di una parte preponderante dell'editoria, soprattutto la diffusione di giornali e quotidiani di parte, a esclusiva difesa degli interessi dei grandi industriali.
Benezet si risveglia al mattino con davanti a sé due realtà conflittuali. Da una parte la situazione della sua famiglia, oppressa da mutui inestinguibili con le banche, e della sua dolce fiamma Sophie, anch'essa finita in rovina e costretta a emigrare coi suoi genitori. Dall'altra, la bottiglia dorata, appoggiata ai piedi del letto.
Benezet, avendo il potere di creare denaro, riesce pian piano a migliorare la sua situazione, quella della sua famiglia, degli amici, fino a capovolgere completamente le sorti per tutti gli agricoltori sia dello stato che dell'intera confederazione. Divenuto ricco e famoso, vinte le tentazioni del denaro, riuscirà a farsi eleggere presidente degli Stati Uniti. Compirà molte importanti riforme, come la concessione del voto alle donne, la nazionalizzazione delle ferrovie, l'eliminazione dei ghetti cittadini. Da non dimenticare, infatti, quanto egli vedesse di buon occhio le minoranze, i nativi americani, gli afro-americani (come si dice oggi) e gli ebrei.
Nella parte finale del libro Donnelly si occupa dei rapporti dell'America con il resto del mondo. Fa approdare Benezet in Europa, con la ferma intenzione di estendere le dottrine della Rivoluzione del 1776 a tutte le nazioni. Benezet precipita in un'Europa dilaniata dalla guerra ma ben presto si fa garante della pace, esortando le masse ad opporsi ai governi totalitari e liberando tutta l'Europa occidentale dalle dittature. Tra le altre cose, incoraggerà gli ebrei a stabilire uno stato in Palestina.
Per garantire la pace sia sul vecchio che sul nuovo mondo costituirà un'organizzazione apposita, che egli chiamerà The Universal Republic. La sede di questa organizzazione mondiale sarà nelle Azzorre, cioè sulla "punta di Atlantide", come aveva affermato dieci anni prima nella sua famosa opera Atlantis: The Antediluvian World (New York: Harper & Brothers, 1882). La capitale scelta da Benezet è situata nell'isola di S. Michael, che verrà appositamente acquistata dal "piccolo regno del Portogallo".
Il libro si chiude con il giovane protagonista che si risveglia dal suo sogno. Riprecipita al cospetto della cruda realtà, e si trova costretto a fare i bagagli e abbandonare la sua fattoria, oppresso dalla situazione economica. Dovrà così cominciare a lavorare per il mondo di ideali e d'utopia che ha appena sognato. Senza la bottiglia dorata, però.
Tra le utopistiche visioni di Donnelly quella che colpisce di più è l'aver concepito l'ONU con oltre mezzo secolo d'anticipo, dimostrando come a livello inconscio già a quei tempi si avvertisse la necessità di un organismo sovra-nazionale teso a vigilare le sorti del mondo.
«The Golden Bottle - dice Donnelly - fu scritto di fretta, per la maggior parte sulle mie ginocchia durante i frequenti spostamenti in treno a causa della campagna di governatore del Minnesota». E nelle stanze di albergo che lo ospitavano di volta in volta».
The Golden Bottle usc? sia in versione hard cover, cioè con copertina rigida, che in paper cover (paperback), vale a dire con copertina morbida e in ogni caso non fu ristampato. Ne esiste una sola edizione, quella del 1892. Evidentemente il libro fu visto solo come un'edizione propagandistica, non ebbe un riscontro favorevole e fu presto dimenticato. Nel secondo dopoguerra è stato valorizzato solo a livello universitario. In Canada, Stati Uniti ed Australia ci sono infatti vari studiosi e ricercatori che hanno trattato le opere di Ignatius Donnelly, suddividendo la sua produzione in tre filoni principali: Atlantide, Bacone e Utopia.
Recentemente mi sono procurato un'edizione in lingua svedese, di cui non sospettavo neppure l'esistenza. Il libro in questione è "Den Gyldene Flaskan" (Stockholm: Loostr?m & Komp:s, 1893). Il formato del volume è simile a quello dell'edizione americana, il colore predominante della copertina è anche in questo caso il verde scuro. È la precisa traduzione dell'originale, a cura di Victor Pfeiff. Il libro uscì probabilmente sulla scia del successo di Caesar's Column, che in Svezia ebbe tre edizioni nello spazio di un anno, curiosamente con tre titoli differenti: Caesars kolonn (1891); Varldens undergang (1891); Civilisationens Undergang (1892).
Di Ignatius Donnelly e della sua passione per Bacone (e dell'antipatia per Shakespeare) mi occuperò in un prossimo articolo, quello dedicato alle “Cronache dell'incredibile”.
Anche Doctor Huguet (Chicago: F.J. Schulte & Co.), apparso l'anno prima di The Golden Bottle, è un romanzo utopistico dalle interessanti implicazioni. Lo scambio di personalità fra due protagonisti (in genere tipi opposti) come espediente narrativo diverrà un classico, e sarà ripreso più volte nel secolo successivo sia in letteratura che nel cinema. La critica fu assai sfavorevole e anche se nel 1899 Donnelly si vanterà di essere arrivato alla quinta edizione, alcuni suoi biografi sono dell'idea che il numero fu più basso. E' certo però che le edizioni furono almeno tre.
Donnelly usa la formula dello pseudonimo, Edmund Boisgilbert, lo stesso di Caesar's Column, ma sia nella copertina che nel frontespizio appare il suo nome per esteso, cos? che non ci possano essere dubbi sull'identità dell'autore.
Dei tre romanzi utopistici di Donnelly, solo Caesar's Column ebbe un certo successo editoriale, con 60.000 copie vendute solamente nell'anno di uscita, il 1890, e traduzioni in vari paesi. Donnelly lo scrisse in meno di cinque mesi e lo sottopose subito ad Harper & Brothers di New York, con il quale aveva già pubblicato Atlantis, ma questi lo rifiutò. Così come lo rifiutarono, uno dopo l'altro, Scribner's, Houghton Mifflin, Appleton e A.C. McClurg, che anzi lo videro come un incitamento alla rivoluzione. Donnelly però? conobbe un nuovo editore, appena trasferitosi a Chicago, Francis J. Schulte, che si dimostrò entusiasta del lavoro, ne comprese la portata e lo fece uscire nell'aprile del 1890, suggerendo comunque di usare uno pseudonimo, che poi fu Edmund Boisgilbert, M.D. Le duemila copie della prima tiratura si esaurirono in un lampo e fu subito ristampato. In autunno il libro fece la sua uscita anche in Europa, per conto di Sampson Low, Marston & Co. di Londra.

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DELLE AZZORRE
Mi sia concesso adesso un po' di svago.
Sulla scia della lettura, per me un'autentica scoperta, di The Golden Bottle, ho costruito la trama di un romanzo surreale. Ho immaginato che, dopo essermi addormentato con il libro di Donnelly, al risveglio scopro che le Azzorre sono sparite. Sì, proprio le isole al largo della costa portoghese dove Ephraim Benezet vi aveva collocato The Universal Republic, l’Onu ante litteram. Voi vi chiederete: «in che senso, sparite?» Ve lo dico subito. Cancellate, come non fossero mai esistite. Se io prendevo un atlante o una mappa geografica e cercavo le Azzorre nel punto in cui ci sono le Azzorre, non le trovavo più. Solo tanta acqua. Cos? telefonavo agli amici, uno c'era stato addirittura in viaggio di nozze anni addietro, e gli dicevo: «Ehi, ti ricordi le Azzorre in luna di miele, belle vero?». E lui: «Le che...? Sono stato alle Canarie, scemo!» E io: «Sì, ma delle Azzorre che ne pensi?» E lui, credendo che lo volessi prendere in giro inventandomi un posto che non c'è: «Ah, belle belle e anche le Bluturchine, che isole! Dovresti andarci!»
Ora, tutto questo potrà apparire comico. Ma nella realtà io venivo colto da un terrore crescente. Cominciavo a credere di essere in preda a terribili allucinazioni, visto che tutto lasciava supporre che fossi l'unico a pensare che esistessero queste isole. Gli altri non le avevano mai sentite nominare. Il loro stesso nome era un non senso. In nessun posto, in nessun luogo c'era una traccia, anche solo una, dell'esistenza di queste isole.
Dopo settimane di ricerche, in biblioteca, all'università, nelle agenzie turistiche, avevo dovuto alzare bandiera bianca. Un gruppo di isole al largo del Portogallo chiamato Azzorre non c'era e non c'era mai stato. Era tutto nella mia testa. Anni fa, chissà quando, dovevo aver sognato questa cosa e da allora l'avevo creduta reale, costruendoci sopra un castello di riferimenti sempre più grande e complesso.
Ma nella realtà il crollo di questo castello non aveva prodotto alcun fragore. L'esistenza o meno di queste isole era un fatto puramente formale per me. In fondo, cosa cambiava nella mia vita? Non mi ci sarei mai recato, almeno non di mia spontanea volontà; non conoscevo nessuno che abitasse laggiù; inoltre, nessun progetto della mia vita, vicino o lontano, aveva a che fare, seppure di riflesso, con le Azzorre. In realtà esse non erano mai veramente esistite per me, neanche negli anni durante i quali le ritenevo reali a tutti gli effetti.
Il castello di riferimenti che avevo costruito mentalmente attorno alle Azzorre era però molto vasto. Il libro di Donnelly, per esempio, non solo era scomparso. Non risultava che Ignatius Donnelly lo avesse mai scritto. Tutti i testi riportavano l'informazione che il politico del Minnesota aveva scritto in vita due novelle d'utopia, Caesar's Column e Doctor Huguet. Di questa Golden Bottle non c'era traccia da nessuna parte. «Curioso - mi disse un docente di letteratura americana - lo sai Donnelly avrebbe potuto scrivere davvero una storia come quella che mi ha raccontato! Sarebbe stata proprio nel suo stile. Peccato che non l'abbia fatto, avrebbe avuto un grande successo».
«Non credo, dissi io, la critica l'avrebbe stroncata senza pietà e ne sarebbe uscita una sola edizione. Un fiasco totale, mi creda». Mi lanciò un'occhiata perplessa.
Da allora la mia vita è cambiata. Sì, non solo perché le Azzorre sono sparite dalla mia vita - e da quella di tutti quanti, ma perché è sparita la sicurezza, la certezza di vivere una vita logica e sensata. Sono sempre in attesa di una nuova sparizione e temo che stavolta possa essere di grande portata. Qualcosa di così grande ed eclatante da riuscire a portarmi alla pazzia.
Fu così, dopo questa presa di coscienza, come per incanto, che realizzai come nella vita noi viviamo pensando di conoscere ma che in realtà la nostra conoscenza è frutto della collettività. Noi sappiamo in quanto apprendiamo e condividiamo le informazioni. Tante cose che si danno per scontate, pur non avendole mai viste, potrebbero sparire da un momento all'altro. E con esse parte dei nostri ricordi, parte della nostra vita. Non è terribile tutto questo? Si, lo è, ma non c’è modo di evitarlo. In nessuna maniera.
© Simone Berni 2003