sabato 8 settembre 2012

PER CAPIRE RENÉ GUÉNON

tratto da "Il Sole 24 Ore" del 9 maggio 1999

Metafisico e tradizionalista

di Claudia Gualdana

Nel 1886, a Blois, in Francia, nacque un uomo le cui opere, a quasi cinquant' anni dalla sua morte, dividono ancora il pubblico in lettori appassionati e detrattori. Stiamo parlando di René Guénon, imparziale critico dell' Occidente moderno. Dopo un lungo silenzio, da qualche anno i suoi scritti ricompaiono nei cataloghi di alcune raffinate case editrici. Del pari, sono ricomparsi anche equivoci e confusioni che, paradossalmente, da sempre accompagnano l' opera del più olimpico espositore delle dottrine tradizionali.

Di Guénon, si è detto e scritto di tutto, sovente a sproposito. Tuttavia, è possibile dissipare la nebbia che lo circonda, grazie a un libro uscito in questi giorni da Luni. Si tratta di René Guénon e l' Occidente, curato da Pietro Nutrizio, il maggiore esperto dell' opera del metafisico francese; nel volume, sono raccolti alcuni saggi pubblicati negli ultimi anni nella Rivista di Studi Tradizionali. Seguendo la direzione indicata da Nutrizio e Balestrieri, è possibile afferrare lo scopo dell' opera di Guénon e, in modo particolare, sfuggire gli equivoci.

Guénon non era un filosofo. Egli era un metafisico poiché la filosofia, nell' accezione moderna del termine, è il dominio del razionale distaccato dal principio divino, dunque una forma di pensiero legata all' individualità, alla sfera mentale e sentimentale. Dunque, nulla a che vedere con l' intellettualità pura, alias "ciò che gli Indù designano con la parola jnana (...), identica al greco Gnosis attraverso il suo radicale, il quale del resto è anche quello della parola conoscenza (da co-gnoscere), ed esprime un' idea di "produzione" o di "generazione", perché l' essere "diventa" quel che conosce e realizza se stesso attraverso tale conoscenza".

Diremo che non fu uno scrittore, bensì un tramite, attraverso cui trovano equa collocazione le concezioni metafisiche che riposano alla base di ogni tradizione ortodossa. Aggiungeremo anche che non fu certo un occultista, e che è un' assurdità far risalire le sciocchezze diffuse dalla new age alle concezioni da lui esposte. Lo dimostrano tutte le sue opere, ma in modo particolare Errore dello spiritismo (Luni editrice 1998), in cui Guénon mina le incerte fondamenta delle elucubrazioni di occultisti e spiritisti. Egli non scrisse opere "mistiche": i mistici sono degli irregolari, in quanto non ricollegati tramite iniziazione a tradizioni esoteriche ortodosse.

Guénon, pur essendosi convertito all' Islam, non spinse mai gli europei in tale direzione. Lo chiarisce egli stesso in Oriente e Occidente (Luni 1993): "Si tratta non di imporre all' Occidente una tradizione orientale, con forme che non corrispondono alla sua mentalità, ma di restaurare una tradizione occidentale con l' aiuto dell' Oriente". Concluderemo dicendo che il metafisico, considerato un pensatore di destra, non si occupò mai di politica, essendo la scienza sacra svincolata da implicazioni di tale natura.

Nell' ultimo capitolo di Autorità spirituale e potere temporale (Luni 1995), egli ebbe a scrivere: "Gli insegnamenti di tutte le dottrine tradizionali sono unanimi nell' affermare la supremazia dello spirituale nei confronti del temporale, e nel considerare normale e legittima soltanto l' organizzazione sociale in cui tale supremazia sia riconosciuta". Da questa dichiarazione, possiamo capire in quale senso egli fu antimoderno, così come comprendiamo che non avversò il cristianesimo. Guénon, a differenza dei suoi contemporanei, fornì una prospettiva sovrastorica, metafisica, alla decadenza dell' Occidente.

La sua disinteressata preoccupazione, fu quella di far comprendere che la tradizione non si apprende solo dai libri: lo studio è il primo passo su una strada assai lunga. Di chiarire che la metafisica costituisce il vero esoterismo, il quale non ha nulla a che vedere con quella congerie di stramberie cui alcuni alludono. Con Guénon, comprendiamo che l' uomo non ha in sé la sua ragion sufficiente, e che ogni civiltà "normale" si fonda su "principi intellettuali, o "spirituali", superiori al "divenire" e di origine tradizionale". Chi legge le sue opere, intuisce cos' è la tradizione primordiale. Chi ancora non le ha lette, può per lo meno meditare su una sua dolorosa riflessione: "La Somma teologica di San Tommaso d' Aquino era, al suo tempo, un manuale a uso degli studenti; dove sono oggi gli studenti in grado di approfondirla e di assimilarla?".


Pietro Nutrizio e altri, "René Guénon e l' Occidente", Luni Editrice, Milano-Trento 1999, pagg. 446, L. 42.000.
 

mercoledì 5 settembre 2012

IL LUPO MANNARO COME SIMBOLO DELLA NATURA UMANA

di Vito Foschi

La caratteristica saliente del lupo mannaro è la sua doppia natura umana e bestiale che convivono nello stesso essere. Normalmente prevale la natura umana, ma nelle notti di luna piena prevale la bestia. Quale migliore sintesi per rappresentare la natura umana capace del supremo sacrificio per un altro essere umano, ma anche capace delle peggiori efferatezze?




Il cane è il primo animale ad essere addomesticato. Prima di essere cane era lupo e, come tale un potenziale pericolo per l’uomo. Il cane è il miglior amico dell’uomo, ma dopo millenni di addomesticamento ogni tanto il lupo torna nella sua natura e attacca l’uomo. Il cane conserva questa natura ambivalente, come il lupo mannaro oscilla fra l’uomo e la bestia.
L’uomo primitivo si trovava ad essere in contatto col cane che fisicamente era ancora simile al lupo e il lupo selvaggio. La fusione dei due elementi, era una buona rappresentazione della natura umana. Generalmente buona, ma quando soggetta all’ira, capace delle peggiori azioni contro i suoi simili. Esattamente come il lupo mannaro, normalmente inoffensivo, ma un pericolo nelle notti di luna piena.
Il mito sarà nato dall’abitudine dell’uomo primitivo di indossare pelli d’animali per acquisirne le sue caratteristiche di forza e di agilità. Nel caso della pelle di lupo, poteva rappresentare una maggiore ferocia in battaglia. In qualche caso l’esaltazione dei guerrieri che indossavano simili pelli può aver causato atti di cannibalismo durante la lotta. È la nascita del mito.



Si può esaminare la storia dei Berserker(1), i mitici guerrieri orso del nord, che combattevano indossando pelli di orso e assumendo droghe sotto forma di funghi per non aver paura e pietà dei nemici.
Qualcosa di simile può essere avvenuto per il lupo. In fondo i Berserker erano uomini normali anche se guerrieri, e la loro spietatezza in battaglia era occasionale proprio come la bestia che fuoriesce dall’uomo nelle notti di luna piena.
Il lupo mannaro rappresenta un’ottima sintesi. È da notare che in lingua inglese esiste l’espressione "to go berserk" col significato di infuriarsi, dare fuori di matto, derivante proprio dal nome dei mitici guerrieri del nord.
Il lupo mannaro non rappresenta, però, in un’ottica dualista le opposte forze del bene e del male, perché l’uomo può scegliere fra le due, mentre il lupo no, è maledetto ed è condannato ad una vita doppia senza possibilità di scelta. Per questo non può rappresentare il libero arbitrio che dovrebbe avere l’essere umano per scegliere fra il bene e il male.
Rappresenta invece la collera, la perdita di controllo che trasforma l’uomo per un tempo breve in un altro, in un animale incapace di frenarsi. Dopotutto nella Bibbia c’è scritto:" Guardati dall’ira dei miti", quasi a voler sottolineare l’assunto qui esposto. Una persona normalmente calma, per un motivo scatenante tira fuori la bestia che è in ognuno di noi.
Una rappresentazione visiva che mette in luce il carattere da lupo mannaro dell’uomo è una scena del film "Tutti a casa" con Alberto Sordi, che racconta dell’otto settembre del 1943. In una parte del film il protagonista per tornare a casa si presta a fare da autista per un autocarro pieno di farina da portare al mercato nero. La sfortuna vuole che venga scoperta la natura del carico e un gruppo di uomini resi ciechi dalle privazioni della guerra lo saccheggia in maniera selvaggia. La scena viene resa di una violenza inaudita dalla presenza di una bambina, che sopraffatta dalla follia di uomini grandi e grossi, si mette, piangendo, a raccattare la farina caduta nel fango. È da notare la coincidenza fra il bianco della farina che fa scattare la cieca violenza nel film e il bianco della luna piena che tramuta l’uomo in lupo mannaro. D’altronde questa scena riprende il ben più famoso episodio dell’assalto ai forni ne "I promessi sposi". Anche lì è il bianco della farina in contrasto con il nero del pane misturato a rendere cieca la folla. (Da notare l’assonanza fra folla, folle e follia, quasi ad indicare che un assembramento di persone genera automaticamente una sorta di coscienza collettiva portata a ragionare ed agire in maniera sconsiderata.)
Il bianco della luna piena e il nero delle notti senza luna. Alcune assonanze sono davvero incredibili.
Ripensando anche a questi racconti non si può non pensare che il lupo mannaro sia un ottimo simbolo per rappresentare la natura umana oscillante fra i due opposti di una generale calma e di una violenza incontrollata circoscritta a brevi periodi e scatenata da eventi esterni.




Note
1) Nelle tradizioni vichinghe esistono tre gruppi di guerrieri caratterizzati da nomi di altrettanti animale:
I Berserker che utilizzavano pelli di orso, e combattevano in gruppo. La parola scandinava Bar/Ber indica l’orso;
Gli Ulfedhnar, che vestivano pelli di lupo combattevano soli e soprattutto di notte utilizzando prevalentemente la lancia e l’ascia. La parola Ulf significa lupo ed è simile al wolf inglese e tedesco;
Gli Svinfylking, uomini cinghiali, abili nei travestimenti combattevano con una particolare formazione a cuneo chiamata a "Testa di Cinghiale", col compito di aprire il fronte nemico.

martedì 4 settembre 2012

Il Sé e l'Ego

Un breve consiglio di lettura. Su Scribd è possibile trovare molti documenti e vi consiglio di sbirciarci per trovare scritti molto interessanti. Intanto vi consiglio questo documento di René Guénon in cui spiega la differenza fra il Sé e l'Ego. In questo articolo ci sono alcune considerazioni sintetiche poi sviluppate nel libro Gli Stati molteplici dell'Essere

http://www.scribd.com/doc/102181162/Guenon-Il-Se-e-l-Ego

lunedì 3 settembre 2012

Il martello delle streghe in PDF

Vi segnaliamo il seguente post del blog Sguardo sul Medioevo dove viene indicato una risorsa dove scaricare in formato PDF il famoso Martello delle streghe (Malleus Maleficarum), il manuale degli inquisitori. Sperandi di fare cosa gradita e buona lettura:

http://www.sguardosulmedioevo.org/2012/09/il-martello-delle-streghein-pdf.html



mercoledì 29 agosto 2012

L'archeologia dei simboli della comunicazione umana

tratto da Corriere dell'arte del 7 maggio 2010

di EMILIANO PALADINI

La longevità della forza di un simbolo si misura con lo spesso re delle proprie radici culturali; e se il celebre ippopotamo dello Studio Testa incanta ancora oggi è perchè è stato fatto per durare nel tempo, avendo ancorato il contenuto della sua rappresentazione e il motivo della sua esistenza (testimoniai di una linea di prodotti per bambini) all' immagine della dea mitico-egiziana Taueret, protettrice delle partorienti e dei oro nascituri, raffigurata per il tramite del lapislazzulo e lei suo caratteristico colore azzurro sotto forma di ippopotamo. Ma è questo chiaramente uno solo degli esempi che si possono fare della corrispondenza tra le immagine dell'arte contemporanea e l'archeologia dei simboli grafici, e uno dei tanti se gli esempi li prendiamo dalla stola dell' Antico Egitto, e proabilmente non l'unico se dialoghiamo con Pietro Gallina. Di fatto a Pisa, Palazzo Blu, fino al 25 luglio si svolge la mostra dal titolo: Lungo il Nilo che documenta la nascita dell' egittologia e di conseguenza dello studio delle origini della comunicazione nana oltre la dicotomica affermazione: «tra oralità e scrittura», presentando in un percorso a tappe che ricalca idealmente il tragitto della spedizione di Ippolito Rosellini, le aspettative, le azioni, i ritrovamenti e le conclusioni di un viaggio alla scoperta dell' evoluzione dei simboli grafici primordiali voluto da Leopoldo II Granduca di Toscana e da Carlo X Re di Francia, e realizzato nei sedici mesi intercorsi tra il 1828 e il 1829 dal Professore di Lingue Orientali dell'Università di Pisa (Ippolito Rosellini) in coppia con lo studioso francese che nel 1822 decifrò la stele di Rosetta (Jean-Francoise Champollion). L'esposizione, quindi, curata da Marilina Bertò, egittologa dell'Università di Pisa, mostra i documenti originali, dipinti e manoscritti, che contribuiscono alla creazione di un vero e proprio registro di viaggio della Spedizione; laddove ciascuno di questi documenti è di volta in volta, o la copia grafica dei simboli visitati nei siti archeologici, o la trascrizione letterale dell' emozione della loro scoperta; e in tutti i casi si tratta dei primi documenti del viaggio dell'uomo all'origine delle sue parole.

sabato 25 agosto 2012

VENEZIA: I MISTERI DELLA LAGUNA

Tra spettri, Graal e magi occultisti

di Andrea Romanazzi

Quando si parla di Venezia vengono subito in mente le immagini delle bellissime gondole che vagano per i canali e la dolce atmosfera romantica che la avvolge, ma tra i campi e i calli gremiti di turisti si nascondono antiche leggende, misteri insoluti, ombre di antichi personaggi che rendono la città fortemente inquietante in questa sua gotica disinvoltura. Sarà seguendo così le tracce di questi enigmi che si perdono nella notte dei tempi che riusciremo ad entrare in contatto con il genius urbis che come novello Virgilio ci porterà tra le pieghe del tempo al cospetto di tradizioni mai dimenticate come il Graal e Cagliostro, Casanova e l’Inquisizione che ci faranno cambiare idea sul comune soprannome di "Serenissima".



IL GRAAL E I MISTERI DI SAN MARCO

La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istambul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.

I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile. Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione. Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.

I PALAZZI STREGATI E LE CORRENTI TELLURICHE
Interessanti poi sono le tradizioni legate ai palazzi stregati come Ca’ Dario e Ca’ Mocenigo Vecchia.
La fama del primo sinistramente conosciuta da tutta la città, esso fu costruito dal mercante Giovanni Dario e dedicato al genio della città come testimonia l’iscrizione "Genio urbis Joannes Dario", scritta che, secondo alcuni studiosi, nasconderebbe, anagrammata, enigmatici quanto orribili segreti: "SUB RUINA INSIDIOSA GENERO" e cioè colui che abiterà sotto questa casa andrà in rovina. Per alcuni la costruzione sorgerebbe su un nodo di energie negative che si trasferirebbero all’intera dimora, quella che Fulcanelli definirebbe una vera e propria dimora filosofale. In realtà l’intera città sorgerebbe su una rete di correnti telluriche, positive e negative, che caratterizzerebbero così la sua urbanizzazione, lo stesso Canal Grande sarebbe la rappresentazione del temibile serpente, simbolo delle enigmatiche forze che in alcuni punti diventerebbero fortemente palesi. Del resto nel passato era normale che ci fossero luoghi benefici e malefici, in oriente ove si pratica il feng shui, cioè una disciplina che permette di costruire una casa recependo le onde benefiche del "grande drago" che dorme nel sottosuolo. Sarà proprio il drago a caratterizzare la città, infatti esaminiamo una qualunque cartina di Venezia vediamo il Canal Grande snodarsi come un serpente o un dragone, tagliando esattamente in due parti la città. Abbiamo così la testa, "caput draconis", ed una coda "cauda draconis".
Alla fine di quest’ultima troviamo l’isola di san Giorgio, con l’omonima chiesa, scelta non casuale se pensiamo che nella tradizione cristiana san Giorgio è il santo che uccide il drago, e quindi che esorcizza il serpente veneziano, mentre dalla parte opposta vi è la Basilica di San Marco, quasi un modo per esorcizzare queste energie.
E’ proprio posizionato nella "cauda" che troviamo Ca’ Dario, il misterioso palazzo la cui maledizione colpisce tutti i proprietari che sono morti suicidi o comunque di morte violenta, tra i quali ultimamente Raul Gardini e il tenore Mario del Monaco.
Per quanto riguarda invece la seconda costruzione, è silente testimone della visita del filosofo Giordano Bruno in città, ospite proprio della famiglia di Mongenigo che, dopo aver cercato di carpire le sue conoscenze alchemiche, lo denunciarono come stregone alle autorità veneziane costringendolo a riparare a Roma ove poi sarà giustiziato. Tradizione vuole che ancora in quell’edificio si manifesti il fantasma dell’eretico in cerca di giustizia.

ALCHIMIA VENEZIANA

Moltissimi sono stati i maghi, stregoni e alchimisti presenti nella laguna, tra i quali spiccano, oltre al già citato Giordano Bruno, Casanova e Cagliostro. Dati gli stretti rapporti con il Medioriente, Venezia è stata da sempre crogiuolo di culture, il toponimo del quartiere "Giudecca" sembrerebbe proprio segnalarci la presenza dei suoi primi abitanti, i giudei, da sempre maestri di alchimia e studiosi di Cabala. Moltissime sono così le leggende presenti nell’antico e nuovo ghetto che riguardano gli rabbini e i loro studi di alchimia.
Nella città, poi, sono presenti le conoscenze alchemiche degli arabi le cui tracce ritroviamo nel quadrante della torre dell’orologio ove, tra simboli astronomici e astrologici sono presenti raffigurazioni di mori. Più sconcertanti ed evidenti sono però le simbologie arabe presenti nelle vicinanze della porta della carta vicino la Basilica di San Marco. Qui sono rappresentati in un angolo i così detti "quattro mori", i tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiliano e Costanzo.
In realtà la tradizione lega queste figure all’alchimia come testimoniato da un fregio alla base dello stesso raffigurante due putti e due draghi intrecciati che portano un cartiglio con la scritta in veneziano arcaico "uomo faccia e dica pure ciò che gli passa per la testa e veda ciò che po’ capitargli".
Sempre sullo stesso lato della Basilica sono presenti due colonne provenienti da Acri ove cultura cristiana e mora si mescolano in una mistica commistione di immagini tra le quali spiccano tre enigmatici criptogrammi per alcuni invocazioni al dio del mussulmani Allah.
Tra i personaggi più enigmatici, però, sicuramente spicca Casanova, mago e scrittore nato nella città il 2 Aprile 1725 e sepolto nella chiesa di San Barnaba anche se della sua tomba sono state perse le tracce. La sua storia "misteriosa" parte all’età di otto anni quando, per guarirlo da un male che gli costringeva a tenere sempre la bocca aperta, la zia lo portò da una strega guaritrice. Sarà da allora che lo scrittore iniziò ad interessarsi alle arti magiche che gli procurarono problemi con l’Inquisizione e che lo portarono ad esser imprigionato nei famosi "piombi" veneziani dai quale riuscì in una clamorosa fuga. Sicuramente egli ebbe contatti con la massoneria e con Amadeus Mozart per la realizzazione del suo "Don Giovanni" ispirato anche alla vita del veneziano e con il famoso Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro proveniente da Aix de Provence. Secondo la tradizione i due si incontrarono nella città nel 1769 per scambiarsi formule e magici rituali e le formule per l’elisir di eterna giovinezza.


giovedì 23 agosto 2012

Chrétien de Troyes

Chrétien de Troyes è autore di romanzi del ciclo arturiano tra cui Perceval o il racconteo del Graal, Tristano e Isotta, Lancilotto o il cavaliere della carretta.
Vi rimandiamo alla voce di Wikipedia su Chrétien de Troyes:


http://it.wikipedia.org/wiki/Chr%C3%A9tien_de_Troyes